@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

venerdì 30 ottobre 2009

Drammaterapia, Il Rinoceronte, Botard e l'Assurdo


Ionesco è alla ricerca del nucleo di autenticità dell’essere umano e si dispera sul fatto che esso possa essere facilmente perduto. Egli osserva la cultura del suo tempo -e di ogni tempo-; gli elementi di progresso che, tuttavia, possono inibire il percorso vero l’autenticità, se diventano auoreferenziali e comportare un regresso nella civiltà. Ed il linguaggio è quel timbro costruito dalla cultura, che la contiene e che molto spesso tende a schiacciare l’individuale, a vantaggio di una mente “collettiva”, convenzionale, se non vi è lo sforzo di di riappropriarsi della propria identità. Egli ridicolizza i timori dei suoi personaggi, così espressi nella laconica o verbosa, comunque sterile, comunicazione di frasi ripetitive. Una ecolalia stereotipata delle emozioni, dove il mittente è specchio del ricevente. Meraviglia, sospetto, panico, dolore, …tutti sentimenti senza anima, quando partecipati all’altro senza una reale empatia; ma repertorio codificato, non interpretato. I luoghi, con gli accadimenti e le persone non sono “pensati”, ma riprodotti in una comunicazione che sembra un meccanico passaggio di fotografie tra i presenti, piuttosto un “non pensiero”. Persino le peculiari caratteristiche dei personaggi –che pure esistono- appaiono schiacciate in stereotipi che nulla lasciano all’imprevisto ed alla creatività.Tutto perfettamente binario, potrebbe dire Ionesco, e perdutamente scomparso nella sua dimensione analogica.
L’unico potenziale “imprevedibile” che potrebbe dare una prospettiva differente alle comunicazione dei personaggi -che vivono come vignette e nuvolette riempiti in involucri di uomo- è appunto il “rinoceronte”; elemento tanto dirompente ed assurdo, che però rischia di perdere anche quest’ultima caratteristica, quando considerato nei capziosi ragionamenti dei personaggi. Sezionato in una anatomia di giudizi impigriti nella mente "comune". Valutazioni che si ripetono, che hanno la pretesa di tradurre sensibilità e logica con l’unico effetto di una “tragica” comicità. Anche il rinoceronte fallisce, non risveglia dal torpore la coscienza, non la spinge a raccogliersi ed a funzionare, perchè è tragedia del linguaggio, quando si avverte che l’unica sua tensione è verso quel tentativo, tuttavia inutile, di riportare le cose allo status quo, alla posizione originaria, all’immobilità primitiva. Una sorta di “negazione” della realtà e quanto essa può contenere. Botard "Non riesco ad osservare una cosa del genere. Si tratta di una illusione".

Proprio questa assenza del pensiero -dobbiamo pensare- è la causa del trascinamento epidemico di tutti verso la trasformazione rinocerontesca, con l'unica eccezione di Berenger. La logica, in realtà, è intrattenuta in un falso tentativo di "accettazione" della realtà. Se si dubita di quanto si osserva, questo può spingere verso un incontro a-pregiudiziale con le categorie di quanto sino ad oggi si è “archiviato”, scoprendo la “propria” realtà; ma se il dubbio è anonimo, o nasce solo dalla paura, ha perso la radice del personale “dolore”, esso allora diventa l’anestetico verso espressione dell’anima del singolo uomo.
Osserviamo ancora Botard, nella seconda scena. Essa descrive un ufficio, un luogo comune appartenente alla vita di tutti i giorni, con persone impegnate nel loro lavoro. Nella discussione che sorge in merito agli "incidenti" con i rinoceronti, egli diffida dell’esistenza di questi ed apertamente ridicolizza le informazioni che gli danno i colleghi, il personale racconto oculare dei fatti e persino quanto riportato in cronaca dai giornali. Egli non crede a quanto viene scritto. Eppure, poco dopo, egli è quasi disposto a giurare di non aver mai messo in dubbio l’esistenza di quegli animali, anzi, di aver seguito sin dall’inizio l’evolvere della vicenda e di avere i propri fondati sospetti” sui responsabili del fatto! Ecco un esempio di "dubbio" che non serve la ricerca di un senso, ma che si protegge da solo, sino a blindarsi in una cieca assenza di consapevolezza sulle proprie contraddizioni. Proprio Botard, lo stereotipo della logica, che non si fa prendere dalle psicosi collettive, si trincera nel proprio “delirio” persecutorio, lontano dalla tanto declamata razionalità ed interpretando a pieno il tema dell'assurdo.
Foto: Drammaterapia, Il Rinoceronte, Botard e l'Assurdo, CDIOT, 2009

mercoledì 28 ottobre 2009

Drammaterapia: Sotto la Pelle del Rinoceronte.

@ Rosanna

Ciao Ermanno, ho tentato di scrivere altre volte, ma ho sempre cancellato tutto.. è stato importante conoscerti, conoscervi...non credo alla casualità, anch'io ero pronta.
Nel primo incontro ho avuto la percezione di essere immersa in un vortice onirico, un' altra dimensione, dove gli schemi e l'ovvio potevano essere altro...un pò come lo spazio morbido e caldo che riuscivo, da piccola, a ricreare leggendo i miei libri. Tutta, il mio conscio e inconscio, erano dilatati a prendere tutto...senza difese.
Tu, director, hai capito che fremevo nel voler far parte del mondo di Daisy e Berenger... e quando me ne hai dato la possibilità, lo scambio emotivo, verbale e gestuale tra me e Gianni (Berenger) mi ha nutrito, mi ha fatto sentire piena, bene con me stessa e con il gruppo. Sono ritornata a casa con un entusiasmo incontenibile che mi ha accompagnato per tutta la settimana. Ho comprato il libro di Ionesco e l'ho letto nei pochi ritagli di tempo, con avidità.

Già dal secondo incontro, però la ragione, la paura, il conflitto...cosa sto facendo?? Mi ripetevo troppe cose, la collaborazione con le istituzioni,..il corso sulle perizie..la mia bambina di due anni..e altro... forse è meglio rimandare il laboratorio del CDIOT...Dovevo dare una risposta ma non riuscivo a risolvere il conflitto; e poi tu Ermanno mi hai comunicato tutto il tuo entusiasmo e ho detto siii voglio partecipare, voglio esserci, voglio lavorare e dare!

Quest' ultima è stata una settimana difficile e intensa; vi ho portato con me al mio debutto di soprano in erba...e mi sono resa conto che con molta fatica e volontà sto piano piano uscendo dalla corazza da rinoceronte che non mi si addice più.
Grazie, un abbraccio, Rosanna

Drammaterapia: Sono a prescindere...

@ Spartaco

Che meraviglia aver paura! Per tutti, per me, e per te, Maria-Pina. Amo perche e bello amare, non per evitare la solitudine o la paura della solitudine. Amo perche la vita e amore. 'Temo quindi sono". Io sono!
Sono a precindere, perche sono un piu, non un meno.
Studiare, fare teatro, leggere, viaggiare, non per non fare invechiare il mio spirito ma per il piacere di farlo, per la voglia di farlo e scoprire strada facendo che e bello.
Io non ho un dio, perche l' essere umano e gia Dio. Non perche fa miracoli, ma perche puo compiere il suo di miracolo.
Vivere! Vivere senza la paura di aver paura. Non c e vecchiaia, c'e vita. c' e ignoranza fino a quando c' e la paura che ci impedisce di andare oltre e non essere piu ignoranti.
Entrare nella paura ci da la possibilita di usarla come risorsa nostra per vivere tutto quello che ci viene offerto da questa straordinaria vita.
Voi siete lo straordinario della vita. Era impensabile poterci incontrare.
Grazie a tutti voi che mi date la possibilita di questo.

