@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

venerdì 31 dicembre 2010

Happy New Year with Dramatherapy!!


Mentre l'anno sta scivolando nell'archivio di quanto "...è stato", tutta la saggezza del'uomo (quando esercitata) dimostra che si sta preparando quanto "...sarà". Modulo del nostro futuro permeabile, modificabile, plasmabile, nella misura in cui vi mettiamo  mano e decidiamo cose.
I fotogrammi del nostro lavoro drammaterapico diventano allora archivio del possibile, del conosciuto, dell'esplorazione di quanto attraversa l'anima senza esserne consapevoli, ma comunque "attori".
Un augurio intenso di tranquillità al cuore ed alla mente a tutti quanti hanno lavorato con noi, ci hanno ascoltato, visto ed incontrato in questo affatto disperato viaggio tra i disegni della nostra vita. Director

venerdì 24 dicembre 2010

Auguri a tutti gli Uomini di Buona Volontà



Lasciamolo nascere questo "bambino", che sia il figlio dell'uomo o l'attesa che la sua speranza fiorisca, umanamente tra le genti, in viaggio su questo pianeta.  Non importa se sia la tua fede a rendere morbida la sua pelle e divina la genia che lo fece o piuttosto i tuoi occhi sbalorditi dal chiasso delle pietre, che fecero il fuoco, che imitarono il fulmine, seguendo sulle scie delle stelle i propri sogni. Nasce stanotte, profeta tra i profeti, nel segno del tempo annunciato o imprevisto, e viene nel silenzio della notte, nel buio senza luce che non sia quella del cielo. La coscienza può imitarne il senso, e rifondare una cultura dell'ascolto, uno specchio che non ridia solo te stesso; che sia questa l'immagine del Dio? Lasciamolo nascere e teniamolo dentro questo parto dell'uomo e della donna, nel segno del mistero. Director

giovedì 23 dicembre 2010

Drammaterapia: i passaggi dell'anima


@ director

Nella fiaba di Barbablù, i cambiamenti nel pensiero di Rebecca,  sono il risultato degli eventi. Mentre le sue azioni derivano da pulsioni inevase, da mistificazioni probabilmente non consapevoli, la sua mente sente e parla sempre in modo speculare e contrattaposto a quanto avviene. Un adattamento totalmente alloplastico, in assenza di risorse personali, ma che piuttosto si adegua e ripara dal peggio. In tali condizioni, quale patto o contratto questa "poveretta" avrebbe mai potuto stipulare? Più facile che la folta ed inquietante barba blù del suo principe avesse potuto suggerire al suo inconscio di continuare a temere, senza quel tuffo precipitoso nel rosa di nozze improbabili e strane, agli occhi di tutti.
Che il patto sia "condiviso" o che sia "in deroga" non deve mai sottacere la descrizione reale dell'oggetto di contratto, non può mistificare il bene in questione. Nè questo bene può essere la sola condivisione, se l'accordo tace un retropensiero e stipula sulla carta convenzioni, mentre firma dentro...compromessi. Ed una famiglia può lavorare dentro di te al posto tuo, se tu non sei cresciuta o cresciuto; persino la tua ribellione ed autonomia in tutte quelle stanze del castello possono essere l fallimento di un riscatto, Rebecca, se tu la "dipendenza" te la porti dentro ed aspetti che le vicende di fuori drammatizzino per te i tuoi veri fantasmi.
No, alcun patto potrebbe tirare fuori dall'accordo la libertà del proprio "volere" e quello, qui, è tutto infranto.
Il processo drammaterapico che ha lavorato in Blue Beard, nella piece finale è riuscito a condensare nella performance di poche righe sul palco, folle di sentimenti e pensieri a rincorrersi senza l'obbligo di una conciliazione, perchè più aperto fosse il ventaglio del destino per l'interprete, mentre sacrificato sull'altare del mito il povero personaggio sbiadiva sino a diventare forma e simulacro del possibile. 

Drammaterapia: Blue Beard, la settima sposa in bilico sul tempo

Blue in Rebecca, "Blue Beard, To Want, To Need, To Be",
17  dicembre 2010
@ director

