@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

mercoledì 28 maggio 2008

privilege and orror of human nature...


"I've learnt the true practice of law.

I had learnt to find out the better side of human nature
and to enter men's hearts.

I realized that the true function of a lawyer
was to unite parties riven asunder
"

M. K. Gandhi

Waterloo o Austerlitz


@ da Plinio Perilli

“Quello che si lascia vedere… Quello che si nasconde…”

Il ritratto, questo genere in apparenza tanto modesto,
esige un’immensa intelligenza. Occorre certamente che
la fedeltà dell’artista sia grande, ma la sua divinazione
dev’essere pari. Quando vedo un buon ritratto,
indovino tutti gli sforzi dell’artista, che ha dovuto
vedere dapprima quello che si lasciava vedere, ma poi
indovinare anche quello che si nascondeva
.”

Carissimo director e Compagno di Viaggio,
perché sono riandato a spolverare nientemeno che una citazione di Baudelaire critico d’arte al “Salon del 1859”? Ma perché anch’io – e ancor più quando debbo parlare, ritrarre persone che stimo, peggio: amo – accuso e tradisco tutti questi sforzi di dover vedere dapprima quello che si lascia vedere, e molto più d’indovinare anche quello che si nasconde!…
Tutte queste dinamiche in marcia e in rotta nella campagna napoleonica con il proprio Io che Nina ha dovuto liberare, affrontare dopo la splendida prova drammaterapica del suo, nonché tuo Fissatigre, sono degne, lo so, della nuda e romanzata cronaca d’una battaglia, della mappa e del brogliaccio d’un Generale di Cavalleria alla Ney –più che del raffinato taccuino di un Docente e Dottore di Psiche, quale tu sei, eccome-.
E non importa se questa battaglia è Waterloo od Austerlitz, una sconfitta irredimibile o una munifica vittoria…
Quello che è certo è l’agone spasmodico di Nina per risalire quest’io, ruggire ogni stilla, ogni brandello di sangue e carne della Sua verità.
Nessuno di noi, per fortuna, è senza colpa o aureola d’ombra – ed anche Nina sconta il duplice peso, la volitiva irruenta scelta di far coincidere, sovrapporre la testimonianza di Ciò che si lascia vedere col rito quasi tantrico di Quello che si nasconde…
Ma come dubitare della sua sincerità –commovente, ingenua, addirittura imbarazzante, a unghiare e unghiarsi ogni frammento, creatura, oggetto o lacerto di Realtà, divorare ogni scoria d’infingimento…-. E una volta tanto, non come materiale di romanzo, supremo comodo alibi narrativo o intellettuale…
La Tigre è stata fissata. La Tigre ha paura… Lei, sia chiaro!

Foto: Indaco e Poldo, Laboratorio su Grotowsky, aprile 2008

venerdì 23 maggio 2008

res Extensa vs res Cogitans


Cara Compagnia,
è qualche giorno che non vi posto, ma con interesse e piacere ho letto e partecipato i vostri invii. Davvero un BrainStorming! Ma proprio questo è il senso del “vortice” positivo dei pensieri che sollecitano e producono che vogliamo si realizzi. Un rimando tra le cose che sperimentiamo nel nostro laboratorio fisico e quelle scoperte dialogando.
Ho già accennato nel corso degli ultimi incontri nell’Atelier: qui, uno spazio-laboratorio per le riflessioni della compagnia, quelle di eventuali graditi ospiti, per i contributi degli stranieri al nostro gruppo. Non direi spazio “virtuale”; le idee non possono che essere tali, anche quando si realizzano in cose tangibili. La res extensa ha sempre un rimando alla res cogitans, per gli umani! Eppure…cari amici nel percorso drammaterapico, eppure le idee muovono i neuroni e la vostra posa plastica nell’esercizio di danza-movimento stimola a generare sinapsi; elicita prima nel pensiero, poi in nuove configurazioni e mappature, la nostra mente. E quella si esprime, se gli/le si dà il permesso…
Abbiamo scritto di audacia, di paura, di ricerca ed ho apprezzato spunti di “furia” scrittrice, di fervore “romantico”, di pause e silenzi. Il ritmo è vostro, esso genera crescita ed i nostri occhi inscrivono, incidendoli dentro, i tratti sobri della scrittura cuneiforme e –perché nò?- quelli più articolati e leziosi dei geroglifici. Scannerizzazione silenziosa nella realtà e riproduzione importante nel lobo occipitale, di lì alla corteccia frontale, con rapide ed efficaci tappe mesencefaliche, tra memoria e precognizione!
Vi spingo ad andare avanti, a non attendere l’indugio, ma a sorpassarlo in corsa, a sospettare diversamente ed a curiosare tra le cose già conosciute, in cantina ed in soffitta, in noi luoghi mai ammuffitti. Grazie, con VOI. Director
Foto: foto di scena di Neko e Director nella piece "Barbableu", dicembre 2006

giovedì 22 maggio 2008

un segno s'avverrò...



@ DA NINA

a Dedalo, su commento a post "frattale"

Che tu viva il bisogno della gioia dell'abbandono, caro Dedalus-leprotto?*Smettere di allenarsi, tentare di eludere un nemico-fantasma alle spalle: la volpe.

E' splendida questa storia. Piena di tenerezza. A forza di guardare indietro, tra i pertugi di quel meraviglioso pennacchio chiamato coda, il leprotto si scontra con l'inaspettato. Questo è l'evento! Ciò che avviene quando non prevedi né determini. Poca cosa rispetto l'infinita infinità dell'incognita. Quanto parve strana al leprottino questa frontalità femminile; il suo grembo; il suo calore. Quanto si sentì ingenuo per aver architettato in quel pallore niveo una modalità ideale affinché potesse evitare presunti nemici. Persino gli audaci zig-zag ginnici risultarono puro fallimento! Un segno s'avverò... La fanciulla dalle lunghe mani bianche accolse il terrorizzato, morbido animale; con le sue magiche carezze lo portò a fidarsi: ché fidarsi è il miglior modo per dare fiducia. Corsero insieme. Si addormentarono.Si svegliarono in luoghi diversi. Ma io sono convinta che quel legame fosse stato deciso da mani invisibili in epoche lontane, e che il leprotto fosse un bel fanciullo.Il tempo fu la vera volpe!Per scusarsi, esso agevolò un possibile nuovo incontro in altro spazio, luogo e momento... Non fu esattamente la stessa cosa. Lui adesso era un maschio di lepre. Lei, la fanciulla di sempre. Un'altra forma d'amore, sublime per dolcezza e pacificazione. E sotto mille barbagli di luce, zampetta nella mano, leprotto e fanciulla continuarono a restituirsi gioia. Senza la contabilità del dare e dell'avere. *Non essere triste, caro Dedalo. Ti scontrerai con la tua Lei quando meno te lo aspetti.

LE COSE CHE IGNORIAMOE LE PERSONE DEL NOSTRO PRESAGIO SONO IN CAMMINO-Emily Dickinson-.

Stai attento e vigile ai segni!Camminano, poi corrono, e corrono, e corrono... Un abbraccio.

mercoledì 21 maggio 2008

La tigre che rivive in un topo

@ da Azzuro

Repubblica — 20 maggio 2008 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

ROMA - La tigre della Tasmania, estinta agli inizi del ' 900 sterminata dai cacciatori, tornerà a vivere nel corpo di un topo. Infatti un gruppo di ricercatori delle università del Texas e di Melbourne assicurano di essere riusciti ad isolare un gene dell' animale che dovrebbe assemblare la proteina di cui sono fatte ossa e cartilagini e di averlo impiantato nel corpo di un topo. Gli scienziati delle due università, come hanno spiegato, hanno creato una chimera: baffi di topo e scheletro di tigre. «Fino a ieri - ha detto un ricercatore - eravamo stati capaci solo di leggere il codice genetico degli animali scomparsi. Oggi lo abbiamo fatto funzionare dentro un altro essere vivente». ELENA DUSI

Director: Azzurro ci invia questo..., divertente, assurdo, geniale, opportuno, utile, buffo...meditiamoci sopra. Un concetto non esclude mai tanti altri. Ma non si tratta della nostra Tigre.

