Rilettura del testo di E. Ionesco, creazione II scena
Il lavoro attoriale sul testo di Ionesco e le drammatizzazioni nel contesto degli hypnodrama che hanno avuto luogo hanno privilegiato gli elementi specifici deegli attori, nell’impatto con I ruoli ed il conseguente processo di rielaborazione private. Il “filtraggio” del testo attraverso quanto l’esegesi critica del testo ha attivato in profondità e ciò che indichiamo come processo dramaterapico; il risultato attuale, parziale, è la seconda scena del “Il Rinoceronte” come rivisitata nella creazione con quanto percepito, osservato, ascoltato e interpretato –agiti e discussioni- con il gruppo,
Tutti I personaggi della seconda scena (Le Cose Si Mettono Male) ruotano intorno a tre tematiche principali:
-La sterilità del linguaggio quando diventa l’esclusiva espressione delle convenzioni sociali o della razionalità. Il linguaggio diventa allora anonimo, riproducente categorie semantiche che approssimano l’identità comunicata con il messaggio -ogni messaggio èportatore di un'identità-, la considerano solo se catalogata e con valore statistico pregnante;
-La autoreferenzialità –egotismo- come utilizzata dall’individuo sotto la pressione di un pericolo e che genera una comunicazione non empatica, perché egli non si può “situare” nel sociale sia come individuo, che come appartenente ad un gruppo (cfr. la ricerontite);-La perdita di autonomia del giudizio dell’individuo in seno ad un gruppo ed il suo contestuale adattamento allo plastico, fino al pericolo del plagio, in condizioni di grave disagio sociale, reale o suggerito (cfr. la Big Lie del Nazismo)
-La sterilità del linguaggio quando diventa l’esclusiva espressione delle convenzioni sociali o della razionalità. Il linguaggio diventa allora anonimo, riproducente categorie semantiche che approssimano l’identità comunicata con il messaggio -ogni messaggio èportatore di un'identità-, la considerano solo se catalogata e con valore statistico pregnante;
-La autoreferenzialità –egotismo- come utilizzata dall’individuo sotto la pressione di un pericolo e che genera una comunicazione non empatica, perché egli non si può “situare” nel sociale sia come individuo, che come appartenente ad un gruppo (cfr. la ricerontite);-La perdita di autonomia del giudizio dell’individuo in seno ad un gruppo ed il suo contestuale adattamento allo plastico, fino al pericolo del plagio, in condizioni di grave disagio sociale, reale o suggerito (cfr. la Big Lie del Nazismo)
Tutti e tre i temi si riferiscono alla paura dell’uomo, all’inconciliabile confronto tra istinti di vita e di morte –come non potrebbe non essere-, ma qui conflittuale, perché attraversa la personale esperienza dei personaggi-interpreti nell'impatto con l'opera.
La potenziale “fragilità” dell’individuo non è rappresentata dalla fiducia che vi può essere una salvezza, una verità –l’intera storia della spiritualità, della scienza, della filosofia si è costruita su questo-, ma nel sentimento di essere “condannati”, se questo non occorre o non può essere raggiunto. Falsi dei, leaders o guru, allora, divengono apostoli della “giusta" pratica, qualcosa che promette di raggiungere la verità negata, mentre, teoricamente dovrebbe essere corretto il percorso inverso. Commissionare un quesito ed offrire la contestuale possibilità di risposta è la tecnica di “marketing” più antica del mondo! In realtà, in questi casi, la verità è data come un postulato, incontrovertibile -una bugia ripetuta molte volte spesso diviene una indiscussa verità- e ne consegue che sia “giusto” raggiungerla ad ogni costo.
La “rinocerontite” è dilagante, ma questo fatto non riguarda soltanto coloro che ne sono affetti o dove il processo si è già concluso (rinoceronti), ma anche quegli individui “apparentemente” immuni. Il problema, dunque, non è fattuale, identificabile in ispezioni esterne (cfr. le ferite “esterne/interne” della Anziana Signora della seconda scena), ma squisitamente psicologico e sociologico. La "massa" è ad essere “infetta”; il sospetto può infettare quasi più dell’infezione! O si è dentro o si è fuori, ma dato che non è possibile stabilirlo, ci si deve affidare gioco-forza a chi promette salvezza. E più la transizione dallo stato di quiete sociale a quello di incognita è veloce, più esso è in grado di cooptare adesioni, iscrizioni al "partito" e crociate. La “statistica” del pericolo è superata da quella di una possibile salvezza promessa.
