@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

martedì 30 settembre 2008

"Si lo puoi mettere nel blog se pensi che..."


"Si, lo puoi mettere sul blog se pensi che... e' un qualcosa che possa aiutare a maturare qualche riflessione a qualcuno di noi". Credo possa farlo, Antonio, poi ti spiego il perchè...

"Sicuramente e' una canzone che merita di essere ascoltata relativamente al modo in cui io l'ho scoperta. Un abbraccio. Antonio Ianni, Irlanda".
Ciao dottor Gioacchini, come andiamo tutto bene? Si ricorda...quando le dissi che tre anni fa nel volo Dublino/Roma incontrai Riccardo Cocciante ed ebbi modo di conoscerlo personalmente e fare con lui due chiacchiere? Glii feci i miei complimenti e gli dissi:"Eh maestro, con Margherita ne ha fatta innammorare di gente!" -e lui mi sorrise in maniera molto gentile. Poi gli dissi: "Maestro, me la fa una dedica...un autografo?"- E lui: "Cosa vuole che le scriva nella dedica?"- Io:"... ma non so veda lei!" - Lui allora scrisse: In fondo anche questa e' poesia! Riccardo Cocciante.

All' istante fui contento, ma poi tornato a casa pensai: ma vaffanculo, ho incontrato Cocciante, uno dei miei idoli della mia infanzia che mi scrive "In fondo anche questa e' poesia"! Mi dicevo... che cazzo di dedica m'ha fatto...e' troppo generale; un maestro della sua altezza mi ha scritto due cazzate per togliermi dalle palle. Questo lo poteva scrivere a Francesco come a Mario o a Piero, insomma...a chiunque! Fino a che ho ascoltato questa sua canzone che non conoscevo:

>http://ie.youtube.com/watch?v=A-4c0M-ZXG8&feature=related

Certamente il maestro Cocciante oggi non sta pensando al Ciociaro che ha incontrato sul volo Dublino/Roma, ma quel giorno...mi ha dedicato la sua canzone!!! In fondo... anche questa e' poesia! Un abbraccio, Antonio

Che dirti...Antonio. E' quello che io indico per buona suggestione: quello stimolo importante che ti giunge da presente o dal passato, che è fatto di percezioni esterne od interne, ma che riesce ad "attualizzare" dentro di noi, potentemente, un'emozione, un ricordo, una vicenda, un'aspirazione. La suggestione non è un fatto, ma un motore che mette in moto molte cose, che può...mettere in moto molte cose, anche a distanza di tempo, se si ha la fortuna o la voglia di ritrovarle dentro. Si, credo che oltre a farci deliziosamente sorridere...il tuo soliloquio iniziale, ci fa molto riflettere la tua poesia in fondo! Grazie, Ermanno

Foto: Riccardo Cocciante

lunedì 29 settembre 2008

Ali: accadde davvero... Irina Arkadina del Gabbiano di Anton Pavlovic Cechov



Accadde davvero…”: la potenza di questa espressione, pensateci, è strabiliante. Qualcosa è avvenuto e ci viene detto che la cosa è fuori di ogni dubbio. Si sottintende la straordinarietà del fatto realmente accaduto, ad onta della possibile incredulità dell’interlocutore. Si sollecita, urgente, la sua attenzione ed in quell’accadimento ascoltato sembra anch’egli coinvolto con la sua responsabilità: la conoscenza. Il fatto lo riguarda a distanza di tempo e luoghi, ragioni e diversità. Persino il committente può passare in secondo piano, rispetto al processo che rivela. Esso non riguarda le cose fuori, ma si cuce tra trame interne e fatti narrati.

Accadde davvero…” è quanto io sottintendo nel processo drammaterapico, quel passaggio rischioso quanto rivelatore che supera per qualche attimo il "come se..." del teatro, per coinvolgerci profondamente e misteriosamente -non tutto quanto accade deve essere esplicitato nella teoria. Ha ragione Nina nel dire che il margine è quello di trovarsi "in bilico" o il già detto "sul filo del rasoio" di qualche post fa. Qualcosa, che sta accadendo ora, pesca nell'intimo serbatoio del già accaduto, quello storico, personale o sociale, archetipale o biologico; come la paura che qualcosa di non conosciuto altrimenti ci sovrasti, se non detto. Non voglio sottindendere una ermeneutica dell'inconscio, ma i nostri lettini lo dimostrano quanto le quinte del teatro: insomma è davvero salvifica quella narrazione che ci sottrae all'ignoranza dall'ignoranza e ci restituisce -dico "r e s t i t u i s c e"- la conoscenza. Potenza del "drama", del processo drammaterapico, che sia azione dentro o azione fuori, quando la persona si "riprende" la responsabiltà del suo ruolo primario, "centrale", all'interno della propria rappresentazione ed in questo caso "propria" in tutti i sensi. In questa dinamica cogliamo quello che io indico per concetto di "centralità" del processo drammaterapico. L'operazione allora diventa "autentica", se non si è nascosti a se stessi dietro il personaggio, comodo o scomodo che sia, l'abbiamo già detto; denudati di inutili orpelli -perchè non funzionali ad alcunchè in quel frangente- può agire tra noi ed il pubblico -che sia il gruppo o gli spettatori- il senso dell'"atto di auto-penetrazione -Grotowsky .
Ed allora, vi dico…accadde davvero che Irina Arkadina fosse un mostro, consapevole o meno –poco importa-, vittima del tempo, delle circostanze, di un amore a sua volta negatole, lo sappiamo. Potrebbe questo fare lo sconto a quanto “avvenuto”?. La ascoltiamo suggerire al fratello di dare uno sguardo a Treplev -al suo Kostja quanti ne sono stati negati o quanto egli ha potuto in solitudine sospettare da parte della madre-, non lo vede affatto bene! Il giovine ha tentato un suicidio, vero falso (?) sapremo poi che era stato un vero tentativo -persino...la madre ora conosce questo anche se si interroga maldestramente sulle ragioni del gesto-, del quale dovrà quasi scusarsi con la genitrice: "impulsivo" questo è quanto dice di sè chiedendo un implicito perdono. Eh sì, il ragazzo sembra ammalato di ozio -Piotr Nikolàevic Sorin. E' vero: l'ozio, quello spazio vuoto che rende appunto vuote di senso le cose, spogliate di quella credibilità che solo un amore primitivo, forte e certo, può dare...ed allora ogni cosa si lascia lì in disparte: hai ragione, caro zio, Kostja è ammalato di ozio! Psicologicamente lo chiameremmo grave "disinvestimento affettivo".