Dedicato... Amore e Psiche. Parigi. 1986. Agosto. Sindrome di Stendhal.

@ da Simona Vitello

Non so quanto tempo rimasi lì davanti a loro.
Sentivo solo che avevo bisogno di guardarli, annusarli, ascoltarli, toccare quei corpi di marmo vivo.
Lasciarmi prendere da loro.
Ero lì, con loro, forse dentro loro. Forse ERO LORO.

Loro, Amore e Psiche...
Un Dono l’uno all’Altro.
Lasciarsi affondare da quel segreto mistero che Canova infuse nel Gesto, scopribile solo a chi vuole essere un iniziato.

ψυχή (Psiché), Persona, Maschera…
Chi sono io, chi ero allora?
Chi sono ora?

Amore un Mostro Bellissimo, Psiche Farfalla Fragile.
Siamo tutti Amore, siamo tutti Psiche.

Frammenti di onde fatti di Pensieri, fatti di Emozioni…
Amore che dona una Farfalla, Psiche che diventa Abbraccio.

Le lacrime scendono, il corpo si muove a diventare quel Gesto Audace verso quel marmo vivo (probabilmente grazie ad una giovane custode “già risolta” che si voltò per evitare di vedere, per non intervenire in quel processo di crescita che commuove).
Fuori gli amici che sapientemente aspettarono fino all’ora di chiusura, inconsapevoli complici di un Atto d’Arte.

Ora siamo qui. Per essere quel Mostro Bellissimo, e quella Farfalla Fragile,
per essere quel Mostro Fragile e quella Farfalla Bellissima.

... a Tonino e Guido che mi regalarono la loro Psiche, il loro Amore,
la loro PATERNITA’……

Non so come si sia imposto quel sapore d’anice nel mio caffé…
So che così mi ha salutato
Eternando per sempre quel sapore
Al tuo sorriso dolce di padre

Aspetterò per sempre quel sapore d’anice

Dov'è andata a finire la tigre?

@ da Nina

Per Neko, Atelier, Director
Carissima Daniela, questo tuo scritto è semplicemente bellissimo, sia per profondità d'analisi che per intensità poetica. Lo sento ispirato a quel senso di aggregazione gruppale che entrambe condividiamo con grande forza. Registra la rinuncia al proprio Io individuale -ma non all'anima del singolo- per sorpassarlo con il desiderio del Noi. Non è affatto semplice. Oggi viviamo il barometro della decadenza, umanamente infragiliti da questo mondo sghembo e malaccorto, nel quale molti di noi si riconoscono vocalità tremule, disperate. Dobbiamo guarirne, così possiamo. Possiamo tentare di intrecciare altre guarigioni.
DOMANDA CHE RIVOLGO A TUTTI: Se il dolore è una condizione reale, impararlo servirà a dissolverlo?
Io credo nella Compassione. Credo nell'urgenza di mani per sorprendermi viva nella morsa. E' il bisogno di trovarvi un riparo; necessità della memoria; l'inestinguibile forza primigenia che m'attraversa. Ogni giorno mi ripeto la stessa cosa: non piegare lo sguardo, Nina. Non piegare mai lo sguardo di fronte a un uomo solo.Poi aggiungo: sii serena.

IL RITO E LA TRIBU'... Cara Neko, torniamo al Noi in relazione al Fissatigre. Cortazar sembra quasi affermare quanto gli uomini siano incredibilmente attratti da ciò che è insensato. Ed è l'insensatezza provocatoria e apparente che Julio ci regala per spunti di riflessione. Il rito e la tribù è fra questi. In questa settimana mi sono chiesta se il rito aggregante in casa Humboldt fosse accaduto nella vita. Cosa è realmente successo in ognuno di noi? Qualcosa è cambiato? Il rito, i riti, i ruoli, i personaggi, gli oggetti, l'animale, hanno ricomposto qualche costola ingabbiata? Io ho sofferto, lo sapete. Tuttora la tigre non riesce ad andarsene. Ma perché non diventa midollo disfatto nella mia forma-memoria? Cosa la trattiene? Ribalto la domanda e formulo un'ipotesi: sono io a trattenerla poiché il rito salvifico non si è compiuto del tutto l'11 maggio scorso? Nei popoli primitivi, le ritualità erano puramente legate alla Natura, alla fusione con la terra, vera genealogia materna. La terra partoriva e accoglieva. Esistevano riti in cui l'uomo e la donna, uniti nell'estasi sessuale, ingravidavano l'humus in presenza della tribù e dello sciamano. Li circondavano tra urla di gioia, approvazione, danze e canti. L'atto del concepimento era dunque collettivo e associato alla fertilità della terra. Questa è per me meraviglia: un insieme privo di vergogna, pudori e paure. L'incedere dell'alba era il nuovo inizio, dopo che la notte s'era mangiata il sole. Il 12 maggio 2008 mi sono svegliata con gli occhi paludosi e molli. Non barattavo pensieri. Sentii soltanto che il mio cuore fuggiva per tornare nel fremito a rammemorare un sé felino palpitante di vita. Credo anch'io, Neko, che la tigre debba morire, ma solo per completare qualcosa rimasto irrisolto non soltanto in me.

Concludo questo mio scritto affermando che l'esperienza del Fissatigre è stata importante e decisiva; che gli avvenimenti forzano le verità; che il risveglio permette all'inconoscibile di farsi certezza sul conoscibile, e il visibile si annoda all'invisibile.Un abbraccio a te, alla Compagnia e al Director.

Foto: foto di scena "trascinamento della tigre", piece "il fissatigre, Roma 11.05.08

martedì 20 maggio 2008

ciò che è veramente nuovo fa paura e meraviglia...






















@ da Neko
sul post " Paura e Meraviglia"

Cortàzar dice, a proposito di queste due sensazioni: "Ciò che è veramente nuovo fa paura o meraviglia. Queste due sensazioni egualmente vicine alla bocca dello stomaco accompagnano sempre la presenza di Prometeo; ciò che resta è la comodità, quel che riesce sempre più o meno bene [...]".

A distanza di due anni dalla mia prima lettura, all'interno dell'Atelier, del Fissatigre di Cortàzar, sono ancora vive in me -qui, nella bocca dello stomaco- quelle sensazioni di Paura e Meraviglia...
Dopo una nottata trascorsa insonne nel tentativo di individuare la ragione di tanta emozione, questo è ciò che scrissi: "Si tratta di una cerimonia collettiva, di un rito tribale, che passa attraverso una serie di atti rituali precisi, rigidi [...]. E' così che si compie un rito nel quale l'individuo giunge a sentirsi parte non più soltanto di un gruppo di persone ma dell'universo intero - che è infinitezza contrapposta alla finitezza dell'essere mortale - dove non esiste più la differenza fra l'io e il tu, fra "la tigrità e l'umanità", è una "colonna di contatto" in un "movimento che è vertigine, sospensione, approdo" in un lido sicuro, dopo aver navigato nei marosi dell'isolamento".Questo, allora ed oggi, il MIO Fissatigre... non rappresentazione teatrale di un rito ma rito operato sulla scena.Questo il viaggio simbolico che ho fatto e nel quale ho inteso condurre i miei compagni e il pubblico presente.La tribù -il gruppo di attori-, la tigre (il nostro disagio), gli atti rituali -il copione del nostro Fissatigre-, i ruoli, lo sciamano -il nostro Director-... tutti gli elementi del rito sono presenti.Vero rito, dunque, nel quale sento di aver operato io, senza maschere, nuda, nella libertà della mia verità, libertà non soffocata ma incanalata nelle regole e nei ruoli del nostro rito. "Non siamo soli!" sembra gridarci Cortàzar con il suo Fissatigre dal secolo appena conclusosi. Certo, le "tigri" esisteranno sempre e, dal nostro incontro con loro, sempre nasceranno paure e pericoli. Ma no, non siamo soli! Finché saremo parte di un'umanità capace di tanto afflato, vi sarà sempre per noi una speranza di salvezza! Ma... attenzione, ragazzi! La tigre non è morta... e presto potrebbe tornare a ruggire ancora...

Dal Director...