Rebecca non è soltanto orrore della scoperta e prima ancora diritto alla conoscenza (quella del volto "nascosto" del suo amato), Rebecca è fallimento della Speranza. Nessuna speranza può sorreggersi senza quelle premesse, sia pur minime, che ne fanno positiva proiezione della mente, dislocata in un  tempo diverso (ce lo insegna la psicanalisi), anche capace di dislocare e rispondere al nostro passato, oltre che al futuro. Rebecca è stata promessa al suo sposo dalla famiglia; nel rito collettivo è stata dissimulata merce di scambio per l'emancipazione di tutto un clan ed è la stessa famiglia (sic) che  deve finalmente salvarla dalle braccia del "mostro". Se pensiamo, poi, che una volta scoperta nel suo "vile" curiosare (come le parole di Bababablù descrivono), la giovane sposa è capace di sottomettersi nuovamente alla sua ira, promettendo amore ed obbedienza dentro all'orrore appena scoperto, finiamo, paradossalmente, per vedere anche Barbablù vittima dell'architettura della storia, della fiaba; perchè ancora prima vittima del suo fallito sogno d'amore: una donna che gli obedisse. Ma vi è un'altra lettura, un sottotesto che solo la modernità ci può dare, per la medesima psicodinamica del raccnto, vista la collocazione storica della fiaba.
Nel tragico stupore del proprio fallimento, quando non vi sono più appigli a cui sorreggersi, è l'illusione che qualcosa possa essere ancora salvato ad ingannarci. Che il nostro "Destino" sia una partita a scacchi dove se solo potessimo correggere una mossa, rivelatasi errata, tutta la nostra importante partita potrebbe avere una epilogo differente! Il senso di colpa che frustra diventa allora, improvvisamente, complice del persecutore, ci chiede quell'opera di espiazione che sembra promettere ancora quella particola di potere perduto nel cambiare gli eventi. La minaccia che si erige davantia noi , frustrando la nostra aspirazione (la vita, la libertà, ecc) ci fa colpevoli quanto il nostro persecutore in una sorta di paradossale identificazione con lui (ma l'inconscio non bisticcia con i paradossi). La Sindrome di Stoccolma bene descrive questa situazione e spiega quanta deferente fiducia si possa riporre in chi ci sta facendo del male, consapevolmente o meno; quanto si possa giungere ad amare al posto di odiare; quanto, in fondo,  il nostro narcisismo, messo alle strette, possa dislocare verso questa disperata inversione degli affetti la sua attenzione.

Teatro Drammaterapico: il Coro


Il nostro teatro drammaterapico (CDIOT) per alcuni aspetti si riflette nel teatro classico greco, proprio perchè di esso coglie la primitiva formulazione rappresentativa di "rito" allargato che celebra, danzando (i coreuti) la storia dell'Uomo, i suoi timori e le sue speranza nella sottesa invocazione al Dio. La storia intima, fatta di archetipi e dunque miti, e la storia fattuale degli eventi personali e sociali. I coreuti, in questo senso, hanno ancora l'originaria funzione dialogica con l'attore, rappresentando (in questo caso narrando) quanto avviene, quanto vi è sotto e quanto si auspica possa avvenire.

martedì 21 dicembre 2010

Drammaterapia: il Narratore

Beatrice nel ruolo di 2° Narratore nella piece drammaterapica
Blue Beard, To Want, To Need, To Be. 17 dicembre 2010
Narrare la storia degli altri, narrare la nostra storia. Ogni storia narrata è sempre la nostra. Pesca in quel bacino, magari invisibile, di possibilità realizzate o meno, sperate, di disillusioni, successi e cose prossime da venire. Per questo è sempre la nostra storia, per questo ha un ruolo così centrale nella piece drammaterapica, quando presente. Come "Virgilio" accompagna nell'Ade o tra le colline di una Paradiso dove illusione e rovina colludono in storie fantastiche. Il racconto del Narratore è l'elemento che cuce, didasclaico o meno, le scene della mente, quelle che il processo drasmmaterapico ha elaborato in tante prove. E' il medium che ha tanto dell'attore per essere un degno ambasciatore del suo teatro dentro e tanto del pubblico per potersi rivolgere ad esso.

domenica 19 dicembre 2010

Drammaterapia: Lui, Lei, Forse, Per Sempre. Stracciando il PrimoAtto

Piece Drammaterapica Breve di E. Gioacchini.
Attori del Creative Drama In-Out Theatre, M. Pina Egidi, Gianni De Angelis
17 dicembre 2010




Auguri di Buone Feste al CDIOT, all'Atelier Liberamente per le Risorse e a tutti i nostri gentili ospiti!
Director & Attori

sabato 18 dicembre 2010

Drammaterapia: "tempo scaduto"? Tra teatro fuori e cinema dentro


Guardarsi allo specchio. Solitamente si continua ad osservare quello che si desidera vedere. Ma se è il sogno a farti affacciare alla finestra dei tuoi dubbi e spalanca un'improvvisa finestra in bilico tra desideri e timori? E' quello che accade a Lui, mentre lo segue Lei, Forse, Per Sempre".



Chi è che lo decide quando "il tempo è scaduto". Lui, Lei, il Teatro, Fuori o il Cinema, Dentro?



Il corso degli eventi segue quasi sempre la strada del pregiudizio, un film già visto senza la coscienza di aver già acquisdtato il biglietto, un pò di tempo prima.
Il director interrompe la querele delle comunicazioni ovvie, del pathos confermato, e, teatralmente discutendo, delle "stampelle" che usano l'affetto simulato per dissimulare quanto di noi "dorme" in quella parte.







Chi decide quando è scaduto il tempo? La domanda di lei, la risposta di lui?



 

E se poi è il suo sogno ad essere interpretato, sono le domande di lui ad interrogare lei, come pensata, voluta, negata.






Tutto troppo prevedibile, anche il sogno è ingannato. Lei reagirà come egli pensa, senza dirottamenti.

