There are keys that create the lock, do you know? E’ proprio così.
Andiamo a spiegarci. Per chi conosce bene J. Cortazar non potrà sfuggire alla considerazione che qualcosa di intimo e profetico avvicina il grande scrittore argentino ed il drammaturgo E. Ionesco. Proviamo ad accostarli, dimenticando luoghi, tempo e differenti percorsi. Entrambi fanno una dolorosa caricatura della realtà, la cristallizzano in stereotipi che solo una coscienza davvero critica può permettersi di abiurare. Troppo facile sorridere dell’orologio che insegue il polso, che insegue il braccio, che insegue il proprietario! Ed ancora troppo semplice leggere solo in termini di non-sens quella preoccupazione della “ragione” nella discussione ad onta che un’intera città si stia trasformando, colpita da “rinocerontite”. Non è il personaggio a dover essere considerato, in quanto egli è semplice stampella di un tema più celato. Se anche quest’ultimo dovesse trasparire dai dialoghi, avverrebbe ancora la stessa fagocitante operazione della vanificazione del senso dell’opera.. E’ proprio il TUO pensiero che alberga quei caratteri, per una lettura o il tempo di una piece, a dover comprendere. Il linguaggio ci ha fatto evolvere, sino a trasformarci, ma esso può nascondere, sotto le pieghe spesse del cuoio del rinoceronte, l’addormentamento della propria coscienza di essere identità distinta.
Apprezzo, ma insieme mi fa educatamente sorridere, il tentativo legittimo del governo di tranquillizzarci: l’Italia è al sicuro dalla febbre suina! Coraggio amici -conosciuti ed ancora da conoscere- non ci trasformeremo in maiali; anche se di essi abbiamo sempre più preso la pessima abitudine di “cibarci” di tutto, reale e virtuale ci sia proposto, ci proponiamo, salvo a dimenticare che si tratta sempre di noi, con passaggi molteplici e camuffatti delle mille maschere che Lacan invita ad osservare! Dio quanto servono le frontiere, quanto si possono spostare, contrarre ed allargare, sino ad esaltare o tranquillizzare! Quanta prigionia nella libertà del linguaggio e quanta libertà nella prigione della nostra solitudine! Individui esasperati e grotteschi, nel Rinoceronte, che chiedono pietosamente lo sconto alla rigidità di un comportamento senza coscienza, dove il linguaggio perde la sua originaria potenza simbolica dell’inconscio (Lacan). Sino alla trasformazione –in Ionesco- del loro soma, della lingua e della potenza sottesa del significante; della stereotipia (in Cortazar) del carattere. Il nostro occhio ed il nostro orecchio percepiscono simboli vaganti e vacanti, senza quel possesso che li rende storicizzati all’esperienza individuale e del gruppo. E lì che possono ospitarli e risignificarli, come nell’esperienza analitica che rimanda al senso sotteso alla metafora alla metonimia proprie del sogno. Si esige una nuova fusione che restituisca il possesso di “attributore” di senso, e questo avviene tra attore e spettatore. Una chiave, criptica condensazione di quanto l’autore ha inteso, preme alle porte liscie di serratura, schive di entrata. Il non-senso dilaga, la parola si fa vuota, ma vi è una speranza: “il testo è ancora scrivibile!”, esclamerebbe Barthes. Fiaccato, il pretestuoso pensiero strutturalista si deve arrendere. Il percorso va rifatto all’interno dal carattere lì rappresentato, perché è così disarmante quell'insensato delirio di un fama, mentre il cronopio mette in ordine la propria follia!
Andiamo a spiegarci. Per chi conosce bene J. Cortazar non potrà sfuggire alla considerazione che qualcosa di intimo e profetico avvicina il grande scrittore argentino ed il drammaturgo E. Ionesco. Proviamo ad accostarli, dimenticando luoghi, tempo e differenti percorsi. Entrambi fanno una dolorosa caricatura della realtà, la cristallizzano in stereotipi che solo una coscienza davvero critica può permettersi di abiurare. Troppo facile sorridere dell’orologio che insegue il polso, che insegue il braccio, che insegue il proprietario! Ed ancora troppo semplice leggere solo in termini di non-sens quella preoccupazione della “ragione” nella discussione ad onta che un’intera città si stia trasformando, colpita da “rinocerontite”. Non è il personaggio a dover essere considerato, in quanto egli è semplice stampella di un tema più celato. Se anche quest’ultimo dovesse trasparire dai dialoghi, avverrebbe ancora la stessa fagocitante operazione della vanificazione del senso dell’opera.. E’ proprio il TUO pensiero che alberga quei caratteri, per una lettura o il tempo di una piece, a dover comprendere. Il linguaggio ci ha fatto evolvere, sino a trasformarci, ma esso può nascondere, sotto le pieghe spesse del cuoio del rinoceronte, l’addormentamento della propria coscienza di essere identità distinta.
Apprezzo, ma insieme mi fa educatamente sorridere, il tentativo legittimo del governo di tranquillizzarci: l’Italia è al sicuro dalla febbre suina! Coraggio amici -conosciuti ed ancora da conoscere- non ci trasformeremo in maiali; anche se di essi abbiamo sempre più preso la pessima abitudine di “cibarci” di tutto, reale e virtuale ci sia proposto, ci proponiamo, salvo a dimenticare che si tratta sempre di noi, con passaggi molteplici e camuffatti delle mille maschere che Lacan invita ad osservare! Dio quanto servono le frontiere, quanto si possono spostare, contrarre ed allargare, sino ad esaltare o tranquillizzare! Quanta prigionia nella libertà del linguaggio e quanta libertà nella prigione della nostra solitudine! Individui esasperati e grotteschi, nel Rinoceronte, che chiedono pietosamente lo sconto alla rigidità di un comportamento senza coscienza, dove il linguaggio perde la sua originaria potenza simbolica dell’inconscio (Lacan). Sino alla trasformazione –in Ionesco- del loro soma, della lingua e della potenza sottesa del significante; della stereotipia (in Cortazar) del carattere. Il nostro occhio ed il nostro orecchio percepiscono simboli vaganti e vacanti, senza quel possesso che li rende storicizzati all’esperienza individuale e del gruppo. E lì che possono ospitarli e risignificarli, come nell’esperienza analitica che rimanda al senso sotteso alla metafora alla metonimia proprie del sogno. Si esige una nuova fusione che restituisca il possesso di “attributore” di senso, e questo avviene tra attore e spettatore. Una chiave, criptica condensazione di quanto l’autore ha inteso, preme alle porte liscie di serratura, schive di entrata. Il non-senso dilaga, la parola si fa vuota, ma vi è una speranza: “il testo è ancora scrivibile!”, esclamerebbe Barthes. Fiaccato, il pretestuoso pensiero strutturalista si deve arrendere. Il percorso va rifatto all’interno dal carattere lì rappresentato, perché è così disarmante quell'insensato delirio di un fama, mentre il cronopio mette in ordine la propria follia!
Rumore di chiave, qualcosa sta girando, la chiave gira se stessa, stanze che non si conoscevano.
THE KEY
Seems I've been waiting half a life
For things to arrive
That won't come
Seems I've been waiting all this time
For the perfect rhyme
Now it's done
But I forgot what it was I'm looking for
I found the Key but not the door
Nothing more
Heyeyey
Is there anybody home tonight?
I can hear you on the other side
But I can't get through
I say heyeyey
There's no beginning, there's no end
A vicious circle 'cause I cannot mend
The love I feel for you
.....
Nessun commento:
Posta un commento