Cara Neko ed ancora tu scrivevi..."Non vedo tanto il fissatigre come uno strumento atto a fissare qualcosa (se non la gioia ineffabile della vittoria finale in cui ciascuno gioisce della riuscita di un atto di condivisione, esorcizzazione e superamento di un’atavica paura dell’uomo) quanto, piuttosto, come simbolo della forza e dell’unità di un gruppo di persone che, ai nostri tempi, chiamiamo famiglia ma che, nella società dei primordi della vita dell’uomo, avremmo chiamato tribù.
Ciò che mi ha colpito di questo brano è l’aspetto rituale.
Si tratta inequivocabilmente di una cerimonia collettiva che passa attraverso una serie di atti rituali precisi e definiti, oserei dire rigidi, nei quali ogni membro del gruppo ha dei compiti specifici, dai quali non bisogna prescindere, pena il pericolo dell’esistenza in vita del gruppo in quanto tale e di ogni singolo individuo facentene parte (quindi anche di se stessi).
Esiste quindi una doppia assunzione di responsabilità di ciascun membro: nei propri confronti e nei confronti del gruppo tutt’intero.
Questa serie di atti rituali si fonda anche sulla rinuncia di ognuno ad una quota della proprio libertà individuale a favore dell’unità del gruppo.
Sacrifici questi (l’assunzione di responsabilità e la rinuncia ad una parte di libertà individuale) che consentono a ciascun membro del gruppo di giungere a quella gioia finale che li ripaga completamente, permettendo all’individuo di sentirsi parte di una gruppo...
"
Chi potrebbe dire mai che la drammaterapia non funziona!
Foto: foto "fuori scena" Un fico nasce in un Tombino, da una scoperta di Azzurro, 11.05.08

Tigri, morsi e connettivina…




@ da Plinio Perilli
Caro Ermanno,
e cari amici tutti, libera-mente “drammaterapici”,

la mia riflessione addentro la vostra, nostra ultima pièce allestita -e cioè “Il Fissatigre” cortazariano- è cominciata il giorno dopo, parlando con la farmacista che mi consigliava e mi porgeva la Connettivina Plus 0,2%+1% Crema, onde meglio curare le profonde abrasioni a pelle viva della felinissima Nina, splendida Tigre ultra-archetipica, immolatasi sul pavimento in linoleum (e poi sul palco ligneo) del Teatro di domenica scorsa…
Ma l’“acido ialuronico sale sodico” e la “sulfadiazina argentica” così opportuni per lenire e riassestare i tessuti nineschi, i suoi ampi, profondi squarci alle ginocchia, le lividure supreme -gli esiti insomma di tanta e tale giungla familiare, borghese, introiettata e poi esplosa, fustigata e redenta d’intensità come un indicibile, inferocito e tremante cristo anzi madonna animale! – non hanno avuto la minima capacità di frenare la ridda di pensieri, la ressa di emozioni che in mente e cuore mi si facevano savana, foreste, liane, baobab umanati, schiantati nella sacrosanta ordalia del rito, del ruggito salvifico…
Questa famiglia che ci appartiene -seppur non ci somiglia!-, quest’Assurdo che s’incarna, s’incista quotidiano, questa tigre che ha paura e ci impaurisce di Noi -no, non più di Sé!- sono stati momenti, concause, scenografie e dinamiche di un grande accadimento interiore.
Già presentare lo spettacolo era per me farne parte. Non importavano insomma le mere scelte dei ruoli: giacché ogni familiare ci presupponeva e ci reclutava d’anima, ogni passo morbido e unghiato, elettrico e insanguinato della Tigre Maroccolo, ci ammoniva e ci ammansiva, ci invocava e dilaniava dentro…
Farsi corpo dello spettacolo, prolungarselo dentro – penetrarlo di sé… Grotowski mi riecheggiava in testa, e nel mentre mi accingevo -o forse evitavo- di precisare la trama, capivo che la storia vera del Fissatigre è insieme la praticabilità e la terapia del ruggito…
Nostro dunque il corpo dello spettacolo, ma anche lo spettacolo del corpo: liberato in ballo (grazie ai plastici guizzi d’anima di Federico), così come guatato, innervato in rabbia d’oro, in caccia terrifica dell’Io ad ogni Io, a cominciare dal rispecchiamento quasi acqueo, lacustre -ma non narciso!- di se stesso.
Ed ora la connettivina per infibrare, risanare i tessuti – forse perfino le dilaniate lacerazioni fra archetipo e pensiero, assurdo e realtà, cronaca e mito…-. Oh, ricordo quei terribili, venerabili versi di T.S. Eliot rubricati da lui stesso nel ’36 come “Poesie minori”, minor poems… Minori? Ha mai scritto Eliot poesie minori? Ha mai la tigre che si dimena o fissiamo in noi, ruggito un malessere, unghiato un benessere che non fosse comunque decisivo, vangelo e vulgata di ogni caro, inesorabile assurdo quotidiano?!…

La tigre nella fossa della tigre
Non è più irritabile di me.
La coda sferzante non è
Più immobile di me quando fiuto il nemico
Fremendo nel sangue essenziale
O penzolando dall’albero amico.
Quando mostro scoperto il dente dell’ingegno
Il sibilo che nasce dalla lingua ad arco
È molto più amorevole dell’odio,
Più amaro dell’amore per la giovinezza,
E inaccessibile alla gioventù.
Riflesso dal mio occhio d’oro
Lo stupido sa d’essere pazzo.
Ditemi, dunque, se non sono lieto!

E mentalmente, libera-mente, attribuivo questi versi-pensieri ai ruggiti e agli sguardi di Nina, li doppiavo come si fa al cinema bruciando per sempre in fonè ogni concetto didascalico, ogni irrisorio sterile sottotitolo.
Nina, certo. Ma con lei, in lei, tutta la poesia mi diventava Tigre – mi aggrediva e leccava felinamente, mi richiamava dentro la foresta nel Cuor di Tenebra dell’oro fuso, del suo e nostro occhio d’oro –più prezioso quando si guarda dentro-.

Pochi giorni dopo, mentre le connettivina aveva per fortuna esercitato tutte le sue proprietà, una mia e nostra amica, Michela Merone, scenografa teatrale di professione, si complimentava per lo spettacolo, contestandone semmai il suo rimaner ancorato – almeno in parte – alle logiche contrapposte e dirimpettaie degli spazi teatrali (scena – platea), invece di buttare grotowskianamente all’aria ogni canone e uso abusato.
Hai visto com’era bello –dicevo anch’io a me stesso– quell’avvicinamento della Tigre, quel voltarsi del pubblico –stupefatto– nel pubblico, coda che si morde e ringhia, dentro una platea, una grande, circondante Famiglia, che proprio e tantopiù allora si scopriva giungla, foresta, savana di se stessa?…
Dacci oggi il nostro Fissatigre quotidiano… L’omelia e l’omeopatia dell’Assurdo, la connettivina –se può o potrà esistere– anche del Male, perché risani, rimodelli e cauterizzi d’argento, di sale, le sue ferite più cupe dell’Oro, quando anch’esso è cupo, e taglia e squarcia, “fremendo nel sangue essenziale”.