Il fatto è che accadde davvero che Irina Arkadina fosse una madre “non sufficientemente buona” e l’amore di un figlio non potrebbe mai correggere la deplezione di quell’invisibile ma di certo, sostanza in circolo, fluida -tanto s'adatta...-, circolatoria, né rossa, né bianca che nutre scorrendo tessuti ed anima dell'individuo: l'amore della madre. Fino a che le madri hanno avuto l’istinto ad esercitare tale “cura”, la sorgente biologica di una cascata di vita che da un certo punto in poi, nell’evoluzione, non si è mai fermata, non vi sono stati problemi: cuccioli accuditi; sottratti al predatore o persino uccisi per la salvaguardia di altri. Da un certo momento in poi qualcosa è sfuggito alla natura e da allora le madri hanno imparato ad interrogarsi sulla loro funzione, sul loro senso, questo è innegabile. Dove non è avvenuto, un cucciolo capriccioso di nome Nerone, se non ha realmente incendiato Roma, ha tuttavia legato il proprio nome alla rabbia, alla capricciosità delle condotte, all’impulsività senza pensiero. Ne abbiamo piene le pagine della storia e della letteratura, della musica e della pittura e non vogliamo scomodare la mitologia!

E’ accaduto davvero che Irina Arkadina si dimenticasse di una parte profonda di se stessa, quella “genitrice” e l'istinto non gliela suggerisse più. C’è da sospettare che proprio questo peccato originale le abbia tolto la forza di sentirsi credibile nell’amore per Trigorin, così troppo presa nell'avviluppato narcisismo dell'attrice brava sul palcoscenico ma che, per importanti versi, non sa vivere. Certamente agli occhi del vecchio Sorin, suo fratello, appare un poco dura ed in uno scorcio di dialogo privato tra fratelli –ma il Gabbiano è tutta una storia privata nello sfondo di un mondo lontano che sta già cambiando!- anche rabbiosa: non ha abbastanza soldi per sè, come potrebbe per il figlio?! Denaro, affetto, l’incredibile costante prostituzione tra amore e potere nelle pagine di Cechov, una storia intessuta con il filo del rimpianto; persino di quello anticipato nelle predizioni negative di quasi tutti i personaggi; tra le parole di un maestro che si sente così poco riconosciuto e pagato per il suo ruolo -sic...i nostri giorni!-e così poco amato da una Masa che finalmente sposerà ed appunto un Arcadina afflitta da più gravi problemi che non l'essere genitore: “…Non è che non abbia denaro, ma sono un’artista: già le sole toilettes mi rovinano”.
E’ probabile che vi sia resistenza ad ammetterlo in noi, ma accadde davvero che qui sia stato tratteggiato, impietoso e crudele –se non fosse per quelle mani che fasciano davvero tanto bene le ferite dell’amore, il carattere di una di quelle madri –perdonate l’ardire- non troppo raramente descritte da qualcuno dei miei pazienti, quando a loro è accaduto. Provate a digitare in google “mamma compri solo profumi per te” e sfacciato, in un casuale blog al femminile, vi appare questo contenuto:

“…quando una mamma compie gli anni, è sempre un bel problema da risolvere”

Allora...Tra qualche giorno sarà il compleanno di una strega ...ehm.. di mia Madre.Io non so cosa regalarle, anche perchè lei ha di tutto e di più, ha anche più del superfluo.Pensavo di scriverle un bigliettino del tipo:" Mamma adorata,anche quest'anno saremo assieme. Presenzierò nella tua vita speciale. Firmato: La tua figlia speciale". No. Scherzo. Sono nel pallone. Potrei fingere di dimenticarmene, come faceva lei quand'ero bambina (" Eh... sai... non ho avuto tempo di prenderti niente... e poi... avevo da fare, mi è uscito di testa. Auguri, Alice!"), ma sarei troppo stronza e non voglio abbassarmi a un tale livello. Quindi mi rivolgo a voi: sbizzarrite la vostra fantasia, date sfogo alle vostre voglie represse e trovate un'idea per un regalo semplice,ma d'effetto. Possibilmente " frou frou", che a mia madre piace tanto lo stile "tutto fronzoli, niente sostanza". Vostra V.

Ci scuserà l’imprevista ospite del rimando al suo sito –e non mancheremo di informarla-, ma la storia infinita continua e continuerà ad accadere tra mamme fortunatamente sufficientemente buone, caro John Bolwby, e tanto dolore forse incapace di far crescere ali.

Foto:
Irina Nicoaievna Arkadina," La Mouette "(1978) Designed by François Barbeau / © François Barbeau
"Drammaterapia, The Sea Gull, Wings" Atelier Liberamente 2008

domenica 28 settembre 2008

I Predestinati


@ da Nina
a proposito di..."The Sea Gull, Fourth Act: KONSTATIN GAVRILOVIÈ ..."

