“Quando immaginiamo l’amore di Berenger e Daisy dopo la malattia e la devastazione, le emozioni che ci regalano sono autentiche, forti, reali, anche se la storia è solo immaginata”…
“Entrare nei personaggi ci fa toccare con mano le loro fragilità, che sono le nostre…cose che estasiano e sconvolgono allo stesso tempo, mi svuotano e mi riempiono, mi agitano e mi liberano…ed ogni volta torno a cercare un nuovo equilibrio, a vivere un quotidiano filtrato da ciò che ho vissuto attraverso i personaggi in cui sono entrato. A volte è più facile, a volte è veramente faticoso, quasi drammatico”.
“E i sogni, che travisano e adattano la realtà a nostro piacimento, distruggendo a volte, per poi ricostruire più solido e grande un pensiero nuovo, una nuova carica emotiva, sono la molla che differenzia l’essere umano dagli altri animali, in uno straordinario amalgama di ragione e cuore, forza e fragilità”.
Trauma vero, evento anche solo immaginato, per lo stesso Freud può non esservi distinzione, sia rispetto ai contenuti creduti , che alle emozioni esperite. Insomma, la valenza traumatica appartiene al pensiero, o più propriamente a quella mente –fatta di corpo e pensiero- che esperisce l’evento. I correlati psicofisici di tali operazioni sono quotidiani e noti a tutti. L’emozioni mosse dal ricordo o dall’aspettativa. Gli eventi reali che resuscitano, in reazioni emotive –con tutte le conseguenze fisiche- ricordi ed aspettative. Esattamente, la fantasia può avere la stessa forza della realtà. Quel meraviglioso motore che è la “suggestione”, che ci accompagna nella crescita, facendoci immedesimare in ruoli e situazioni , in una specie di repertorio di “prove d’autore” con la vita; anticipa l’opera d’arte che è la vita stessa, unica perché noi unici -altro che rinocerontesca specie!-ed insieme l’accompagna. La virtualità che sembra così ingenuamente nata con l’era cibernetica, in realtà è solo riprodotta in funzioni di macchine che scimmiottano la nostra mente. Tant’è che possono solo sperarla di scimmiottarla così bene da essere confuse con la realtà stessa, tanto fedele è la riproduzione. A rischio di non essere protetti dalla censura del sogno, dalla mano che genitore che ci scuote la spalla e ci dice “Carlo, ma stai sognando ad occhi aperti!”, del mattino che segretamente contiene il lavoro onirico della notte, ma, opportunamente, non svela sempre quanto si è sognato, lasciandolo lavorare nel nostro inconscio. Il sogno, come il teatro, in un rapporto vero, quindi autentico con noi stessi, ha la possibilità di fare quanto tu dici Gianni, voi dite, miei attori: farci “sentire cose che altrimenti non conosceremmo mai”.
“Entrare nei personaggi ci fa toccare con mano le loro fragilità, che sono le nostre…cose che estasiano e sconvolgono allo stesso tempo, mi svuotano e mi riempiono, mi agitano e mi liberano…ed ogni volta torno a cercare un nuovo equilibrio, a vivere un quotidiano filtrato da ciò che ho vissuto attraverso i personaggi in cui sono entrato. A volte è più facile, a volte è veramente faticoso, quasi drammatico”.
Un teatro squisitamente “psicologico”, com'è questo “drammaterapico”, può e deve lavorare dentro; tuttavia, non ha ambizioni “terapeutiche”, ma ancor prima non si pone come obiettivo il “cambiamento” della persona. Lungo la vita si cambia, ed anche la riflessione che induce il lavoro teatrale opera nella nostra vita, come simulacro vivo e mobile di “quanto può essere se…”, ti esige “vero” nella “finzione”, una vlta chiarito che vero non corrisponde fedelmente a reale. Il processo dramma terapico lavora attraverso il drama, la messa in atto –l’azione scenica dunque- di quanto sepolto –che sia rimosso o non utilizzato poco importa. Il personaggio vive di questo, abbigliato come l’autore ed il regista chiede che sia -il testo e la conduzione registica.
“Quando io parlo a Daisy, quando sono Berenger, sento veramente cose che nella realtà della mia vita non sono mai riuscito a provare, anzi, che mi sono negato di provare, per paura e difesa, difficoltà e inconsapevolezza”.
Quando voi parlate con Daisy, uscite dall’operazione narcisistica di essere a tutti i costi voi stessi o, perlomeno, per qualche istante entrate in crisi, rispetto al vostro ruolo codificato; chiedete ad un invisibile mix di ricordi, emozioni, sensazioni esperienze, sogni ed aspettative di diventare i grandi suggeritori nella buca, nel proscenio, fatti attori e spettatori di quanto avviene…
“E i sogni, che travisano e adattano la realtà a nostro piacimento, distruggendo a volte, per poi ricostruire più solido e grande un pensiero nuovo, una nuova carica emotiva, sono la molla che differenzia l’essere umano dagli altri animali, in uno straordinario amalgama di ragione e cuore, forza e fragilità”.
I miei “attori”, capaci di silenziosamente di “perdonarsi”, mentre recitano…Questa è la poesia del teatro, L’atto di “auto penetrazione” che Grotowsky indica quale tributo allo “spettacolo” che lì annunciate di svolgere. Teatro totale.
Foto: Drammaterapia, il processo drammaterapico, Laboratorio CDIOT su Il Rinoceronte, settembre 2009
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