La “ricerontite” –dice il sottotesto de “Il Rinoceronte” e quanto i nostri attori hanno lavorato nella creazione della seconda scena – è una malattia insidiosa, una epidemia sui generis, della quale non si conoscono le modalità di contagio, che forse può essere assunto per contatto o essere di origine familiare –genetica o ambiente?. Può essere contrastato da quanto eravamo o facevamo prima (la razionalità di Jean ha poi avuto poco valore in questo e sembra che anche il pregresso’uso dell’alcol di Berenger non prometta di essere stato un valido autovaccino)? Essa conosce un processo indotto -contagio-, un passaggio, ma poi, se ne sei colto, tutto diventa “indolore” e molti dei nostri attori, come Gianni, Spartaco, Pino se ne sono chiesti la ragione nel lavoro drammaterapico.
Successivamente, tutto diviene lo stato di beatitudine “nel” cambiamento –vedi la infantile innocenza dei rinoceronti nei loro rondò per le strade, insieme alle loro marce (segnali di guerrà e festosità insieme). Viene da pensare all’apparente “candore” di alcuni gerarchi nazisti interrogati a Norimberga sulla genesi dei misfatti che gli erano contestati e che avevano atrocemente commessi. Ecco che “il Rinoceronte” viene rappresentato secondo la modalità squisitamente “allegorica” del testo di Ionesco, un sogno dove vivono metafore come significati, ma che sono riprodotte in agiti.
Così, i nostri personaggi, disattenti, lasciano la povera Anziana Signora a terra, attaccata e forse già infettata dai rinoceronti, per dedicarsi alle loro "ruminazioni" su quanto stia avvenendo o meno; ruminazioni perché piuttosto pensieri espressi ad alta voce, egotonici per questo, che poco mantengono della fondamentale caratteristica di “richiesta” all’altro.
Osserviamo nel testo: qualcuno è lì a terra, ha ” bussato” alla porta per entrare; era a terrà già “fuori”, con l’impotente aiuto di Berenger che ce l’ha messa tutta –c’è da crederci!. Il primo moto empatico del gruppo, oltre il “pensato” -ancor prima perchè biologicamente prestabilito-, dovrebbe essere quello del soccorso, superata la prima legittima sorpresa. Qui, invece, la sorpresa è dilatata in un tempo simbolico infinito, dove tutto gioca al servizio dell’Io individuale, dimentico dell’altra persona. La visione generale –qui è in gioco pericolo ricerontite- supera il problema individuale ed è posta al servizio di un dispotico egotismo: ognuno pretende di avere la sua ragione e ciò che unisce è solo la paura. Ora, il sentimento di paura, antico quanto il primo animale sul pianeta, non necessita di un sentimento di empatia; essa, semmai, ve ne discende come elaborazione della cultura con la nascita della mente. La reazione di paura invoca paura e fa entrare l’animale in uno stato di improvviso “all’erta” che continua a svolgere la sua funzione “protettiva” persino quando lo stimolo è cessato. Essa è nata come operazione destinata all sopravvivenza della specie e quindi del gruppo; supera l'elemento razionale, innesca una serie di meccanismi neurofisiologici e umorali, emotivo-cognitivi di adattamento, filogeneticamente determinati, che continuano ad agire anche a...scampato pericolo! Ha la incredibile potenza di spingere a fare alleanze con nemici, persecutori, rischio, pericolo, sintomi! Ma se da animali, si "diviene" uomini, è possibile che quanto utile nell'economia dell'adattamento naturale subisca, con l'interferenze della "mente" un ruolo regressivo.
Un gruppo di persone s’incontra in un party e vede la piacevole situazione interrotta da una serie di eventi: prima, Berenger, stracciato e sconvolto da una terribile evento occorso pochi minuti prima e, poi, l’irruzione di una anziana donna maltrattata e minacciata che tracolla a terra, che viene lasciata lì senza soccorso. Essa è vettore di un segnale di pericolo che supera il solidale moto di soccorso alla sua specifica situazione.
La discussione prosegue con commenti e dialoghi a due. L’epidemia ora sembra un fatto più certo; ma c’è chi, come Dudard e Botard pensano che poche eccezioni non fanno la regola. Berenger cammina nella stanza sconvolto e Daisy cerca più volte di calmarlo e consolarlo.
Piuttosto che la rimozione -lasciatemi dire- qui è la negazione ad essere in goco: è “dimenticata” e solo quando la “poveretta” emette un ulteriore colpo di tosse più intenso, essi si apprestano ad offrile dell’acqua! In realtà, uno dei presenti si chiede se le serva, si discute se sia necessaria, ed ad avvenuta ratifica corale, ed in fila di tutti, le viene porta. La "negazione" è un comportamento di difesa primitivo, presente negli stati psicotici, ma anche negli stati di intensa suggestione di massa, che inficia il giudizo di realtà. Si accompagna al delirio e, spesso, alle condizioni allucinatorie. La realtà "negata", perchè insopportabile alla coscienza, viene ristrutturata in una massiccia proiezione di dati che si scostano dal dal senso comune, che possono rappresentarsi in false percezioni uditive o visive. Idee prevalenti, con la caratteristica di pervasività nella coscienza dei soggetti; deliroidi, nel mix di una aderenza al reale che perde i colpi e chiede qualcosa in prestito alla paranoia; delirio, la fuga drammatica e fantastica dell'Io nel regno dell'inconscio.