Ciascuno di noi vive un rapporto transferale con un preciso personaggio cechoviano. Accarezzandolo, l’attore lo fa suo; altrimenti si effonde, in lui, un economo ripudio: conferma che il ruolo assegnatogli è quello giusto. Comprendo che per alcuni assumere l’identità del personaggio possa diventare non solo insopportabile, ma crei un dissidio interiore non trascurabile. Gli elementi trasfigurati che la “mano” del Director porge, ci trasformano in funamboli, in bilico tra sogno e realtà. Un passo occasionale e cadi giù. Così stramazzi per terra scorgendo l’irreparabile durante la caduta, senza un’accogliente rete salvavita: per metafora, vorresti solo braccia possenti che amorosamente ti accogliessero “nella quiete dell’abbraccio”. Sì, vorresti braccia. Al diavolo la rete! Tuttavia, se quell’abbraccio accade, sappiamo che esiste solo nel sogno. E allora viene la voglia di strappare il copione. Questa realtà è scomoda. Fa male. Si tinge del lutto di Maša: nero perenne, non-colore egoisticamente infaticabile nel proporsi. Il nero assorbe le pigmentazioni colorate del vivere, costringe nella strettoia delle esistenze, la morsa avvincente del cappio rivelatore.
Kostja si rivela, teme il cappio senza evitarlo. Povero Kostja: gli occorrerebbero più anticorpi, una sostanziale elaborazione corticale affettiva per stimolare le sue difese neuroimmunitarie. Tutto è finito. Kostja lo sa. Kostja è l’unico a saperlo. La sua detestabile consapevolezza arreca disturbo. È antipatico, melenso, nichilista, perché ha il coraggio di rivelarsi nudo, fragile, senza vergogna nel palesare il suo disperato dolore, i sentimenti occulti. Ha a precisa volontà di non ammucchiarli nello scantinato delle menzogne o dell’ipocrisia. Viene da amarlo questo Kostja, nella rilettura del Director. In fondo, la sua parete rocciosa riesce a scalarla. Ed è solo nell’impresa, perché non c’è madre, non c’è Nina. Emergono da un sogno, vive, palpitanti, Irina Arkadina e Nina Zarecnaja: “donne impossibili” anelate, amate,consumate. Ciononostante, nelle loro imperfezioni umane, da amare indissolubilmente. Riesce assurdo non degnarle di qualunque sentimento, pure nello scarto generazionale che le ricompone entità unica. Se la donna è «capace di eroismo morale» (Clemente Rebora), Irina e Nina non portano in sé nessun elemento eroico. Aggiungo: per fortuna! L’eroismo non fa parte della fiction cechoviana: si elude, almeno nel Gabbiano. a realtà scomoda, inusitata, si raccoglie nel pallore livido fatto di nervi, rabbia e parossismo di Kostja. La madre l’immobilizza, lo inchioda con le sue “mani”. Esse portano con sé amore ed impostura, il ricordo di un bambino in riva al lago. Il bambino-felice: l’uomo-infelice. Ogni “mano” insostituibile è la “mano” che vorremmo fare nostra. Le “mani” sono testimonianza d’affetto, tenerezza, amore, passione. Chi accetta di essere accarezzato non potrà più farne a meno. Vale in qualsiasi rapporto d’amore, ed è peggio dello sniffo al tabacco di Maša, se quelle “mani” vengono poi a mancare. Un uomo e una donna sono i predestinati. Credo fermamente che l’uomo manifesti lunghi tempi di solitudine prima di concedere dolcezza ed intensità. Teme di confondersi, scoprirsi incongruo, instabile. La donna, invece, sarebbe capace di farsi lisciare da “lupi e leoni”: vedi Irina e Nina con Trigorin. Pur di essere amate, esse fanno qualsiasi cosa; pur di raggiungere il successo o riconfermarlo; abbandonano nel solito scantinato gli affetti più intimi. Ed è sempre lui che manca dal loro universo: Kostja.
Kostja non fa che sognare e sperare, ormai drogato di mancanze, con la disillusione in atto. Fonde quel pianto amaro di rimpianti e desideri, slabbrandosi la pelle con un proiettile. Kostja scrive una struggente lettera alla madre, e commuove questo passaggio:“… ora comprendo che è quanto si dice ad avere importanza; quella è la vera bellezza del pensiero, quella che scaturisce dall’anima […] Ho lottato, senza volerlo… vi giuro, contro il vostro disprezzo acredervi, perché voi non mi avete creduto… Perfino Boris Alekseevic trascinaste via per il timore di perdere l’amore, mentre avrei sperato che fosse il dolore di vostro figlio a farvelo allontanare dal lago, dalla mia Nina […] Se non puoi avere quello che ami, è la tua speranza, dentro di te, che muore […] Il mio stesso amore mi uccide…
“Quando un sentimento muore,” –avrebbe potuto rispondergli l’Arkadina–“fosse Boris Alekseevic a lasciarlo morire, o Nina nella condizione di donna corrotta, oppure io, che ti generai perché ti possedessi come una cosa buttata là… Una cosa da fasciare, accudire, viziare tra un mio vizio e l’altro. Tra un vizio e l’altro rammentarmi madre, e per una volta soltanto farti sentire di averti amato non come una cosa buttata là, abbandonata al disfacimento morale, e infine dimenticata… ". Tua madre una grande attrice, ma non ama la verità!... Spera solo di perdere il senso di ciò che è stato… E allora, giunga benedetta la censura del dolore attraverso il tempo! Aiuti a modificare, nel patrimonio della memoria, le ‘mani’ che avvolsero il figlio senza mai stringerlo…”Cosa resta a Kostja? Amare per non essere ri-amato. Ancora una volta il dualismo fatale illusione-disillusione. Fatale perché lo porterà ad unepilogo gestuale: Kostja, così eternamente ladro e derubato dei suoi stessi pensieri, infatuato speleologo della parola teatrale, lui rimodellerà il gesto della “mano”. Lui, soltanto lui, farà ritorno alla “mano” carezzevole. E saprà amarsi dentro l’amore negato, facendo volare il suo gabbiano. Credo che lo spalancarsi di quelle splendide ali non debba suonare comeconsolazione. La consolazione è lo strumento raccogliticcio dei perdenti. Solo –senza l’invocazione della “mano”– e finalmente libero, egli si proclama elemento Aria.Kostja sarà di ritorno da quel volo. Lo ritroveremo trasformato, dopo il fiotto sanguinolento della sua breve esistenza. Le sue “mani” estatiche non avranno limiti. Si abbandonerà in un abbraccio nuovo, infinito, d’incanto. Una donna –a riceverlo.
Saprà ricominciare, aperto a un vero amore inaspettato. No: predestinato.
Foto: "Drammaterapia, The Sea Gull, Cechov"

