@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

mercoledì 29 aprile 2009

THERE ARE KEYS THAT CREATE THE LOCK, DO YOU KNOW?


There are keys that create the lock, do you know? E’ proprio così.
Andiamo a spiegarci. Per chi conosce bene J. Cortazar non potrà sfuggire alla considerazione che qualcosa di intimo e profetico avvicina il grande scrittore argentino ed il drammaturgo E. Ionesco. Proviamo ad accostarli, dimenticando luoghi, tempo e differenti percorsi. Entrambi fanno una dolorosa caricatura della realtà, la cristallizzano in stereotipi che solo una coscienza davvero critica può permettersi di abiurare. Troppo facile sorridere dell’orologio che insegue il polso, che insegue il braccio, che insegue il proprietario! Ed ancora troppo semplice leggere solo in termini di non-sens quella preoccupazione della “ragione” nella discussione ad onta che un’intera città si stia trasformando, colpita da “rinocerontite”. Non è il personaggio a dover essere considerato, in quanto egli è semplice stampella di un tema più celato. Se anche quest’ultimo dovesse trasparire dai dialoghi, avverrebbe ancora la stessa fagocitante operazione della vanificazione del senso dell’opera.. E’ proprio il TUO pensiero che alberga quei caratteri, per una lettura o il tempo di una piece, a dover comprendere. Il linguaggio ci ha fatto evolvere, sino a trasformarci, ma esso può nascondere, sotto le pieghe spesse del cuoio del rinoceronte, l’addormentamento della propria coscienza di essere identità distinta.

Apprezzo, ma insieme mi fa educatamente sorridere, il tentativo legittimo del governo di tranquillizzarci: l’Italia è al sicuro dalla febbre suina! Coraggio amici -conosciuti ed ancora da conoscere- non ci trasformeremo in maiali; anche se di essi abbiamo sempre più preso la pessima abitudine di “cibarci” di tutto, reale e virtuale ci sia proposto, ci proponiamo, salvo a dimenticare che si tratta sempre di noi, con passaggi molteplici e camuffatti delle mille maschere che Lacan invita ad osservare! Dio quanto servono le frontiere, quanto si possono spostare, contrarre ed allargare, sino ad esaltare o tranquillizzare! Quanta prigionia nella libertà del linguaggio e quanta libertà nella prigione della nostra solitudine! Individui esasperati e grotteschi, nel Rinoceronte, che chiedono pietosamente lo sconto alla rigidità di un comportamento senza coscienza, dove il linguaggio perde la sua originaria potenza simbolica dell’inconscio (Lacan). Sino alla trasformazione –in Ionesco- del loro soma, della lingua e della potenza sottesa del significante; della stereotipia (in Cortazar) del carattere. Il nostro occhio ed il nostro orecchio percepiscono simboli vaganti e vacanti, senza quel possesso che li rende storicizzati all’esperienza individuale e del gruppo. E lì che possono ospitarli e risignificarli, come nell’esperienza analitica che rimanda al senso sotteso alla metafora alla metonimia proprie del sogno. Si esige una nuova fusione che restituisca il possesso di “attributore” di senso, e questo avviene tra attore e spettatore. Una chiave, criptica condensazione di quanto l’autore ha inteso, preme alle porte liscie di serratura, schive di entrata. Il non-senso dilaga, la parola si fa vuota, ma vi è una speranza: “il testo è ancora scrivibile!”, esclamerebbe Barthes. Fiaccato, il pretestuoso pensiero strutturalista si deve arrendere. Il percorso va rifatto all’interno dal carattere lì rappresentato, perché è così disarmante quell'insensato delirio di un fama, mentre il cronopio mette in ordine la propria follia!

Rumore di chiave, qualcosa sta girando, la chiave gira se stessa, stanze che non si conoscevano.

THE KEY



Seems I've been waiting half a life
For things to arrive
That won't come
Seems I've been waiting all this time
For the perfect rhyme
Now it's done

But I forgot what it was I'm looking for
I found the Key but not the door
Nothing more

Heyeyey
Is there anybody home tonight?
I can hear you on the other side
But I can't get through
I say heyeyey
There's no beginning, there's no end
A vicious circle 'cause I cannot mend
The love I feel for you
.....

martedì 28 aprile 2009

...l'avan-garde c'est la libertè!


Giovedì sera il primo appuntamento seminariale del “nostro” teatro, battesimo alla fonte di noi stessi, al principiamento dove vi è vaga forma ed intensa pulsione. Ionesco ci farà compagnia. L’abbiamo obbligato, con la lusinga (ma poi riuscita?) che siamo per l’antipiece, come lui, dietro lui; che inseguiamo, oramai da qualche anno, l’idea che il processo artistico non possa essere separato dal prodotto finale, pena il monumento al narcisimo dell’arte, marmoreo corruttibile, ligneo combustibile, riduttivo amplificatore della “paura”!

Ha storto un poco il naso, ve lo assicuro; quel viso “pacioccone” è solo un casuale inganno per chi pretende di non averne ricevuto provocazione e stimolo, senza i travestimenti della didattica, i connubi perversi con l’establishment politico, artistico, culturale di ogni tempo, ad intimorire la consuetudine impersonale. Mentre l’idea di una dramma terapia che andasse a cristallizzare -pure vitale-, il suo processo per farne "teatro" prendeva forma –e quale migliore occasione che quella di fondarlo i n t o r n o ad una questione, quella ioneschiana, del Rinoceronte-, sfogliavo casualmente uno di quei testi che si acquistano per curiosità morbosa dietro qualche suggerimento, Teatro Senza Regista; era stato un rappresentante della Associazione Europea per la Cultura del Teatro a consigliarmelo due anni prima, scritto dallo stesso direttore artistico della associazione, Jurij Alschitz. Ecco, molti passi del suo testo, così umanamente autobiografico –una autobiografia come ricerca…-, mi colpivano, ma uno condensava quello che stavo pensando da parecchio, “Dell’arte mi interessa non tanto il prodotto quanto piuttosto il processo naturale e spontaneo con cui si fa(1). L’idea del processo artistico come processo di verità, ermeneutica ricerca di un senso all’esistere, così propria di quanto di “creativo” vi è nella visione sciamanica, aveva ora per me una ulteriore testimonianza. Intorno all’umanità dei suoi attori, questo regista crea il suo/loro teatro, piega il “destino” alla visione creativa di quanto avviene e si osserva! E non è ancora Ionesco ad esclamare “Je crois que la création artistique est spontanée!(2)?

Una forzata analogia con quanto, in diverso statuto, avviene proprio nel processo dramma terapico, scevro dalle regole del setting teatrale -se troppo strette-, che fa del percorso attoriale l’obiettivo piuttosto che la propedeutica del recitante. Vi sono Alleluja che non meno “sacri” esplodono sulle strade, quando queste conducono a comunicazioni felici o sul proscenio dove vi è l’impudico contatto tra le due parti sensibili del teatro –il resto è macchina teatrale!- attore e spettatore. Proscenio diluito nella circolarità grotowschiana di un cerchio o mantenuto lì nei teatri stabili, purchè lo si scopra questo pudore, come ombra che ritrova la nascita del “drama” ad ogni nuovo incontro. Per dirvi…che suggestiva è l’idea di raccogliersi intorno ad un’idea e lasciare che essa cementi il nostro intento, disincarnato da quinte e riflettori, ad osservare la tenera saggezza di Bérgerer che consiglia un dottore al suo amico Jean.

Un’ambizione, quella più forte e sfidante: ri-dare umanità visibile ai personaggi di Ionesco. Essi non ne hanno bisogno, mi s’intenda! Essi esistono così, capsule di uomo addormentate tra linguaggio e logiche, paure ed incoscienza, a "bisticciare con la vita", nati per far interrogare, tra baratro di verità ed anarchia. Ma cosa accade se attraversano l’anima del nostro attore. Non siamo a teatro, siamo nel setting particolare della dramma terapia, in quello spazio virtuale dove il “come se” si sposa con il delirio ed il ricordo, con il lapsus e l’agito, dove è l’allenamento tenace (evviva Grotowsky!) a misurare-diverso da contenere- quale la distanza tra realtà e trauma, tra dolore e pulsione di vita? L’attraversamento si veste di panni diversi, molti ne lascerà, alcuni saranno ripresi; una passerella spesso silenziosa tra spettatori non paganti, perché invisibili, compagni di altro tempo ed altre storie. Ed allora il messaggio di avanguardia -“...l’avant-garde, c’est la liberté(3)- di Ionesco si tinge di un “umano” nuovo, capace di riflettere sulle trasformazioni e sul cambiamento, in conclusione sulla sua identità.
Seminario importante, questo spargere seme ed osservarne la crescita.
(1) Jurij Alschitz, Teatro Senza Regista, p.19, Ed. Titivillus, Pisa, 2007
(2) Eugène. Ionesco, Expérience du théatre, in Notese et contre-notes, p.48, Galimard,.
(3) Eugène. Ionesco, Discours sur l'avant-garde, in Notes et Contre-notes, , p. 91, op. cit.