A meno che...

...qualcosa non prenda, anche nel sogno, una strada diversa...

...che lascia interdetti.

Direi...basiti...

...senza appelli utili.

In bilico tra le ragioni di fuori e quelle di dentro.

Con la stessa ambiguità del sospetto.

Appunto: teatro fuori e ...Cinema dentro.




Foto di Scena di Lui, Lei, Forse, Per Sempre.
Stracciando il Primo Atto.
 Piece drammaterapica di E. Gioacchini,
 Interpreti Maria Pina Egidi, Gianni De Angelis.
 17 dicembre 2010


 

mercoledì 15 dicembre 2010

Piece Drammaterapica, "LEI, LUI, FORSE, PER SEMPRE, 17 dicembre 2010

17 dicembre 2010, h. 21.00
In occasione della presentazione del romanzo "Complemento Oggetto" di F. Pitorri, il Creative Drama & In-Out Theatre diretto da E. Gioacchini offrirà agli ospiti la piece breve "Lei, Lui, Forse, Per Sempre, intensa rappresentazione di una problematica relazione di coppia tra realtà e sogno. Interpreti, Maria Pina Egidi, Gianni De Angelis. Allestimento e regia di E. Gioacchini, musiche di George Gershwin.

Guardarsi allo specchio. Solitamente si continua ad osservare quello che si desidera vedere. Ma se è il sogno a farti affacciare alla finestra dei tuoi dubbi e spalanca un'improvvisa finestra in bilico tra desideri e timori? E' quello che accade a Lui, mentre lo segue Lei, forse, per sempre.
Comunicato Stampa
INFO: info.atelier@dramatherapy.it (gradita prenotazione)

@ Director

Dopo la fatica e il successo di Blue Beard, in una fase di apparente quiete del processo drammaterapico (nessuna piece in programmazioine, laboratori sospesi fino al nuovo anno), quanto è stato giocato nella preparazione e nella performance finale continua comunque a svolgere un sottile lavoro interno. La tematica affrontata, i laboratori che si sono succeduti a ritmi incalzanti, un director che certo non si può dire non sia esigente hanno messo tante di quelle riflessioni dentro che è ora sospettabile una lenta restituzione fuori; si spera catartica ed utile, ma sta anche all'attenzione degli "attori", realizzarla. Parodiando la storia, vorremmo che nessuna Rebecca rimanga imprigionata nel castello, preda delle paure e scrupoli, dei rimorsi o timorosa di fare una brutta fine. Che insieme a Barbablù, la coorte di tutti gli altri personaggi sentisse la responsabilità condivisa di costruire un "mondo" migliore (mi riferisco al nostro modello del mondo, perchè quello fuori, purtoppo è devastato da volgari sdegni, parole violente, gesta che sono un vero abominio per la coscienza dell'Uomo); che il gruppo avvertisse il senso di crescita realizzato in questi otto mesi di Atelier e che io sento di attestare, mentre ne mancano appena due, ma fondamentali, per tirare le somme di un viaggio "spettacolare" tra i disegni della nostra mente, complici i ricordi, i timori, le speranze, le risorse!
Desidero soffermarmi su quella dinamica altre volte discussa di come lavora la drammaterpia e come possa aver lavorato nella performance finale del nostro teatro drammaterapico. Una foto (quella allegata) servirà da puntuale esemplificazione di quanto ora stiamo per illustrare.
Essa descrive due personaggi, tratti da istantanee di un video quando si era a metà del nostro percorso di Atelier (giugno 2010), intenti a danzare con compagni non rappresentati con il medium di un bambù. Tutti ricorderanno quell'esperienza, intensa e particolare, dove si esplorava la relazione con l'altro attraverso emozioni, in uno spazio e tempo condivisi. Tuttavia, l'immagine presenta i due attori insieme, mentre essi appartengono a luoghi della sala, tempi ed esperenza relazionale differenti (non stavano danzando insieme). Eppure quanto si osserva cerca disperatamente di metterli in relazione, nonostante abbia precisato che luogo, tempo e compagni di danza fossero altri. In realtà la danza fu complessa e svolta simultaneamente da diverse coppie ed un aspetto di esperienza comune spinge anche questi due raffigurati a danzare insieme. Il gioco di prospettiva, luce, inclinazioni, contrasti aiuta l'illusione e poi, soprattutto, il bellissimo rapporto tra i due partecipanti fotografati ce li fa "relazionare" oltre ogni esame di realtà.
IL processo drammaterapico "lavora" in questo modo ed io ho forzato il fotomontaggio per rappresentarlo. Luogo e termpo condivisi in una esperienza comune eppure differenziata portano i partecipanti ad attivare due diversi livelli: quello della comunanza e quello della differenziazione. Tutti e due giocano nella dimensione ritualistica (qui costituita dalla danza) del gruppo. In talisituazione ricordi lontani ed anche il "rimosso" sono sollecitati a dislocarsi dalla periferia della nostra anima per bussare più forte all'uscio della coscienza, in un moto figurato apparentemente opposto a quello che ha portato Rebecca a guardare dentro, "guardarsi" dentro. Emergono allora sensazioni che non sono meccanicamente dipendenti solo dal percetto (quello che il partecipante sperimenta sensorialmente) ma dall'IMMAGINARIO, per una restituzione emotiva ed intelligente all'Io cosciente.
Ecco quello che accade quando si fa drammaterapia: si scopre che lo stesso mostro spaventa differentemente le persone, che la stessa fata affascina diversamente quelle, che i dialoghi di fuori non esauriscono l'infinita possibilità di altri dialoghi interni. Propedeutica del cambiamento. Dodici anni fa, proprio in questi giorni di dicembre mi trovavo a Phonix ad un importante meeting internazionale della Ericksonian Foundation. Avevo fatto a piedi il breve pezzo di strada che mi separava dallo SDheraton Hotel, luogo dove si sarebberoi svolti i lavoroi congressuali e sorseggiavo un caffè, tassativamente "americano (!), nel bar adiacente alla hall. Dopo qualche istante, in cui cercavo di familiarizzare con volti e luogo, mi vedo davanti Paul Watzlawick  e signora, anche loro intenti a prendere del caffè. Proprio lì era difronte a me uno dei miti della conoscenza psicologica, uno dei genitori della terapia sistemica e familiare, il propugnatore per eccellenza del cambiamento ("Change"), amico strettissino e collaboratore di Milton Erickson scomparso già 17 anni prima. Momento emotivo e poi mi ci metto a parlare; non sono timido e la mia iniziativa è premiata da quella grande umanità e saggezza che Watzlawick  possiede. Tra un discorso e l'altro, parlando di terapia ipnotica, egli mi dice una cosa straordinaria che ancora oggi risuona nelle mie orecchie con la sua voce profonda da poliglotta (in italiano), capace di leggere nella babilonia della menti: "...le persone possono cambiare e spesso lo fanno, aiutate o meno da noi terapeuti, ma dire esattamente sempre cosa sia successo...è una grande illusione". Perla di umiltà e scienza insieme.
E' questo che desidero dirvi: il processo drammaterapico smuove, disloca da dentro dicevamo, mette in relazione cose lontane e diverse (come nella foto), ci mette in crisi, potenzialmente spinge ad una omeostasi psicologica che non sia a costo di sintomi o disarmonie, ma sta sempre a noi, volere e sentire oltre le situazioni ed imparare a leggere in quelle. Bon silenzioso lavoroe riposo, ragazzi.