giovedì 25 settembre 2008

The Sea Gull, Fourth Act: KONSTATIN GAVRILOVIÈ TREPLEV


Cara madre,
ieri pensavo che le bende dovrebbero essere lunghe quanto la mia vita indietro…forse quella avanti, per dare un senso a quanto vivo. Ve l’ho detto, voi fasciate bene, come non altri...con le vostre mani. Le conosco. Esse d’improvviso mi fanno sorpassare tutto il tempo che mi separa dall’infanzia e mi riportano ad immagini care. Lo scrisse Dostoevskij...” Non vi è nulla di più elevato, di più forte, di più salutare e utile per la vita avvenire di un bel ricordo, specialmente se è un ricordo dell’infanzia…” Allora ero felice, ed anche negli anni dopo le rive di questo lago hanno carezzato i miei sogni. Voi eravate lontana, ma le vostre mani continuavano a dare calore ai miei sogni. Essi…divenivano sempre…più…solo miei. Ho odiato il vostro Trigorin, ne ho avuto buon motivo, lo sapete e voi stessa avete sostituito la paura all’odio e… per non perderlo continuate da sempre ad inseguirlo, come i vostri sogni. La fede nel vostro teatro, di voi stessa sulla scena…vi impedisce di perdere, ad onta di essere così poco amata. Egli si è sottratto al duello…e voi dite che è un grande! Che grandezza c’è, ditemi, a vivere di se stessi; neanche con il pubblico egli ha un confronto….lo dice…insegue le sue novelle come un predestinato per nascondere a se stesso la coscienza che Turgenev è già esistito! No, non preoccupatevi, gli serve la vostra lusinga, come serve a voi la sua vicinanza. Il mio destino, invece, è di non potervi odiare, ne potervi amare come vorrei…e la cosa si va ripetendo, né voi cambiate…sempre troppo distante da quanto scrivo, da quanto vivo. E sembra che mi sia negata la possibilità di decidere, di scegliere in questa altalena di sentimenti, che si nutre di se stessa.
Prima credevo in forme nuove e mi accanivo dietro il disprezzo di quelle vecchie, di un teatro obsoleto, imprigionato…ora comprendo che è quanto si dice ad avere importanza; quella è la vera bellezza del pensiero, quella che scaturisce dall’anima. Ma la mia è sempre stata troppo ferita, per non sanguinare sulla scena del teatro, della vita... che tanto amo. Ho lottato, senza volerlo…vi giuro, contro il vostro disprezzo a credervi, perché voi non mi avete creduto…Perfino Boris Alekseevic trascinaste via per il timore di perdere l’amore, mentre avrei sperato che fosse il dolore di vostro figlio a farvelo allontanare dal lago, dalla mia Nina. La leggerezza degli anni migliori, che anche Nina ha conosciuto, si allontanò d’un tratto, cadde senza più un senso come un gabbiano morto…se non puoi avere quello che ami, è la tua speranza, dentro di te, che muore, ancora più dolorosamente di quell’immagine che scompare…Per questo uccisi il “gabbiano” e lo deposi all’evidenza -essa si crudele- di quanto non esisteva oramai più.
Mi sento schiacciato tra due grandi divieti a poter amare, riamato, ed il mio stesso amore mi uccide. Ho vissuto troppo tempo sentendo che la vita mi negava ed io ho tentato di negare lei, piuttosto che la cesta ingrata delle impotenze degli altri…Ora Nina sembra fuggire ancora da me per il sogno infranto del suo gigante Trigorin, continua ad amarlo…ed ancor più di prima; il palcoscenico vi ha premiato e punito perché nessuna cosa dura eterna…la gloria di un vita e l’amore che vi metti dentro e credo debba essere stata dura, anche per voi, la cinica sostituzione dell’attrice nei panni della giovane donna invaghita dell’uomo importante…non lo avreste mai sopportato sulla scena, lo rimuovete nella vita. Le vostre delusioni, di voi tutti, si accaniscono contro di me, contro la potenza del mio sogno, del mio desiderio. Non ho necessità di soffrire per il sogno infranto di Masa… così ho regalato anche io dolore a qualcuno, senza volerlo. Le forme cambiano…a volte impiegano più tempo ed energie ad evolvere, altre volte non lo faranno mai…ma l’intenzione del mio amore per quanto di sacro era in Nina rimane un gabbiano. Lei sogna ancora di diventare una grande attrice; glielo auguro….e si dice ancora gabbiano, poi si corregge e preferisce ricordare con lo spettro di Trigorin (!),Turgenev, che conta più un “luogo caldo” nel quale nascondersi, nella propria casa; quella che non vuole. No, credo che a volare sia solo il mio gabbiano, e quanto ho amato e mi ha riamato nella vita, quando è stato, la mia speranza può volare anche se è spenta, perché ha il fuoco dentro ed attende altri che l’accendano. Le ali non smetteranno di battere solo per questo, anche se più non spero, né attendo.
Oggi libero il “gabbiano”, quello che non ho mai deposto ai piedi di alcuno, né ha subito ferite od insulti. Lo lascerò volare sui destini delle persone e so che non molti si troveranno ad alzare il capo, a cercare sulle proprie mani, tra i ricordi e la voglia di sperare. Conoscere il suo volo è già consolazione. L’avervi creduto il mio senso. Vostro figlio, mi mancate senza avervi mai perso, Konstatin Gavriloviè Treplev

Foto: "The Sea Gull, Konstatin Gavriloviè Treplev" di E. G.

venerdì 19 settembre 2008

The Sea GuIl, Atto Quarto, Monologo di Trepliov: il Cuscino


"Il cuscino si ribella alla solita impronta. Non dico che si sottrae e neanch'io cerco un contatto diverso, ma niente è più come prima. Me ne sono accorto in questi ultimi cinque giorni; tu alla locanda, senza voler vedere alcuno ed io qui con un sonno inquieto, sogni bizzarri.
Dov'è il sogno di un tempo, la pausa, il lavoro silenzioso dell’anima? In tutti questi anni mi sono ingannato a credere che fossero solo le ore del giorno ad imbrogliarmi, a essere imbrogliate, la fatica di ricordare e cercare di non ricordare troppo la mia Nina. Se l’espiazione del giorno per la ferita mortale di un abbandono in qualche modo ti salva, di notte nessun conforto! Qui... inchiodato nella contraddizione di tenere e lasciar andare, ho lasciato aprire, senza dargli il permesso, un grande lago, appena increspato per vedere o sperare di leggervi dentro, dove forse mille cose si ripetono e molte si sono orami trasformate. Sembra che solo le mie novelle siano sempre le stesse, solo loro apparentemente fanno a meno di me e di lei. Chissà se volano ancora i gabbiani... No...no ne ho visti in questi giorni; almeno mi sembra...E così ora capisco di dormire male, perché nel luogo e nel tempo della notte forse non voglio far dormire tutto quello che è accaduto prima, né quello che è precipitato dopo. Ma poi è davvero così strano “non dormire” come “un tempo”? Non è proprio lei che ha sconvolto la mia percezione della vita e dell’amore e che manca, come sempre mi è mancata, a dare un senso a tante mie nuove scoperte, rimaste orfane di prova, di certezza? Ed allora come non aspettarmi che giorno, che notte, ma che dico... (?) che la vita stessa possa darmi segnali di assenza, come una mancanza di numeri che un matematico all’infinito si ostini a cercare di ripetere , che sia giorno, che sia notte… Questa sera mi addormenterò con questo pensiero di vuoto inspiegabile, perchè troppo mio e probabilmente sta avvenendo per l’umiltà di essermi scoperto impotente a fare del ricordo una presenza e del dolore una ragione. Non so se sognerò, ma se questo avverrà…beh dovrà riguardare qualcosa che non può essere più fermato, stavolta, comunque sia, come un corso d’acqua sorgiva, che dice, trasparente nelle tue mani, che non è quello che fai a darle un senso, ma da dove è nata".
Foto: "Impronta sul Cuscino", The Sea Gull, Anton P. Cechov

mercoledì 17 settembre 2008

"The Seagull", Anton P. Cechov, III act: "thaes ofereode; thisses swa maej"


After a long time, Trepliov decides to write a greeting card to Nina. Perhaps it is late, but he is sure she will understand. He would prefer an intimate communication, written from his heart and whispered from his own voice, but he fears to be trivial:
"Nina, I desire you, regardless of whether you are here or in my thoughts and memory. And then... I feel this instinct... this sudden and intense symbiosis of desires and emotions, that I have always felt with you. It's almost like a spiral... making physical distance less painful. Sometimes, due to external events, it opens its arms and then tightens them in a whirl, when I meet you... In the end... may this message reach you as my loving and sincere wish, together with a kiss, since, unlike two years ago, we didn't see each other for the holidays on the shores of our lake... "Thaes ofereode; thisses swa maej"*. Kostia
*"that passed, so may this", from the Old English poem Deor
Thanks to Emiliana Bianchi (Scottland) for her significant tip
Link: http://www.heorot.dk/deor.html

Trepliov, dopo così tanto tempo, decise che le avrebbe scritto una biglietto di auguri, in ritardo, ma lei avrebbe capito. Anzi sarebbe stato meglio una comunicazione più intima, scriverle con il cuore e sussurrarle con la voce, ma temette di riuscire banale:
Nina, ti desidero, che tu sia qui o che ti pensi o che ti ricordi. E poi c'è questa questione dell'istinto... di una imprevista ed intensa simbiosi di desideri ed emozioni, da sempre sperimentata con te. Si tratta quasi di una spirale... che a volte, a causa di eventi esterni allarga i suoi bracci, fatto che rende meno dolorante la distanza fisica, per poi stringerli nel vortice quando t'incontro.. Ed infine...vorrei che questo ti giungesse come mio affettuoso e sensibile augurio insieme ad an bacio, giacchè non ci siamo visti per le feste, come due anni fa, sulle rive del nostro lago. Quello è passato, trascorrerà anche questo. Kostia".

