@ Nina
Commento a “Strappi senza mestiere”
Lei non possiede un nome.
È Madre. È Moglie.
E se fosse Madre di un figlio-Astianatte e di un Ettore all’incontrario? Imploso, con la rabbia dentro– dentro un rovo ardente che reclama un diritto, una giustizia, uno sciame di libertà:
“Dov’è Amore, o mio Amore che non so più dire né guardare?” pensa Hamid.
A cosa pensa Hamid? A lei, La senza nome? alla guerra? alle bombe? ad Al Qaeda?
Lei ha labbra cucite a dovere. Quel poco che esprime è il tentativo inutile di trattenere a sé il proprio uomo, sapendo che il sentimento sanguigno, l’antico patto di essergli “sposa e amante fiorente” non vincerà sull’orrore e la contemporaneità.
Lei è vestita di nero. Assenza di luce dove il sole tenta d’arginare il caldo schiantandosi nel bianco delle abitazioni.
Lei è Cronaca di una morte annunciata. No, magari fosse La senza nome a morire (!): un cuore di Madre sa d’un figlio stropicciato che salterà in aria nel suo tremulo, sovvertito tempo:
“Mohamed, ti ho sempre detto di non affacciarti alla finestra!”.
E se una bomba gliel’ammazza sotto gli occhi velati d’acqua?
Lei è creatura acquatile e scultorea. A tratti –i tratti del suo viso si fanno duri, imperscrutabili. Cosa guarda questa donna scolpita nel marmo, ferma, come insonorizzata?
Cerca l’insaziabile da saziare? E dove getta il cuore inascoltato?
Lui, Hamid, è un combattente. Ha deciso per le anime insaziate.
Lei vuole il patto antico.
Strano come una donna musulmana esploda all’improvviso, dopo che i nervitiranti d’acciaio, lì all’altezza del collo, depongono a favore d’un solenne “Non ci sto!” –e mentre le gambe non reggono più, più non fanno parte di quel suo caduco corpo.
Profonde occhiaie divorano il volto stanco. Questa donna, comunque… Comunque La senza nome non deporrà Tenacia:
“Mohamed è più di quanto io sia, io che non sono niente... E lui, che è più di me, non andrà da nessuna parte…” dice ad Hamid.
Quanti combattenti ci sono adesso?
Ognuno è alle prese con una guerra privata.
Ditemi: è questa la contemporaneità familiare?
Il Faust si nasconde ovunque: nel pubblico, nel privato, nella contrazione d’ogni forma d’amore-confinato-cuore divenuto involucro calcareo.
Esiste una mercanzia di corpi: non hanno valuta. “Not in my name” dovrebbero tradurre maestranze al servizio di Allah. Ma decidono per malestreme volontà, abuso di qualche ricco potente che di valuta s’intende, e per autentica disperazione.
Resta la visibilità del gesto che smuove l’indifferenza degli occhi. Lo squarcio-kamikaze, le vittime saziate e quelle insaziate: un unico dramma.
Indossiamo tutti “nuvole di piaghe”.
Repeat. Repeat. Repeat.
-Non so recitare, non voglio fare l’attrice! Non ricordo le battute, sto male… Mi cedono le gambe. Voglio andarmene…! Non ce l’ho con te Director…
-Aspiri alla perfezione. Repeat. Repeat. Repeat. Autenticità!, sacrificio totale!
-Non ho testa, non so più le battute. Errore su errore, sono un errore… Mi sento mortificata… Lo so, Director, non va bene: me lo ripeti da due anni.
-Mi sembri R.!
-Non sono R.! Solo te l’avevo detto che era troppo presto per una pièce drammaterapica. Tanto so come va a finire, sarò io a farmi esplodere… Come se la Montagna crollata non bastasse… E questi sei mesi nero d’inferno!
-E forza con quella mano! Gesto deciso! Gliela vuoi mettere sulla spalla o no? Che ci vuole? È un gesto deciso, non farmi l’esitante… Prima ti avvicini a lui, poi gli vai sul viso… saltelli, sembri una rospettina… Il gesto! È tutto… Piuttosto recita con amore, con le lacrime… In fondo a casa ne spendi tante inutilmente! Repeat. Repeat. Repeat.
Guarda che stai perdendo tuo marito? Il cuore? Dov’è il cuore, Nina?!
Sei madre! Piangi, madre, quando tuo figlio t’implora! Non esisti solo tu…
Già, Nina, dove nascondi il tuo cuore? Eppure è lì che batte per due.
Davvero non si sente un martello pneumatico?
The door opens from the inside.
Commento a “Strappi senza mestiere”
Lei non possiede un nome.