Due chiose infine al tutto e oltretutto: due notizie di cronaca culturale.
“Corriere della Sera”, 18 Maggio 2008:
The Brig. Con 16 atletici attori lo spettacolo che mandò in galera Beck e Malina.
IL LIVING TORNA NELL’INFERNO DEI MARINES
“… I giovani del Living, 16 bravi e atletici attori, lo spetacolo con il suo continuum di marce, percosse, azioni faticose richiede una notevole fisicità, hanno fatto rinascere, per Fabbrica Europa, l’inferno di tutto ciò che chiude la gente in gabbie e traccia rigide linee, l’inferno del giudizio dell’uomo, come lo definì Beck. The Brig è la giornata di 10 marines chiusi in una prigione punitiva, una gabbia con 10 brande all’interno di un’altra gabbia di filo spinato, costretti a annullarsi in ostinati movimenti stereotipati”…

Ancora dal “Corriere della Sera”, 19 Maggio 2008:
Genova. Dopo 20 anni il Workcenter ammette pubblico.
VIAGGIO VERSO LA LUCE: IN SCENA GLI EREDI LEGITTIMI DI GROTWSKI
“… Nella sala del Teatro della Tosse, i quattro ‘attuanti’ – così si chiamano gli attori di quest’arte performativa che non è spettacolo –, due uomini e due donne, si immergono in una storia, ora narrata con testi ora vissuta ‘in diretta’ attraverso movimenti e posizioni fissate, il risuonare delle voci dai toni più fondi a quelli di testa, il ritmo di canti di tradizione afrocaraibica su cui lavora da vent’anni quasi in segreto il ‘Workcenter of Jerzy Grotowsky and Thomas Richards’.”…

E sono come lo Zenith e il Nadir, l’ascissa e l’ordinata, le due assi cartesiane per disegnare, ricrearsi il grafico di ogni teatro possibile, ogni teatralità viceversa impraticabile, inaccettabile fuori dal rito vero dell’Inferno in terra, e del Viaggio Verso La Luce…

Era da tempo che il nostro cuore – e lo sguardo che lo prolunga, ci dichiara e ruggisce – non trovava in quella gabbia rituale fatta di gesti, di riti, archetipi, sacrifici “attuanti” un’intensità così profetica, valenza omeopatica… Una coda sferzante, e un sibilo davvero “molto più amorevole dell’odio”.

Fino ad essere e renderci lieti di queste e ben altre, ogni altra ferita che per lo meno ci “attua”, ci mostra “scoperto il dente dell’ingegno”, tutte le tigri invisibili, virtuali, sciocche, ciniche e snaturate della vita – indegne, loro sì, di un ruggito vero, della caccia cacciata, e trasfigurata, della nostra Nina, quando insieme a noi, e in vece nostra fiuta il nemico, amandolo con e oltre tutta se stessa.
Foto: foto di scena di Plinio Perilli nella conferenza di apertura della piece "il fissatigre", Roma 11.05.08

venerdì 16 maggio 2008

Cronopios, Famas?

Regala la domanda anche al gruppo, cara Neko, e con loro vedi ed ascolta quello, che, ad esempio, risponderei io...
Il teatro lavora dentro, questo in drammaterapia avviene in tempi che si prolungano oltre la performance, il laboratorio, tu diresti...il workshop. It works hard and quietly. Esso lacera e scopre; costringe al risveglio, toglie semantica al senso di colpa...destituendolo da atto salvifico a luogo da ri-occupare...in modo nuovo... Cronopiesco, famesco? Avvicinati....ecco così!

C'era una volta un sentiero ripido, a volte scelto dall'acqua in inverno e meno spesso da qualche solitario viandante. Mai di notte...vale a dire il sentiero era sempre lì, ma sembrava che anche la luna lo scansasse, così nascosto da rovi ed arbusti.

Viveva stagione dopo stagione l'esilio dalle cose impraticabili perchè di terzo grado o da quelle più dolci come le salite dei tratturi di montagna. Era un destino che proprio non tollerava, quindi decise di scivolare. Aspettò una piena d'inverno, di quelle dove l'acqua è capace, selvaggia, di trascinare nel suo corso cose ed altre cose... e si gettò nella discesa verso valle al primo temporale grosso.

Arrivato giù, provo l'infinto piacere della schiena che si distende completamente sulla pianura, del sole che ti scalda senza angoli proibiti, dei rumori di un posto non più solitario...ma... Ma poco dopo entrò in lui la noia, il desiderio dei ripidi pensieri che faceva da solo, lì sul lato Ovest della grande montagna. Non poteva più risalire. Allora stanco ed avvilito lascio che la corrente lo portasse ancora più a valle.. finito nel corso di un fiumiciattolo si trovo a bagnare i piedi di un bambino... Un pò pavido ed insieme curioso risalì, lui così abituato ai precipizi, sulle sue gambe ...entro nei suoi pensieri...e lo convinse silenziosamente a farsi portare ancora lassù sulla montagna, ora arrotolato nella sua mente fresca e curiosa.

Secondo te, siamo cronopios o famas?

@ da Neko

Il Canto del Cronopio. Quando i cronopios cantano le loro canzoni preferite, il loro rapimento è tale che più d'una volta sono finiti sotto un camion o una bicicletta; cadono dalla finestra, perdono quel che avevano in tasca e persino il conto dei giorni. Quando un cronopio canta, le speranze e i fama accorrono ad ascoltarlo, anche se non riescono a capire del tutto tanta estasi e anzi, il più delle volte, si mostrano alquanto scandalizzati. Al centro del gruppetto, il cronopio alza le braccine come voler tener alto il sole, come se il cielo fosse un piatto e il sole la testa del Battista, e così la canzone del cronopio è Salomè che danza nuda per i fama e le speranze esterrefatti e tutti occhi, là a domandarsi se in fin dei conti il signor curato, se le convenienze. Siccome però in fondo sono buoni finiscono tutti per applaudire il cronopio che sbigottito torna in sé, si guarda intorno e si mette anche lui ad applaudire, caro. [J. Cortázar]

Foto: foto di scena, "il primo familiare", piece "il fisstigre" 09.06.06

il ritorno














@ da Indaco

Vuole solo colori.
Il nero l'infastidisce: è il tempo che s'è stinto.
La mole di tristezza sovrasta il sonno.
E sa: potrebbe regnare la pace in quel novello rituale: desiderio di partiture notturne ed arcane: dolci, arrendevoli e diurne, le medesime tigriture.
Sappiamo soltanto che da casa Humboldt è tornata nel Khana indiano.
Là è stagione di monsoni.
Là non fa che piovere.
Lei non fa che cercare, cercare, cercare qualcosa.
La natura è arida, secca: non ha da offrire che sterpi: palpito sfiorito dove crudeltà è più verde.
C'è qualcosa, però, in cui lei trova armonia: la pioggia sul suo magnifico mantello.
Ama sentirlo bagnato.
Per questo non si ripara: l'acqua -sapore/odore benedicente- rende tutto familiare: e lei si erge per poter rifulgere, mentre l'acqua, sua complice en-plein-air, impone invano alla foresta di celebrare nuove liturgie gemmanti.
Fiotti d'idillio su idillio.
Trascorre un mese.
Torna il tempo in cui lei addenta il sole insaccato, prima che questo scolpisca l'afa di sempre.
Discendono gli occhi suoi.
Le stille non s'acquetano.
Per l'ultima volta eluderà se stessa, lasciandosi catturare e trascinare in casa Humboldt.
Quel che resta sarà un esile respiro di corda.
Sapendosi -nel morire- epilogo, fioritura, Rinascenza.
Foto: foto di scena "trascinamento della tigre", piece "il fissatigre" 11.05.08

mercoledì 14 maggio 2008

...rispetto alla Tigre

...rispetto alla Tigre. Il suo sonno custodisce il nostro rito. Sulla lastra occipitale della sua visione sono ancora l'affannato esperimento drammaterapico, la trepidazione del fissaggio, il silenzio dello stato immoto ed esaltante quand'è avvenuto.
Nella pausa dei suo passi felini, il coraggio dell'azione riposa.
E lavora, io dico.
Tigrità ed Umanità, Orso Bruno, Bisonte, Lupo ed Aquila Reale...anche gli "specchi" ora sono stati riposti per un pò e l'orizzonte ha bisogno di spazio, dopo quello angusto e sacro del teatro.
Ecco perchè, cari amici, dopo il convulso e splendido gioco delle nostre proiezioni, drammatizzando, ora è bene lasciare semmai agli occhi il pensiero -qui si legge!- e pensare che dentro di noi qualcosa lavora. Tra lividure e stanchezza, gratificazione e tranquilla attesa.
Io penso, ecco la penna può essere inforcata -come la bicicletta dei nostri occhiali, dice Cortazar- e non mi meraviglierei che osservando la nostra mano, vi accorgeste di docili artigli su una bic o dietro il prompt sul desktop a tracciare frattali e finirvi dentro!
Vi abbraccio, forte. Director

Foto: foto di scena, "l'atto dovuto", piece "il fissatigre" 11.05.08

...passaggio.