lunedì 13 dicembre 2010

Drammaterapia: togliere concime alla paura e scegliere le carte migliori

Blue Beard 2010, Atelier Drammaterapia LiberaMente, le due attrici più piccole
In un precedente scritto, riferendomi alla presenza delle due giovanissime interpreti nella piece, ho parodiato la loro performance in "piccole donne crescono", due piccole donne che raccontano una fiaba agli adulti, capovolgendo per una volta la dinamica del fabulare. Inutile dire che i bambini le favole sanno raccontarsene molte da soli, nel gioco, e che nella realtà ne raccontano molte e fini agli adulti!
La fiaba di cui stiamo parlando è però davvero terribile; a ispirarla Gilles de Rais e probabilmente anche Enrico VIII; ma non meno crudele è quanto oggi i mass media possono  divulgare con il diritto di cronaca, quando raccontano ad un pubblico adulto, dietro il quale ascolta quello dei piccoli, le tragedie della violenza, dell'indifferenza, dell'abuso. Una fiaba intrisa di "speranza" e spietato disincanto, dove la presenza della "curiosità" quale movente, poco convince e poco addolcisce.
La dolcezza, invece delle due giovani attrici in erba, piccole Rebecche pronte per il "pasto del Ragno Gigante" o l'intelligenza e la sensibilià per fuggire agli inganni, ha convinto tutti. E per un attimo abbiamo tutti creduto (persino io che lo sapevo) che la più piccola sapesse leggere!
Abbiamo visto così "crescere" la favola dell'amore che ti trasporta sulle ali di un destriero volante (perchè appartiene ai sogni) e che ha bisogno del tuo "sentire" per non rovinare pericolosamente al suolo, o dentro una soffitta buia.
Ringraziamo le due interpreti per il sogno che ci hanno dato, sperando che i nostri siano morbidi e chiari per fare loro compagnia, senza paura. Director

Presentazione del romanzo Complemento Oggetto, di Flavia Pitorri

“Me ne vado. Non ti saluto e chiudo la porta. Le chiavi non mi servono,
 le butto  nella cassetta delle lettere e mi resta solo il tonfo
 mentre cadono giù. Però, tu mi rimani sospeso, senza cadere,
con lo sguardo dell’ultimo giorno al mare davanti alle margherite”