DRAMMATERAPIA: RINOCERONTESCO ORGOGLIO


Dopodomani rituale incontro di laboratorio. La seconda scena sarà di crogiulo per la costruzione della prima; ne seguirà una terza ed una quarta finale: la nostra riedizione drammaterapica de "Il Rinoceronte"". Il processo -se dobbiamo stare a quello che osservo e leggo- è in pieno atto. Atto interno, rappresentato internamente, con ancora timide affacciate alla finestra. E' così che funziona l'In-Out del Teatro "drammaterapico". Il crogiulo è quasi sempre invisibile, con il rumore di fondo di inferenze nella nostra vita.

Pensate...una mattina, davanti al vostro lavandino, il vostro viso pronto per essere bagnato dall'acqua ed uno sguardo veloce corre allo specchio...Orrore! Piccole macchioline verdi-grigiastre lo hanno punteggiato, con concentrazioni sulle pieghe, sulle vostre rughe e poi...quello strano bozzo sopra il muso! Eh sì...perchè ora di "muso" si può solo trattare.

L'avete detto, sospettato, sperato e temuto...chi è immune dalla rinocerontite alzi la mano e scagli la prima pietra! Il "director" non è diverso, è punto d'incontro e lavoro, ma anche egli, alzandosi qualche volta al mattino, avverte sotto le mani distratte una pelle meno "normale", delle specie di pliche che arrotondanoil suo contatto con la realtà, lo appesantiscono. Non vi confesserà mai gli eventuali barriti che seguono, ma anch'egli è nel processo.

Sono, nel processo ed ho bisogno di campioni di temerarietà per sputare fuori, travestite di Ionesco, le pattumiere della vostra vita, le dispense del vostro pane profumato, la deriva e l'approdo del vostro viaggio. Sino all'inferno se occorre. Avete compreso bene. Sino all'inferno. Mai dentro.

Foto: Dramatherapy, When a Directos Becomes a Rhino,

martedì 27 ottobre 2009

DRAMMATERAPIA: RINOCERONTESCA PAURA

@ Maria Pina

Prologo: Nella mia collezione di T-shirt , ce n'è una con su scritto "Chi è fiero della propria paura osa tendere cavi sui precipizi; si lancia all'assalto dei campanili; allontana e unisce le montagne..."

Una volta, sono finita in mezzo a un branco di rinoceronti. Veramente non è successo una sola volta, ma quella volta la ricordo meglio di tutte. Mi trovavo presso un centro yoga, anni fa; la circostanza era una festa o doveva essere tale. Per l'occasione abbiamo meditato a gambe incrociate, con la schiena tenuta dritta all'inverosimile, le mani piegate all'altezza delle scapole. Due ore così, intontita da canti, penonmbra, incensi e incapace di trovare un senso a ciò che stavo facendo, al perchè mi trovassi lì, a dare cosa. Potevo alzarmi, andarmene senza salutare , esprimere il mio disagio, ma non lo feci.
Troppo faticoso andare contro il gruppo, spiegare, dissentire e troppa la paura di ritrovarmi sola, incompresa. Divenni anche io un rinoceronte in quella circostanza. Una bella rinocerontina , magari con i fiocchetti sui cornini, ma pur sempre un oggetto omologato alla circostanza. Lo so perchè ho ricordato tutto questo: cerco un legame tra la paura e la manipolazione mentale. C'è sempre un guru, un santo, una guida , un manipolatore che cavalca le paure dell'individuo e/o della massa. Hai paura del futuro ? Eccoti l'oroscopo. Ti spaventa la imponderabile variabilità del cosmo e della vita? Niente paura, c'è l'uomo forte che ti guida, o se preferisci c'è un credo da seguire o un corpo di regole che vuol contrastare l'entropia della vita. E così via...

Spartaco, prima hai parlato della paura e hai aperto in me un filo di pensieri e parole di cui non trovo il senso (forse lo troverete voi che leggete). Che meraviglia aver paura!
Teniamocele strette le nostre paure, rispettiamole nel loro valore assoluto. Amo perchè ho paura della solitudine. Viaggio, studio , leggo, recito, scrivo perchè mi spaventa la vecchiaia dello spirito. Temo quindi sono. Non ho un Dio che conforta e assiste. Non ho una buona stella che si pone benevola verso di me. Non ho corazze a difendermi. Contro le false ricette alla paura, ho solo un agglomerato di neuroni e una coscienza.
(Ma Daisy è anche un pò Berenger?)

Drammaterapia: Daisy, studio del personaggio

Daisy nella II scena
Riduzione Drammaterapica de "Il Rinoceronte" del CDIOT
Lato Interno e lato Esterno, Destro o Sinistro della Tragedia


Non è dato di sapere di che riunione si tratti, ma è questo che desidero. La vita ti sconvolge facendoti ritrovare imprevedibile, non riconoscibile a te stesso e, solo quanto si svolge, costituisce la lettura di quanto sei, comunque sia andata, di una parte di te almeno -ma nulla è diviso dal resto. Certo è che siamo a casa di Daisy ed è altrettanto certo che le vicende che si succederanno in questo luogo, di qui a poco, saranno a caratterizzarla. Dunque, in tal senso, non ha un'importanza precostituita sapere perchè tutti gli ospiti siano lì...

L'idea è quella di un contenitore che, formalmente costituto dalla casa di Daisy, si arreda, si definisce man mano che i dialoghi vengono a caratterizzarlo. Ancora, è certo che sia un luogo "interno", il luogo del processo dei pensieri su quanto accade, mentre fuori vi è un "esterno" dove probabilmente i rinoceronti sono a processare la piccola cittadina di provincia.

E di questo si parla in questa riunione, dove tutti sono colleghi d'ufficio. Tutti tranne uno, Marianna, amica intima di Daisy. Tra un discorso e l'altro, appunto, l'attenzione cade su quanto di inverosimile ma reale sta accadendo in paese. Daisy, nel corso ti tutta la scena, intratterrà una comunicazione privilegiata, intensa, ma discreta con Berenger; anche prima che egli arrivi, quando, rivolgendosi alla sua amica, ne espone il punto di vista su "i rinoceronti". Quando poi egli compare, al primo momento di intenso piacere nei suoi occhi che brillano, si sostituisce la preoccupazione per la sua salute. Egli è lacero, almeno da un lato -quello destro-, ma l'amore non fa misurazioni geometriche della propria tensione. Una colluttazione con i rinoceronti, di fuori, l'ha ridotto in questo stato ed è causa del suo ritardo. Ha dovuto difendere -ma inutilmente- una Anziana Signora a sua volta assalita da loro e, poco dopo, quando Dudard ironizzerà sulla scarsa riuscita del suo intervento, sarà sempre Daisy ad esprimere comprensione per il gesto del suo amato. E' amato, Berenger, da Daisy, ma tutto -l'abbiamo detto- scorre discretamente davanti agli occhi degli altri ed a volte (sic) di loro stessi.

L'Anziana Signora fa il suo precipitoso ingresso in casa ed ora, al precedente solerte tentativo d'aiuto di Berenger a favore della "poveretta", si sotituisce proprio Daisy, almeno in un primo momento. Poi, la sua attenzione empatica verso quella viene fagocitata dal significato "mortifero" di cui la malcapitata è indirettamente ambasciatrice; fatto che, tuttavia, avviene anche per tutti gli altri personaggi. L'atmosfera totale si trasforma, descrivendo un incosciente disinteresse per la donna che giace a terra, lacera e probabilmente ferita -dove? Dentro o Fuori?. La sua attenzione "empatica" verso quella si spegne e lei si lascia contaminare dallo stato di preoccupazione/agitazione per la situazione "generale" che viene a superare la circostanza "particolare". Ancora qui, emblematicamente viene rappresentato lo schiacciamento dell'individuo, rispetto al gruppo, la mortificazione dell'identità individuale rispetto all'ideologia. Ora Daisy è nuovamente preoccupata per l'irrequieto interrogarsi di Berenger che, probabilmente, sbiascica tra se e sè un costante "Mio dio, non è possibile!". Lo segue e cerca di confortarlo. Tutti gli altri ospiti sono pervasi da uno stato di allarme che freneticamnte li conduce verso mille congetture; Berenger e Dasy non sono sottratti a questa dimensione globale, ma in più vivono quella privata di un complicità nel "patire" la vicenda comune.
Un colpo di tosse della Anziana Signora richiama nuovamente l'attenzione di Daisy e, quindi, degli altri.