Foto: "Drama Therapy,The Seagull, The Lake" Atelier Liberamente 2008

martedì 16 settembre 2008

Myrtillocactus Geometrizans


"Quando nominiamo la ‘psiche' evochiamo simbolicamente l'oscurità, la più fitta che possiamo immaginare"
Carl Gustav Jung

L’illusione è quanto pensavamo credibile, augurabile, possibile nell’atto del disilluderci. Essa possiede la verità della negazione soltanto quando si disvela tale; prima, appunto, come dice Nina, quel “muto sentore d’implacabile verità”, che forse già ci accompagna –meno muto, ovvero meno nascosto- quando quell’attesa sta già per tradirci e lo avvertiamo.
Nel teatro, la profezia è già disvelata; lì, scarna di dolore perché già decisa, se tu non glielo dai, è attaccata al personaggio, ed egli ti chiede supplichevole il miracolo del “come se…” -come un medium intercedente da parte dell’autore- di essere interpretato, di dare svolgimento a quanto di scoperta, dolorosa o d’amore. Il medodo, Stanislavskij od altro, il percorso attoriale ti aiuta in questo paradigma della finzione scenica; prende le tue corde, tra affetto e sentimento e ti fa suonare quel drama, lo usa come un gigantesco specchio dove far riflettere il dolore dell’uomo e quindi la speranza della salvezza da esso. Lo spettatore non soddisfa i suoi occhi, le ghiandole lacrimali o soltanto le contrazioni diaframmatiche utili al sorriso; è il suo inconscio a riattualizzare dentro e fuori la compagnia di vicende simili, ricostituendo ancora per magia la simbiosi duale con il “materno”, il “paterno”, il luogo familiare dove non si è soli.
Nel processo drammaterapico accade questo e qualcosa di anche diverso: il "dramma" vuole attraversarti, che si risvegli più o meno silenziosamente la tua storia, si solleciti la dialettica con un autobiografia invisibile, del possibile-altro dentro di te, riaprendo il ventaglio delle opzioni. In tal senso, ad ogni passo, la “profezia” –come la storia dovrebbe andare a finire, per dirla volgarmente- rischia -essa sì!- il tradimento, il sovvertimento degli affetti e delle idee conosciute. Ad accompagnarti nell’"Ade", il regista, i compagni di cordata, forse speleologi peggiori di te; ma è la loro motivazione, come la tua, ad essere bussola in questo viaggio. Nella peggiore delle ipotesi, se catarsi non avviene, quel processo ti mette in profonda discussione: il dialogo degli opposti approda a lidi nuovi, inusitati se all’usato” ti spingeva la parte. Perché questo avvenga, perché quel fiore del Miyrtillocactus Geometrizans possa nascere, lungo il fusto spinoso -perché imprevedibile- del suo verde “cinico” e schivo alla “bellezza” formale, serve la tua autenticità. Essa nasce dalla disperazione-senza-pianto -"distanza estetica" dal drama- di perdere ogni “stampella”, da quel nudo atto di auto-penetrazione -Grotowsky- che ti chiarisce e ti fa visibile nella tua fragilità, a te stesso ed agli altri, senza peccato. Un processo silenzioso che si sostituisce a quello altrettanto “muto” dell’illusione. E' lì che puoi usare e credere nell'aiuto della centralità del tuo "ruolo" nella parte, lungo l'asse che sciamanicamente ti situa tra terra e cielo a renderti responsabile della tua storia e delle sue possibilità. In mezzo a strade già tracciate, belle, brutte, grandi o strette, ora vi è la Tua e questo è "ri-nascita".
Foto: "Myrtillocactus Geometrizans"

domenica 14 settembre 2008

Fiorirò nel far fiorire


@ da Nina

Se l’illusione è muto sentore d’implacabili verità, la disillusione è apprendimento di quell’incauto errore. Dunque, il mutismo lascia il posto all’implacabilità della sconfitta. Errore e sconfitta = dolore. I protagonisti del Primo Atto de Il Gabbiano, profetizzano l’ineluttabilità d’una sentenza. Nina testimonia l’oracolo comunicandoselo per prima. È inciso nella sua pelle e nel suo cuore. In lei vi è già una terribile certezza. Teme nel dirsi, nel rivelarsi. Teme di rivelare agli altri personaggi ciò che conosce, eppure lo fa: “Cari attori, caro pubblico, è ILLUSIONE questa vita temuta e rincorsa, mutevolmente felice ai miei e ai vostri occhi”. Teme nel dirsi, nel rivelarsi. Teme di rivelare agli altri personaggi ciò che conosce, eppure lo fa: “Cari attori, caro pubblico, è DISILLUSIONE la menzogna degli occhi. Sappiate che sono mentitori i miei e i vostri occhi!”. Come tacere ciò che l’anima può solo mormorare? E il cuore? Il cuore è lontano da ogni stoltezza, è l’unico a sapere. Sappiamo che all’altezza del cuore un fragile nido può essere capace di assorbire il terribile esistenziale della disillusione. La ragione del buonsenso ci porterà a ri-considerare, attraverso invenzione e azione drammaterapica, quel raggio di luce che sorge dalla tenebra e che si chiama “speranza”.