"Il dramma parla d'identità"

@ Slesia
a proposito di Rhinocéros

Rhinocéros: bellissima piece!!
Studiata in Letteratura Francese durante l'anno a St Andrews e vista in una versione messa insieme da un gruppo di studenti (ok, in inglese!). Simbologia fortissima: l'essere 'rinoceronte' che terrorizza tutti, ma che allo stesso tempo emerge, in modi e tempi diversi, in quasi tutti; perfino le persone di cui il protagonista si fidava di piu' (perfino Daisy!). Si', probabilmente il Rhinocéros e' il Comunista, o il Nazista; ma, piu' universalmente, il dramma parla di identita' e di conformita', del se' e della societa', di cio' che e' valutato e riconosciuto come valido e/o apprezzabile, e di cio' che e', profondamente, onesto, genuino...vero. Solo il protagonista, Bérenger, resta immune. Lui che e' un uomo comune, anzi forse un po' lento (un uomo, forse direbbe Italo Svevo, 'inetto'), non molto stimato dagli altri: gli intellettuali, i suoi ‘superiori’. Eppure lui e' l’unica persona AUTENTICA. Nell’essere semplicemente se stesso, con le proprie limitazioni e le proprie nevrosi, rivendica il diritto di essere vero e vivo, di non essere omologato, alienato, da una societa’ che lo vorrebbe ‘efficiente’, ‘integrato’, ‘perfetto’ secondo i propri canoni (borghesi, comunisti, o nazi-fascisti che siano), ma non indipendentemente ‘pensante’ e ‘senziente’, non SE’. Insomma, un uomo come quelli spesso dipinti da Magritte, con una mela al posto dell’individualita’ dei lineamenti e tutti vestiti in completo nero e bombetta…

@Director
Pronto il mio ultimo post, Slesia -inserito dopo il tuo commento-, leggo quanto hai scritto. La telepatia intellettuale, quella mossa dall'amore speculativo per la "ricerca dell'uomo nell'uomo" esiste! Un bel risveglio ora il tuo, carissima nella verdi piane della Scozia.

lunedì 27 aprile 2009

Quando l'Assurdo attraversa il Teatro: Eugéne Ionesco



Il Creative Drama & In-Out Theatre, fondato e diretto da E. Gioacchini, sponsorizza un workshop aperto al pubblico sul teatro di Eugéne Ionesco. Due relatori ed una performer a descriverne il pensiero ed il teatro, tra recitazione e racconto.

Fuori dal totalitarismo e dal liberismo sfrenato troviamo la lezione di Ionesco a non fermare la ricerca del proprio senso, liberandolo dall’apologia dell’individuale e della sua babele storica, dalle false ragioni della libertà e della sua limitazione. Lezione teatrale e di vita, lirismo artistico ed estetica della ragione. Un workshop per addetti ai lavori e non, attraverso la visione illuminante del drammaturgo con il bisturi della dramma terapia.
Conducono lo psicoterapeuta E. Gioacchini, la performer N. Maroccolo ed il critico P. Perilli.
Ingresso libero, gradita prenotazione.
INFO: al 3403448785

Foto: Rhinoceros, by Albrecht Durer, 1915

domenica 26 aprile 2009

SCOPPIO ALL'INCONTRARIO

@ Francesca

a proposito del "kamikaze"

Sicuramente credo sia stata una scelta voluta quello di visualizzare li disegno nella sua prima fase di creazione quasi come fosse sovrastato da una grande nube che impedisse ai raggi solari di attraversarla … mentre, nella fase finale anche se con difficoltà, i raggi riescono a trovare un passaggio e a farsi strada, illuminando finalmente il foglio di colori nuovi, cosi i disegni acquistano una luce diversa, si rendono quasi iridescenti.

La riflessione che ho avuto, dopo questa esperienza, è stata di comprensione e di apertura rispetto certe cose che reputo intoccabili, di sfere private dove nessuno è in grado di raggiungermi…in realtà al disegno ho dato un significato aggiunto ...in esso ho visto anche il mio mondo, un mondo che poco spesso si mischia con l’universo e si fa accogliere da esso o meglio ne accetta la conoscenza ma non sopporta di esserne intaccato. In realtà, alla fine di questo stupendo viaggio, anche se la mia navicella spaziale avrà perso qualche pezzo, il motore avrà smesso di funzionare per un po,’ avrò visto comunque mondi nuovi, nuovi pianeti, costellazioni che mi avranno aiutato a fare luce su diversi punti…li avrò vissuti, respirati e toccati, sarò stata anche accecata dalla striscia di luce della via Lattea...

Comunque uno spettacolo meraviglioso che ha arricchito di certo il mio rientro…
Foto: "il Kamikaze" elaborato di Francesca, Atelier di Drammaterapia Liberamente

Io sono altro io

@ Nina

Ho appena letto questo lungo, complesso e lacerante post. Credo di farcela a reggerlo emotivamente, malgrado sia passata dal simpatico tritacarne del Capitano che commentava un mio precedente drama-commento. HELP!

Sì, difficile l'equilibrio del ragionamento, le fasi teoretiche da assimilare, elaborare, e successivamente spurgare secondo il principio basilare di un Io non divino che deve promuoversi agente tuttofare - o quasi. Povero Io, questo Io. Un po' troppo responsabilizzato e stanco a forza di essere sottoposto, suo malgrado, a incessanti rimedi. Così penso: "Lui -l'Io- chi lo rimedia?". Consapevolezza, messaggi non-consapevoli, linguaggio del corpo, contraddizioni, paure e timori, il grande Langs, Freud, sogni, totalitarismo dell'Inconscio. Eventi attuali retroattivi, colpevoli di riportarci indietro, nel remoto dei traumi per scoprirli nervi vivi. Io sono altro Io. Tu che mi leggi, cosa sei? ... Prendi l'Uno e fa' ciò che vuoi! Ci vogliamo intatti, no? Allora prendiamo l'Inconscio "totalitario", senza profusione massificata (abbiamo visto dove portano i regimi legalizzati... Hitler e Stalin sono esempi storici da non dimenticare); cerchiamo di ammorbidirlo, accettarlo nei suoi abissali anfratti ricchi di tranelli. Ci condurremo nel regno dell'insospettabile - mai ascensionale. Ed eccole le guerre di ogni Tempo, le abbiamo trovate.

Il Tempo: e se fosse un'invenzione, un'altra giustificazione, un tassello che non torna nell'economia dell'esistenza? Presa da euforia -sono tre i giorni di eccitazione, una sorta di "bene di vivere" ma con il solito accampamento di disagi -temo il momento della reazione contraria, tipica di alcune forme depressive. Non devo cedere alla tentazione. Anzi, l'Io ausilario deve prepararsi come sostegno, e nulla deve compensare: solo considerare un'ipotesi. Tale deve restare: ipotesi che nell'immediato inviteremo gentilmente a dissolversi. Poi, ancora una volta, invocheremo l'acqua: lasciarsi fluire... sì, lasciarsi andare. Torniamo ai messaggi non-consapevoli. Per ora, ma solo per ora, mi viene da scrivere questa scarsa considerazione. Essa è legata alla Natura, ma è altrettanto valida nella sfera umana - credo. ENUNCIATO: Non sanno i fiori il perché del loro fiorire. Eppure, tra le cose che non possiedono significazioni, incontreranno il nostro stupore. La conoscenza che ignora il suo sé non è mai fioritura d'ignoranza. E gli occhi meravigliano più del fato.

Naturalmente non è una poesia, né un artificio letterario riempitivo. E' un pensiero. Semplicemente, non possiamo spiegare tutto. E questo "tutto", comprendente certi fenomeni psichici, non sempre è spiegabile. Non ci è dato come dato fattuale concreto ed oggettivo persistente ed assoluto. Dunque, occorre affidarsi ad altro. Ma cos'è questo "altro"?


@ Director

Nina. lo stiamo per incontrare un nostro "altro da Sè" e non fuori! Lì, nella piazza, in mezzo al bisbiglio assordante e clamoroso delle persone che aspettano il "dominatore della loro paura". E Ionesco trema anch'egli, tentato di lasciar scivolare da dentro a fuori quella tensione che sposa la rinuncia a se stessi e l'accorpamento al capo-branco. Poi, con violenta passione, si dissocia. Tornerà nel Rinoceronte la sua paura e sfida a cercare un piccolo seme di "verità" nella babele del linguaggio. E' dentro di noi. Può essere educato. Grandissima consolazione, mia cara. Lo rappresenteremo.

"…attendo Hitler i presenti stavano già dando segni di impazienza, quando, in fondo a una via e rimpiccolito dalla distanza apparve il Fürher circondato dal suo seguito. Lo scrittore vide la folla, progressivamente travolta da una specie di isterismo, acclamare con frenesia l'uomo sinistro. L'isterismo si spandeva, avanzava con Hitler come una marea. Sulle prime Denis de Rougemont rimase sbalordito di fronte a questo delirio. Ma quando il Fürher si avvicinò e tutti, intorno a lui, furono contagiati dal generale isterismo, lo scrittore si accorse che quel furore cercava di impadronirsi anche di lui, che quel delirio "l'elettrizzava". Stava per soccombere a quella magia, quando qualcosa salì dal profondo del suo essere, opponendosi alla tempesta collettiva. Si sentiva a disagio, spaventosamente solo in mezzo alla folla; aveva resistito ed esitato allo stesso tempo. Poi sentendosi "letteralmente" drizzare i capelli in testa, capì ciò che significa Orrore Sacro. In quel momento non era il suo pensiero a resistere, non erano le argomentazioni che gli venivano in mente; era la sua "personalità" che si ribellava. Ecco: probabilmente il punto di partenza del "mio" rinoceronte".