Andiamo a leggere... E' l'evento nuovo che si offre a pretesto per l'empatia; se non vi è accadimento, non vi sarà nessuna premura ed attenzione! Nessuno è nella condizione di presentire, immaginare, immedesimarsi nella situazione dell'altro, monadi poste meccanicamente a vivere la stessa esperienza; ma è solo quest'ultima il fattore di identità del loro comportamento, non la creatività ed imprevedibilità insieme del loro insieme, del mix delle loro anime: sembra che l'influenzamento reciproco sia vietato e tutti reagiscono in maniera "animale" verso l'epidemia che da animali proviene. Ma questo non è un effetto della rinocerontite, anzi, sembra proprio precederla, se si deve stare al testo ed al primo atto del Rinoceronte. Molto più probabilmente nè è la causa. Ma ai personaggi non è dato saperlo, essi sono ospiti in una tematica conflittuale in noi e solo rappresentata attraverso loro.

Viene discussa, su stimolo di Daisy, una "ipotesi di aiuto" -l'acqua-, più che istintivamente dato questultimo! Ed è di nuovo Berenger, verso Daisy, a dare l'ultimo punto al serrato dialogo tra tutti, ratificando a questa che aveva posto il problema, l'opportunità di dare da bere alla povera donna. Daisy e Miranda -ancora le due donne insieme a fare qualcosa-porgono un bicchiere di acqua a quella e, stupore, orrore e terrore...tutti scoprono qualcosa di nuovo: sotto le lacere vesti da un lato -sinistro- della donna, si scopre una pelle ferita e già in via di rapida rinocerontesca trasformazione.

L'interesse per l'altro è la chiave che apre nuove porte, comunque sia la scoperta e la nostra evoluzione è il sottotesto del gesto delle due donne.

All'assordante rumore dei passi in corsa dei rinoceronti di fuori, tutti si paralizzano, atterriti. Daisy "incontra" -ancora una volta come all'inizio- Berenger: quell'abbraccio finale che egli le porge e dove lei si accomoda. Qui, vicenda privata e pubblica, personale e sociale si fondono. Nella nostra riduzione drammaterapica è in questo finale di scena che i due personaggi raggiungono il climax della loro tensione d'amore.

Drammaterapia: le Maschere Invisibili

@ Francesca
su "Drammaterapia e Panico: Terrore come strategia del Potere"

E’ difficile entrare di nuovo qui ! Soprattutto quando si è distratti da mille interruzioni quotidiane che si fanno sempre piu invadenti e ti tolgono la capacità di riflettere…comunque ci proviamo ! In merito a questo post, nel rileggerlo, oltre a ribadire i concetti già individuati nella nostra precedente discussione, ciò che noto come nuovo elemento e carpisce la mia attenzione è la parola IMPOTENZA. Per prima cosa mi fa sorridere un pò, poichè un’ attimo prima che leggessi questa analisi testuale ho pensato proprio a questo tipo di sofferenza e limitazione fatalistica. Un sentimento nato con l’uomo a cui ci si può sempre incosciamente adattare, anche per causa di forza maggiore. Purtroppo però questo, secondo me, nasconde un pericoloso potenziale di plagio, si soccombe quasi per inerzia, per scontatezza, per pigrizia, per mancanza di forza, perché tutti fanno cosi o al contrario nessuno lo farà, per seguire la massa e quindi appunto per impotenza!
La massa fa paura, perché al suo interno scattano delle dinamiche di plagio reciproco per cui l’individuo difficilmente si rende conto di essere coinvolto, ma lo è indirettamente; non possiede piu la sua libertà di pensiero e non ha piu capacità di giudizio, diventa una sottomissione comune. Si ha la convinzione di appartenere a quel gruppo per libera scelta. La domanda che mi pongo è proprio questa: perché siamo sempre capaci di unirci, di creare forza gruppale sempre per fini mostruosi (vedi la tragedia dell’Olocausto ), bellici,rivoluzionari e mai in grado di farlo, salvo qualche rara occasione, per un bene comune, pacifico, per puro "egoismo comunitario"? L’impotenza del singolo individuo potrebbe diventare forza comune e trainare verso un pensiero possibilistico, capace di cambiare le sorti di certi meccanismi di vita inceppati non rivolti verso un POTENZIALE cambiamento.
Foto: Dramatherapy, The Rhinoceros, Daisy, Laboratorio CDIOT su Ionesco, settembre 2009

Drammaterapia delle Istituzioni?



@ Spartaco


Come é vero quello che dici Gianni. Ci troviamo incastrati in un sistema che non ci permette di pensare in autonomia, previo pagare un dazio pesantissimo. Che apparentamente ci fa sentire fuori dal gruppo, quindi fuori dal sistema. Che cosa é il sistema? E quello che vogliono gli altri...per poterci manovrare e decidere, in maniera spesso subdola, il nostro vivere quotidiano. L'unica arma che noi abbiamo: noi stessi. Per essere tali, non deve esistere il compromesso con noi stessi, che nasce dalla nostra non-libertá. Quindi dalla libertá di avere paura e di entrare nella scommoditá di noi stessi. Il resto sono soltanto parole dettate dalla mente, manovrate dalla paura di soffrire. Il sistema mi da il cimitero, ma non deve dettare se andarci o meno. Ed io non mi devo sentire esposto al giudizio del sistema. Un saluto affettuoso a tutti.
Foto: Dramatherapy, The Rhinoceros, Botard, Laboratorio CDIOT su Ionesco, ottobre 2009

Dramatherapy: where's my voice?

@ Pino

Sono sicuro che, se mi sedessi sulla poltrona che è lì sulla destra, riuscirei a pronunciare poche parole abbozzate. Non ho fiato. Le parole sono morte dentro. Non escono fuori nemmeno a pagarle. Nessun incontro galante, nessuna gita o altro evento emozionante potrebbe restituire ciò che non si possiede.Tento, con i ricordi di queste ultime serate passate con il gruppo. Mi colpiscono le immagini e le foto del kamikaze che si fa esplodere: il corpo del designato anche se smembrato da una deflagrazione può ricomporsi attraverso l’incontro con l’altro. Piccoli pezzetti raggiungono il loro posto assegnato perché attraverso l’altro, il corpo se ne riappropria. Dal tuono dell’esplosione, si liberano colori inaspettati. Il kamikaze sembra sicuro di sé, deciso, orientato verso un ben definito obiettivo. Le sue disastrose convinzioni toccano la fragilità degli affetti familiari e se ne nutrono. Quanta disperazione, quanto dolore, quanto sangue versato inutilmente. Se solo potesse prevalere la pace, se tutti fossimo portatori di pace. Perché l’arma “dell’uomo-bomba” contro le negazioni dell’uomo? Perché chi ha subito o subisce un torto risponde con un’azione altrettanto oltraggiosa? Quella società sembra aver perso il rispetto dei sentimenti primordiali.

Foto: Dramatherapy, Catharsis , Laboratorio Atelier LiberaMente su "il Kamikaze", ottobre 2009

lunedì 26 ottobre 2009

Drammaterapia: con la Paura si possono creare Bisogni.

