@ da Plinio Perilli
Caro Ermanno,
e cari amici tutti, libera-mente “drammaterapici”,
la mia riflessione addentro la vostra, nostra ultima pièce allestita -e cioè “Il Fissatigre” cortazariano- è cominciata il giorno dopo, parlando con la farmacista che mi consigliava e mi porgeva la Connettivina Plus 0,2%+1% Crema, onde meglio curare le profonde abrasioni a pelle viva della felinissima Nina, splendida Tigre ultra-archetipica, immolatasi sul pavimento in linoleum (e poi sul palco ligneo) del Teatro di domenica scorsa…
Ma l’“acido ialuronico sale sodico” e la “sulfadiazina argentica” così opportuni per lenire e riassestare i tessuti nineschi, i suoi ampi, profondi squarci alle ginocchia, le lividure supreme -gli esiti insomma di tanta e tale giungla familiare, borghese, introiettata e poi esplosa, fustigata e redenta d’intensità come un indicibile, inferocito e tremante cristo anzi madonna animale! – non hanno avuto la minima capacità di frenare la ridda di pensieri, la ressa di emozioni che in mente e cuore mi si facevano savana, foreste, liane, baobab umanati, schiantati nella sacrosanta ordalia del rito, del ruggito salvifico…
Questa famiglia che ci appartiene -seppur non ci somiglia!-, quest’Assurdo che s’incarna, s’incista quotidiano, questa tigre che ha paura e ci impaurisce di Noi -no, non più di Sé!- sono stati momenti, concause, scenografie e dinamiche di un grande accadimento interiore.
Già presentare lo spettacolo era per me farne parte. Non importavano insomma le mere scelte dei ruoli: giacché ogni familiare ci presupponeva e ci reclutava d’anima, ogni passo morbido e unghiato, elettrico e insanguinato della Tigre Maroccolo, ci ammoniva e ci ammansiva, ci invocava e dilaniava dentro…
Farsi corpo dello spettacolo, prolungarselo dentro – penetrarlo di sé… Grotowski mi riecheggiava in testa, e nel mentre mi accingevo -o forse evitavo- di precisare la trama, capivo che la storia vera del Fissatigre è insieme la praticabilità e la terapia del ruggito…
Nostro dunque il corpo dello spettacolo, ma anche lo spettacolo del corpo: liberato in ballo (grazie ai plastici guizzi d’anima di Federico), così come guatato, innervato in rabbia d’oro, in caccia terrifica dell’Io ad ogni Io, a cominciare dal rispecchiamento quasi acqueo, lacustre -ma non narciso!- di se stesso.
Ed ora la connettivina per infibrare, risanare i tessuti – forse perfino le dilaniate lacerazioni fra archetipo e pensiero, assurdo e realtà, cronaca e mito…-. Oh, ricordo quei terribili, venerabili versi di T.S. Eliot rubricati da lui stesso nel ’36 come “Poesie minori”, minor poems… Minori? Ha mai scritto Eliot poesie minori? Ha mai la tigre che si dimena o fissiamo in noi, ruggito un malessere, unghiato un benessere che non fosse comunque decisivo, vangelo e vulgata di ogni caro, inesorabile assurdo quotidiano?!…
La tigre nella fossa della tigre
Non è più irritabile di me.
La coda sferzante non è
Più immobile di me quando fiuto il nemico
Fremendo nel sangue essenziale
O penzolando dall’albero amico.
Quando mostro scoperto il dente dell’ingegno
Il sibilo che nasce dalla lingua ad arco
È molto più amorevole dell’odio,
Più amaro dell’amore per la giovinezza,
E inaccessibile alla gioventù.
Riflesso dal mio occhio d’oro
Lo stupido sa d’essere pazzo.
Ditemi, dunque, se non sono lieto!
E mentalmente, libera-mente, attribuivo questi versi-pensieri ai ruggiti e agli sguardi di Nina, li doppiavo come si fa al cinema bruciando per sempre in fonè ogni concetto didascalico, ogni irrisorio sterile sottotitolo.
Nina, certo. Ma con lei, in lei, tutta la poesia mi diventava Tigre – mi aggrediva e leccava felinamente, mi richiamava dentro la foresta nel Cuor di Tenebra dell’oro fuso, del suo e nostro occhio d’oro –più prezioso quando si guarda dentro-.