Foto: Eugéne Ionesco

Don' Panic! Unconscious Communication in Everyday Life, part 2


La domanda più spontanea e semplice è questa: non sarebbe più semplice che la comunicazione avvenisse in modo totalmente esplicito, chiaro, univoco? Perché l'evoluzione del genere umano ha selezionato questa modalità complessa del funzionamento mentale, così intricata tra istanze coscienti (fondamentalmente i bisogni primari) ed inconscie? Perché dunque si è sviluppato l'inconscio?
Facciamo qualche passo indietro e scopriamo come lo sviluppo della specie umana è così simile allo sviluppo dell'individuo dalla sua nascita in poi -quello che tra addetti ai lavori si dice con " La filogenesi ripercorre la filontogenesi". Il nostro lontano progenitore si faceva spazio e progrediva in una costante dinamica da pericoli ed incertezze...clima, predatori, fame, istinto sessuale muovevano i suoi gesti, la sua condotta alla ricerca di una soddisfazione, di un piacere, di una sicurezza. Gli stessi istinti che procuravano tensione, promettevano gratificazione e dinsegnavano alla sua mente che poteva anticipare l'azione con il pensiero, prevederla, differirla nel tempo, controllare gli impulsi, ma tutto a costo di una tensione che non si risolveva. Rappresentazioni dei suoi bisogni ed emozioni relative si spostavano così ad essere elaborate anche sotto forma di proiezioni; le pitture murali nelle caverne, i suoi oggetti simulacro, le proprie creazioni artistiche che celebravano amore, odio, paura, coraggio, dolore, felicità e pian piano destinate ad avere una loro vita autonoma nel lato oscuro della mente: l'inconscio. Egli imparava ad esorcizzare la paura con i gestied il linguaggio, man mano che questo si arricchiva di concetti più complessi, depositando nella cultura del gruppo una somma immensa di dati visibili ed invisibili. La “magia” del suo pensiero consisteva nellacapacità di annullare il dolore con l'uso di una parola, di un gesto,di un pensiero, destinando alla sfera inconscia la traccia di unincontro minaccioso, di un confronto frustrante, di un desiderioraggiunto o meno. Egli imparava anche che, dissimulando le proprie paure, a se stesso ed agli altri, ingannando il proprio simile, poteva avere la meglio nella contesa o nella predazione. La capacità dimentire, con l'evoluzione della mente si è poi spostata verso l'interno nella sfera del proprio inconscio, strutturandola con desideri proibiti, impulsi aggressivi e così via. Tutto questo materiale è diventato poi più complesso man mano che egli nel reale si è incontrato con la necessità di soddisfare formulazioni più articolatedei propri bisogni, secondo il progresso della cultura del gruppo.
Egli ora si muoveva con maggiore sicurezza, l'impulsività dei suoi comportamenti istintivi era sotto il controllo di una censura che segregava nell'inconscio la rabbia, la disperazione, la paura, l'appetizione e modulava nel reale i suoi desideri, le sue richieste ora più socializzate, sino alla stereotipia dei rituali e del formalismo.

Tornando al nostro uomo moderno, osserviamo che la sua vita si modella secondo forme ancora sempre conflittuali il soddisfacimento delle sue necessita, quelle che vanno anche oltre la fame, la sete, l'istinto di sopravvivenza e sessuale, obiettivi simbolici a volte quasi astratti. Ogni superamento di una difficoltà reale o simbolica rimanda a una fase successiva, dove tuttavia resta, per cosi dire, inconsciamente "archiviato" l'evento. Questa costante evoluzione dell'essere tra fattori somatici e psicologici, culturali e simbolici tende ad integrare il suo "Io" nel mondo, ma il suo inconscio è uncostante serbatoio di esperienze, attivo, che confronta, ratifica, crea, come già detto, per ogni oggetto esterno una rappresentazione più o meno pregnante affettivamente del nostro incontro con la realtà e delle conseguenze derivanti da questo e che minaccia costantemente di irrompere con i suoi "mostri buoni e cattivi" nella sfera del conscio. E' così che una situazione stressante, un evento che ci pone in pericolo, una condizione di improvvisa gioia possono pescare in quel mare sepolto, personale, collettivo ed archetipico di storie ed eventi, simboli e fermenti. Un sintomo irrompe improvvisamente sulla scena della coscienza, una creazione artistica ci rapisce emotivamente, un sentimento nuovo annuncia di nascere..."I messaggi possono venirediretti verso gli altri o far parte di un dialogo interno. Dentro noistessi, trasmettiamo e riceviamo messaggi a flusso quasi continuo,immagini, percezioni, sogni e così via, e fanno parte del nostro sforzoquotidiano di far fronte alla realtà" -R. Langs-

Foto: R. Langs
Rif Bibl.: R. Langs, Unconscious Communication in Everyday Life. JasonAronson, Inc., N.Y. 1986

venerdì 24 aprile 2009

Don't Panic! Unconscious Communication in Everyday Life, part 1


… nella vita delle persone vi sono cose che giocano a nascondino, perché quelle stesse persone temono di poterle perdere, quasi che i denari ben nascosti non si volatilizzino nelle nostre mani. E' una storia vecchia, come quella del non permetterci la posizione più comoda, perché cose si conquistano con sacrificio e dovere e fatica e volontà, tutte doti, bada, naturali che non devono essere insegnate dai marziani…ma che sembrano provenire da altri mondi.
Il problema è che l'apprendimento passa anche e soprattutto per le ragioni affettive e che queste passano per i contesti che ci circondano. Lasciamoci prendere le cose con facilità e qualche volta opponiamoci a chi ci rende le cose difficili…e se lo faremo senza la guerra fuori e possibilmente dentro di noi…sarà meglio. Chissà se il mio interlocutore mi sta comprendendo…
Hai mai pensato di "vederti" tutto insieme a mai a pezzi sparsi di rischiare il buio ed il silenzio…di andare oltre quello che si spera e ci si aspetta? E' terribilmente difficile ed a volte ci lascia doloranti; può essere fatto meglio e bene se chiederai aiuto al tuo inconscio. Come parlandogli di te intero: vi è tutta una sottile comunicazione che ti percorre e percorre tra te e me, non vista, e che ci descrive...

Uno di voi mi ha chiesto qualcosa sulla comunicazione, qualcosa che non fosse didascalico, facilmente "comunicabile", certamente non professionale! Mi sono salvato perchè dal'elenco degli aggettivi non è stato tolto "intelligente", proprietà ce come il sdale deve poter condire i nostri piatti.! Eda allora mi sono ricordato di un seminario svolt nel 1989, nel contesto di un corso di ipnosi clinica per medici e psicologi organizzato dalla SIISCA -la Mother-Organisation di questo stesso Atelier. Conservo sempre tutto, ne ho ritrovato l'abstract. Quello che illustravo allora era il soggetto della "comunicazione inconscia nella vita quotidiana", come sapientemente esplorato e discusso da un grande della psicanalisi, Robert. Langs. L'ho sempre considerato un ricercatore di rottura, un anti-nostalgico, una persona che ha avuto il "coraggio" di dire che sono le nostre vicende attuali spesso a far fluire retrospettivamente eventi del nostro passato (memoria in realtà) una energia che li significa conflittualmente. L'esempio che sto per fare è forte, in questo tempo triste di incertezza della terra su cui posiamo i piedi, ma è importante...piccole crepe nelle mura della nostra esistenza passata...diventano disastrosamente significative alla nuova edizione delle vicende antiche. In questo e nei successivi due post, l'abstract...che stimoli all'approfondimento di quanto poco visibili noi siamo!

“LA COMUNICAZIONE INCONSCIA NELLA VITA QUOTIDIANA”
"Unconscious Communication in Everyday Life" Relatore Dr. E. Gioacchini

Deve essere assolutamente accettato che lì fuori, nel visibile, siano i nostri lapsus, le dimenticanze, le emozioni improvvise, i fatti "strani" della vita a segnalare che non tutto si svolge sotto il controllo della nostra mente cosciente. L'Interpretazione Dei Sogni di Freud, la sua Psicopatologia Della Vita Quotidiana e Motti di Spirito sono solo tre importanti volumi dei molti che, a cavallo tra la fine dell' ottocento e l'inizio del novecento, ci iniziarono appena più "scientificamente" a quello che da sempre l'uomo avvertiva in sé: una natura complessa, non esauribile nella descrizione dei suo pensieri concreti. C'e una comunicazione tra noi e gli altri e persino con noi stessi che si ignora, che avviene al di fuori della nostra consapevolezza, che accompagna i nostri messaggi verso il mondo e quelli degli altri verso noi. E' un modo di comunicare inconsapevole, che sottende un costante dialogo interno con noi stessi, ma di cui non abbiamo coscienza, se non in alcune situazioni: quando qualcuno ci interpreta un sogno, svelandoci che esiste un significato nascosto -una comunicazione inconscia con noi stessi-, quando riscontriamo che il nostro comportamento si discosta da quello che siamo abituati ad osservare, in qualche modo quando "i nostri conti non tornano".
Al di sotto della soglia del "consciamente percepibile" vi è tutta un'attività incredibile , fatta di finissimo software, con rari rumori e suoni che ne segnalano la presenza nel nostro hardware chiamato "testa", a meno che non ce ne facciamo più consapevoli. Le comunicazioni complessive di un banale messaggio possono essere addirittura molteplici, stratificate. Vi è tutto un insieme, fatto di elementi fisici -processi nervosi- e percezioni psicologiche che, ancorché coscienti e meditate, costituiscono tuttavia il contesto in cui avviene una comunicazione specifica e che ne condizionano il corso e relativo risultato. Noi la chiameremo la “comunicazione inconscia nella vita quotidiana”.