@ Gianni


Domenica 25/10 ore 8.30. Mi sto muovendo per andare dai miei genitori, fuori Roma, un po’ presto, ma il mio orologio biologico mal si adatta al cambio d’orario e mia moglie propone di allungare un poco il percorso per andare al cimitero Flaminio, dove sono sepolti i miei suoceri. Accetto di buon grado, per nulla infastidito dalla sua richiesta, anzi con il piacere di passare qualche minuto in raccoglimento davanti alla loro immagine.
A circa 500mt. dall’entrata ci troviamo incolonnati a causa del gran numero di veicoli che si recano nello stesso luogo. Dieci minuti di fila, altri quindici per comprare dei fiori e comincio a riflettere su tutto questo.
Manca una settimana esatta alla commemorazione dei defunti e molte, moltissime persone -scoprirò in seguito tornando verso Roma, incontrando una coda lunga chilometri- hanno pensato di anticipare un’incombenza che avrebbero dovuto svolgere dalla settimana prossima a tutto il mese di novembre.
Ma come, mi chiedo, un gesto che dovrebbe nascere dalla spontaneità di un sentimento, e dalla voglia di vivere un momento di “comunione” con chi non c’è più, si trasforma in una sorta di impegno lavorativo, da incastrare tra gli altri impegni infrasettimanali? “Vado prima, così non ci dovrò andare poi?” Ma trasformare un gesto di affetto in un impegno non toglie spontaneità al gesto stesso?
Quante volte facciamo o diciamo cose solo per rispetto di usi e convenzioni, sentirsi quindi parte della società?
E’ possibile che viviamo con l’unico scopo di rispettare ruoli e incombenze, regole e gestione del tempo, incastrati tra immagini riflesse e stereotipi confezionati, bisogni reali o indotti, impegni e sistemi lavorativi con stacchi programmati per scaricare gli stress? –week-end, vacanze mordi e fuggi, cure termali, oasi relax, ecc..

Cara Maria Pina, non solo in te alberga il “rinoceronte”, pronto ad esplodere e spandere tanta di quella polvere “da non sapere neanche chi siamo”. Comincio a pensare che siamo tutti rinoceronti, chi in maniera più evidente, chi meno, chi con la pelle più dura di una corteccia di quercia, chi con delle striature appena accennate, abbiamo già la predisposizione genetica per essere rinoceronti. Ecco perché -come dice il director- i guru, i santoni gli pseudo-leader, hanno gioco facile ad entrare nelle nostre menti e governare il nostro animo. E non credo sia indispensabile una strategia del terrore -che certo è il sistema più semplice e più a buon mercato per tiranni carenti di buon senso ma schifosamente ricchi di armi e violenza-, ma sia sufficiente trovare e toccare le corde giuste, per far muovere “la mandria” nella direzione che vogliono. Viene da pensare ad un certa storia sulle “religioni”, all’inizio mai imposte,che lavorano sul convincimento e sul plagio e hanno come base una lettura distorta di fatti reali o manipolati all’uopo. In seguito viene usata la violenza per il rispetto dei principi religiosi e il mantenimento di un regime politico basato sul fanatismo religioso. Se provassimo a scrivere un elenco di atteggiamenti “animaleschi” della nostra società “civile”, credo rimarremmo seriamente colpiti dalla sua lunghezza e dalla varietà di storture comportamentali atte a mascherare le difficoltà degli esseri umani presi in analisi.


Foto: Dramatherapy, The Change. L'intensa espressione dell'attore che traduce il drama. Esso esce come maschera interna a "rapire" fuori, "usare" la mimica. E' contestuale la consapevolezza di essere nella "finzione" interpretazione, con la "autenticità" del processo interno. La catarsi *è lo strumento essenziale del processo di lavoro in drammaterapia. Laboratorio CDIOT, settembre 2009.
* Un ottimo articolo sull'argomento

domenica 25 ottobre 2009

Drammaterapia: questa sana scomoda paura!

@ Spartaco

Sembrera strano, ma le mie paure mi vanno bene. Quando avverto la voglia di fuggire o di scomodita, non so per quale meccanismo, ma mi trovo dentro le situazioni. E mano mano che me le vivo il mio disagio scema,svanisce. Alla fine mi trovo in situazioni che pensavo scomode ma invece sono normali. Ben venga questa sana scomoda paura!

Dové il mio rinosceronte? Non so per quale motivo, ma questo livello di attenzione nei confronti delle difficoltá, paure, situazioni nella vita di tutti giorni, mi ha portato a convivere un disagio continuo che si trasfomava in un vivere continuo. Questo e successo nel momento in cui ho preso consapevolezza e accettato angosce, paure, limiti, disagi che sicuaramente per gli altri erano inimmaginabili. Ed io, come molti partivo dal un punto di forza, negando le mie debolezze e paure e quindi non c'erano. Bello, straordinario, riempitivo per me accetare lo straordinario essere umano che sono come tutti.

Nessuno e meno di nessuno, nessuno e piú di nessuno. Solo atraverso lo specchio degli altri riusciamo a ricomporci totalmente, a vedere chi siamo, perché gli altri non sono altro che l'immagine riflessa di noi stessi a volte inaccettabile.
Grazie a tutto il gruppo per quello che mi ha tirato fuori.

Foto: Dramatherapy,What's The Time, Please? , Laboratorio CDIOT, giugno 2009

Drama Therapy: Crying Time, Daisy & Berenger Through the Time

Si sono scritti, non a lungo, quanto basta a sapere che il tempo dipinge quadri differenti, sposta figure e sfondo, cambia le strade e le piazze, trasforma le voci, perde i gesti. Forse, la sola cosa che come un filo lega passato e presente è il pianto del tempo. Non necessariamente triste. Lo strappo della memoria che è sempre in conflitto con la voglia di aprire la stessa porta per vedere cose diverse ed eguali. Cambiano gli usci e persino le gocce dell'ultimo temporale hanno una luce differente. differentemente. Daisy e Berenger.

CRYING TIME

Oh it's crying time again you're gonna leave me
I can see that faraway look in your eyes
I can tell by the way you hold me darling that it won't be long before it's crying time
Now they say that absence makes the heart grow fonder
And that tears are only rain to make love grow
But my love for you could never be no stronger if I live to be a hundred years old
Oh it's crying time again...
[ piano ]
Now you say you found someone you love better
For that's the way it's happened every time before
And just as sure as the sun comes up tomorrow
Crying time will start when you walk out the door
Oh it's crying time again...





Discography: "Crying Time ", Barbra Streisand And Ray Charles, Live - November,03,1973
a song written by
Buck Owens.

Dramatherapy: Theatre


@ Maria Pina

Ci sono momenti in cui si è estranei a sè stessi. La mente, il cuore o il corpo ci tradiscono , non reagiscono secondo i modelli consueti del carattere, del buon senso, della fisiologia. A volte, sento dentro di me una rabbia confusa e senza motivo, che preme dall'interno sulle pareti del torace per uscire, rompere, distruggere senza alcuna pietà ciò che è intorno a me. Rimango basita che ciò capiti a me, campionessa di mitezza buddista. E' il rinoceronte, ne sono sicura. Non è un dissidio interiore, di quelli da psicoterapia, è un vero rinoceronte che un giorno farà esplodere la corazza esteriore delle mie sembianze umane. Oppure il rinoceronte filtrerà per osmosi attraverso la mia pelle e piano piano ingoierà la mia natura umana...
Magari sarà bello da vedere a teatro.
Foto: Foto di Maria Pina nella preparazione piece drammaterapica Sonia, Il Resto Della Mia Vita di E. Gioacchini, Atelier di Drammaterapia Liberamente,Giugno 2007

sabato 24 ottobre 2009

Drammaterapia: esperimento per strada!

@ Gianni

Commento agli “specchi ingrati

Sono convinto che lo specchio riflette l’immagine di chi ha davanti, con la fedeltà propria dell’elemento inerte di cui è composto, a meno che non sia costruito appositamente per deformare la realtà del riflesso stesso.
Però, ci sono casi in cui “l’ingratitudine” dello specchio potrebbe risultare macroscopicamente forte, addirittura eccessiva, perché mostra impietosamente ciò che ha davanti, ingigantendone il significato, senza la possibilità di spiegare o razionalizzare alcunché.
Un’immagine. L’interpretazione di chi la guarda. Punto!!