Pochi giorni dopo, mentre le connettivina aveva per fortuna esercitato tutte le sue proprietà, una mia e nostra amica, Michela Merone, scenografa teatrale di professione, si complimentava per lo spettacolo, contestandone semmai il suo rimaner ancorato – almeno in parte – alle logiche contrapposte e dirimpettaie degli spazi teatrali (scena – platea), invece di buttare grotowskianamente all’aria ogni canone e uso abusato.
Hai visto com’era bello –dicevo anch’io a me stesso– quell’avvicinamento della Tigre, quel voltarsi del pubblico –stupefatto– nel pubblico, coda che si morde e ringhia, dentro una platea, una grande, circondante Famiglia, che proprio e tantopiù allora si scopriva giungla, foresta, savana di se stessa?…
Dacci oggi il nostro Fissatigre quotidiano… L’omelia e l’omeopatia dell’Assurdo, la connettivina –se può o potrà esistere– anche del Male, perché risani, rimodelli e cauterizzi d’argento, di sale, le sue ferite più cupe dell’Oro, quando anch’esso è cupo, e taglia e squarcia, “fremendo nel sangue essenziale”.
Due chiose infine al tutto e oltretutto: due notizie di cronaca culturale.
“Corriere della Sera”, 18 Maggio 2008:
The Brig. Con 16 atletici attori lo spettacolo che mandò in galera Beck e Malina.
IL LIVING TORNA NELL’INFERNO DEI MARINES
“… I giovani del Living, 16 bravi e atletici attori, lo spetacolo con il suo continuum di marce, percosse, azioni faticose richiede una notevole fisicità, hanno fatto rinascere, per Fabbrica Europa, l’inferno di tutto ciò che chiude la gente in gabbie e traccia rigide linee, l’inferno del giudizio dell’uomo, come lo definì Beck. The Brig è la giornata di 10 marines chiusi in una prigione punitiva, una gabbia con 10 brande all’interno di un’altra gabbia di filo spinato, costretti a annullarsi in ostinati movimenti stereotipati”…
Ancora dal “Corriere della Sera”, 19 Maggio 2008:
Genova. Dopo 20 anni il Workcenter ammette pubblico.
VIAGGIO VERSO LA LUCE: IN SCENA GLI EREDI LEGITTIMI DI GROTWSKI
“… Nella sala del Teatro della Tosse, i quattro ‘attuanti’ – così si chiamano gli attori di quest’arte performativa che non è spettacolo –, due uomini e due donne, si immergono in una storia, ora narrata con testi ora vissuta ‘in diretta’ attraverso movimenti e posizioni fissate, il risuonare delle voci dai toni più fondi a quelli di testa, il ritmo di canti di tradizione afrocaraibica su cui lavora da vent’anni quasi in segreto il ‘Workcenter of Jerzy Grotowsky and Thomas Richards’.”…
E sono come lo Zenith e il Nadir, l’ascissa e l’ordinata, le due assi cartesiane per disegnare, ricrearsi il grafico di ogni teatro possibile, ogni teatralità viceversa impraticabile, inaccettabile fuori dal rito vero dell’Inferno in terra, e del Viaggio Verso La Luce…
Era da tempo che il nostro cuore – e lo sguardo che lo prolunga, ci dichiara e ruggisce – non trovava in quella gabbia rituale fatta di gesti, di riti, archetipi, sacrifici “attuanti” un’intensità così profetica, valenza omeopatica… Una coda sferzante, e un sibilo davvero “molto più amorevole dell’odio”.
Fino ad essere e renderci lieti di queste e ben altre, ogni altra ferita che per lo meno ci “attua”, ci mostra “scoperto il dente dell’ingegno”, tutte le tigri invisibili, virtuali, sciocche, ciniche e snaturate della vita – indegne, loro sì, di un ruggito vero, della caccia cacciata, e trasfigurata, della nostra Nina, quando insieme a noi, e in vece nostra fiuta il nemico, amandolo con e oltre tutta se stessa.
Foto: foto di scena di Plinio Perilli nella conferenza di apertura della piece "il fissatigre", Roma 11.05.08