La signora anziana, che intanto ha continuato a tossire ininterrottamente in sordina, emette un colpo di tosse più intenso, che fa allontanare tutti prudentemente.
Daisy Diamole un poco di acqua…la poveretta…
Dudard (rivolgendosi a Botard) Si Botard, un poco d’acqua…
Botard (rivolgendosi a Miranda) Dell’acqua…
Miranda Serve dell’acqua signor Berenger…
Berenger (guardando Daisy) Si, mi trovi d’accordo, deve avere sete…
La mozione attraversa le due camere, passa al Senato dal Parlamento per poi tornarvi e solo quando al punto di partenza è ratificata come legge e diviene operativa!
Ma ancora una volta la donna è lasciata a se stessa, quando diviene più intenso il rumore causato dai rinoceronti, che galoppano fuori. Il carattere generale della vicenda trascende quella dell’individuo, rendendo i soggetti ciechi alla realtà. Non più empatia, ma vortice di paura. Questa è la paralisi simbolica della scena. Il giudizio è moto verso le verifiche, esperimento di se stessi nella realtà, mentre l'immobilità di quanto ora il teatro mostra è la paralisi dello stesso, l’allegorica rappresentazione iconica dell’impotenza..
Botard E’ orribile!!
Daisy (ritraendo la mano con il bicchiere con aria schifata) Poveretta…
Dudard Non c’è più nulla da fare!
Miranda (Spaventata, portando ambedue le mani alla testa, come per chiudere le orecchie)
Ascoltate…sono loro…
Botard E’ orribile…
Berenger mette un braccio intorno alle spalle di Daisy e la stringe a sé.
Berenger (in tono allarmato) Sì, la rivogliono…
Tutti rimangono fermi, immobilizzati nelle pose plastiche dell’ultima postura, mentre le luci di scena scemano e sul sottofondo del tema musicale* ad libidum, un tumultuoso rumore di rinoceronti al galoppo.
* Yuri Temirkanov conducts the Leningrad Philharmonic and The Leningrad Military Orchestras, to perform Tchaikovsky 1812 overture in the 150th birthday gala. Real cannons outside of the hall.
Foto: bozzetto locandina Riduzione Drammaterapica de Il Rinoceronte, di E. Gioacchini, CDIOT
1 commento:
E’ difficile entrare di nuovo qui ! Soprattutto quando si è distratti da mille interruzioni quotidiane che si fanno sempre piu invadenti e ti tolgono la capacità di riflettere…cmq ci proviamo ! In merito a questo post, nel rileggerlo, oltre a ribadire i concetti già individuati nella nostra precedente discussione, ciò che noto come nuovo elemento e carpisce la mia attenzione ,non perché non sia mai stato trattato prima, è la parola IMPOTENZA. Per prima cosa mi fa sorridere un po’, poichè un’ attimo prima che leggessi questa analisi testuale ho pensato proprio a questo tipo di sofferenza e limitazione fatalistica. Un sentimento nato con l’uomo a cui ci si può sempre incosciamente adattare, anche per causa di forza maggiore. Purtroppo però questo,secondo me,nasconde un pericoloso potenziale di plagio, si soccombe quasi per inerzia, per scontatezza, per pigrizia , per mancanza di forza , perché tutti fanno cosi o al contrario nessuno lo farà, per seguire la massa e quindi appunto per impotenza !La massa fa paura perché al suo interno scattano delle dinamiche di plagio reciproco per cui l’individuo difficilmente si rende conto di essere coinvolto, ma lo è indirettamente, non possiede piu la sua libertà di pensiero e non ha piu capacità di giudizio, diventa una sottomissione comune, si ha la convinzione di appartenere a quel gruppo per libera scelta. La domanda che mi pongo è proprio questa : Perché siamo sempre capaci di unirci, di creare forza gruppale sempre per fini mostruosi( vedi la tragedia dell’Olocausto ),bellici,rivoluzionari e mai in grado di farlo ,salvo qualche rara occasione, per un bene comune, pacifico, per puro egoismo comunitario? L’impotenza del singolo individuo potrebbe diventare forza comune e trainare verso un pensiero possibilistico, capace di cambiare le sorti di certi meccanismi di vita inceppati non rivolti verso un POTENZIALE cambiamento.
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