@ da Indaco

La tigre che sono stata, la tigre che sono - è. Mi trovo lì, nell'altrove purgatoriale. Tutto si è compiuto. Quello che sento è il mio sangue. Non riconosco più niente. Soffro. Ho dato quel che potevo dare, nuda di una nudità impertinente. Livida, stremata, disfatta. So che non è finita. Almeno per me. Ruggisco - nonostante. La sacralità salvifica - nonostante.

Foto: foto di scena, "la tigre fissata", piece "il fissatigre" 11.05.2008

settimo familiare acquisito, fidanzato di Rosita, quarto familiare, sorella maggiore

@ da Zio Pelo

Vivere il teatro non come finzione, ma dal dentro più profondo dei nostri mostri. Viverlo come scoperta dei propri limiti; rappresenta un esperienza che ti cambia. Fare le prove ridendo, forse non indica sottovalutazione, al contrario potrebbe essere la gioia di esserci. Arrabiarsi, maledire, imprecare sono la prova tangibile del desiderio di dare qualcosa di prezioso di noi stessi. La cosa più bella dopo aver vissuto sul palco un emozione donata al pubblico, ricevere in cambio molto di più. Facce sorriddenti che si complimentavano, non per la rappresentazione figurata, avendo vissuto il dramma della tigre che vive anche in loro, avendola combattuta insieme a noi. Questo sicuramente rimane dentro di me in maniera intensa e profonda, insieme al piacere di essere entrato a far parte di un gruppo di persone molto speciali. Approposito di arrabbiature... ma i Famas... come mai si sono trasformati in Cronopios evanescenti e confusionari? Un Abbraccio Grande Grande anche al regista-lupo-mannaro. Emiliano, alias Zio Pelo. detto anche Gustavo il Figone.

Foto: foto di scena, al centro Gustavo è entrato a "far parte della famiglia", Settimo Familiare Acquisito

...ogni cosa può essere immaginata, pensata possibile, poi realizzata -Milton E. H. Erickson-

"E' clausola fondamentale che la tigre accetti di essere fissata o che subisca in modo che la sua accettazione od il suo rifiuto non abbiano importanza" (da Storie di Cronopios e di Famas, Ed. Einaudi).
E' tipicamente umano -non per gli animali- che si leggano contraddizioni nella nostra storia , dunque inconciliabilità. E' conseguenza del linguaggio, che, se ha permesso di amplificare l'uso del nostro cervello, tuttavia può relegare la nostra azione in "bisticci semantici" . La tigre deve accettare, oppure, che accetti o non accetti non deve avere importanza, e una delle due cose può comunque andar bene, ma che almeno una si realizzi è una clausola rigorosa! Andiamoci dentro...com'è che non vi sia distinzione tra le due cose? Quello che ci si para avanti, se è docile e soccore il nostro tentativo, tutto può procedere, ma se non così che cos'altro garantisce che non sia importante? La Fede. E' l'aspetto fideistico, nella sua dimensione sacrale, non religiosa che qui si evoca. Un manipolo di guerrieri circondati -prima e dopo Custer- vincono nella dimensione ideale, non necessariamente sul campo di battaglia e se la loro bandiera sarà l'ultima cosa a cadere, qualcosa lì avrà vinto. Questa adorabile e famesca e croniopiescamente folle famiglia vive un intento, intorno ad esso si raccoglie, e se la tigre non sarà docile, cosa rara normalmente ed anche in via Humboldt, la loro fede potrà ottenere. Il senso del Rito... Esso protende alla vittoria, protegge dalla sconfitta, esorcizza il senso di colpa, anzi lo fa lavorare per vie migliori, meno private, vorrei condividere con Della Seta. Non si può chiedere l'impossibile, ma sognare il possibile -chissà Sara nel telegrafo di oggi parla di questo?- e desiderarlo tanto che possa diventarlo. Cara ospite welcome!

Foto: foto di scena "la tigre è quasi fissata?", piece 11.05.08

...responsabilità ed audacia

"In questa tappa, che noi chiamiamo intermedia, le reazioni della famiglia sono fondamentali; tutto dipende dal comportamento delle mie sorelle, dall'abilità di mio padre nel fissare con il fissatigre la tigre, trattandola in tutto e per tutto come un vasaio l'argilla...(omissis) Per noi, il fassaggio della tigre con il fissatigre in sè non ha importanza, importa la cerimonia che deve compiersi fino alla fine senza trasgressioni."
-da Storie di Cronopios e di Famas, il fissatigre di J. Cortazar-

Foto: foto di scena, "il fissaggio della tigre" , piece "il fissatigre" 11.05.08

martedì 13 maggio 2008

Hypnodrama: Dream A Little Dream

Foto: foto di scena, "Dream A Little Dream", piece "il fissatigre 11.05.08

...senza paura?

Senza demagogia (!), almeno per un pò i vs. commenti diventino post!
La tigre è ancora lì. Non sparviero, ma piuttosto spartiacque tra noi e noi a farci interrogare. E certo, ragazzi, che alcuni interrogativi, comunque li si ponga, rimangono inquietanti in noi. "Cosa saremmo senza paura" - dice Zacarias... e poi eccolo lì a danzare il rito dell'amore e del potere. Ma come togliergli il vantaggio sul felino? Come annullare lo strenuo tentativo di rendere quieto il proprio cuore e quello cìdella famiglia? e cosa direbb, in quel caso, il Primo Cugino di Secondo Grado, Arco? Che dici, si convinecerbbe che "non cè più religione!" e che è proprio vero che "...i migliori se ne vanno...", nel qual caso, contravvenendo il Destino, avrebbe potuto provare non solo l'ebrezza della velocità sul pattinaggio a 4 arti, ma chissà...una capatina ad Ibiza, a 85 anni, con il Quinto Familiare!

No, alcuni riti non è giusto interromperli, hanno una loro genesi ed epilogo, non si può essere mai arbitri del destino degli altri, se non a patto di essere profondamente coinvolti nella loro vita. Danzerà la tigre e ruggirà ancora. Vedete, osservate, non ci siamo mai spostati di là. Questo ci consola e ci spinge avanti.
Vs director

...presente, nel bene e nel male.


@ da Azzurro
Qualche emozione da condividere con Voi tutti. Pensavo di essere meno coinvolto, più navigato dall'alto del mio secondo anno e... dalla mia limitatissima parte. Non avevo capito niente! Stomaco in gola, mente annebbiata, voglia che tutto sia già finito. Per fortuna anche la consapevolezza che domani sarò ancora qui, che le cose vanno sempre molto, molto, molto meglio di quanto non le immagino. E, soprattutto, la voglia di essere protagonista, presente nel bene o nel male! Mi hanno colpito: Cheeky che provava ossessivamente e teneramente le battute dietro le quinte, Luigi che mi aveva dato la sola al Barbablù ma che stavolta c'è stato fino in fondo, Nina, così dolce, che mi ha risposto male... tanto era in preda al pathos ante start, Arco che per prima si è preparata e si è seduta, composta, ad aspettare l'inevitabile, Plinio preoccupato... non per il discorso ma per la schiena di Nina intrappolata nella morsa della Spartachesca imbragatura. Mi è mancato il quieto sorriso della mia (vabbè nostra) Papera, non per la sua assenza, ma per la tristezza che lo offuscava. Ma non era una sua scelta e va bene così.Direttore, Direttore. Vivo una sanguinosa elaborazione. Tu sei uno dei protagonisti. Vedremo Il tempo quale finale scriverà.A proposito... vi siete per caso svegliati con qualche doloretto quì e là ? Azzurramente vostro, lieto per esserci stato.

Foto: foto di scena, "la tigre", piece "il fissatigre" 11.05.08

...senza via di fuga.

@ da Indaco

Ci sto provando a trattenere il pianto. Giuro! Lupo e Neko, che sono ineguagliabile grazia -Neko- e timido esitare -Lupo- nella vita come in questa bellissima immagine di scena, meriterebbero ben altro.Quasi il mare, illogicamente allontanandosi, svelasse il prodigio di un altro mare, e questo rendesse clemenza ad un'altra porzione di mare: fino ad incontrarsi mitezza nella sua unica azzurrità. Ma dove avverrà il luogo dell'incontro?Ecco che l'infinito manda un telegramma a ciascuna particella di iodio: Oh, miei mari! Stop./Vi ritroverete ad un lento approdo. Stop./Costeggerete la riva. Stop./ La corteggerete. Stop./Le sillabe acquee pronunceranno: MARE. Stop./Senza via di fuga. Stop./*Nina

...meraviglia...