Invenzione e creatività, sempre nel contesto drammaterapico, sono perfettibili condizioni per tentare di connettersi positivamente al singolo destino. Come se ogni personaggio, simbolicamente “morente”, accogliesse il suo doppio, simbolicamente “sorgivo” -nel concetto di trasmutazione. In molti post ho scritto della realtà fulgida del cambiamento. Oggi lo preannuncio così: “Fiorirò per far fiorire”. Lo strumento teatrale permette che ciò avvenga. Che l’immagine-sogno di una Nina contemporanea prometta a Nina Zarecnaja la concretezza del suo fiorire; che Nina 2008 più Nina 1896, nella partitura-genesi ritualizzata dal Director, siano la fonte sorgiva di una terza Nina: “Fiorirò per far fiorire”.Proiezione nella proiezione. Teatro nel teatro, nel sogno teatrale. Sogno e carnalità. Immaginazione e realtà avveniristica. Espiazione e riscatto. Disillusione e speranza. Amore. Tutto questo non avviene nel Primo Atto dell’opera. Accadrà. Intanto la Nina che vedremo comparire oltre il sipario, collocata dove deve stare, lieve ma dignitosa, occhi all’ingiù –poi all’insù, questa Nina sarà, nel sogno reale, morta “alla propria vita”: anche se non accetterà mai l’infelicità. Griderà sommessamente contro il “feroce” drammaturgo russo: grande idealista ed intellettuale rivoluzionario, uomo operoso nella causa dei deboli e degli emarginati. Infelice quanto le stesse creature del suo Gabbiano. Non dimentichiamoci degli altri protagonisti. Riporto qui una citazione di C.G. Jung per dare forma scritta a ciò che “immagino” avvenga in ciascuno di loro –benché possa sembrare un processo interiore negativo.Nelle parole di Jung, secondo me, la comprensione della disillusione: “Solo allora [il protagonista siamo tutti noi, N.d.A.] comprenderà che il conflitto è in lui, che discordia e tribolazioni sono le sue ricchezze, da non dissipare aggredendo gli altri, e che, se il fato dovesse esigere da lui il pagamento di un debito sotto forma di colpa, si tratta di un debito verso se stesso”.

venerdì 12 settembre 2008

Quando non c'è il sole, impara dal freddo


@ da Nina
(commento a "...you need to reconnect...")

L'immagine è assolutamente filmica: porzione infinitesimale di una vecchia pellicola virata, seppur moderna e fortemente contestualizzata nel presente storico. La vita di questo bambino è un tenerissimo chiostro di speranze. È proiezione esitante di passi, orme impastate nella farina spettrale della memoria.Davanti a sé, si pronuncia lieve l’istantanea d’una viandanza.

Non ho nulla da mangiare. Farina e lievito mi avrebbero impedito d’ascoltare questo continuo lamento allo stomaco. Ho fame, tuonano ricordi di pane: croccante e dorato, lo inzuppo nel cremoso latte di capra. Appena munto è caldo, buono, comprensivo. Bevo il sapore della mamma. Dio, ti prego! Dovrà pur finire questa terribile tempesta nella pancia! Facciamo che ne inizia un’altra.Sotto il letto tremo. Ascolto le bombe -e tremo. Ascolto il cuore –e pompa.“Sotto il letto, Dimitri! Stai tranquillo… andrà bene anche stavolta”. Sto bene, mamma. Bevo latte di capra. Da quel giorno ho smesso d’ascoltare, ché puzzava di sangue e fuoco. Ora cammino. Lecco resina appiccicosa, lacrime d’albero nella pioggia di millefoglie… No, non c’è nessun albero. La natura s’è scordata di vivere. È stonata, dura, ma io osservo l’arcobaleno: mentre cammino e mangio polvere, lo guardo avvicinarsi. Sorrido. C’è il sole. Una volta mamma mi disse: “Quando non c’è il sole, impara dal freddo”. Non fa freddo. E non si spengono gli occhi.
« Ciak! Buona alla prima! Ottimo lavoro, ragazzi… Facciamo un attimo di pausa, poi andiamo avanti con le riprese ».
Cinema-dramatherapy.

Foto: "Biglie" di Nina Maroccolo, collezione privata, 2006

...l'invenzione...


@ da Dedalo
(commento a "...disillusione e speranza, può la seconda correggere la prima?")

Sì, vi è più di una speranza, per noi. A un patto... Amici la vita è piena di ricatti e condizioni; che si lavori profondamente e con invenzione il processo drammaterapico. Altrimenti Cechov ci schiaccera', per troppa poca finzione, per incauta ed imprudente spontaneità.”
Mi ha subito colpito il riferimento all’ “invenzione”, perché avere inventiva significa concepire la situazione che abbiamo davanti come qualcosa che non è rigidamente fissato, ma come un luogo in cui è possibile muoversi, cercando magari di creare quel pertugio che ci faccia sbucare al di fuori, rompendo le pareti e facendo "fuoriuscire" il tutto perchè si rimodelli e cambi. Bisogna però crederci, altrimenti si corre il rischio di incappare in quella “troppo poca finzione”.
E bisogna poi anche “lavorare profondamente” e con impegno, perchè il nostro movimento fluido possa essere possente e realmente creare quelle onde e aprire quel pertugio che rimescolino le carte in tavola, e anzi ne formino di nuove, dalle forme e dai colori diversi, materiali oppure d’aria, oppure fatte di suoni e odori, o sensazioni di freddo o caldo o temperatura mite; oppure di un dito che ci sfiora e ci fa vivere o ci fa azare lo sguardo, girando su noi stessi in senso orario e poi all’inverso, magari cambiando noi stessi colore, per dividerci e volare con le nostre braccia che si assottigliano fino a diventare ali e poi pesci con gli occhi luminosi che cantano…
Quando venerdì abbiamo parlato dei movimenti sulla scena dei personaggi e dei loro significati, quando abbiamo parlato delle luci che si accendono e poi si spengono, e degli sguardi che si alzano e si abbassano, e delle entrate da sinistra o da destra, e del sipario, delle disposizioni dei posti,..., tutto questo mi ha fatto pensare ancora una volta a quante possibiltà e significati ci possano essere, ai significati che si possono attribuire a certi gesti, ai molteplici effetti che questi ultimi possono generare. “Una Nina che sfiora l’Altra quasi a darLe vita”. Può sembrare un’immagine forse banale, ma mi ha colpito in quel momento l’idea che possa bastare un semplice contatto per far nascere qualcosa. E poi mica deve essere per forza un contatto. Chi ci obbliga a pensarlo? Bisogna credere che sia possibile. “L’aspetto fideistico” di cui il nostro Direttore ci parlava in uno dei suoi post circa il Fissatigre: "E' clausola fondamentale che la tigre accetti di essere fissata o che subisca in modo che la sua accettazione od il suo rifiuto non abbiano importanza" (Julio Cortazar, da Storie di Cronopios e di Famas, Ed. Einaudi); e scriveva il nostro Director: “com'è che non vi sia distinzione tra le due cose? Quello che ci si para avanti, se è docile e soccore il nostro tentativo, tutto può procedere, ma se non così che cos'altro garantisce che non sia importante? La Fede. E' l'aspetto fideistico, nella sua dimensione sacrale, non religiosa che qui si evoca”. Dunque bisogna crederci, nella vita come sulla scena, pena quella troppo poca finzione che significa averci rinunciato, non aver tentato, non aver provato, non aver oltrepassato quel limite, atto questo che fa espandere il nostro essere, che ci porta sulla sommità di una collina e ci fa vedere quello che c'è dietro, una vasta pianura, una visione panoramica dall'alto e poi dal basso, uno spazio grande grande, con il vento che soffia sul viso, il cielo che ora siamo anche noi, ma con i piedi che ci fanno essere anche quella vastità di terra che si apre ai nostri occhi. E saper immaginare che quella piana è ancora più grande, ancora più grande... Scrive il nostro Director che bisogna guardarsi anche dall'"incauta e imprudente spontaneità". Mi sa tanto che ancora una volta vuole fare riferimento a quella disciplina da cui scaturisce l'autenticità, a quella tenacia e perseveranza che diventa costante e "profondo lavoro". Oltre a crederci, insomma, bisogna pure impegnarsi. Facendo un parallelo con il teatro, senza un costante impegno si può incappare in quella spontaneità troppo superficiale che non permette di andare a fondo dentro noi stessi, di autopenetrarci, di usare davvero la parte come un bisturi-come dice Grotowski. Nella vita, senza impegno si rischia di vanificare capacità e intelligenza, qualità e opportunità. Si rischia di vanificare Noi stessi, quella Luce che è in Noi.
Scrive il Director in un precedente post: "...vi è ancor prima quella angosciante pigrizia fatta di inerzia che rende esule dal nostro orizzonte l'indagine, lo sforzo, la tenacia. Ed è con quest'ultima che dobbiamo confrontarci...l'intenzione che precede l'azione e quella sottende. L'atto che smaschera la pigrizia e la fa abitare in un luogo nuovo. Dove senta il bisogno di nuovi abiti, gesti e verbi, aggettivi e pause".
E' da quella angosciante, tremenda pigrizia mista a paura e insicurezza che non dobbiamo farci schiacciare. Dobbiamo crederci e con impegno e costanza e consapevolezza lavorare per realizzarlo.
Foto: "Tibet Rosa" di Nina Maroccolo, collezione privata, 2006

