Giovedì sera il primo appuntamento seminariale del “nostro” teatro, battesimo alla fonte di noi stessi, al principiamento dove vi è vaga forma ed intensa pulsione. Ionesco ci farà compagnia. L’abbiamo obbligato, con la lusinga (ma poi riuscita?) che siamo per l’antipiece, come lui, dietro lui; che inseguiamo, oramai da qualche anno, l’idea che il processo artistico non possa essere separato dal prodotto finale, pena il monumento al narcisimo dell’arte, marmoreo corruttibile, ligneo combustibile, riduttivo amplificatore della “paura”!
Ha storto un poco il naso, ve lo assicuro; quel viso “pacioccone” è solo un casuale inganno per chi pretende di non averne ricevuto provocazione e stimolo, senza i travestimenti della didattica, i connubi perversi con l’establishment politico, artistico, culturale di ogni tempo, ad intimorire la consuetudine impersonale. Mentre l’idea di una dramma terapia che andasse a cristallizzare -pure vitale-, il suo processo per farne "teatro" prendeva forma –e quale migliore occasione che quella di fondarlo i n t o r n o ad una questione, quella ioneschiana, del Rinoceronte-, sfogliavo casualmente uno di quei testi che si acquistano per curiosità morbosa dietro qualche suggerimento, Teatro Senza Regista; era stato un rappresentante della Associazione Europea per la Cultura del Teatro a consigliarmelo due anni prima, scritto dallo stesso direttore artistico della associazione, Jurij Alschitz. Ecco, molti passi del suo testo, così umanamente autobiografico –una autobiografia come ricerca…-, mi colpivano, ma uno condensava quello che stavo pensando da parecchio, “Dell’arte mi interessa non tanto il prodotto quanto piuttosto il processo naturale e spontaneo con cui si fa” (1). L’idea del processo artistico come processo di verità, ermeneutica ricerca di un senso all’esistere, così propria di quanto di “creativo” vi è nella visione sciamanica, aveva ora per me una ulteriore testimonianza. Intorno all’umanità dei suoi attori, questo regista crea il suo/loro teatro, piega il “destino” alla visione creativa di quanto avviene e si osserva! E non è ancora Ionesco ad esclamare “Je crois que la création artistique est spontanée!”(2)?
Una forzata analogia con quanto, in diverso statuto, avviene proprio nel processo dramma terapico, scevro dalle regole del setting teatrale -se troppo strette-, che fa del percorso attoriale l’obiettivo piuttosto che la propedeutica del recitante. Vi sono Alleluja che non meno “sacri” esplodono sulle strade, quando queste conducono a comunicazioni felici o sul proscenio dove vi è l’impudico contatto tra le due parti sensibili del teatro –il resto è macchina teatrale!- attore e spettatore. Proscenio diluito nella circolarità grotowschiana di un cerchio o mantenuto lì nei teatri stabili, purchè lo si scopra questo pudore, come ombra che ritrova la nascita del “drama” ad ogni nuovo incontro. Per dirvi…che suggestiva è l’idea di raccogliersi intorno ad un’idea e lasciare che essa cementi il nostro intento, disincarnato da quinte e riflettori, ad osservare la tenera saggezza di Bérgerer che consiglia un dottore al suo amico Jean.
Una forzata analogia con quanto, in diverso statuto, avviene proprio nel processo dramma terapico, scevro dalle regole del setting teatrale -se troppo strette-, che fa del percorso attoriale l’obiettivo piuttosto che la propedeutica del recitante. Vi sono Alleluja che non meno “sacri” esplodono sulle strade, quando queste conducono a comunicazioni felici o sul proscenio dove vi è l’impudico contatto tra le due parti sensibili del teatro –il resto è macchina teatrale!- attore e spettatore. Proscenio diluito nella circolarità grotowschiana di un cerchio o mantenuto lì nei teatri stabili, purchè lo si scopra questo pudore, come ombra che ritrova la nascita del “drama” ad ogni nuovo incontro. Per dirvi…che suggestiva è l’idea di raccogliersi intorno ad un’idea e lasciare che essa cementi il nostro intento, disincarnato da quinte e riflettori, ad osservare la tenera saggezza di Bérgerer che consiglia un dottore al suo amico Jean.
Un’ambizione, quella più forte e sfidante: ri-dare umanità visibile ai personaggi di Ionesco. Essi non ne hanno bisogno, mi s’intenda! Essi esistono così, capsule di uomo addormentate tra linguaggio e logiche, paure ed incoscienza, a "bisticciare con la vita", nati per far interrogare, tra baratro di verità ed anarchia. Ma cosa accade se attraversano l’anima del nostro attore. Non siamo a teatro, siamo nel setting particolare della dramma terapia, in quello spazio virtuale dove il “come se” si sposa con il delirio ed il ricordo, con il lapsus e l’agito, dove è l’allenamento tenace (evviva Grotowsky!) a misurare-diverso da contenere- quale la distanza tra realtà e trauma, tra dolore e pulsione di vita? L’attraversamento si veste di panni diversi, molti ne lascerà, alcuni saranno ripresi; una passerella spesso silenziosa tra spettatori non paganti, perché invisibili, compagni di altro tempo ed altre storie. Ed allora il messaggio di avanguardia -“...l’avant-garde, c’est la liberté” (3)- di Ionesco si tinge di un “umano” nuovo, capace di riflettere sulle trasformazioni e sul cambiamento, in conclusione sulla sua identità.
Seminario importante, questo spargere seme ed osservarne la crescita.
(1) Jurij Alschitz, Teatro Senza Regista, p.19, Ed. Titivillus, Pisa, 2007
(2) Eugène. Ionesco, Expérience du théatre, in Notese et contre-notes, p.48, Galimard,.
(3) Eugène. Ionesco, Discours sur l'avant-garde, in Notes et Contre-notes, , p. 91, op. cit.
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