
Report Laboratorio CDIOT del 10 luglio
Quella chaise-longue accuratamente predisposta al centro della stanza/palcoscenico (o grande mente collettiva, o superproiezione dell’Io), era insieme l’unica, ininterrotta scenografia ma anche la perfetta protagonista della serata… E non è un caso che Ermanno Gioacchini, con ironia insieme affettata e casuale, provvedesse ogni tanto ad alzarla, inclinarla maggiormente, oppure attutirne la pendenza –come dire?– sminuirne il potenziale straniante, o viceversa accentrante, vertiginosamente efficace…
Intorno, lievitava, a tratti friggeva una seduta singola perfettamente amplificata per tutti, a sommo e terapeutico rispecchiamento… Cosa strana, io stavo pensando a Freud, al novecentesco Regno della Psicoanalisi: nei “Nuovi consigli sulla tecnica psicoanalitica”, egli si dilunga proprio nel rapportarsi a “un certo cerimoniale" –così scrive in quel saggio del 1913– riguardante la posizione in cui si esegue la cura. "Io mi attengo al sistema di far stendere il malato su un divano, sedendomi dietro di lui, fuori della sua vista. Questa disposizione ha un suo fondamento storico: è un residuo del metodo ipnotico, dal quale si è sviluppata la psicoanalisi”…
E allora: chi era, cosa era questo Bérenger/Gianni docilmente sdraiato sul divano nero di pelle lucida, suprema cavia ma anche ambasciatore di un gruppo che affidava in fondo proprio a lui le risposte (o le controdomande) esenziali per poter rispondere all’unico, decisivo quesito della serata:
Esserlo o non esserlo? (Rinoceronte)…
In duttile, agilissimo raccordo dialogico –e dunque teatrale– con tutti noi, Ermanno divagava, quasi danzava qua e là a calamitare battute, smistare i dialoghi, mimare sensazioni e dinieghi, disamori logici e selvatiche speranze…
Lo era ancora, non lo era più?…
Le battute del monologo finale di Bérenger in verità prima gli depongono contro (“Non riesco a barrire! Urlo soltanto! Aah! Aah! Brr!… ma gli urli non sono barriti! Come mi sento in colpa!”), ma poi via via lo salvano, la catechizzano all’umano…
“Contro tutti quanti mi difenderò, contro tutti quanti! Sono l’ultimo uomo, e lo resterò fino alla fine!”…
Difficile ora ripensare alle interpretazioni sociologiche, antropologico-culturali, e non invece sposare fino in fondo la causa di Bérenger, di salvare l’umanità e insieme salvarsi (e salvare il proprio amore per Daisy)… Poi salvarsi assieme a Daisy… Infine senza –ma salvando, impennata eroica, l’umanità residua, che gli fa scegliere contemporaneamente un esserlo (Uomo!), e un non esserlo (Rinoceronte!): entrambi fin troppo ridefiniti e riconsiderati, rispetto all’ottica semplicizzata, un po’ radicale, di prima…
E ancora Ermanno abbassava o riequilibrava la chaise-longue: “Così ti fa troppo sangue alla testa…” ha detto a un tratto a Gianni, con la leggerezza della boutade intellettuale, ma l’inesorabile efficacia terapica di quel rito quasi collettivo, comunque moltiplicato, assorbito e quasi incarnato da tutto o quasi il gruppo…
Ecco, quello che più mi colpiva erano gli occhi di tutti… Perché le voci, sì, si potevano pure aggiustare, mimare, recuperare, variare… Ma gli occhi –quegli sguardi persi, o estatici, o dubbiosi, o autoironici– vagavano lì per la sala come anime in pena da purgatorio, dannate provvisorie e insieme nostalgiche…
Anche lo sguardo di Ermanno contava –non meno delle lacrime che Gianni ci ridonava commuovendosi all’idea teatralmente mimata di una forte presenza familiare (la madre), surrogata, “recitata” da Nina…
Ed è a quel punto che lo squartamento lì inscenato -che all’inizio sembrava perfettamente delegato a Gianni- tornava prepotentemente indietro, rimbalzandoci quasi in faccia, nel cuore, come enigma e travaglio di tutti…
Personalmente –con la figura del Terapeuta affidata a Dedalo, e poco dopo addirittura sdoppiata nella contemporanea presenza di Dedalo e del nuovo acquisto Grazia, una bella Signora con un figlio universitario e tanta voglia di ricostruirsi, di cambiare–… personalmente ho cominciato a immaginare quelle due figure terapiche, sì, ma anche investite d’autorità, paternal-matriarcale… Pensavo insomma ai miei genitori! Nel bene e nel male, e anche nel loro operare a volte in collaborazione – o quasi…
Ed è stato un momento fortemente astratto, ma anche lievitato, orchestrato, orecchiato di accadimenti… Poco importa che siano grandi, eroicomiche imprese o banali e struggenti paludamenti: Leopardi è supremamente scettico, in questo, ma anche rasserenante, vorrei dire: drammaterapico… Specie quando ci rifila le sue consuete tirate contro gli uomini e inneggiando alle bestie: “È vergognoso che il calcolo ci renda meno magnanimi, meno coraggiosi delle bestie”… “Anche loro sono capaci di corruzione, sebbene meno degli uomini”…
Ora la mimica si elevava a positura, a gesto caratteriale, e addirittura intravedevo e proiettavo nelle figure di Dedalo e Grazia un preciso dittico genitoriale, asfissiante ma pure affettuoso…
Quante cose si ottengono con successive regolazioni di una chaise-longue! Ed è a questo punto che il lapsus iniziale di Ermanno (“Shakespeare era un personaggio…”), è diventato il più affettuoso bilancio teatral-esistenziale: Sì, Shakespeare era un personaggio salvatosi diventando suo autore…
Anche Bérenger fa qualcosa di molto simile… Evolve, ragiona –tra un cognac e l’altro– fa la corte a Daisy, la riperde…
Come una scrittura che sappia e voglia riscriversi, rimettersi in gioco, squartarsi, cancellarsi, riproporsi… Bérenger, il Bérenger, lo fa anche per noi...
“Che strano essere, però! Chissà mai a che cosa assomiglio”…
Foto: Berenger in Terapia, Laboratorio CDIOT del 10 luglio
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