Il bambino non è un bambino


@ da Azzuro
(commento a "...you need to reconnect...")

Il bambino non è un bambino. E’ un Esploratore. Cammina su un pianeta che non è il nostro, sotto un cielo che non è il nostro. Si avventura in un mondo sconosciuto, senza paura e senza timore. Incosciente nel senso più puro del termine, nel senso non negativo, di colui che non è cosciente perché non ha riferimenti esperienziali. Occhi vergini, limpidi, pieni di curiosità e di meraviglia. Trabocca di emozioni sconosciute, avvolto in un profondo godimento, mastica ogni dettaglio su cui si posa il suo sguardo, lo gusta e lo assapora soddisfatto. Ogni suo passo è un po’ come il famoso passo di Neil Armstrong. Un grande passo per se stesso, un balzo in avanti che lo proietta verso nuovi orizzonti, nuove frontiere, nuovi universi. Oggetti carichi di negatività incontrati lungo il tragitto, escrementi di cane o di uccello, animali velenosi, piante urticanti, sono colti con un genuino stupore, uno studio appassionato privo di pregiudizi e condizionamenti, che passa per il contatto, le sensazioni tattili, olfattive, gustose, uditive…In questo viaggio, un po’ il capostipite dei viaggi, non c’è meta. Il viaggio in sé è la meta. Una meta che si rinnova sempre perché indefinita e intangibile. Siamo sempre tutti ossessionati dalla meta, dal fine, dai traguardi. Ma spesso la meta è la fine, la morte dei nostri desideri e delle nostre ambizioni. Raggiungere lo scopo agognato ci lascia insoddisfatti, ci accompagna un senso di sgomento, di “cosa faccio adesso?”. Siamo un po’ come proiettati in avanti, desiderosi della nostra evoluzione, concentrati sui nostri obiettivi. E perdiamo il gusto del quotidiano, del viaggio, solitamente molto più lungo e duraturo della meta. Forse bisogna un po’ perdersi nel quotidiano, ritrovare il gusto delle cose scontate, già fatte mille e ancora mille volte. Ma possiamo sempre riscoprirle con occhi nuovi, da nuove prospettive ed angolature. Ritrovare il gusto del caffè della macchinetta dell’ufficio, solitamente bevuto durante una conversazione un po’ futile e, in fondo, neanche assaporato.
Foto: "Tibet Blu" di Nina Maroccolo, collezione privata, 2006

giovedì 11 settembre 2008

..disillusione e speranza, la seconda può correggere la prima?

Disillusione e speranza, la seconda può correggere la prima?

Disilluderci...in fondo la doppia faccia del dolore e finalmente della comprensione! Se in quel sentimento riusciamo a scoprire il valore di quanto "improduttivamente" ci siamo appunto illusi -anche se si cresce attraverso sconfitte, dolore e perdita, oltre al successo, il piacere e la conquista-, vi sono buone possibilità di sperare in un "aggiustamento del tiro".
Questo sembra però vietato ai giovani e meno giovani interpreti de "il gabbiano". Stretti nelle morsa generazionale che li situa tra dolori storici, presenti e presentificati -non sapevavamo forse tutti e bene che Kostantin si sarebbe ucciso?- essi vivono speranze incaute, pericolosi tranelli, la trama esatta e venefica del "fallimento" per loro commissionato da "mister Cechov"; così urla sussurrando -non c'è niente di peggio- la Nina, la prima, nel primo atto!

Ma per noi ci sono speranze! In fondo, ma proprio in fondo ce ne sono state anche per Cechov, proprio sulla scena della sua opera ha incontrato il suo amore, la donna che sposerà e -fatemi dire con una punta di malignità!- ad onta del director, di Stanislavskij! Mie fantasie...Certamente la sua passionale anima, in difesa del "giusto", più che del patriottico, il suo indomabile idealismo e le sue paure giovanili debbono avera avuto una folata di venticello fresco e buono in quell'incontro. Peccato, però, durato assai poco.

Si, vi è più di una speranza, per noi. A un patto... Amici la vita è piena di ricatti e condizioni; che si lavori profondamente e con invenzione il processo drammaterapico. Altrimenti Cechov ci schiaccera', per troppa poca finzione, per incauta ed imprudente spontaneità. Vostro Director

mercoledì 10 settembre 2008

the Seagull, Anton Cechov


Alcune note a margine del primo atto de "il gabbiano" (laboratorio di drammaterapia, venerdì 5 settembre)

Il primo atto della nostra piece, oltre a costituire l'ovvia premessa ad un testo che si svolgera nel corso degli atti successivi come avviene in ogni lavoro, ha l'importante funzione semantica di "legenda" di una architettura teatrale specifica. Mi spiego...

Quello che va offerta allo spettatore è la cornice simbolica del lavoro che, in questo caso, è costituta proprio dalla rappresentazione del "processo drammaterapico" in una piece drammaterapica, proprio in una sorta di meccanismo a matrioska. Il Gabbiano di Cechov subisce una rilettura in termini drammaterapici come testo e questo viene lavorato e rappresentato attraverso un processo drammaterapico da parte degli attori.