Così, una dimenticanza...non è solo una dimenticanza, uno sbaglio solo uno sbaglio, un desiderio...non sempre quello che pensiamo. Ogni comunicazione, se analizzata (ma per carità non lo facciamo con tutte!) possiede una sua grammatica apparente, una sintassi molto più complessa di quanto immagineremmo, ma soprattutto una semantica estremamente complessa, con molteplici significati. La situazione, in questo caso, può farsi portatrice di comunicazioni addirittura in disaccordo con i messaggi che lì intercorrono o, al contrario, amplificarli nella medesima direzione. Un chiaro di luna è senz'altro un posto comprensibilmente adatto per sentirsi dire "ti voglio bene..."; molto meno per organizzare una rapina! Così come l'atteggiamento mentale di una giovane sarà in quella situazione più favorevole per permettere un corteggiamento, piuttosto che il breve tragitto fatto in corsa per prendere un bus in partenza! D'altra parte, una particolare tecnica comunicativa può giungere a rendere estremamente fertile un messaggioi n una situazione apparentemente inadatta e difficile. La situazione psicologica del ricevente condiziona costantemente la comunicazione del mittente e viceversa. "I messaggi non si producono in una sorta dilimbo. Essi sono sempre inseriti in un contesto o cornice, in unsetting o nell' ambito di una relazione, anche se tale contesto è all'interno di noi stessi. Il contesto fornisce la prospettiva, conferma ilsignificato dei messaggi semplici (sfera conscia) ed entro certi limiticontribuisce ad illuminare i messaggi complessi (sfera inconscia)" -R.Langs. L'inconscio, sapete, non ha di queste pruderie, concilia alto e basso, largo e magro, bello e brutto, buono e cattivo, presente e passato in noi, senza tanti formalismi.

Cominciate a capire che se non fosse per la mente cosciente, l'Io razionale, quello praticamente affidabile (sic!), tutta una marea di messaggi importanti, ma anche potenzialmente dannosi giungerebbe dall'interno a turbarci fuori, a farci apparire mostri, a sollecitare nel reale la nostra insicurezza, a porci perplessi dinnanzi ai quesiti della vita, più di quanto già non avvenga. Invece, saggio e prudente, il nostro Io governa le cose...a meno che...quello che è presente dentro non abbia i caratteri di una estrema urgenza, di una conflittualità eccessiva, di un segnale di pericolo e così via. I sintomi psichici ne sono una dimostrazione e proprio loro segnalano spesso, con una emotività che ci appare scomposta, eccessiva, contraddittoria, non controllabile (ansia,angoscia, paura...ma anche esaltazione, eccitazione, maniacalità), la nostra parziale incapacità a vivere o la paura di un vivere come noi vorremmo. Così, i segnali che noi riceviamo dal nostro Io più profondo e da quello degli altri, raggiungono o meno la nostra consapevolezza, ma, molto spesso, il dialogo sottile di cui sto parlando avviene tra l'inconscio delle persone e raggiunge anche i suoi risultati. Tutto sembrerebbe dire che puoi fidarti di quell'amico, ma una voce da dentro ti sconsiglia di farlo, anche se "razionalmente" non ne sai il perché. Le braccia del tuo "amico", nel gesto che accompagnava le parole..."ti darei tutto (?)...davvero", sono andate in flessione verso il suo torace...a segnalare al tuo inconscio che vorrebbe ..."prendersi tutto" (!), anche se le sue parole ti comunicavano esattamente il concetto contrario di accolgienza e generosità e forse egli stesso non è consapevole della propria ambiguità più profonda!
E così abbiamo ora un altro elemento importante sul quale riflettere: il nostro corpo interpreta più facilmente i messaggi del nostro inconscio e li comunica agli altri, mentre il linguaggio verbale quello della mente cosciente, ad esempio io che vi parlo. Che sia utile tentare di decodificare o meno, sempre o qualchevolta, quello che avviene in questa comunicazione così complessa...è una questione che lasciamo aperta; lo si fa in terapia; vi sono portate persone con un pensiero più orientato introspettivamente; sarebbe comunque bene che questo potesse avvenire quando vi sono importanti problemi di relazione.
Foto: Freud

giovedì 23 aprile 2009

Evviva il Teatro


No, non è un Dèja Vu, davvero ci siamo stati -aprile 2008.
Circa un anno fa nasceva questo blog, nel mese di aprile. Desidero ricordarlo perchè la mappatura di un territorio che ancora non si conosceva è proceduta senza retorica con lo nspirito della "scoperta" che ci auguravamo, grazie a tutti coloro che lo hanno costruito.
Qualche mese fa, un caro amico, uno di noi, suggeriva "Ma Ermanno, per il tipo di discussione che promuovi, forse un forum è più adatto?" Ineccepibile interrogazione, visto che i post diventano commenti ed i commenti divengono post...anche solo per tenerci al formale. Ma non credo ai format omologati. Chi dice che la cornice fa il quadro? E, soprattutto, chi può asserire, con convinzione incorruttibile, che il contenuto reclami sempre, con vittoria, la sua cornice?

E' trascorso un anno e un primo post di quell'aprile titolava "Viva il Teatro"! Corrotti intelligentemente da Cortazar, anche in quel breve scritto si scomponeva e si ricoponeva la realtà, a scapito di un Arthur alle prese di un bolide su strada! E di strada se ne è fatta... Pochi giorni fa il "nostro" teatro, lo abbiamo fondato, la nostra idea. Il Creative Drama & In-Out Theatre è davvero estensione artistica del processo drammaterapico, visibile concrezione del fluire che anteponiamo all'apparato scenico, nel nostro lavoro insieme.
La prossima settimana, avremo un seminario su Eugene Ionesco e discuteremo del suo "Rinoceronte". L'idea è quella di dare anima alla "babilonia" delle logiche e delle parole che l'autore, con squisita eleganza, mette nei suoi personaggi, sudditi dell'Assurdo, ribelli al Cinismo, Pavidi nell'ignoranza sempre in agguato e mai soddisfatta. La drammaterapia cristallizzera il suo processo, dopo averlo utilizzato e lascerà a fine anno che si alzi e si abbassi un sipario, come per ogni teatro. Buona fortuna Compagnia, buona fortuna Arthur! Director

...NON ERA IL SOGNO AD ESSERE IN QUESTIONE...



@ Director
a proposito di "La Stanza dell'Insperata Speranza"

Non ci sto! La parodia brillante e specchiata della tua vita puoi gettarla in uno stagno e saranno i ranocchi a gracidare su essa!”- Davvero non ne poteva più, quell’inconscio smarrito, sempre in bilico tra l’essere e l’essere immaginato. Con rabbiosa violenza stava scagliando sassi in mezzo all’umidità delle lacrime ed il viso del Capitano aveva ora rivoli come fiumi a percorrere le rughe assolate. Ma lui che poteva farci? Non si dice che nei sogni è la riparazione del giorno, quel lenzuolo di pietà che tinge di luminoso ed oscuro, ma ti consola di lasciarlo sulle spalle, magari per poi tornarci. Era il Capitano, ora, a non starci più! Indiviso tra mari da percorrere e procelle in cui aveva davvero pericolato. Eppure l’inconscio si ribellava ed aveva ragione…

Cosa pensi di apparecchiare sulla tavola del mio Stanza? Non sono stato io ad indorare la tua alba! E non ti conforti che sia durata solo tre secondi… Posso darteli d’inferno o paradiso, ma non confortano, essi sono!”- Non era il sogno ad essere in questione, ma il compiacimento, l’indennizzo perverso cercato in messaggi che altro vogliono dire, a cercarlo. E l’inconscio incalzava –“Credi che il sogno di un pazzo non sia anch’esso pazzo? Che i rumori della notte non siano rubati casualmente nelle mie stanze? Neanche a Freud ho permesso di accomodarsi del tutto tranquillo sul mio sofà, meno morbido del suo nella Vienna del primo novecento. Era di latta, quel lettino, coperto di cuscini e prometteva comprensione con il budge della nuova scienza psicologica. Il budget non crea l’ufficio! Il mio luogo è il verbo ed è sempre esistito, ha fatto sempre sognare anche a tua insaputa e soprattutto ti ha permesso di dimenticare. Credi si possa andare per campi a selezionare i tuoi fiori, recintarli, farne scoperta e dimenticare che “infetta” è l’anima da sempre. L’infezione gli ha dato la vita, l’ha strappata al sonno di nessuno e fatto di essa un sogno reale…”.