"...non è insolito che a volte le cose di dentro si vestano delle cose di fuori e che poi quest'ultime ci...spaventino a causa di quelle di dentro..."
"E' l'incontro che crea questo problema..." con tutta la sua forza, disperazione e bellezza.

Foto: foto di scena da "il fissatigre", piece drammaterapica, Roma 11 maggio 2008

venerdì 9 maggio 2008

l'era della trasmutazione


@ da Nina

GRAZIE ERMANNO!
Pardon, ma non riesco a dire altro... Sono commossa, dalla lacrima facile. L'anima femminile è un luminello: quanto ardire nel suo ardore di fiamma. In noi, l'èra della trasmutazione, l'epopea inarrestabile, matrilineare, di semplici cuori di donna.Mai dimenticherò quella straordinaria figura che per il figlio incarnato venne tacciata d'adultera: Maria. Mistero che ora e sempre ci travolgerà.
*@Alle Eumenidi dell'Atelier: FORZA!
@Agli uomini tutti: "La verità, vi prego, sull'amore". (W.H. Auden)
*PS: si vede che è più di cent'anni che taccio! Meno male che non avevo parole, Director! Ancora grazie.
Con affetto, Nina.
Nella Foto: Nina in "Nina di Checov", laboratorio di drammaterapia

in carrozza...


Cari ragazzi, siamo a due giorni dalla nostra “azione drammaterapica”. Abbiamo ancora da realizzare quel gioco magico di “assemblaggio” delle parti, dei brani, dei motivi chetuttavia, dentro quelle, sono stati tanto “lavorati”. Processati dentro di noi. La tigrità, il gruppo familiare, la paura, il rito…l’uomo e la donna devo dire.
E’ così…ancora non si vede nulla ed, ancora, quel giorno, sarà un laboratorio aperto impudicamente e coraggiosamente all’occhio estraneo, il pubblico. Perché non veda cose belle o brutte buone o cattive, repertori e maschere perfetti, ma veda NOI.
In questo è il non pudore, in questo risiede il coraggio. Avete presente quel pensiero -emozione che si interroga silenziosamente mentre assistete a teatro…chi sarà lui/lei dietro? Ma la piece tira in avanti, il sogno dello scrittore deve compiersi e svolgersi come una pergamena, di quelle ebraiche, dove mentre ne srotoli uno di braccio, avvolgi con l’altro quello che hai appena letto. La stupenda “prostituzione” dell’attore alla sua parte si compie con sacralità, che nulla dice forse di lui di lei. Poi si torna a casa, nella nostra “Casa”.
Qui è diverso. In drammaterapia è diverso. Il sospetto, prima nostro e poi di quegli occhi davanti, diventa vettore, anzi una vettura…di quelle inizio secolo, rumorose sui sanpietrini di una Roma che non c’è più. E sopra, invitati noi ed il pubblico a vivere la più straordinaria complicità, -mai del tutto pagata ed esaurita…-, di vedere le cose insieme e parlarne in carrozza.
A due giorni dal nostro folle viaggio, tuttavia discreto e puntuale –non l’orologio…altra puntualità!- nella testa degli altri, in attesa che il giorno dopo ci si senta diversi, un po’ cambiati, vi mando il mio saluto-augurio e rivolgo il mio pensiero a quell’anima femminile della nostra compagnia, fatta delle nostre ragazze di gruppo, di Arco, di Ceecky, di Claire, di Flou, di Neko, di Nina, di Sole e di Maria Luisa e Papera, ai bellissimi pensieri pieni di energia che si sono e ci hanno dedicato, ai loro gesti teatrali. Il risveglio dell’anima, la riscossa delle parti sane di noi, io spesso l’ho voluta evocare in metafore al femminile, sfuggendo l’autoreferenzialità che sempre ci inganna e confonde. Ma quest’anima femminile esiste davvero nel nostro gruppo e ci da una grandissima mano, al femminile, che non sapremmo avere, utilizzare, scoprire. Un abbraccio ...forza...a ripassare le parti!

giovedì 8 maggio 2008

le dissero che era ora di procedere


Le dissero che era ora di procedere...
ma per Dio lei non voleva procedere,
avrebbe dato qualsiasi cosa per mettere uno di loro al suo posto
Poi si decise
con la mano ferma dell'insicurezza più profonda..
spinse il pulsante
...era come aveva sempre immaginato,
forse i colori un poco più pallidi, chissà a causa dell'atmosfera sicuramente diversa, ma...
c'era tutto quello che non aveva mai visto!

domenica 4 maggio 2008

azione drammaterapica

L’immagine sopra appartiene a Barbablù. Lo rappresentammo due dicembri fa. Lo strazio di accorgersi che la complicità non può essere cercata nella sua negazione, aprendo una porta mai del tutto condivisa, a scoprirvi l’orrore in noi. Ora siamo prossimi al il fissatigre”, 11 maggio 2008. Più che piece, laboratorio aperto, direi; spaccato impudico di quanto facciamo quando siamo in scena con noi stessi nel setting drammaterapico, che clinico non è, ma tuttavia si raccoglie, si china…a raccogliere i nostri esperimenti.
Cari ragazzi, cara compagnia, vi raggiunga il richiamo alla “naturalezza” delle vostre grimances cronopiesche, come dei favolosi inchini alla retorica del mondo! Non più e solo strazio! L’imprevedibile può accadere, certo, confortati anche dalla tautologia delle nostre profezie. Può accadere in scena e nella vita, di giorno e quando stiamo sognando. Il drama è nascosto.
Annette dormirà e poi finirà il sonno e tutto, proprio tutto, sarà eguale?
Questo il messaggio, in parte incomprensibile prima che leggiate. Alcune porticine, buie e segrete si aprono da sole, si muovono da sole. Non più scottati da Atena, nella sua grotta, ora attingiamo dal nostro Daimon interno, dallo stesso che ci agita fuori, per strada. E andiamo in scena.
Vs. director

La camicetta si lasciò cadere a terra, come una foglia, come un libro sfogliato che si stropiccia al suolo, dissotterrando la pagina più importante dalla trama delle cose consuete. Lei si sedette a guardarla, così minuscola, leggera, senza forma e si chiese se per caso una parte della propria anima potesse essere laggiù, ad un metro scarso dalla sua testa, arrotolata anche lei, cercando di essere dimenticata per un po’. Quei giorni erano stati intensi, troppo veloci per registrane effetti e conseguenze. Penso che aveva rischiato di inseguire così tanto i risultati che questi dal passato, discreti e perplessi, potessero, salutarla; lei, avanti. Tutta la sua vita era stato questo, in fondo. Accorgersi dopo di cose messe nelle tasche di qualche giacca da lavare, di un vestito riposto nell’armadio quattro stagioni e dimenticato per due inverni a origliare due estati silenziose. Le occasioni della vita ti passano davanti come i biglietti pubblicitari lanciati da un areostato, cerchi di prenderne uno, ma ne lasci cadere due, e se cerchi di rincorrere quelli, perdi il primo, il secondo, forse al quarto impari a fermarti ed attendere che la tua mano incontri quello più docile. Raccolse l’indumento, lo portò al viso, carezzandolo con la pelle e si lasciò cadere sul letto. Questa volta l’anima la sentiva, era intollerabile conoscerla da dentro. Persino il postino di due ore prima, pigro quanto la raccomandata che aveva portato, poteva aiutare in questo. Il gioco dello specchio silenzioso, dove ti osservi senza essere vista, senza che l’altro sappia di rifletterti come vuoi o come sospetti. Troppo tardi. La giornata era conclusa, carte, agenda, cellulare ed anche la matita rossa/bleu avevano fatto il possibile per occuparsi delle sue cose. Ora sarebbe toccato a lei. Questa volta, tuttavia, non sentì il solito attrito delle lenzuola sulla pelle, né la sconfinata morbidezza di un cuscino che ti inghiotte, promettendoti un riposo troppo corto. No. Ora era il comodino a ribellarsi al rito degli occhiali, della crema, né avrebbe ceduto alle occhiate del telecomando. Rovesciò in fretta uno scatolo grigio. Il nastro verde si era afflosciato docile come tutte le cose quella sera e la prima foto presa nel mucchio era impressionante. Il tempo può passare così in fretta che temi di essere rimasto indietro, mentre concedi a quel parente il privilegio dell’obiettivo sul tuo cappellino di paglia e rose.
L’ultima cosa fu un lungo sospiro e poi il sonno. Durante la notte, la camicetta divenne fredda e sconsolata, forse destinata a soccombere se non fosse stato per un capo del nastro verde finito sotto il suo corpo. Un’invisibile corrente di calore lo percorse da quello sino al contatto con la poltrona e di lì alla camicetta, che presto riscaldò quel pezzetto di anima, rimasta intrappolata tra le cose del giorno, prima della notte.
Al mattino Annette si svegliò come sempre, e tutto tornò nel quadro di sempre. Persino la lavatrice girò tanti giri al minuto, ignara di capi buoni o delicati e di quella foto che roteava fortemente lì dentro. Annette, tirò su con il naso, doveva essersi addormentata, svestita e stanca prima di indossare il pigiama. E non si accorse mai di tutto quel movimento notturno, né di un’immagine persa, nel fiume del presente vorticoso dietro l’oblò. La meraviglia a volte non ha spettatori accade di notte, e tra le nuvole di paesi molto distanti, lascia solo tenui soffiate di grigio su un indumento steso al sole d’inverno.