L'Atelier di Drammaterapia Liberamente è lieto di ospitare la presentazione del romanzo "Complemento Oggetto" di Flavia Pitorri -venerdì 17 dicembre. L'autrice sarà lieta di autografare il volume ad amici, conoscenti ed ospiti.
Il romanzo naviga le acque inquiete ed dense di una relazione di una coppia che si scopre in crisi e decide allora, momentaneamente, di salpare mari separati. Decisione tutt'altro che serena, condivisa. Il tempo dopo è quello di un inteso riesame dei propri ricordi congiunti alle scoperte del presente. Vecchie edizioni di sentimenti ed idee, verso l'emancipazione dal proprio dolore.
Interverrà il giornalista Mario Ciotti ed il Creative Drama in-Out Theatre, diretto da E. Gioacchini, offrirà una breve piece tematica sul rapporto di coppia: Lei, Lui, Sempre Forse. Attori, Maria Pina Egidi, Gianni De Angelis.  Musiche di George Gershwin.
A seguire un buffet natalizio.
Comunicato Stampa-Net

Info: info.atelier@dramatherapy.it - Cell. 3403448785

Drammaterapia & Blue Beard




















Foto di Scena di "Blue Beard, To Want, To Need, To Be",
riduzione drammaterapica dalla fiaba di J. Perrault,
di E. Gioacchini, Compagnia dell'Atelier di Drammaterapia
 LiberaMente, 11 dicembre 2010, Roma

mercoledì 8 dicembre 2010

Blue Beard ed il Climax della drammaturgia

Il climax dell'opera che vi apprestate a mettere in scena si situa in punti specifici della trama rappresentata:
  • nel secondo atto, nel moto di fuga fantasticato da Rebecca: …fatemi uscire da questo castello, ha bruciato i miei desideri ed ora congelerà  il mio cuore, per sempre nel buio!";
  • nel tezo atto, durante qualche passaggio dell'intenso monologo di Rebecca: "...ed il loro reciproco bacio più volte in quelle stanze e poi… quel luogo…Brivido lungo ed interminabile, che percorre la schiena ed i fianchi, per fermarsi proprio sul cuore. Una puntura che parla d’attesa e paura, un canestro di costato, muscoli e nervi che costringe il suo piccolo cuore. Una morsa crudele, senza aria. Continuò a piangere, anzi a lamentarsi. Questo la riportò ai pianti dell’infanzia, nenie di abbandono e fuga, consolazione e dolore, dove le cose si muovono lente ed il ritmo è dato da un respiro forzoso e scomposto, rotto e incostante, come nel bacio".
  • e lungo tutto il percorso del terzo atto, in alcuni particolari importanti passaggi di Blue Beard che veste il pensiero di altri ilustri uomini storici; Freud, Gilles de Rais, Fromm ecc. 
E' in queste "zone" della drammaturgia che tutti gli attori prima, in crescendo, lavorando nella preparazione e quelli dopo, nella specifica rappresentazione delle parti, debbono esprimere l'apogeo del pathos. In questi specifici passaggi tutta la compagnia, con l'attore immaginato al centro, con il suo sacerdozio, ha il compito di traghettare il teatro tutto verso un livello superiore che, se usa il "verbo", questo stesso supera nell'immanenza del sentire quanto sta accadendo. Per suggerire un'immagine che ho trovato sino ad ora la più pertinente ed intensa nelle descrizioni della letteratura, vi propongo Cortazar, in alcuni passaggi finali del Fissatrigre, quando descrive tutta la famiglia "rapita", irretita nell'operazione di "fissare la tigre" con l'apparato appena costruito, e, importante, comunque sia andata e qualunque il risultato (fatto che riporta a quella "solitudine" del pensiero che è insieme partecipe nella comunanza che altri vivono la stessa esperienza). Blue Beard è metafora di vita, dove attori, Barbablù e sua Sposa, e spettatori, quelli seduti e loro stessi, osservano il labirinto che essa contiene.