Il Capitano stava ad ascoltare, passata la rivolta; non una parola pensata, giacché altre non ve n’erano, se l’inconscio strillava così forte. Poi, si decise, entrò anche lui convinto nella bottega e reclamò che gli fosse ridato il "dolore" e quelli, schiacciati dall’insolente richiesta, aggiunsero l’interesse del “pentimento”, della “rabbia”, del “rimpianto”.
Il volto era oramai asciutto, come asciutta l’anima ed i suoi risvolti. Ebbe cura che non si infangassero per la strada, sollevando la veste da un lembo. L’altro lato strusciava la terra, impunemente, tracciava il percorso fatto, ricordava silenzioso ciò che è stato.

Si svegliò. Un giorno normale, bagnato di pioggia leggera, soffiato dell’aria consumata del porto, che come un grande polmone respirava tra mare e terra, con la sensazione di aver sognato. Preparò la moka e rimase qualche istante a seguire il fumo del caffè nella tazza. Il vento era buono, la distesa d’acqua poco agitata “…lì, dove vive di luce propria un’emozione pulsante che mi percorre la spina dorsale e si fa linfa”.

mercoledì 22 aprile 2009

EARTH DAY


Questo nuvoloso mondo e gremito di pensieri continua a girare in tondo. E’ questo che sfuma le tue idee e solleva la polvere con il vento. Dietro ed accanto ad alcuni portoni i fumi delle caldaie, le nebbie che si bastano non viste, l’identico suono dei passi quando ti senti padrone di tutto sul ponte della notte che avanza. Questo nuvoloso mondo sbiadisce le storie, mentre tu le sostieni e suggerisce stanchezza alle tue mani. Asseconda il suo giro, perché la scorciatoia non passa per alcun luogo. La civetta ha sospettato il tuo passaggio ed ha smesso di cantare alla luna. Rallegrati di essere visto nel buio. Stai camminando tra veli e passaggi di altre persone. Questo nuvoloso mondo ti scuote di suoni e tu gli fai eco con il tuo tamburo”.

Rony si girò di scatto, un rumore di serpente lo aveva distratto dalle parole del suo accompagnatore, dimenticando del tutto che, fermo, non sarebbe mai stato morso. Quando tornò a guardare, l’altro era sparito. Questo fanno le domande, anche se le hai solo pensate e cerchi una risposta. Riducono in polvere le stelle e le energie. Una domanda può inchiodarti senza perdono, più della risposta temuta. Per questo, Louis Carlos era improvvisamente scomparso ed a chiedersi dove fosse, sarebbe stato tentare di far girare il mondo all’incontrario. Allora egli assunse la giusta postura; immaginò i piedi nudi sulla terra come larghe impronte di artigli e spinse contro il vento che non c’èra, per far girare più presto la terra. Cambiò direzione e questa volta le sue mani erano ucini conficcati nell’aria a tirare in avanti il mondo. Raccolse nel pugno qualche pietra e del terriccio rossastro e strinse le dita. Poi iniziò a piangere.

Pieno di cicatrici si svegliò anche lui, allargando le braccia di rami e di fiori, soffiando brina e luce. Questo nuvoloso mondo. E' come la pelle di una madre che pizzicata non sente dolore e lascia fare, sa che cresceremo e torneremo a sospettare anche noi nella notte.
Music: You raise me up, by Westlife

UN GESTO PUO' TUTTO. UNA VOCE ALTRETTANTO

@ Il Capitano
A proposito di "The Door Opens From Inside"

Il mare sovrasta da sempre la terra, eppure ne ammira ancora, le cime innevate che mai lui potrà, raggiunger in volo. Il gonfio soffio del tempo attraversa ogni spazio e l’ancestrale ricordo vi spazia attraverso, ne muove le sponde. Oggi a Oriente si muore; altrove la festa. L’assurdo ci invade, e va in scena da sempre. Incurva o raddrizza. “The show must go on”!
Poveri i tronchi maldestramente potati e spogliati per vanto ma peggio i pensieri con astuzia ammaestrati e pronti per l’uso, invitati alla gara.
Il sole è poesia tanto quanto il silenzio, un fiore quanto una bomba, è la mano che guarda, contiene, protegge, sceglie l’uno. O l’altra! Ma d’esser solo giammai, non ne ha la coscienza. Quand’anche lei stessa che parla nel vuoto, in se stessa s’innesta e fiorisce o deflagra…e poi, buio.
Un gesto può tanto, può tutto, troppo talvolta, ma una voce altrettanto.
Il tuo cuore ogni sforzo, la tua mente l’immenso o solo il “tuo” esatto.
Spingersi oltre, cavalcando la morte, l’onda increspata. Perché non v’è rea tempesta che possa imbrigliarla. Ma guidarla e tu puoi, se mai a piedi nudi, oltre il nodo capestro e la paura sua madre. Oltre la grotta più angusta dove pia per lei stessa, per quel “falso” coraggio, destinò la difesa. Povera illusa.
Sento battere il cuore, sono tamburi d’amore o di guerra e che importa? Se ancora non sai, tu chi sei. Sei me o contro di me? Sei la donna che aspetta il ritorno del figlio? O tu stesso quel figlio che fugge confuso da una madre s-nervata? Perchè batter la terra affinché vibri la corda e poi scocchi la freccia, se il bersaglio e di ali e libertà che non vuoi? Vivida l’anima implora, e impone una scelta “…dobbiamo rispondere” citando un amico, e dobbiamo con forza! Si impone il coraggio, la spinta selvaggia. Una scelta non fatta è una scelta contraria. Guarda l’insieme, la finzione s’addensa, ma tanto è più finto il reale che incalza tanto c’è di vero in quel grido spezzato. Non cerco parole se il rumore è assordante.
La vita conosciuta appare e scompare ma guai a negarne il passaggio e l’evento. Poi la fantasia ben ancorata sul carro che la precede e mai segue col furore di bimbi armati di pianto. Il personaggio riveste sempre i panni dell’altro mai le sue colpe, i suoi vizi, e gli inganni. Quelli, solo dell’altro.
Ma un gesto può tutto e una voce altrettanto. Il copione è già scritto, la scenografia allestita e perfetta. Non vi sono porte che non si possano aprire o scardinare. Il palco è ad un passo, un solo attore, uno dei tanti. Buio in sala…….

martedì 21 aprile 2009

La Stanza dell'Insperata Speranza

@ Il Capitano
A proposito di "Sognava e Storceva il naso..."

Tutto sembrava perfetto. E certamente lo era davvero. Avevano per settimane preparato tutto. Minuziosamente. Destinando ogni molecola del mio corpo, non della mia mente, alla scienza.
Ogni particolare era stato studiato; ogni eventualità prevista. Ogni criticità considerata e per ognuna prevista la soluzione da diluire. Il gran giorno stava finalmente per arrivare. Non restava che seguire passo dopo passo, spasmo dopo spasmo, illusione dopo illusione, il transfugo e quanto mai provvidenziale… protocollo.
Avrebbe funzionato? Non uno avrebbe mai avuto il coraggio di rispondere a quella domanda. Solo Dio (forse) sapeva ciò che da li a poco sarebbe accaduto. Ma cosa? Tutto. O niente.
La notte trascorse ripercorrendo lo stesso viaggio esattamente nei tempi di tutte le altre che l’avevano preceduta.
Ma quella notte no, non fu uguale alle altre. Quella fu diversa.
Sognai.
E non perché il fatto in se fosse anormale, tutti sognano.
Anormale fu il tempo, lo spazio, la fine.
Ma quanto tempo avevo vissuto? Sembrava un’eternità. Il lungo viaggio cominciato quella meravigliosa notte, fu veramente il più lungo, intenso, vivo e sincero della mia vita.
Tre secondi. Poco più forse. O poco meno.
Io certo, corsi sudato nei corridoi della piccola luce e mi fermai per conservare il vuoto che vibrava sul ciglio della epica rupe che vide un uomo non ascoltar le sirene.
Fui un bimbo felice nel paese di Alice a raccattare i sonagli affinché musica madre non smettesse d’esser l’aria che respiravo.
E vecchio nello stesso momento, piegato sulla panchina degli eccessi a seminar briciole e strappi di cuore per vederlo fiorire sui prati del tempo che il tempo non ebbe.
Voci sentii, e volti io ricordo che vidi e non più seppi guardare.
Ascoltai il silenzio, attraversava le piaghe di un’anima infetta. La mia. Quella del mio vicino di banco. Di ogni tutto in quella stanza mai troppo buia.
Della pietosa misericordia.
Ma perché tanto dolore? Perché tante lacrime? cosi vere! Perché siamo qui?
Qui non ci sono risposte disse l’uomo in camice e spalle strette che guardava di fuori, fuori dalla finestra. Lontano, e non batteva le ciglia. Fuori da ogni luogo, eppure li. Ne sentivo la spinta feroce.
Quante volte ho camminato le strade senza la riga della mezzeria e mai mi sono perso. Come ho potuto farlo in questa notte sgraziata e di me perdere i passi? Poi, barattai un dolore, uno dei tanti, per un caffè ed una sigaretta. L’uno per l’altra come il pane e salame. E la tristezza che doveva condurmi sul banco dei pegni a cercare un motivo. E non volle. Non quella notte, non per quei volti. Pensieri e parole spaiate a folate come il vento che si staglia sul viso e ti costringe a guardare senza vedere e una ruga in più sulla fronte.
Mi svegliai e tutto svanì, tutto finì, niente era cambiato. Non un oggetto spostato di posto, compreso il mio letto sul fianco del muro. Non uno di quei volti mi era vicino. Non una di quelle voci a tenermi compagnia.
Avevo sognato. E tutto era vivo solo per me. E per ognuno di loro.
Avrei visto - da quella notte in poi. Oh quella notte! l’unica degna d’esser segnata perché in essa il sogno più bello: - Io Domani.
In un baule conservo quanto di prezioso merita d’essere il mio esser li dentro. Li, dove vive di luce propria un’emozione pulsante che mi percorre la spina dorsale e si fa linfa. Per me. Per tutti noi uguali inseguiti dal male a stringer le mani come cesti di frutta, che hanno abitato la stanza, di una insperata speranza.