L’immagine che compare sul blog e mi ritrae in una situazione di estrema sofferenza, piegato dal peso del mancato rapporto d’amore con Daisy, riflette fedelmente la realtà di quell’attimo, ma, nello stesso tempo, io “so” che insieme a quel Gianni convivono altri “me”, altrettanto veri e visibili agli occhi altrui.

Quale è il vero Gianni? Questa la domanda che per prima ha formulato il mio pensiero.
E poi: perché nello specchio di tutti i giorni vedo una persona così diversa da questa?
E ancora: possibile che la negazione di quello stato d’animo -e di altri sentimenti simili-, sia causa della mia sofferenza?
Mi sono risposto che deve essere così, ma ho scoperto anche che il Gianni della foto mi piace comunque, con i drammi e le debolezze, anzi, mi piace di più. No, ho sbagliato. Non mi piace di più; ho cominciato ad amarlo, con i suoi difetti e le difficoltà. E magicamente, per uno strano collegamento tra gli specchi, ho imparato a vedere con occhi diversi anche quello che vedo tutti i giorni negli specchi che incontro. Qualche volta sorrido pure. Qualcuno penserà che non sono sano di mente...
In fondo questi specchi a me non sembrano tanto ingrati…

Director

Caro Gianni, come sai e vedi, generalmente evito di intervenire direttamente sui vostri post, in forma di dialogo, altrimenti si riprodurrebbe una sorta di inconsapevole interrogazione agli auspici, agli arustici, all'oracolo in cerca di risposte o nel timore di vederne mancate. Il dialogo è piuttosto silenzioso, avviene attraverso il pocesso drammaterapico, nella rilettura di quanto si va sperimentando ed elaborando ed anche negli stimoli che vi "prescrivo" nei blog. Ma qui -lasciami dire- non posso fare a meno che risponderti con una grande pacca sulla spalla sorridendo e contento di quanto, importante ed insieme divertente, hai comunicato e prodotto ora ed in questi giorni. Spero il "contagio" infetti sempre più il gruppo! Mi hai fatto sorridere, seriamente. Che sincretismo di affetti autentici, grazie.

venerdì 23 ottobre 2009

Dammaterapia e Panico:Terrore come Strategia del Potere, attraverso l'analisi del Rinoceronte di E. Ionesco

Terrore come Strategia del Potere
Rilettura del testo di E. Ionesco, creazione II scena
Il lavoro attoriale sul testo di Ionesco e le drammatizzazioni nel contesto degli hypnodrama che hanno avuto luogo hanno privilegiato gli elementi specifici deegli attori, nell’impatto con I ruoli ed il conseguente processo di rielaborazione private. Il “filtraggio” del testo attraverso quanto l’esegesi critica del testo ha attivato in profondità e ciò che indichiamo come processo dramaterapico; il risultato attuale, parziale, è la seconda scena del “Il Rinoceronte” come rivisitata nella creazione con quanto percepito, osservato, ascoltato e interpretato –agiti e discussioni- con il gruppo,

Tutti I personaggi della seconda scena (Le Cose Si Mettono Male) ruotano intorno a tre tematiche principali:

-La sterilità del linguaggio quando diventa l’esclusiva espressione delle convenzioni sociali o della razionalità. Il linguaggio diventa allora anonimo, riproducente categorie semantiche che approssimano l’identità comunicata con il messaggio -ogni messaggio èportatore di un'identità-, la considerano solo se catalogata e con valore statistico pregnante;
-La autoreferenzialità –egotismo- come utilizzata dall’individuo sotto la pressione di un pericolo e che genera una comunicazione non empatica, perché egli non si può “situare” nel sociale sia come individuo, che come appartenente ad un gruppo (cfr. la ricerontite);-La perdita di autonomia del giudizio dell’individuo in seno ad un gruppo ed il suo contestuale adattamento allo plastico, fino al pericolo del plagio, in condizioni di grave disagio sociale, reale o suggerito (cfr. la Big Lie del Nazismo)

Tutti e tre i temi si riferiscono alla paura dell’uomo, all’inconciliabile confronto tra istinti di vita e di morte –come non potrebbe non essere-, ma qui conflittuale, perché attraversa la personale esperienza dei personaggi-interpreti nell'impatto con l'opera.
La potenziale “fragilità” dell’individuo non è rappresentata dalla fiducia che vi può essere una salvezza, una verità –l’intera storia della spiritualità, della scienza, della filosofia si è costruita su questo-, ma nel sentimento di essere “condannati”, se questo non occorre o non può essere raggiunto. Falsi dei, leaders o guru, allora, divengono apostoli della “giusta" pratica, qualcosa che promette di raggiungere la verità negata, mentre, teoricamente dovrebbe essere corretto il percorso inverso. Commissionare un quesito ed offrire la contestuale possibilità di risposta è la tecnica di “marketing” più antica del mondo! In realtà, in questi casi, la verità è data come un postulato, incontrovertibile -una bugia ripetuta molte volte spesso diviene una indiscussa verità- e ne consegue che sia “giusto” raggiungerla ad ogni costo.

La “rinocerontite” è dilagante, ma questo fatto non riguarda soltanto coloro che ne sono affetti o dove il processo si è già concluso (rinoceronti), ma anche quegli individui “apparentemente” immuni. Il problema, dunque, non è fattuale, identificabile in ispezioni esterne (cfr. le ferite “esterne/interne” della Anziana Signora della seconda scena), ma squisitamente psicologico e sociologico. La "massa" è ad essere “infetta”; il sospetto può infettare quasi più dell’infezione! O si è dentro o si è fuori, ma dato che non è possibile stabilirlo, ci si deve affidare gioco-forza a chi promette salvezza. E più la transizione dallo stato di quiete sociale a quello di incognita è veloce, più esso è in grado di cooptare adesioni, iscrizioni al "partito" e crociate. La “statistica” del pericolo è superata da quella di una possibile salvezza promessa.

La “ricerontite” –dice il sottotesto de “Il Rinoceronte” e quanto i nostri attori hanno lavorato nella creazione della seconda scena – è una malattia insidiosa, una epidemia sui generis, della quale non si conoscono le modalità di contagio, che forse può essere assunto per contatto o essere di origine familiare –genetica o ambiente?. Può essere contrastato da quanto eravamo o facevamo prima (la razionalità di Jean ha poi avuto poco valore in questo e sembra che anche il pregresso’uso dell’alcol di Berenger non prometta di essere stato un valido autovaccino)? Essa conosce un processo indotto -contagio-, un passaggio, ma poi, se ne sei colto, tutto diventa “indolore” e molti dei nostri attori, come Gianni, Spartaco, Pino se ne sono chiesti la ragione nel lavoro drammaterapico.
Successivamente, tutto diviene lo stato di beatitudine “nel” cambiamento –vedi la infantile innocenza dei rinoceronti nei loro rondò per le strade, insieme alle loro marce (segnali di guerrà e festosità insieme). Viene da pensare all’apparente “candore” di alcuni gerarchi nazisti interrogati a Norimberga sulla genesi dei misfatti che gli erano contestati e che avevano atrocemente commessi. Ecco che “il Rinoceronte” viene rappresentato secondo la modalità squisitamente “allegorica” del testo di Ionesco, un sogno dove vivono metafore come significati, ma che sono riprodotte in agiti.
Così, i nostri personaggi, disattenti, lasciano la povera Anziana Signora a terra, attaccata e forse già infettata dai rinoceronti, per dedicarsi alle loro "ruminazioni" su quanto stia avvenendo o meno; ruminazioni perché piuttosto pensieri espressi ad alta voce, egotonici per questo, che poco mantengono della fondamentale caratteristica di “richiesta” all’altro.