lunedì 6 dicembre 2010

Drammaterapia: il Creative Drama & In-Out Theatre pronto al debutto

@ Director

In qualche post precedente ho spiegato come un teatro "drammaterapico" sia una sfida, non solo relativamente a questo mio gruppo che lo sperimenta, ma rispetto al suo statuto e da qui desidero ripartire per proporre qualche importante riflessione agli attori, prima della piece in programma.
In cosa cosiste questa che ho definito "sfida", quali sono i limti che intende superare, quali i confini? Il vero problema da superare è essenzialmente l'assenza di un limite da superare! Nel setting proprio della drammaterapia (qualunque il contesto in cui essa lavori), vi sono i costanti moti centripeti e centrifughi dei partecipanti e del gruppo che convogliano il chaos di quanto emerge nell'incontro con il testo in tentativi di cosmos, restituendo forme provvisorie di performance e incessantemente propedeutiche ad altre successive. Il processo drammaterapico lavora in questo modo, ponendo in crisi gli adattamenti "fisiologici" delle proprie modalità di reazione e modelli della realtà, quali sollecitati dagli stimoli interni ed esterni, producendo "drama", non necessariamente accompagnati da insight. Ovviamente, il concetto di "propedeutico" è il risultato di una lettura a ritroso della dinamica, perchè immancabilmente caso e variabili non controllabili determinano punti di arrivo e nuovi turning point.  Qual'è il carattere distintivo dell' In & Out rispetto di quanto occorre comunque in qualsiasi altro setting di drammaterapia. La specificità di quanto io designo con In & Out è l'imput che il drama del soggetto può generare nello stesso e negli altri, così come i drama collettivi. Se il drama costituisce nel soggetto l'espressione di quanto evocato dall'interpretazione (la performance dell'attore), esso, riconfigurandosi come ulteriore stimolo (In), evocherà a cascata ulteriori output significanti (Out), capaci di far modulare sintomaticamente il copione recitato. Il soggetto non compie scelte, ma è agito dal testo che a sua volta si modifica nell'interpretato, nella ricerca di quella "distanza estetica" tra ruolo ed interprete. La verosimile condizione di light trance evocata dalle sottolineature che il director compie su quanto performato, con rimandi impliciti (simbolici) alle ragioni più profonde di quanto mostrato, funge da amplificatore di tutti quei "ganci conscio-inconscio" che canalizzano l'espressione più autentica (non necessariamente spontanea) del soggetto. Tutto questo si traduce proprio nella rielaborazione dei contenuti del testo da parte del director o dalla creazione vera e propria di un testo teatrale, quale risultato delle dinamiche simbolicamente esperite dal gruppo.
Se modificazioni intervengono quindi nella persona (come agurabile), non riguardano certamente le abilità interpretative, che evidentemente si affineranno con il tempo (e non dovranno mai costituire l'obiettivo del setting), ma piuttosto una diffferente modalità di progettarsi, che rimanda alla "creatività" quale espediente per uscire dall'empasse del pregiudizio, del repertorio conosciuto, proprio perchè si è abitato contenuti e modi differenti, attraverso l'azione performativa ed i suoi rimandi più profondi. Questa, succintamente, è la dinamica che interviene in questo peculiare setting dove si utilizza lo strumento del teatro come un bisturi per le realtà interne del soggetto e quelle culturali del gruppo.
Ma cosa accade in un teatro drammaterapico, che appparentemente sembra solo spostare nel rapporto con il pubblico e in un lavoro definito (la piece) quanto già in azione nei consueti laboratori del gruppo? Ho già discusso precedentemente il ruolo che ha il "rituale allargato" rispetto a quello "ristretto" (del setting di drammaterapia) in questa tipologia di teatro; di come la piece non costituisca il fine del processo drammaterapico, ma piuttosto come quest'ultimo utilizzi la piece quale situazione "catartica" che riattualizza tutto quanto già sperimentato. Quanto riassunto fin qui è per sottolineare un punto fondamentale: nel corso della piece si ha un laboratorio "totale" (come totale è questo teatro) per la presenza di un pubblico che costituisce la realtà fattuale di quanto precedentemente solo proiettato all'interno del rituale ristretto. Per l'attore, mentre "recita", il "come se" s'incontra magicamente con lo "è" seduto o in piedi davanti a lui (mentre dall'altra parte, quella dello spettatore, è quanto produce l'attore a costituire il "come se"). Consideriamo però che, nel caso della drammaterapia, la performance dell'attore è elemento di trascinamento delle sue realtà scomposte e ricomposte sulla scena molte volte, della sua fantasmatica che serve il gioco di tematiche universali (anche proprie dell'umanità che lì assiste) e di altre, più personali, che costituiscono "storie" vere, anche se silenziose o sino ad allora taciute e sconosciute anche allo stesso attore. Questo è l'intreccio di realtà e finzione, la prima "finta" e la seconda resa "vera" in quanto "possibile", che genera movimenti di catarsi nel corso dello spettacolo. E l'attore non può sottrasi a tale titanica impresa, piena di responsabilità, che, ancora una volta, non ha epiloghi previsti, ma solo percorsi possibili.

domenica 5 dicembre 2010

BLUE BEARD, TO WANT, TO NEED, TO BE, 11 dicembre 2010



Atelier Drammaterapia Liberamente
per le Risorse, 2010 e il CDIOT
      presentano 
     Blue Beard, To Want,
    To Need, To Be
 PIECE DRAMMATERAPICA IN QUATTRO ATTI, DI E. GIOACCHINI

Cosa chiede Barbablù e cosa gli nega Rebecca?
Cosa cerca quest’ultima e da cosa scappa? Un gruppo di teatranti cerca,
attraverso la propria autenticità sul palcoscenico, di mettere a nudo il rapporto
conflittuale
della coppia storica, esplorando le ipocrisie sociali, i miti personali,
il gioco di attrazione e paura che vi è nell’amore.