Quale è questa ri-lettura del testo? Per alcuni dei personaggi, ma perfino per Cechov stesso chiamato in causa sul palco, viene realizzato un "doppio": Cechov che scrive il testo dovrà chiedersi qualche cosa su quanto crea nei personaggi, nel ruolo comodo/scomodo in cui li individua e questi potranno a tratti arrivare a spogliarsi della veste "tradizionale" data dall'autore e giocare al rischio dell'invenzione.

Due sono le tematiche portanti questa psicodinamica che si affacciano sin dal primo atto:
  • Nina ed il suo doppio -Nina Zarecnaja-, in una collocazione temporale diversa, ma entrambi contestuali al tema che Cechov lancia tra amore/ambizione/speranza/disillusione. Esse tuttavia convivono, addirittura nello stesso abito ed arrivano anche quasi a toccarsi alla fine del primo atto; l'unione però non si attualizza per la diversità delle partenze e degli approdi.

  • Cechov e la rivolta dei suoi personaggi. Qui, quanto accade all'attore durante il processo drammaterapico, viene massicciamente ri-proietato sull'autore. Egli sarà costretto ad interrogarsi, come accennato, anche se il processo viene solo annunciato; riprenderà nell'ultimo quarto atto.

Il primo atto è quindi la prefazione "profetica" di quanto sarà lì a svolgersi successivamente: tutti i temi proposti dall'autore -Cechov- vengono collocati nello spazio scenico e si svilupperanno poi con l'entrata di altri personaggi. Perchè l'operazione sia assicurata, si assiste ad una enfatizzazione di alcuni elementi della macchina teatrale: lo spazio, le luci, il sipario; ed ancora le entrate/uscite dei personaggi ed il Narratore, personaggio-guida, medium tra gli attori e gli spettatori.

Foto: Una scena ripresa da "il gabbiano" di A. Cechov, nella piece di Stanislavskij

domenica 7 settembre 2008

...you need to reconnect!

Cara "quasi Compagnia", caro Atelier,
venerdì scorso abbiamo ricominciato a lavorare e questo sappiamo che significa qualcosa che va oltre gli incontri ufficiali, tra le pieghe non visibili degli incontri del nostro "mondo". Se un bambino "straniero" era quello che ci guardava qui sotto, nel precedente post -straniero come a noi stessi è spesso la nostra realtà più profonda-, se abbiamo parlato ancora di autenticità e "centralità" -non ti preoccupare Plinio, torneremo sul concetto moltissime volte...-, se qualche umida commozione è stata ancora "tollerabile" in un setting che psicoterapico non è, ma tuttavia aperto allo scambio ed alla condivisione (mi si comprenda!), è ancora un "bambino" che vi propongo e questa volta in lingua straniera...perchè fatichiate, vi alleniate a quell'attenzione che spesso cade paurosamente nella vertigine più paurosa del nulla...E vi chiederò, sempre in lingua straniera (chi ne è alieno chieda a Neko un aiutino!), chi sia....cosa stia facendo, dove stia andando, quali i suoi pensieri e timori, prospettive e scrupoli, progetti e direzioni. Ma gà...ora che ci penso....se vi chiedo tutto qui...poi non vi sforzerete di comprenderlo dopo...! Bene...s'inizia. La mia idea, ma soltanto la mia, che egli assomigli un poco al nostro gruppo ed alla sua prossima strada? E' una scena realistica, è vero, ma anche resa in forma di fumetto...perchè egli è in bilico, prezioso, tra la fantasia ed il mondo reale. Del resto è solo un fotogramma...Beh diamogli forza. Vs. director

You asked me to help you discover your skills and abilities; that's the reason you partecipate this community as well as increasing your creativity.
Now, give your attention to me. Take a look at the photo below and let your imagination to drive you, trust your fantasy!

Who is that child?

What he is doing?

Where he is going?

What about his mood?

Do you remember, as a child, daydreaming? Imagining what you would do when you grew up, what you would do when school was out for the summer, what you would get for birthday gifts, etc? Well, as an actor, it is important for you to reconnect with that skill of imagination and imagining. Cause you are planning to use "drama" as "write fiction" in the action, it is especially important. To reconnect with this skill begin to do things that will help you reconnect with this ability. Plan a vacation, build a home, refurnish your current office or home, pretend you are going to buy a car. There are many ways to get your imagination restimulated so have fun and do this as often as possible each day. Be sure you get your regular activities completed as this can be so much fun you might want to really get into the project. An easy way to get the pictures to begin to flow more quickly is to imagine what is behind a simple scene, a photo or also an idea surfing your mind! Then in your mind it will be easier to create more pictures, different possibilities, other choices. Next, begin to plan for a short story you will write, about the subject you've imagined. As you create every part of the story, write it down so you will get used to capturing the creative flow from your imagination.

Where that little boy is going?

Foto: Dramatherapy & Childhood

martedì 2 settembre 2008

posso...chiedere?


@ Dedalo

"I nostri giudizi frettolosi, i luoghi comuni, l'immortalato tribunale della verità, della bellezza, del giusto, potente, grande, ricco, ci separa dal contatto intimo (= solo nostro) con le cose ed il loro senso per noi". Leggendo ora questa frase, mi è venuta in mente l'immagine di un bambino, molto piccolo, che guarda quello che si presenta alla sua vista e cerca di capirlo, scoprirlo, affrontarlo, magari farselo amico oppure piegarlo alla sua volontà. E allora piega il capo di lato, lo guarda da un'altra angolazione, poi magari si avvicina, lo tocca e gli dà un bel morso. E se la mamma o il papà lo allontanano dal suo oggetto di studio, lui non si lascia distrarre dal suo intento; no, lui non ha ancora capito, non è soddisfatto, e se c'è una mano forte a tirarlo via, questo non significa per lui che si deve arrestare nella sua ricerca. Già pensa, appena la stretta si allenta, di riavvicinarsi a quel mobile, a quella credenza, a quel particolare angolo, e riassestare un altro bel morso, perchè lui ancora non ha capito. E se la mano forte non lo lascia, il suo sguardo rimane lo stesso fisso all'oggetto di studio, il capo e il volto girati verso l'indietro, mentre le sue gambe si adeguano a quell'allontanamento, consapevoli che per il momento non c'è niente da fare, quella mano è forte. Ma lui non s'arrende mica. Intorno i parenti ridono e scherzano, qualcuno lo chiama "mordicchio", ma lui dal suo seggiolone guarda serio verso il mobile. E prepara i dentini.
31 agosto 2008 11.19

@ Director

Accidenti o..accipicchia...non ricordavo di aver scritto questa cosa! Infatti, è assolutamente vero...non l'ho mai scritta io! Ma è stata scritta...Si, Accipicchia va meglio!

Foto: "Curiosità"

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

COMUNICATI STAMPA