lunedì 20 aprile 2009

HYPNODRAMA., KAMIKAZE



















































































Dietro le idee che deflagrano sono i pensieri calpestati, i colori cancellati.
Drammatico restituirli alle possibilità di un alba diversa. Deve passare il ricordo delle sirene e quello silenzioso delle bombe al fosforo; un'umanità non compresa, la falsa ragione dei torti e delle ragioni, dei meriti e dell'ignoranza. Devi morire anche tu. Un poco, e far affiorare le radici della tua paura; farla diventare assenza, perdita, sino all'orrore nella fuga ed all'illusorio eroismo di un uomo che scoppia. Il prezzo della distanza, delle longitudini, degli spicchi di terra.
Il vociare allegro dei bambini è sempre eguale, può essere strozzato sul nascere e ricreato mille volte, non ha bisogno di dignità, di orgoglio, di credere. Esso non perde mai, ma può essere perso.

sabato 18 aprile 2009

Sognava e storceva il naso...


Il piccolo felino attraversava quella pozza d’acqua indeciso tra l’incognita e la curiosità di specchiarsi. Si sa, l’acqua non piace alle pantere e solo importanti difficoltà o prede li inducono ad osare. Era un attraversamento goffo ed ancor più strano conoscendo la sua agilità nel far camminare i rami sotto le sue zampe, l’aria soffiare sotto il suo pelo e gli strapiombi osare intorno al suo corpo. Piccoli insetti agitavano lo spazio tra il muso e quello specchio e così giovane non si sarebbe mai voluto sentire messo in scacco da un minuscolo animaletto, creato per dare fastidio al naso ed ai baffi. Tuffò la lingua sette, otto volte, ammorbidendo la sete e corse all’asciutto. Era tutto nero, solo gli occhi, anch’essi neri, sembravano più chiari del pelo rasato. Si struscio contro uno spavaldo ramo che pendeva da un albero sonnacchiante nella laguna e si addormentò contro una roccia. Qui non ci sono domande. Del tipo…e la madre? Era solo? Dove si trovava? Romperebbero l’incantesimo della fiaba.

In un posto diverso e a molte miglia di distanza, una pantera come lui, stava facendo lo stesso sogno, di rotoli e caprioli e specchi d’acqua. Era tutta bianca e sopra maculata; terribilmente curiosa e qualche volta maldestramente imprudente su quelle distese di ghiaccio, ma quello è il gioco degli anni che non ci sono. Sognava e storceva il naso, allungando a tratti una zampa, poi l’altra e tutte e due insieme.

S’incontrarono nel luogo dove vanno tutti gli animali, ovviamente della stessa specie, altrimenti i sogni diverrebbero movimentati e pericolosi. Si stavano annusando e riconoscendo quelle due chiazze di colore differente, sino a mischiarsi quasi eguali per poi riprendersi il proprio. Breve passaggio nella pelle dell’altro. La sfida silenziosa del sonno, che ti fa perdere ogni cosa per ridartela poco dopo, ora li faceva stare in vantaggio. Venivano coperte distanze e tempi, luoghi e paesaggi e tutto prometteva di restare immobile, intanto. Non è questo l’emozione, a volte? Un timorosa curiosità verso le cose, senza eccesso, senza smania, magari scambiata per un sogno, o lì, pronta, ad essere presa per la fiction dalla notte?
Qui non ci sono risposte.

venerdì 17 aprile 2009

NAVIGANTI: il buio per amare la luce



@Il Capitano
A proposito di…” I need the darkness, the sweetness, the sadness, the weakness, I need this

Noi naviganti. E Passi percorsi in apnea. Lo sguardo perso nell’acqua e negli anfratti oscuri di un’età che correva sempre più forte. Guarda, la vita! Lì su quella strada. Si, proprio li dove non l’aspetti. Un gatto annusava l’aria rarefatta; ieri era un fotogramma fa. Vivo quanto l’orlo di una sigaretta che bruciava tra i rimpianti; cieco, per non vedere lo scempio dei tuoi sogni, nel trascorrere del nulla che si ripete. Del nulla che si ripete. Scatole di sabbia una sopra l’altra ben riposte nella coscienza delle lacrime. Rifugi, tra le braccia di una memoria ferrosa che raschia la gola e si inebria di ogni dolore, di ogni pudore perduto, dell’acro odore di stracci, lisi dall’ignoranza, che ben rammendati ornavano i tuoi giorni. Quei giorni, senza impronte, senza azzurro e un cielo troppo grande per ogni altro colore. Su strade che non sembravano vere, interminabili, disabitate dal corpo. Solitarie come le distanze che le uniscono. Onde spumose di pensieri sbandati, uno dietro l’altro, uno sopra l’altro. Strade amate dal tempo, e del tempo vittime ignare. Passi percorsi a cercare i tuoi passi, i tuoi sogni. L’alba e il tramonto, la terra e la pace. Forse il bene nel mare -unico vero grande amico -ma un solo orizzonte che taglia lo sguardo, dell’altra parte del mondo. E mai un confine per riprendere fiato. Allora solo il coraggio. L’orgoglio di alzare la testa ancora una volta, la voglia frenata di amare la luce che gioca con i colori più amati, con le ombre riflesse e sfacciate e… lì, fili di vento sospesi nel vuoto. Pane per la fame, acqua per la sete. La notte per il sole, e qualcuno che già sa, che ha già visto. Qualcuno che ti ha riconosciuto….Sdraiato ad un metro da te! Guardala la vita! Nutrirsi della tua ombra, con l’impeto e la scorza di un purosangue. Scorsi LA LUCE, oltre il buio dei suoi occhi. Risaliva il declivio di un’anima prona, ma fiorita nel fango. E ne illuminava le vigorose radici.
Da quanto tempo sei qui? –domandò stremata
Da più tempo di te –risposi.
Aspetti qualcuno? –mi chiese
Ora non più –le dissi.
E mi invase il suo pianto.

Noi oggi. Che dobbiamo issare le vele ammainate nella tempesta notturna, e riprendere il mare. Riabbracciare la vita.
Perché siamo naviganti.
Perché tutto si muove. Intorno, dentro. Nel fondo profondo della luce più vera.
La nave ormeggiata… e quei fili di vento.

giovedì 16 aprile 2009

MANIFESTO DEL CREATIVE DRAMA & IN-OUT THEATRE


16 Aprile 2009 - Fondazione

Il Creative Drama In-Out Theatre (C.D. & In-Out T.), sponsorizzato dalla SIISCA (Società Italiana di Ipnosi Sperimentale Clinica & Applicata, 1988), è stato creato nel 2008 come estensione “artistica” dell’Atelier di Drammaterapia Liberamente (2006) dallo psichiatra-psicoterapeuta E. Gioacchini. Il C.D. & In-Out T. nasce all’interno dell’esperienza triennale dell’Atelier di Drammaterapia Liberamente, e si costituisce come laboratorio di sintesi, sperimentazione e sviluppo della drammaterapia, al di fuori dei contesto didattico, educativo, formativo e clinico specifici che gli sono propri, ma nella sua originale formulazione di processo artistico -teatro di drammterapia-. Mentre l’Atelier ha lo scopo di divulgare concetti e metodologie proprie che si riferiscono ad una personale individuazione teorica e pratica della Drammaterapia e del processo drammaterapico, nei suoi vari contesti applicativi, il C.D. & In-Out T. ne costituisce la naturale evoluzione artistica.

Nel 2009, nel giorno 16 aprile, il C.D. & In-Out T.ha la sua fondazione in un gruppo di partecipanti-fondatori, come gruppo spontaneo di teatro libero e cenacolo culturale, apolitico ed aconfessionale, con lo scopo di realizzare un laboratorio permanente, aperto ad eventuali collaborazioni e ancora privo di un suo statuto legale e registrato. I partecipanti-fondatori dell’iniziativa, nel contesto della loro adesione al C.D. & In-Out T., non si pongono vincoli od obbligazioni di partecipazione o di ordine economico, con una prestazione delle loro abilità ed esperienze assolutamente gratuita ed una fedeltà nominale alle idee ispiratrici dell’iniziativa.