Osserviamo nel testo: qualcuno è lì a terra, ha ” bussato” alla porta per entrare; era a terrà già “fuori”, con l’impotente aiuto di Berenger che ce l’ha messa tutta –c’è da crederci!. Il primo moto empatico del gruppo, oltre il “pensato” -ancor prima perchè biologicamente prestabilito-, dovrebbe essere quello del soccorso, superata la prima legittima sorpresa. Qui, invece, la sorpresa è dilatata in un tempo simbolico infinito, dove tutto gioca al servizio dell’Io individuale, dimentico dell’altra persona. La visione generale –qui è in gioco pericolo ricerontite- supera il problema individuale ed è posta al servizio di un dispotico egotismo: ognuno pretende di avere la sua ragione e ciò che unisce è solo la paura. Ora, il sentimento di paura, antico quanto il primo animale sul pianeta, non necessita di un sentimento di empatia; essa, semmai, ve ne discende come elaborazione della cultura con la nascita della mente. La reazione di paura invoca paura e fa entrare l’animale in uno stato di improvviso “all’erta” che continua a svolgere la sua funzione “protettiva” persino quando lo stimolo è cessato. Essa è nata come operazione destinata all sopravvivenza della specie e quindi del gruppo; supera l'elemento razionale, innesca una serie di meccanismi neurofisiologici e umorali, emotivo-cognitivi di adattamento, filogeneticamente determinati, che continuano ad agire anche a...scampato pericolo! Ha la incredibile potenza di spingere a fare alleanze con nemici, persecutori, rischio, pericolo, sintomi! Ma se da animali, si "diviene" uomini, è possibile che quanto utile nell'economia dell'adattamento naturale subisca, con l'interferenze della "mente" un ruolo regressivo.

Un gruppo di persone s’incontra in un party e vede la piacevole situazione interrotta da una serie di eventi: prima, Berenger, stracciato e sconvolto da una terribile evento occorso pochi minuti prima e, poi, l’irruzione di una anziana donna maltrattata e minacciata che tracolla a terra, che viene lasciata lì senza soccorso. Essa è vettore di un segnale di pericolo che supera il solidale moto di soccorso alla sua specifica situazione.
La discussione prosegue con commenti e dialoghi a due. L’epidemia ora sembra un fatto più certo; ma c’è chi, come Dudard e Botard pensano che poche eccezioni non fanno la regola. Berenger cammina nella stanza sconvolto e Daisy cerca più volte di calmarlo e consolarlo.

Piuttosto che la rimozione -lasciatemi dire- qui è la negazione ad essere in goco: è “dimenticata” e solo quando la “poveretta” emette un ulteriore colpo di tosse più intenso, essi si apprestano ad offrile dell’acqua! In realtà, uno dei presenti si chiede se le serva, si discute se sia necessaria, ed ad avvenuta ratifica corale, ed in fila di tutti, le viene porta. La "negazione" è un comportamento di difesa primitivo, presente negli stati psicotici, ma anche negli stati di intensa suggestione di massa, che inficia il giudizo di realtà. Si accompagna al delirio e, spesso, alle condizioni allucinatorie. La realtà "negata", perchè insopportabile alla coscienza, viene ristrutturata in una massiccia proiezione di dati che si scostano dal dal senso comune, che possono rappresentarsi in false percezioni uditive o visive. Idee prevalenti, con la caratteristica di pervasività nella coscienza dei soggetti; deliroidi, nel mix di una aderenza al reale che perde i colpi e chiede qualcosa in prestito alla paranoia; delirio, la fuga drammatica e fantastica dell'Io nel regno dell'inconscio.

La signora anziana, che intanto ha continuato a tossire ininterrottamente in sordina, emette un colpo di tosse più intenso, che fa allontanare tutti prudentemente.
Daisy Diamole un poco di acqua…la poveretta…
Dudard (rivolgendosi a Botard) Si Botard, un poco d’acqua…
Botard (rivolgendosi a Miranda) Dell’acqua…
Miranda Serve dell’acqua signor Berenger…
Berenger (guardando Daisy) Si, mi trovi d’accordo, deve avere sete…


La mozione attraversa le due camere, passa al Senato dal Parlamento per poi tornarvi e solo quando al punto di partenza è ratificata come legge e diviene operativa!
Ma ancora una volta la donna è lasciata a se stessa, quando diviene più intenso il rumore causato dai rinoceronti, che galoppano fuori. Il carattere generale della vicenda trascende quella dell’individuo, rendendo i soggetti ciechi alla realtà. Non più empatia, ma vortice di paura. Questa è la paralisi simbolica della scena. Il giudizio è moto verso le verifiche, esperimento di se stessi nella realtà, mentre l'immobilità di quanto ora il teatro mostra è la paralisi dello stesso, l’allegorica rappresentazione iconica dell’impotenza..

Botard E’ orribile!!
Daisy (ritraendo la mano con il bicchiere con aria schifata) Poveretta…
Dudard Non c’è più nulla da fare!
Miranda (Spaventata, portando ambedue le mani alla testa, come per chiudere le orecchie)
Ascoltate…sono loro…
Botard E’ orribile…
Berenger mette un braccio intorno alle spalle di Daisy e la stringe a sé.
Berenger (in tono allarmato) Sì, la rivogliono…
Tutti rimangono fermi, immobilizzati nelle pose plastiche dell’ultima postura, mentre le luci di scena scemano e sul sottofondo del tema musicale* ad libidum, un tumultuoso rumore di rinoceronti al galoppo.

* Yuri Temirkanov conducts the Leningrad Philharmonic and The Leningrad Military Orchestras, to perform Tchaikovsky 1812 overture in the 150th birthday gala. Real cannons outside of the hall.
Foto: bozzetto locandina Riduzione Drammaterapica de Il Rinoceronte, di E. Gioacchini, CDIOT

giovedì 22 ottobre 2009

DRAMMATERAPIA: gli specchi ingrati

@ Gianni

Quando nella seconda parte della serata si è lavorato con il CDIOT, tutto è sembrato più leggero. Non credo perché il lavoro richiedesse meno impegno o perché fossimo "spompati "dalle sensazioni provate nella prima parte della serata, piuttosto perché l’atmosfera ormai riscaldata ci dava la sensazione di navigare in acque ormai conosciute.
La prova è stata istruttiva e costruttiva, a tratti comica, come spesso tragicomico è il teatro dell’assurdo. Anche in questa rappresentazione, il dramma personale di chi si trasforma in rinoceronte -e di chi lo è già senza saperlo- è fonte di profonda riflessione ed offre stimolii per ben ampi discorsi al riguardo.

Possibile mai che mentre la devastazione colpisce gran parte dell’umanità, come un’epidemia di immense proporzioni, (non dimentichiamo che l’opera di Ionesco fa riferimenti precisi alla follia omicida del regime nazista ed al dramma dell’olocausto), la maggior parte delle persone coinvolte, anzi tutte, tranne uno, Berenger, pensino a difendere le proprie idee, posizioni, certezze, disquisendo in maniera paranoica su dettagli, parole, algoritmi logici che creano appunto il paradosso tra la realtà che si sta vivendo e quella di cui si sta discutendo?
Ancora oggi a mesi di distanza, con tutto il lavoro svolto, pregno di introspezione e di ricerca emotiva, rimango sconvolto dall’allucinante incapacità di vedere ciò che è davanti agli occhi, barricandosi dietro paraventi creati dalle nostre paure, da ciò che ci hanno insegnato e dal clima in cui siamo cresciuti. Inconsapevolezza, insipienza, deficienza, demenza, e quanti altri termini ancor più dispregiativi potremmo usare per definire degli esseri "pensanti" che si fanno trascinare in vortici infernali come se fosse la cosa più naturale del mondo?