Foto: azione drammaterapica. Neko e director sulla scena di Barbableu

il desiderio è un'operazione di trivellamento imprevedibile quanto insopprimibile



Il desiderio è un'opera di trivellamento imprevedibile quanto insopprimibile per fugare la pulsione di morte -in quanto io-coscienti-, ti dico, Plinio.
Lacan afferma che l’essenza di un soggetto è nelle determinazioni dell’Altro, delle storie che egli inscrive nell’Altro nella relazione unica che lì si caratterizza. Come non pensare che l’esperimento “pericolosissimo” di osservare nello specchio quello che gli altri vedono di noi, può precipitarci dentro quello ingrata lastra di luce nell’acqua. Povero Narciso… Come non credere che l’incauto viaggio di Medusa nelle profondità del Desiderio, per scoprire quanto fosse amata, restasse impuntito agli occhi di una Atena invidiosa! L’attraversamento dello specchio che indica Tapies è un viaggio insidioso che forse solo l’Arte od un grande Amore promettono. Ma nella stessa misura ci parla di Morte. Tu dici –Plinio- squartamento…ebbene sì! Suggestivamente ricordi idealità della Bellezza, che come la Verità ha imparato dolorosamente a non sentirsi più conciliabile e desiderabile – perdona la blasfema battuta ma ogni tempo ha la sua dignitosa Croce, com’è giusto- e poi alludi a Botticelli. La sua radiosa Venere, io ti urlo, è dolore! A Madrid, la stessa, in Storia di Nastagio degli Onesti, in questo meraviglioso dipinto ci svela l’intima essenza, così inseguita e ferita dai cani…, offerta ai nostri occhi, che certo non distrattamente vorrebbero ripararla. Non vi è già nella sua promettente "apertura" di Venere -dice Didi-Hubermann*- quello squrciamento, quel taglio, il superamento della bellezza ideale. Come “…non tener conto dell’inqietudine mortale che porta con sé ogni ogni nudità di carne”. Ci riparammo, un tempo lontano, ma non solo per intrappolare il calore del nostro corpo, ma perché non evaporasse e con esso la vita…Il nostro corpo, come i nostri escrementi, sottratti alla vista ed all’olfatto dell’altro, che ci avrebbero fatto facile preda e compimento di morte. E forse il pudore del corpo vietato alla vista dell’altro, come offerto senza veli in altri istanti, è la tragica proiezione della nostra paura di morire. Il tentativo di velare la nostra presenza alla morte, altrettanto come quello di farne una sacra Sorella. E Venere se ne sta lì, con le braccia aperte, scostate dal corpo, immagine di desiderio e di dolore insieme, se dietro vi leggiamo il suo “fondo di orrore”. E l’Arte può far questo. Farci oscillare, velando dal nostro inconscio, senza risoluzione e soluzione, in bilico tra reale e simbolico. L’Amore è più terribile, ci prende il corpo e ci confonde l’anima, ci prende l’anima e ci confonde il corpo, così che realtà e pulsioni non trovano di meglio che quel sublime destinarci allo sguardo amoroso dell’altro, al suo abbraccio direbbe Barthes. Importante virgola di pace nell’esistenza, che toglie l’estraneità, quel mostrum, al nostro specchio. Salve amico.

*Aprire Venere. Nudità, sogno, crudeltà. Didi- Huberman, Einaudi, 2001

lo squartamento (Amore versus Psiche)


@ da PLINIO PERILLI

Carissimo Director,
per fortuna siamo così ben mischiati tra fabula e realtà, tra mito e cronaca, tra il nostro oggi e il sempre che da sempre accade -e per sempre riaccadrà-, che ogni figurazione o trasfigurazione ci riguarda e ci assomma, ci denuda. Leggo i tuoi felicissimi interventi “creativi”, le tue chiose di scrittura “drammaterapica” con l’incanto e il raccapriccio di chi allo specchio può finalmente scrutarsi “vero”, raggiungersi dentro… Ho detto nello specchio –nello specchio inconsapevole ma poi accettato: sia ben chiaro, non certo nello specchio d’acqua che inghiottì Narciso per errore e per colpa: la colpa di amar troppo se stesso-.
Narcisi tutti inconsapevoli, finiamo per cercare, e sovente trovare questo specchio perfino nei visi che amiamo e troppo spesso perdiamo i visi, e resta solo quel nostro specchiarci, rincorrerci, giustificarci, amare il sé anche a fronte dell’altro da sé, dell’altro che –colmo dei colmi– segretamente complottiamo perché ci adori, si identifichi pienamente con noi, dunque ci rispecchi e si annienti.
Leggo e rileggo il tuo brano su “Amore e Psiche”; oggi, poi, questa deliziosa e laica parabola gnoseologica sull’Aquila e il Delfino… Fra il mare salato della vita reale e il cielo ventoso, librante, della vita sognata – oggi l’ho capito– siamo insieme aquile e delfini, incompatibili se non rientrati nel porto quieto della verità. La verità del , voglio dire, prima e oltre l’Altro da Sé: la verità vera, incontestabile, non specchiata ancora e nuovamente nell’Io narciso, ma nel volto, negli occhi estranei eppur rapiti di chi ci sta amando.
Perché Amore non riesce a far felice Psiche? O è viceversa? Perché Amore fugge appena sorge l’alba del giorno e della verità? Perché Psiche –ed anche questo è rito di dolore– non crede più ad Amore, alla fedeltà del suo ritorno, all’inesorabilità del suo e “loro” esserci?…
Ho pensato a tutti gli squartamenti da cui nasce Amore: no, non da botticelliane gemme, fiori e primavere interiori. Nasciamo da squartamenti; il parto “podalico” di mia madre, che per tutta la vita me lo ha raccontato, direi soavemente rinfacciato, come una mia colpa fatale: “Quando tu sei nato stavo per morire…” Pausa: “E anche tu”…).
Squartamento innamorarsi, gestire Amore tra sé e sé; finalmente verso l’altro da sé -ma tutto anche in Noi- che ribattezziamo Psiche… Dove va la Gradiva di giorno?… Dove la incontriamo?… O invece ci fugge? E non bastano né Freud né Jensen a ricondurcela, a farla in fondo uscire dal puro mito…
Ecco, lo squartamento ci fa uscire dal puro mito, ci fa tornare a Psiche, graffiati e illividiti da tutti i nostri rovi interni, e dai nostri cari inferni o purgatori quotidiani che risaliamo, attraversiamo fino alla luce: lassù Psiche/Gradiva cambia nome: e non importa che sia Beatrice, o Nina, o quel che fu, è o sarà… Questa Donna ci abbacina, sempre e ancora non ne siamo degni. Inizia il lungo viaggio da noi a noi; molto molto più breve, lo sappiamo, quello da noi a lei…
Squartamento di rinascita.
Perché l’Amore non dura; non dura che a fatica, e a patto e pegno del nostro giusto, sacrosanto sforzo di rinascita? Ovviamente si parla di sé, ma quanti altri ci accomunano e ci seguono come un’ombra fatta d’ombre, una nuvola delle nuvole, anima di tutte le anime.
La distruzione o Amore, diceva un bel libro poetico di Vicente Aleixandre, salvato e ferito da mille echi surreali.
L’amore ci distrugge e noi lo distruggiamo. E lo squartamento vero, quello più atroce, è indicibile e inenarrabile con le mere parole.
Chiedo ancora al mio Io di fare l’Io, di piegarsi e inginocchiarsi sulla pagina. Perché tanti amori per inseguirne e volerne uno solo? Perché il tempo mai mi aiuta e dopo pochi mesi disamoriamo e soprattutto ci disamoriamo di Psiche? Perché tutti questi perché? Perché Psiche fa paura quando è Psiche e non lo specchio cieco, l’ancella al buio di Amore? Perché Amore fugge sempre, quasi mai salvato dall’alibi di voler tornare? Perché Amore distrugge Psiche; la squarcia, come in un quadro di Turner fra cupi e nebulosi bagliori di luce. Perché questa continua tempesta che esplode e ci allontana proprio da chi amiamo, inseguiamo o ci illudiamo di farlo? Eccome, se troppa luce può ferire, bruciare!
Perché quando Psiche è squartata –e noi con lei– già Amore sussurra, giura al consesso umanato degli dèi di voler inseguire, meritare un’altra Psiche?
Perché tanto Dolore fa orribilmente rima con Amore? E nessun stil-novo o petrarchismo può giustamente redimerlo, perdonarcelo?
Mi squarto, dunque amo. Oh, bastasse un’equazione eticamente così volitiva, un sottile, capzioso sillogismo cartesiano per cancellare colpa ed alibi e ogni specchio appannato o infranto di sé.
Perché il Plinio amoroso che è in me rinasce sempre coi piedi, capovolto, e ritrova la luce e il canale del parto solo dopo essersi inflitto, e soprattutto infliggere uno squartamento? Ogni poesia, allora, è un mero punto di sutura, un bacio indicibile al sangue, al taglio della ferita che ci fa nascere e da cui nasciamo.
Ancora, la Mamma che mitizza e prepara tutti i tranelli, i ricatti passati presenti e futuri dell’affetto: “Ti hanno tirato fuori che eri viola, cianotico… I primi giorni neanche potevamo nutrirti col latte, ma con l’acqua distillata e glucosio”…
Amore condannato ad essere e nutrirsi dolce, e questo dolce –per squartamento di sopravvivenza– a inseguirlo amabilissimo ancora e ancora su tutte le labbra, tutti i capezzoli infantili o adulti della sua -mia- vita…