La Drammaterapia dell’Atelier Liberamente
La metodologia si riferisce alle linee guida della disciplina, così come formulate in ambito internazionale –cfr. scuola Britannica ed Americana-, ma rispetto alle alter forme conosciute di drammaterapia possiamo sinteticamente individuare quattro aspetti distintivi, o meglio aggiuntivi:

1 enfatizzazione dell’utilizzo degli Stati Modificati di Co, propri della “funzione dramatica” del
teatro e comunque della rappresentazione;

E’ importante che l’allievo acquisisca dimestichezza con le fluttuazioni della propria coscienza, che, si sa bene, non è sempre ed assolutamente “ordinaria” e vigile nel corso del processo artistico, interpretativo e comunque espressivo. La rinnovata importanza dell’hypnodrama moreniano (dove allo psicodramma si aggiunge la presenza di stati indutti di trance), porta così il lavoro drammaterapico assai vicino alla consapevolezza di quello che lo stesso Grotowsky chiamava “la Trance dell’Attore”; pura espressione dell’autenticità di un‘anima nell’atto di donazione all’altro (pubblico) dinnanzi a lui. L’atto di “autopenetrazione” che tanto sottolinea il Maestro, passa dunque per uno speciale stato di consapevolezza cosciente, ma all’interno di una condizione di trance, elementi questi che permettono all’attore di “non fingere di fingere” e qualificare il suo “come se” sulla scena appunto come atto autentico. La propria storia, invisibile, fluisce all’interno della parte, anche al di fuori di quel gioco di immedesimazione all’interno del personaggio come propone il grande Stanislavskij. Se il suo metodo si basa sull'approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell'attore, la metodologia dell’Atelier sposa maggiormente lo statuto Grotowskiano. Come questa ultima scuola insegna, è inoltre ridotto all’essenziale il rito scenico, impoverita la macchina teatrale, ridotta generalmente all’essenziale dell’attore e dello spettatore. Quello che rimane sono i corpi, e questi non possono che essere corpi in cerca di vita ed espressione. Gli esercizi di autoipnosi, come quelli sul corpo che propone Grotowsky, in tal senso, intendono sollecitare la consapevolezza e la libertà emotiva del soma, in funzione del sentimento di libertà e scelta che l’attore deve sempre saper comunicare a chi assiste al suo lavoro.

2 l’importante uso del simbolo e del rito nel processo di costruzione-interpretazione -mediazione
sciamanica-;
3 il concetto di “centralità” dell’azione interpretativa di ogni attore, nella relazione con il gruppo;

"Ogni attore della compagnia deve aparire artista unico, e trasmettere in maniera autonoma la bellezza di tutta la compagnia" Jurij Alschitz

4 l’importanza della “direzione”, quale schermo che permette all’attore di uscire dalla
rappresentazione (Grotowsky).

Il regista diviene spettatore e partecipe del processo creativo della compagnia nei termini di elemento catalizzatore dello stesso, offrendo la massima libertà espressiva naturale all'attore, nel superamento dello "spettacolo" che pure avviene.

Il processo drammaterapico è il cuore della performance interpretativa nel suo realizzarsi e divenire. All’interno di tale processo s’individuano due momenti:

1 fase, il “personaggio” quale interlocutore privilegiato della dinamica psicologica, simbolica, dell’interprete con la sua parte;
2 fase, l’estensione del processo al gruppo, come ricostruzione del simbolo nella realtà rappresentativa.

L’incontro tra carattere ed interprete costituisce l’essenza del “drama” che lì si realizza e si sviluppa. Il punto di partenza non è quindi il testo dell’autore ancorché selezionato e scelto in funzione “artistica”-, né le abilità dell’attore a cui è consegnata l'interpretazione, ma lo sviluppo del “personaggio” all’interno della naturale e poi guidata –regista- capacità dell’attore di processare dati della realtà e contesto simbolico personale-gruppale. L’originalità assoluta/relativa di questa triade-incontro (interprete-personaggio, regista, gruppo) è quello che stimola e produce creatività (Creative Drama).
Il “come se” del teatro è qui assunto come “realtà” dell’individuo, perde i connotati di “rappresentazione”, perché ad essere rappresentata è la realtà soggettiva dell’interprete, fuori finzione, attraverso un costante processo di falsificazione e re-significazione dell’azione performativa (processo In-Out).
Il testo teatrale è evocatore di un processo psicodinamico, sollecitato e diretto dal regista con l’aiuto di Io-Asiliari –come nello psicodramma-, ma al di fuori di una codificazione preliminare di parti e ruoli. Il laboratorio privato dell’interprete si estende e interagisce con quello allargato del gruppo; l’interprete diviene “attore” di una mediazione conflittuale tra i contenuti e i contenuti dell’opera ed i personali (processo drammaterapico). La catarsi è nell’espressione di tale conflitto, che diventa archeologia di un processo vitale, cristallizzato e ripetibile, con il recupero di una distanza funzionale dal “drama”, finalmente riconoscibile perché esperito e offerto al pubblico (teatro-spettacolo).

Il drama rimanda al gruppo e poi allo spettatore, la possibilità di un identico processo, tra identificazione e distanza interpretativa dal personaggio.

Foto: Foto di Repertorio, Laboratorio su Cortazar, Atelier di Drammaterapia Liberamente, Aprile 2008

mercoledì 15 aprile 2009

ALICE O NATHALIE? Primato sulla luce...

@ Nina

Caro Director, ho appena letto il Post "Senza trucchi", e compreso abbastanza il testo di Nathalie. In entrambi un emblematico elogio all'Ombra e all'Oscurità: il loro primato sulla Luce (Vita). Inquietante: ombra, ombra, ovunque ombra. Sulla pelle di Nathalie è solcata da tristezza e fatica; amore in salsa d'amaritudine; amore illusorio; amore promesso e defraudato; desiderio di un bacio della buonanotte... In Alice, un'altra ombra -con riflessi in controluce sulle cose- è inghiottita da una nuvola oscura più estesa -netta opposizione al grande Ermete, che affermava solenne: "Estrai, figlio, il raggio dalla sua ombra"-. Sembra, la piccola, in una fase spleen. Le manca una sniffata d'oppio e Les Fleur du Mal. La vogliamo parziale o intera l'eclisse?! Vorrei saggezza, sono troppo insonnolita per formulare qualcosa di sensato. Ma l'inquietudine e il mio senso di smarrimento è totale. Appare -the Darkness- una scelta, un bisogno, una necessità. Come può essere?!... Inaccettabile. Chi abita i colori, o tenta di viverli, non può che allontanarsi da questa visione. Specchio o non specchio. Testa luminescente fra le mani, o no. Personalmente, se qualcosa ho decifrato concretamente, mi voglio lontana da questa morte. Poiché trattasi di decesso, sia nel caso della bimbetta con le sue meraviglie ottenebrate, sia nel caso dell'adulta Nathalie. La petite, et la petite-femme: esiste una differenza fra le due se "concretizzano" orrori esistenziali?Eppoi: stiamo ponendo una demarcazione tra immaginifico e realtà?
E sin dove, l'arte, può spingersi per conquistare una verità -senza trucco né artificio? Come scrittrice ho sempre scelto la via della non-consolazione. E se tutto questo fosse un giochetto sporco della mente e dell'inconscio -in me la rivoluzione o davvero la fine. Adesso, piangendo inutilmente -o a ragion veduta- mi conduco a letto, panica. Alice o Nathalie? LUCE! Altro che "Forbidden Colours", pur essendo una canzone bellissima e irrinunciabile...

martedì 14 aprile 2009

"...senza trucchi"


Dedicato a te...
Prese a spaventarsi, stava accadendo proprio sopra le sue mani e, a parte il tiepido colore della vita, avrebbe anche potuto non accorgersene. Suo nonno le aveva parlato, tanto tempo prima, di quei strani fenomeni per cui...alcuni riescono a togliere l'ombra alle cose pure poste controluce e senza muoverle dalla loro posizione. Lei, impertinente, con un misto di allegria e curiosità sin da allora, aveva ironizzato che basta porle in un'ombra più grande e la loro, logicamente, scompare! "Ma no..."-le aveva risposto suo nonno-"...senza trucchi!".

E poi il tempo era trascorso. In effetti di tempo ne era trascorso davvero tanto e così tante cose a riempirlo di meraviglia e stupore, nel bene e nel male. Ed ora questa cosa...davvero i pensieri possono concretizzarsi a pensare di volerlo fare? Davvero le mani hanno questo potere? Rivolse le mani sottosopra e sotto esse mise anche a sbirciare la propria testa...e sì quella cosa, appena nata e luminescente se ne stava lì sospesa, anzi ora appesa in una misteriosa dipendenza dalle sue mani. Se queste si allontanavano, lei, lui o qualsiasi cosa fosse, perdeva un pò di luce, per tornare a brillare dopo ogni rinnovato contatto. Aveva provato anche ad influenzare con la mente quell'evoluzione, ma niente! Era proprio come le aveva detto il nonno: "Le cose, sai cara, quando le hai create, hanno una loro vita, non puoi sempre esserne padrone, perchè l'energia in esse non è di alcuno...".