Certo, l’essere umano è colui che meglio si adatta al malessere (“La gente davvero si abitua a tutto” recita un passo del nostro lavoro), ma davvero non c’è limite alla durezza della pelle dell’uomo-rinoceronte, impermeabile al dolore altrui e incapace di amare in primis se stesso?
La cosa che mi sconvolge, è che, guardando con distacco l’andazzo della nostra società capitalista, mi rendo conto che il rischio di essere contaminati è in realtà una certezza, e il rischio di diventare -anzi di essere e comportarci come i vari Dudard, Botard, Daisy, ecc- è matematicamente sicuro.
Foto: Drammaterapia, Gli Specchi Ingrati, Laboratorio CDIOT su Ionesco, 16 settembre 2009

Drammaterapia: attori o...saltimbanchi "della" propria esistenza?

@ Gianni

Quando tempo fa il director diceva “voglio il vostro cuore, voglio la vostra anima, voglio la vostra voce, voglio il vostro gesto”, mi era sembrato di capire che lui volesse la nostra partecipazione alla realizzazione di una pièce teatrale attraverso un percorso drammaterapico, che, migliorandoci, fosse in qualche modo quindi "curativo" per ognuno dei partecipanti, .
In effetti era questo che egili intendeva, ma desiderava anche una partecipazione "incondizionata"; non come avevo capito io -e credo una buona parte di noi- “condizionata”. Da cosa?

Ognuno adduce i suoi motivi e tutti inconfutabilmente validi: mancanza di tempo, carichi di lavoro, problemi imprevisti, a volte anche la fisiologica incapacità a trovare stimoli e letture profonde nella preparazione della parte. Eppure, se per un attimo provassimo ad immaginare di dover fare una cosa che ci piace (un incontro galante, una partenza per una gita, un evento emozionante), non proveremmo la stessa fatica, la stessa difficoltà a farlo!!
E poi... a volte ci sono post che entrano nel cuore, squarci di luce meravigliosa, chiavi di lettura capaci di aprire il cuore e la mente a visioni nuove. Perché all’improvviso il meccanismo sembra inchiodarsi?

Nel tempo ho cominciato a scoprire che tutte le volte che andiamo a fare una cosa, ad impegnarci fisicamente o emotivamente, ciò che ci mette nelle condizioni di dire “non ci riesco, non ho abbastanza tempo, non trovo gli stimoli, ecc..” è solo la paura di “provarci”. So che può sembrare incomprensibile, ma proprio io che mi sono imposto per anni ritmi di lavoro, attività varie, ecc.. sono qui a testimoniare che ogni volta che ho avvertito una difficoltà, un segno di fatica o cedimento è stato per il bisogno di “accomodarmi” come dice il nostro Spartaco, nelle “comodità che conosciamo”. Anche quando le comodità sono “scomode”, scusate il bisticcio linguistico, e ci fanno soffrire, però le conosciamo, non ci spaventano, quindi non ci coinvolgono emotivamente e… stiamo comodi. E solo quando la fatica si fa insostenibile (non quella fisica, ma quella emotiva) ci si prova... a cambiare.
E quando il director ci ha strigliati per l’ennesima volta, con il concetto del "rigore", ho cominciato a capire la verità…
Non dei bravi attori, sterili e asettici, ma saltimbanchi della propria esistenza; feriti, laceri, menomati e carenti di capacità, pieni di difficoltà, paure, drammi e stravaganze, ma per questo veri, e capaci di dare e dire la verità in scena, perché è la verità nella vita.
Ogni incontro è fonte di nuove sorprese, e spunti interessanti, basta saperli cogliere.
Avevi ragione director, basta volerli cogliere…

martedì 20 ottobre 2009

DRAMMATERAPIA: Le Cose Si Mettono Male, da Il Rinoceronte di E. Ionesco, libera riduzione drammaterapica, seconda scena, parte seconda


II SCENA: Le Cose Si Mettono Male (seconda parte)

Il suono del campanello della porta fa sussultare tutti i presenti che rimangono immobili ed in silenzio;si guardano tra loro, con aria interrogativa. Un secondo trillo –questa volta più prolungato- rende ora tutti inquieti: segni manifesti di ansia. Dudard alla fine si decide ad aprire. Un anziana signora entra precipitosamente…

Anziana Signora (affannata) Ahhh…
Tutti (indietreggiando un poco per farla entare) Ohhh…

La donna è piegata in avanti, come trascinandosi (verso sinistra); si copre metà volto –sinistro- con mani e braccia, lamentandosi in maniera incomprensibile; poi crolla a terrà sul fianco sinistro -profilo della schiena agli spettatori-, continuando a piangere. Tutti le si fanno attorno per soccorrerla.

Berenger (ritto in piedi, lapidario ed atterrito ed indicando con un braccio teso la donna a
terra) E’ lei…
Miranda Chiudete la porta evitiamo altre sorprese!
Botard (chiudendo l’uscio) Si, meglio chiudere…
Dudard E’ ridotta uno straccio…
Daisy E’ tutta coperta di polvere…
Miranda Non sembra sia ferita…
Berenger Le ferite saranno sicuramente interne…l’hanno scaraventata più volte in aria come un manichino…
Dudard (in tono velatamente accusatorio) E lei Berenger…che cosa faceva?!
Berenger (stizzito) Zut… cosa voleva che facessi, Dudard! (massaggiandosi il lato destro malconcio) Era una partita tutta giocata tra i rinoceronti…(balbettando) Ho tentato…ho provato…ho cercato…
Daisy Ma si Berenger…comprendiamo non c’era altro da fare…

La discussione prosegue con commenti e dialoghi a due. L’epidemia ora sembra un fatto più certo; ma c’è chi, come Dudard e Botard pensano che poche eccezioni non fanno la regola. Berenger cammina nella stanza sconvolto e Daisy cerca più volte di calmarlo e consolarlo.

La Signora Anziana interrompe il lamento con qualche colpo di tosse. Tutti tornano a guardarla

Daisy Ecco si riprende…
Dudard (con aria perplessa e firando intorno alla donna) Mi sembra di conoscerla…
Botard Davvero signor Dudard?
Dudard Sì è proprio lei…
Botard Dudard non faccia misteri, di chi si tratta per la miseria?!

Dudard E’ la sorella maggiore…del maggiore Culin Culianu, distinto uomo oramai in pensione.
Miranda Lei? Irriconoscibile…proprio il maggiore Culianu ha subito la trasformazione recentemente.
Botard Allora è tutto chiaro…
Berenger (con tono palesemente irritato ad alto volume di voce) Cosa sarebbe chiaro signor Botard?
Miranda Ma si…questo spiegherebbe tutto… il contagio…
Daisy Siii… il contagio sicuramente!

La signora anziana, che intanto ha continuato a tossire ininterrottamente in sordina, emette un colpo di tosse più intenso, che fa allontanare tutti prudentemente.

Daisy Diamole un poco di acqua…la poveretta…
Dudard (rivolgendosi a Botard) Si Botard, un poco d’acqua…
Botard (rivolgendosi a Miranda) Dell’acqua…
Miranda Serve dell’acqua signor Berenger…
Berenger (guardando Daisy) Si, mi trovi d’accordo, deve avere sete…


Daisy si allontana per prendere un bicchiere d’acqua che poi porge alla signora, aiutata da Miranda. La signora, nell’alzarsi per sorseggiare dal bicchiere, scopre il lato sinistro e sotto il vestito lacero, mostra evidente tutti i segni della trasformazione in atto…poi si riaccascia al suolo tremante, offrendo visibile il lato prima nascosto (profilo sinistro agli spettatori).