Roma, 11 dicembre 2010, h 20.45
 presso VideoAmbiente
Regia e Scene di E. Gioacchini
Aiuto-Regia, M. Pina Egidi

LA COMPAGNIA: lucrezialeslygiulianaelisagiorgiavanessaermannomarlenepino
toninamariapinacatiagiannispartaco
COSTUMI, margheritaermanno
UFFICIO STAMPA E PR.
Flavia Pitorri, f.pitorri@dramatherapy.it
FOTOGRAFIA, Claudio Gioacchini
Cell. 340-3448785

sabato 4 dicembre 2010

Drammaterapia: i personaggi invisibili

@ Director

Signore, signori, amici, colleghi…le star di questa piece non sono le Rebecche, né i Barbablù; non va ricercata nella partecipazione straordinaria delle “giovani donne crescono” del prologo che narra la fiaba. Perfino il “destino”, personaggio di tutto rispetto del nostro “Blue Beard, To want, To Need, To Be”, che tanto conduce il gioco del play, visibile in un atto, ma comunque presente ed incombente su tutti gli altri, non risponde a questa privilegiata etichetta. Tutti questi sono bravissimi, ma la star è un'altra. Difficile presentarla, perché non è nella locandina, ma gira in ogni strada, rubando applausi, e dietro quelli pianti, sorrisi, segreti, monologhi, chiasso, silenzio e spesso creando anche diversi inconsapevoli danni.
Si chiama “Vento”. Proprio così, impalpabile, ma capace di spostare persino il destino di un uomo, o di una donna, qui di dialogare con i miei attori.
Quando una settimana fa, con il gruppo degli attori, l’ho introdotto nella piece, nelle tracce musicali, ho dovuto presentarlo e spiegare come il suo importante uso in quanto si andava rappresentare era intensamente simbolico, come molte cose ospiti del palco, ma “lui” di più. Ha avuto la funzione di spingere alcune urla tra le stanze del castello, di diffondere lo strazio del pianto di Rebecca, di far volare in alto il sogno dell’amore di Barbablù e delle sue spose, eguali, diversi? Non importa, sempre verso l’alto dei cieli e poi nel basso della perdita, a terra. Ha fatto scivolare il pettegolezzo sopra i muri di stanze troppo grandi eppure piccole per bastare a Rebecca, poco proprie per avere porte che appartengono "di più" ad un signore padrone. Ed i sospiri? Anche quelli sollevati, come le vesti modello Mondrian che ho disegnato, che mi hanno tagliato altri (la sarta di scena), che gli attori si sono cuciti, costruendoli.
Il Vento non sposta solo le case, il mare, appena appena tagliato in lunghe ferite di breve durata dalle vette aguzze delle montagne, esso spinge le vele della conoscenza, trasporta il profumo dell'amore, della guerra, della preda, del tamburo, alzando alto il fumo dei nostri segnali. Scompiglia i capelli degli uomini troppo importanti, rende “folle” il cielo di una notte stellata sulla tela di Van Gogh, rende concerti unici soffiando l'organo di un canneto. Riesce a rompere i piani della tua gita fuori porta, o a farti uscire da quella nella bella giornata che dopo viene. E poi, se sei stata troppo ferma ed al riparo da lui, nelle tue stanze dorate, lascia che tu capitoli nella storia di qualcun altro. Allora io gli ho chiesto di soffiare forte per portare Rebecca nel suo passato, nella casa paterna, materna, fraterna, domestica, povera, ricca, sognante e disperata insieme. Chi meglio del Vento può spostare il tempo e non solo quello atmosferico, se può rimettere in moto una pendola o suggerirci che molto tempo è trascorso da quella volta...
Ecco ora ha avuto la sua presentazione, per il resto lavorerà con noi e voi cucendo e scucendo sogni e realtà. Vi ringrazio.

venerdì 3 dicembre 2010

Drammaterapia: mentre Barbablù muore...

Stasera, o meglio...ieri sera, ancora una prova zeppa di "prove" che avrebbe steso qualsiasi "attore" e che, invece, ha alimentato l'energia del processo drammaterapico. Esso procede dietro aggiustamenti e correzioni (in realtà imput fondamentali di quell' "IN" del processo stesso) che rendono scomoda la parte, impossibile la pigrizia, perseguibile il sia pur momentaneo equilibrio tra ruolo ed interprete. Un terreno "scomodo", dicevo, eppure ricco di sorprese. Avete visto una bambina di sei anni tra le braccia "improvvise" dell'attrice che performava sul dolore e la disperazione; che a comando decideva di "fingere" un pianto" ed il modo migliore era riderlo sotto le braccia incrociate, mentre l'attrice pericolava la sua vita ed il suo destino. E poi...le carezze che salvavano come ciambelle nei marosi da quel tunnel di morte.
Ed ancora...l'"orgasmo" che si tramuta in disperata ricerca di una fine, purchè quello finisca nel suo aspetto di annientante atto di sacrilegio della tua persona, se essa è divina, come si dice, se appartiene solo a te. E l'irruente atto di accusa Libertà all'ipocrisia dell'umanità giudicante, appollaiata sugli spalti di un circo dove si rappresenta la "vergogna" e la "speranza" a confronto! L'ipervia strada di Beatrice che "drammatizza" un mondo più grande di lei, con occhi grandi, voce grande, giudizi grandi del director, dissacranti le fortificate mura della prudenza e dell'oblio tenuti stretti al posto di una "memoria" dolorante! I fantasmi, ancora giovani, di Stella e Gea, che fanno parodia dell'interpretazione dei "grandi", invece così piccoli e felici al loro guitto balzo di vita, ortica e margherite dei vent'anni! L'affanno di Astra, così azzeccato, punteggiante una parte davvero difficile. Ed ancora il dire di Bleu, così salvato dalla carezza di quella bimba. Spettacolo esorcizzante la paura del morire, piuttosto che la morte, quella del soffrire, piuttosto del dolore...perchè simbolico e trasversale ad esperienze diverse, giocate insieme in quel luogo e tempo di prove.
Mentre Barbablù muore in tanto festinoso slancio di promesse e speranze, entusiasmi ed amicizia, Rebecca diviene più prudente, non servendo più la storia degli altri. Entrambi più "sani" direi, alla vigilia di quell'11 dicembre in cui l'epilogo di una storia vera, ridiventa ancora una volta una potente fiaba. Così lavora la drammaterapia.

