Il “popolo” de Il Rinoceronte che subisce il drammatico evento trasformativo si divide in tre categorie. La prima appartiene a coloro che si trasformano; pochi “esemplari” inizialmente; una estensione epidemica a quasi tutti, nel finale. Il secondo gruppo è costituito da chi assiste al fenomeno, prima di essere travolto, tra un iniziale incredulità, scandalo, sino alla totale resa intellettuale ed emotiva di fronte all’evidenza dei fatti –o ci si è già trasformati, o, comunque, non si può far più niente per opporvisi, anzi conveniente adeguarsi e convivere con quanto avvenuto. La terza popolazione è costituita soltanto da Berenger; un'umanità atipica, spettatrice, attraversata da recriminazioni, pentimenti, conflitti e dubbi, in un poderoso e drammatico ingorgo emotivo tra stati d’animo differenti –vedi foto-, che si espande parallelamente alla “rinocerontite” –ma di segno opposto- a sconvolgere dentro e non fuori. Qui, infatti, il cambiamento riguarda l’individuo e non la massa.
Il disimpegno dell’Uomo Berenger, al terzo atto, non è più possibile; gli si concede la disperazione ed il timore di essere già in trasformazione o folle. Il testo gli chiede addirittura il sacrificio dell’amore, in un lezioso minuetto dei due amanti –perché sospeso sopra la tragedia che lì si svolge-, dove i due si rincorrono nella profferta di amore e promessa di salvezza che vorrebbe superare la vicenda storica, senza mai incontrarsi nello stesso tempo dello slancio.
Sembra che proprio quello che ho indicato come “disimpegno” nell’Uomo Berenger, possa essere la profilassi verso l’infezione; che l’ingenuità dell’uomo assicuri la sua salvezza? Un ritorno allo all'uomo naturale di Rosseau? Davanti ai suoi occhi -lo abbiamo detto-, buon senso, logica, filosofia sono naufragati miseramente. L’ideologia, il fanatismo, le sue bugie –tentiamo di tradurre…- ben sanno utilizzare la cultura, manipolare il dissenso, la disperazione come l’intelligenza dell’individuo e cooptare la sua incondizionata adesione. L’autore rende quindi una descrizione letterale di una dinamica sociale, che è stata storia nella dittatura nazista, facendoci interrogare sempre perplessi sul perché di quegli eventi. Domande come motori verso il cambiamento, perché cercano risposte e non soluzioni. Perché tortura, genocidio e soprattutto perché nonostante cultura, filosofia, scienza, etica ed evoluzione dell’uomo, si chiede Berenger.
Il disimpegno dell’Uomo Berenger, al terzo atto, non è più possibile; gli si concede la disperazione ed il timore di essere già in trasformazione o folle. Il testo gli chiede addirittura il sacrificio dell’amore, in un lezioso minuetto dei due amanti –perché sospeso sopra la tragedia che lì si svolge-, dove i due si rincorrono nella profferta di amore e promessa di salvezza che vorrebbe superare la vicenda storica, senza mai incontrarsi nello stesso tempo dello slancio.
Sembra che proprio quello che ho indicato come “disimpegno” nell’Uomo Berenger, possa essere la profilassi verso l’infezione; che l’ingenuità dell’uomo assicuri la sua salvezza? Un ritorno allo all'uomo naturale di Rosseau? Davanti ai suoi occhi -lo abbiamo detto-, buon senso, logica, filosofia sono naufragati miseramente. L’ideologia, il fanatismo, le sue bugie –tentiamo di tradurre…- ben sanno utilizzare la cultura, manipolare il dissenso, la disperazione come l’intelligenza dell’individuo e cooptare la sua incondizionata adesione. L’autore rende quindi una descrizione letterale di una dinamica sociale, che è stata storia nella dittatura nazista, facendoci interrogare sempre perplessi sul perché di quegli eventi. Domande come motori verso il cambiamento, perché cercano risposte e non soluzioni. Perché tortura, genocidio e soprattutto perché nonostante cultura, filosofia, scienza, etica ed evoluzione dell’uomo, si chiede Berenger.
Non ci interessano qui i motivi politici, la ragione ed il torto di una vicenda che ha per nome “olocausto”; non c’è bisogno di discussione su questo punto di arrivo atroce; ci interessa l’Uomo. Certo è che Ionesco, spettatore oculare come Berenger, interprete del proprio tempo, afferma con forza –solo apparentemente docile quella dell’assurdo!- che se non salviamo l’individuo, tuttavia scoprendolo totalmente, ricco e fragile, se non accogliamo appieno la sua “umanità” possibile…divise e preghiere, lingue ed economie facilmente lo frammenteranno nella sua coscienza, nella ricerca vacua di ragioni vere e false delle nostre azioni, destituendolo dal proprio progetto.
Durante tutto il secondo e terzo atto è martellante il processo di indagine dei personaggi sulla trasformazione in atto ed il dubbio fondamentale riguarda due atteggiamenti fondamentali: ricercarne le motivazioni nelle ragioni dell’individuo o in un fatto estraneo, un fattore appunto “virale” e contagioso che usa l’Uomo, ma sconvolge il suo “momento”personale, quell’angolo più o meno ottuso od acuto che potrebbe opporsi al distruttivo cambiamento. Proprio nella lacerante discussione su questa speculazione –a volte cerebrale, altre volte affettiva- Berenger osserva compiersi il proprio “cambiamento”, differente da quanto occorso agli altri… Egli finirà con lo scoprirsi dove “non si conosceva”, o se si vuole rispettare i fatti visibili, dove “non era” ancora.
La Storia è come disseminata di crimini “invisibili”, intendo mai avvenuti, germi di erbe infestanti pronti a germogliare nel grembo di un’umanità che nessuna Cultura o Etica riesce a mantenere comprensibile e democratica. Quante volte la “coscienza di Zeno” dovrà essere perduta e riconquistata? Parallelamente, questo nostro “uomo” possiede uno spazio interno popolato di affetti, paure e desideri, memorie emotive, accoglimenti e rifiuti che possiedono il potere di farlo evolvere, trasformandolo.
Berenger, consolati…capace di abbandonarsi creativamente, senza rinunciare al miracolo della ragione. Berenger, lo sapevi da parecchio, ma lo avevi scordato, non è smettendo o ricominciando a bere che scaccerai il mostro della “rinocerontite”! Berenger, credimi, di quante macabre perfette coreografie può travestirsi questo istinto di morte!
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