Decise di far volare via quella luce, tonda e chiara, con la quale, da poco, aveva fatto amicizia, oramai quasi certa che "...nulla si perde e nulla si guadagna realmente nell'universo di cui siamo fatti". Un altro grande messaggio da quella voce roca e calda del nonno nella sua testa. Poi, lasciò da parte gli esperimenti e si affacciò da quello specchio dove era entrata tanto tempo prima. Le sembrava ancora di udire la voce della madre: "Piccola, questa volta dove ti sei cacciata..?". E' proprio vero, il mondo, a rivederlo ogni volta, è davvero diverso, come in uno specchio. Il nonno: " Come in uno specchio, Alice...".
Foto: Alice

domenica 12 aprile 2009

I need the darkness, the sweetness, the sadness, the weakness, I need this



Il passaggio delle cose attraverso il nostro cuore lascia strie colorate di buio, suoni e colori a dispetto delle stesse cose. Director

My Skin, by Natalie Merchant
"Take a look at my body/ Look at my hands/ There's so much here That I don't understand/ Your face saving promises/ Whispered like prayers/ I don't need them/ I don't need them I've been treated so wrong/ I've been treated so long/ As if I'm becoming untouchable/ Contempt loves the silence/ It thrives in the dark/ With fine winding tendrils/ That strangle the heart/ They say that promises/ Sweeten the blow/ But I don't need them/ No, I don't need them I've been treated so wrong/ I've been treated so long/ As if I'm becoming untouchable/ I'm a slow dying flower/ Frost killing hour/ The sweet turning sour/ And untouchable Oh, I need/ The darkness/ The sweetness/ The sadness/ The weakness/ I need this I need/ A lullaby/ A kiss goodnight/ Angel sweet/ Love of my life/ Oh, I need this/ Do you remember the way/That you touched me before/ All the trembling sweetness/ I loved and adored?/ Your face saving promises/ Whispered like prayers/ I don't need them/ No, I don't need them/ Oh, I needThe darkness/ The sweetness/ The sadness/ The weakness/ I need this I need/ A lullaby/ A kiss goodnight/ The angel sweet/ Love of my life/ I need this Is it dark enough?/ Can you see me?/ Do you want me?/ Can you reach me?/ Or I'm leaving You better shut your mouth/ Hold your breath/ Kiss me now you'll catch my death/ Oh, I mean it"

Music: Artist: Natalie Merchant lyrics, Album: Ophelia, Year: 1998

Sono Seduta...ti aspetto...


@ Elea

Oggi sono uscita ed ho comprato una scatola di colori brillanti, decisi, vivi. Ho una scatola di colori, alcuni molto caldi, altri freddi. Ho tolto il rosso per il sangue dei feriti. Il nero per il pianto. Il bianco per le mani ed il volto dei morti. Il giallo per la sabbia sgretolata. Ho tenuto l'arancione per la gioia della vita ed il verde per i germogli e i nidi ed il celeste per i cieli chiari e spendenti ed il blu per il sogno ed il riposo. Sono seduta...ti aspetto...

Foto: Dramatherapy Colours, by E. Gioacchini, April 2009

venerdì 10 aprile 2009

Terremoto, Guerra e Pasqua


Che sia laica o religiosa la tua Pasqua, essa è rito dell'uomo intorno all'invisibile, al mistero, alla rinascita. Piega la tua testa e sii veloce prima che la terra tremi ed obblighi a piegarla nel dolore. Così raccolto starai al sicuro.
Dicono sotto ad un tavolo si è sicuri. Di sotto ad un tavolo ricordo mio nonno materno, immagine cara e lontanissima, ma stavo giocando lontano dai rumori della guerra o della tragedia sopra l'uomo che sempre ritorna.
Torna a giocare, ed alzerai la testa per vedere i campi d'oro, dove nulla si perde.

Agli allievi, ai collaboratori, agli amici questo Atelier augura una Pasqua di Spirito e reale Progresso. Tre brani che reputo stupendi. Director


Jal - Earthquake Song - Ik Din Qualche anno fa un terremoto sconvolse in Pakistan la regione di Ramzan. Una musica senza padroni. Come uguali appaiono le cose quando la terra trema.

Sting - Shape Of My Heart Un suggestivo Sting che fa dimenticare il falso potere di alcune cose...

Eva Cassidy Fields Of Gold @ Blues Alley Una Eva Cassidy, 1996, totalmente lirica. Conosciamo ilbrano nella versione più famosa di Sting, ma questa la precede nel tempo.

mercoledì 8 aprile 2009

The Door Opens From Inside


@ Nina
Commento a “Strappi senza mestiere”

Lei non possiede un nome.
È Madre. È Moglie.
E se fosse Madre di un figlio-Astianatte e di un Ettore all’incontrario? Imploso, con la rabbia dentro– dentro un rovo ardente che reclama un diritto, una giustizia, uno sciame di libertà:
Dov’è Amore, o mio Amore che non so più dire né guardare?” pensa Hamid.
A cosa pensa Hamid? A lei, La senza nome? alla guerra? alle bombe? ad Al Qaeda?
Lei ha labbra cucite a dovere. Quel poco che esprime è il tentativo inutile di trattenere a sé il proprio uomo, sapendo che il sentimento sanguigno, l’antico patto di essergli “sposa e amante fiorente” non vincerà sull’orrore e la contemporaneità.
Lei è vestita di nero. Assenza di luce dove il sole tenta d’arginare il caldo schiantandosi nel bianco delle abitazioni.
Lei è Cronaca di una morte annunciata. No, magari fosse La senza nome a morire (!): un cuore di Madre sa d’un figlio stropicciato che salterà in aria nel suo tremulo, sovvertito tempo:
Mohamed, ti ho sempre detto di non affacciarti alla finestra!”.
E se una bomba gliel’ammazza sotto gli occhi velati d’acqua?
Lei è creatura acquatile e scultorea. A tratti –i tratti del suo viso si fanno duri, imperscrutabili. Cosa guarda questa donna scolpita nel marmo, ferma, come insonorizzata?
Cerca l’insaziabile da saziare? E dove getta il cuore inascoltato?
Lui, Hamid, è un combattente. Ha deciso per le anime insaziate.
Lei vuole il patto antico.

Strano come una donna musulmana esploda all’improvviso, dopo che i nervitiranti d’acciaio, lì all’altezza del collo, depongono a favore d’un solenne “Non ci sto!” –e mentre le gambe non reggono più, più non fanno parte di quel suo caduco corpo.
Profonde occhiaie divorano il volto stanco. Questa donna, comunque… Comunque La senza nome non deporrà Tenacia:
Mohamed è più di quanto io sia, io che non sono niente... E lui, che è più di me, non andrà da nessuna parte…” dice ad Hamid.
Quanti combattenti ci sono adesso?
Ognuno è alle prese con una guerra privata.
Ditemi: è questa la contemporaneità familiare?
Il Faust si nasconde ovunque: nel pubblico, nel privato, nella contrazione d’ogni forma d’amore-confinato-cuore divenuto involucro calcareo.
Esiste una mercanzia di corpi: non hanno valuta. “Not in my name” dovrebbero tradurre maestranze al servizio di Allah. Ma decidono per malestreme volontà, abuso di qualche ricco potente che di valuta s’intende, e per autentica disperazione.
Resta la visibilità del gesto che smuove l’indifferenza degli occhi. Lo squarcio-kamikaze, le vittime saziate e quelle insaziate: un unico dramma.
Indossiamo tutti “nuvole di piaghe”.

Repeat. Repeat. Repeat.

-Non so recitare, non voglio fare l’attrice! Non ricordo le battute, sto male… Mi cedono le gambe. Voglio andarmene…! Non ce l’ho con te Director…
-Aspiri alla perfezione. Repeat. Repeat. Repeat. Autenticità!, sacrificio totale!
-Non ho testa, non so più le battute. Errore su errore, sono un errore… Mi sento mortificata… Lo so, Director, non va bene: me lo ripeti da due anni.
-Mi sembri R.!
-Non sono R.! Solo te l’avevo detto che era troppo presto per una pièce drammaterapica. Tanto so come va a finire, sarò io a farmi esplodere… Come se la Montagna crollata non bastasse… E questi sei mesi nero d’inferno!
-E forza con quella mano! Gesto deciso! Gliela vuoi mettere sulla spalla o no? Che ci vuole? È un gesto deciso, non farmi l’esitante… Prima ti avvicini a lui, poi gli vai sul viso… saltelli, sembri una rospettina… Il gesto! È tutto… Piuttosto recita con amore, con le lacrime… In fondo a casa ne spendi tante inutilmente! Repeat. Repeat. Repeat.
Guarda che stai perdendo tuo marito? Il cuore? Dov’è il cuore, Nina?!
Sei madre! Piangi, madre, quando tuo figlio t’implora! Non esisti solo tu…

Già, Nina, dove nascondi il tuo cuore? Eppure è lì che batte per due.
Davvero non si sente un martello pneumatico?
The door opens from the inside.


Foto: foto di scena "Dramatherapy Kamikaze", laboratorio di drammaterapia, 3 aprile 2009

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

COMUNICATI STAMPA