mercoledì 1 dicembre 2010

Drammaterapia, la responsabilità dell'attore

L'aura magica che accompagna l'attore in prossimità di una prima (ma, nel nostro caso, di un piece drammaterapica davanti al pubblico) è fatta di emozioni ed eccitazione. Egli si sente in qualche modo "sotto esame"...la memoria, i movimenti di scena, ecc..e, allo stesso tempo, capovolge "magicamente" la logica dell'esame che accompagna l'individuo per tutta la vita: è lì per mostrare, dare, offrire. Proporre .E si spera nella statistica che assicura sempre il plauso di almeno uno spettatore!
Cosa propone l'attore di drammaterapia, in questo istituendo teatro? Nell'ultimo scritto mi riferivo a quel personale filtro che è la sua persona, attraverso il quale ha lavorato il processo drammaterapico. Gli si conceda l'emozione, fatta di piacere e scrupolo, libertà e responsabilità, con l'occhio saggio alla eccessiva schiuma del narcisismo! Anzi che gli si permei nella matrice proteica delle sue ossa! A sostenerlo e renderlo appunto "attore" della sua parte, in bilico nella sconfinata libertà della performance e la compresa responsabilità di una relazione con i suoi compagni ed il pubblico. Il palco, la ribalta, il proscenio, lo spazio tra il pubblico che probabilmente calpesterà sono insieme la terra che conosce, liscia, ruvida, accidentata e confortevole che egli ha sperimentato sotto i piedi da sempre e il luogo specialissimo dove la "vita si celebra", fingendola. Per questo Grotowsky arriva a definire una "messa", laica, il teatro e sacerdote l'attore; per sottolineare questo "mandato" di "potere" che egli ha, che gli permette di spaziare, ma anche ricordare il limite angusto dei sentimenti che la vita spesso ospita. Nulla è facile; può essere semplice nella sua complessità, ma non facile. Di qui l'allenamento e la cura al gesto ed al verbo che non tradisca mai l'autenticità della sua persona.

Ieri sera, serata di prove e parlavo ai partecipanti del luogo privilegiato che ti mette davanti, dietro, sotto, sopra, intorno delle persone ad ascoltare e vivere quello che tu hai da dirgli e dirti, con il cuore e la mente; con la tua mente conscia e, dietro quella, il tuo inconscio. Tra i tantissimi privilegi, che debbono far esprimere all'attore un diffuso senso di gratitudine verso il pubblico (il "dono" di cui Grotowsky parla) vì è quello di farsi arbitri consapevoli del "Destino" per chi si ha davanti. Mi spiego. Gli spettatori non conoscono il racconto che lì viene narrato, non lo conosceranno finchè non sarà svolto, svelato, gli attori sì (ovviamente). Eppure questi ultimi si fanni disponibili per il pubblico alle proiezioni del suo presente, nel momento in cui la piece le suggerisce, complici di questo hic et nuc significante per loro ed insieme hanno però la consapevolezza di conoscere l'alfa e l'omega di quella trama, di essere essi stessi la storia, il nastro che si sta srotolando nel presente della sala,  e nel tempo più infinito della preparazione, delle prove, delle elaborazioni e della conoscenza di tutta la storia. Tant'è che essi potrebbero saltare da un punto all'altro di quel tempo a cui si assiste, come un "dio" fuori del tempo a "rappresentare" il presente. E se poi essa fosse stata già conosciuta, se chi "assiste" è lì per "viverla" ancora "dentro£ attraverso i recettori del "fuori", egli sta chiedendo che quel nastro si riavvolga e si svolga ancora per lui, perchè è il suo "senso" a rapirlo, certamente non l'allestimento scenico.. L'attore, allora, mentre svolge quel "destino", che è la storia, ma che è anche il tempo dello spettatore in quella, deve farsi capace di sentire la responsabilità di essere potenziale arbitro (mai esaustivo per carità!) di quel che avviene nelle emozioni e nel pensiero del pubblico. Con quello fare questa condivisione che, magicamente rompe linee di divisioni ed annulla le diversità. L'umano dà spettacolo e l'umano l'osserva. Forza miei "attori".

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

COMUNICATI STAMPA