È Madre. È Moglie.
E se fosse Madre di un figlio-Astianatte e di un Ettore all’incontrario? Imploso, con la rabbia dentro– dentro un rovo ardente che reclama un diritto, una giustizia, uno sciame di libertà:
“Dov’è Amore, o mio Amore che non so più dire né guardare?” pensa Hamid.
A cosa pensa Hamid? A lei, La senza nome? alla guerra? alle bombe? ad Al Qaeda?
Lei ha labbra cucite a dovere. Quel poco che esprime è il tentativo inutile di trattenere a sé il proprio uomo, sapendo che il sentimento sanguigno, l’antico patto di essergli “sposa e amante fiorente” non vincerà sull’orrore e la contemporaneità.
Lei è vestita di nero. Assenza di luce dove il sole tenta d’arginare il caldo schiantandosi nel bianco delle abitazioni.
Lei è Cronaca di una morte annunciata. No, magari fosse La senza nome a morire (!): un cuore di Madre sa d’un figlio stropicciato che salterà in aria nel suo tremulo, sovvertito tempo:
“Mohamed, ti ho sempre detto di non affacciarti alla finestra!”.
E se una bomba gliel’ammazza sotto gli occhi velati d’acqua?
Lei è creatura acquatile e scultorea. A tratti –i tratti del suo viso si fanno duri, imperscrutabili. Cosa guarda questa donna scolpita nel marmo, ferma, come insonorizzata?
Cerca l’insaziabile da saziare? E dove getta il cuore inascoltato?
Lui, Hamid, è un combattente. Ha deciso per le anime insaziate.
Lei vuole il patto antico.
Strano come una donna musulmana esploda all’improvviso, dopo che i nervitiranti d’acciaio, lì all’altezza del collo, depongono a favore d’un solenne “Non ci sto!” –e mentre le gambe non reggono più, più non fanno parte di quel suo caduco corpo.
Profonde occhiaie divorano il volto stanco. Questa donna, comunque… Comunque La senza nome non deporrà Tenacia:
“Mohamed è più di quanto io sia, io che non sono niente... E lui, che è più di me, non andrà da nessuna parte…” dice ad Hamid.
Quanti combattenti ci sono adesso?
Ognuno è alle prese con una guerra privata.
Ditemi: è questa la contemporaneità familiare?
Il Faust si nasconde ovunque: nel pubblico, nel privato, nella contrazione d’ogni forma d’amore-confinato-cuore divenuto involucro calcareo.
Esiste una mercanzia di corpi: non hanno valuta. “Not in my name” dovrebbero tradurre maestranze al servizio di Allah. Ma decidono per malestreme volontà, abuso di qualche ricco potente che di valuta s’intende, e per autentica disperazione.
Resta la visibilità del gesto che smuove l’indifferenza degli occhi. Lo squarcio-kamikaze, le vittime saziate e quelle insaziate: un unico dramma.
Indossiamo tutti “nuvole di piaghe”.
Repeat. Repeat. Repeat.
-Non so recitare, non voglio fare l’attrice! Non ricordo le battute, sto male… Mi cedono le gambe. Voglio andarmene…! Non ce l’ho con te Director…
-Aspiri alla perfezione. Repeat. Repeat. Repeat. Autenticità!, sacrificio totale!
-Non ho testa, non so più le battute. Errore su errore, sono un errore… Mi sento mortificata… Lo so, Director, non va bene: me lo ripeti da due anni.
-Mi sembri R.!
-Non sono R.! Solo te l’avevo detto che era troppo presto per una pièce drammaterapica. Tanto so come va a finire, sarò io a farmi esplodere… Come se la Montagna crollata non bastasse… E questi sei mesi nero d’inferno!
-E forza con quella mano! Gesto deciso! Gliela vuoi mettere sulla spalla o no? Che ci vuole? È un gesto deciso, non farmi l’esitante… Prima ti avvicini a lui, poi gli vai sul viso… saltelli, sembri una rospettina… Il gesto! È tutto… Piuttosto recita con amore, con le lacrime… In fondo a casa ne spendi tante inutilmente! Repeat. Repeat. Repeat.
Guarda che stai perdendo tuo marito? Il cuore? Dov’è il cuore, Nina?!
Sei madre! Piangi, madre, quando tuo figlio t’implora! Non esisti solo tu…
Già, Nina, dove nascondi il tuo cuore? Eppure è lì che batte per due.
Davvero non si sente un martello pneumatico?
The door opens from the inside.
Foto: foto di scena "Dramatherapy Kamikaze", laboratorio di drammaterapia, 3 aprile 2009
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