Caro Ermanno, ricordi quell’incisione fiorentina della Rinascenza dove “Afrodite e le Parche puniscono Amore”?… Ben gli sta: proprio lo bastonano, l’infilzano… E lui lì, ridicolo, colle sue belle ali ripiegate, tutto legato a un albero, bendato, e il pisello smarrito, rimpicciolito dalla paura… Di più: incoronato di spine – che già come trasfigurazione laica, cinquecentesca, e naturalmente sarcastica, di un sacro tema cristiano, mette vagamente i brividi e gela il sorriso già sul nascere.
Squartamenti. E non solo.

Psiche adorata, perdona a me e ad ogni altro poeta di averti composto, dedicato, da secoli e millenni, madrigali sonetti e canzoni su temi come La distruzione o Amore… Perdonami di aver squartato te per cercare me –e non ancora me per meritare te. Perdonami di aver cantato e professato in versi l’alibi che l’Amore non dura perché svola via ogni mattina, ogni alba, prima che Psiche lo veda, lo svegli – come nel mito, intimorita dalle cattive chiacchiere delle sorelle gelose – bruciandolo con una goccia di cera della candela che ancora oggi le trema in mano…
Oh, com’è bello, Amore! E com’è vero il suo esserci, dormirmi accanto…

Lo squartamento ritorna sogno, incubo, onirico, materia prima per tutti gli psicoanalisti che sono stati e che saranno. Sì, gli evangelisti, i chiosatori o glossatori degli squartamenti, della distruzione…
Ricordo bene i diari di Kafka; così bene come se li avesse scritti solo per noi, per me: “A un certo livello della conoscenza di se stessi, e quando ci siano circostanze favorevoli all’osservazione, avverrà regolarmente che uno si veda abominevole. Ogni misura del bene – per quanto le opinioni in proposito siano diverse – sembrerà troppo grande. Si comprenderà che non siamo se non una topaia di miserabili riserve mentali.
Come se bello, mio Amore!”.
Ma l’alcova principesca dei due amanti è una topaia!
Amore risvegliato corre in bagno a lavarsi, forse a radersi; e mentre Psiche ancora lo insegue di sospiri feriti, di languori graffiati, lo squartamento candido, profumato, minimo e supremo della seduzione. Bergman lo sapeva: sussurri e grida. Fa per guardarsi nello specchio, denudarsi finalmente anche dentro; e ovviamente si spaventa: un perfetto e non più mitico mostro lo contempla senza più alibi, ritrosìe, sdilinquimenti, voli pindarici. Gli occhi che partono dai suoi, ed ai suoi tornano…
Psiche non lo sa, ma io, Amore, io per davvero sono un mostro”.

Plinio Perilli

venerdì 2 maggio 2008

dialogo tra un delfino ed un’aquila


Un lungo week-end, per chi può farlo, un alibi alla tregua necessaria comunque per ognuno. Gentili visitatori, cari ragazzi e ragazze -cresciutelli alcuni, ma comunque giovani nel cuore- spero mi leggerete solo finita la vostra "tregua", perchè altrimenti tregua non sarebbe...ma vi dedico un pensiero che aiuti a riconciliare i due mondi più importanti dentro noi. Che il loro perenne dissidio, tuttavia fertile, non soffochi mai gli ideali, nè mortifichi gli intenti in quel tratturo a due sensi tra le cose dentro e le cose fuori che desideriamo esplorare. Medusa, in questo caso, non imprigionerà con se stessa i nostri occhi in pietra immobile, perchè non sprovveduto il nostro viaggio, ne ci cureremo troppo dell'infrazione, albergando in quella spelonca che un Dio crudele spesso ci ha rubato. Quello buono è in noi e nulla teme. Vs. director

Non direi che sei più in alto”- esordì il delfino apparentemente incurante che quella ascoltasse - “…vi sono profondità più alte delle tue montagne, ma non mi sono mai sentito più in basso, quando mi sono tuffato in picchiata sopra di esse”. Intanto l’aquila, incuriosita da quel pezzetto di mare agitato in concentrici giri di luce ed al centro un muso puntuto, si era abbassata, e, riconosciuta la forma animale sotto il pelo dell’acqua, rispose “...non saprei che dire, è estraneo a me quel mondo di cui parli. Quassù, per essere avvolti ed in rotta, bisogna volare forte. Allora un’aria tiepida o pungente mi fascia e mi tiene, quasi mi porta dove ho pensato. Solo il frullio delle piume sui fianchi mi avvisa che sto correndo, mentre l’orizzonte si stringe e dà il senso a quello che punto”. Un po’ di aria si mischiò alla spuma dell’onda, delle bollicine risalirono poi a liberarsi con la pinna che sbatteva sulla superficie. Parte del cielo aveva provato a miscelarsi con la distesa dell’acqua, esattamente come quel gracidare aereo dell’aquila sulle note acquose del lungo pesce. “Tu hai un peso sotto che ti sostiene mentre lo buchi, io sulle spalle, mentre mi ci arrampico. Ecco, tutto qui!”. I due elementi si disposero in ordine, ancora, l’uno increspando l’altro, contatto indiviso nella storia del mondo del mondo.

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

COMUNICATI STAMPA