Tutti si scostano inorriditi, meno Miranda e Daisy…

Botard E’ orribile!!
Daisy (ritraendo la mano con il bicchiere con aria schifata) Poveretta…
Dudard Non c’è più nulla da fare!
Miranda (Spaventata, portando ambedue le mani alla testa, come per chiudere le orecchie) Ascoltate…sono loro…
Botard E’ orribile…

Berenger mette un braccio intorno alle spalle di Daisy e la stringe a sé.
Berenger (in tono allarmato) Sì, la rivogliono…

Tutti rimangono fermi, immobilizzati nelle pose plastiche dell’ultima postura, mentre le luci di scena scemano e sul sottofondo del tema musicale* ad libidum, un tumultuoso rumore di rinoceronti al galoppo…




*Yuri Temirkanov conducts the Leningrad Philarmonic and The Leningrad Militar Orchestras, to perform Tchaikovsky 1812 overture in the 150th birthday gala. Real cannons outside of the hall.

DRAMMATERAPIA: E' finzione, eppure è reale! Che magia è mai questa?

@ Maria Pina

Un kamikaze si fa esplodere e semina intorno a sè dolore, rovina, morte Egli lancia, con il suo gesto, domande dolorose a migliaia di chilometri di distanza in chi assiste, partecipe, alla cronaca televisive, ormai abituale , di esplosioni suicide in terre lontane. Perchè? Come possono un ideale, una religione, una forma di esaltazione essere più vive della stessa vita umana?
Se leggo o ascolto eventi simili, non mi chiedo mai "CHI ha compiuto questo gesto", ma mi domando "Perchè lo ha fatto? Come ? Dove? Con chi?".

Ho assistito l'altra sera, dietro una metaforica tenda di una casa del medio oriente (?), alla preparazione de "il Kamikaze", poi l'ho guardato mentre esplodeva in pezzi e ho partecipato al dolore della sua vedova e di sua figlia. Assurdo solo pensare che si possa rappresentare una cosa del genere. Ancora più assurdo è immaginare che un attore possa interpretare la parte di una gamba tranciata, di un piede maciullata.
Assurdo? No, possibile, verosimile, vero, verissimo!Come mi è sembrato facile sentirmi partecipe, commossa di fronte a quei resti: erano persone, era la vita quella che restava stesa a terra. La vedova piangeva il dolore vero, quello che non urla, quello che non lacrima, quello si interroga, quello che si esprime con mugolii interiori, perchè il vocabolario umano non conosce le parole e le grida per l'assurdo.
Su tutto la carezza di Gianni a svegliare l'attrice in trance. Consolazione, vita che continua , dolorosa, ma pur sempre vita

P.S Una volta ho letto una didascalia in un fumetto in cui un personaggio assisteva per la prima volta alla rappresentazione teatrale del "Sogno di una notte di mezza estate" e diceva: "E' finzione , eppure è reale ! Che magia è mai questa?". Teatro, è teatro...

lunedì 19 ottobre 2009

Drammaterapia: Hypnodrama e Drama Creativo


L'induzione inizia con pochi passi, dove gesti, voce e segnali prosodici diventano indicativi di un "percorso" dove manca l'esplicita richiesta di partecipazione al soggetto. Egli è cooptato nella dimensione "induttiva" indirettamente, coscientemente, nel corso di una conversazione, mentre il campo comunicativo si avvia a divenire intensamente simbolico. E' così avviata una ricerca interna di significati che permettano al soggetto di articolare la propria esperienza nella situazione che sta vivendo, pena il restarne fuori, privato della comprensione di quanto accade e che sembra riguardarlo sempre più profondamente. Ed ognuno di noi, per statuto filogenetico, vuole sapere cosa gli sta accadendo! Un esempio semplice, ma molto esplicativo, può essere questo: una persona ti dà in mano mano un giravite, mentre anche'egli sta lavorando con esso, probabilmente con lo stesso e di lì a poco l'unica cosa che ti rimane da fare...è girare quel giravite insieme a lui! Viene bypassata la richiesta formale di cooperazione; ma, oltre questo, indirettamente, viene chiesto al soggetto di far vedere come egli userebbe al meglio l'attrezzo, mostrando che si è al contempo in dipendenza stretta dalle sue risposte. Ora, tutti sappiamo che si può eludere una risposta, ma difficilmente, se si ci si trova nella posizione di volerne avere una noi! Qui qui ci viene indicato che per essere soddisfatti sia necessario fornirne e la confusione tra parte committente ed esecutrice diventa molto confusa...ed il passo obbligato successivo è quello di camminare insieme. Infatti il campodi perplessità nel trovare spiegazioni logiche all'esterno della comunicazione, comporta un orientamente del soggetto in senso introspettivo, introversivo, con una parte che rimane rivolta fuori, strettamente dipendente dall'operatore. Ogni passo del percorso del soggetto allora viene ratificato come "buono"; in realtà quello che è buono è il fatto che egli stia dando o tentando di dare delle risposte, verbali, comportamentali ed in effetti èd allora è.. più facile far cambiare direzione ad una veicolo in moto che da fermo. A quel punto ogni correzione verso l'approfondimento della trance è completamente accettata, risolve il problema "incognita" che al soggetto era stato commissionato -pur nel consenso informato del lavoro della trance.


Marina (prima a sinistra) ha un momento di riflessione, mentre sta cercando delle risposte ad una conversazione che ha per tema il soggetto che verrà interpretato ed allora si approfitta della sua ricerca interna di dati, per dirottarla verso quella che gli viene suggerito fuori...Ambedue sanno che ad un certo punto del percorso avrà probabilmente luogo la trance del lavoro attraverso l'hypnodrama. Inizialmente ci si rivolge alla sua compagna di lavoro (Carmen), poi a lei. Il ritorno a lei enfatizza il canale comunicativo di "esclusvità" della comunicazione. Una volta agganciata la sua attenzione si è procede secondo quanto spiegato più sopra, sino alla realizzazione di un vero "Drama", con l'aiuto dello stato modificato di coscienza realizzatosi. La successiva possibile abreazione dei contenuti conflittuali del soggetto, vestiti di una trama differente -quella del testo teatrale- avviene allora attraverso l'atto interpretativo del proprio vissuto all'interno del ruolo prefigurato, sotto la direzione del regista.
Foto: Hypnodrama & Drama Creativo, Laboratorio Atelier LiberaMente, 16 ottobre 2009

domenica 18 ottobre 2009

Drammaterapia: Cerchiamo le stesse cose?





@ Gianni

Il perché delle cose..
Venerdì 16 ottobre, ore 21.00, incontro congiunto tra il gruppo dell’Atelier di Drammaterapia e il CDIOT. Serata fredda, calore nel gruppo, curiosità nel cuore.
Assisto alla rappresentazione del Kamikaze che l’Atelier sta preparando, molto toccato dal dramma che in esso vi è rappresentato. Forse perché il personale dramma del distacco, della perdita, della sofferenza sono ferite dure a guarire.
“Il Kamikaze”, in maiuscolo, in onore di una persona di tutto rispetto, più di un titolo nobiliare, come l’identificativo inconfondibile e inconfutabile. Il dramma di una famiglia, i motivi di una scelta estrema, l’incapacità di sottrarsi ad un destino più grande, a tratti crudele, giustificato da motivi ineccepibili e inappellabili.
Conosco i perché, li conosco a livello razionale, ma a livello emotivo non li accetto, come non riesco ad accettare il tradimento, l’abbandono, la perdita e l’avverso destino.
E di nuovo i sentimenti contrastanti che albergano nell’intimo si affacciano prepotenti..
Lacrime e rabbia, debolezza interiore e forza razionale, senso d’impotenza e reattività. Accettazione e abbandono ai perché delle cose o lotta senza quartiere a ciò che mi fa soffrire?

Marina e Carmen, rispettivamente moglie e figlia del Kamikaze, si recano sul luogo dell’esplosione e si accovacciano tra i brandelli del corpo del Kamikaze. Marina in trance esegue gli ordini del Director come un automa, ad occhi chiusi. Momento di estrema intensità…

Lo sapevo, director, che lo avresti fatto, che mi avresti coinvolto in qualche modo.
Hai lasciato che fossi io a svegliarla, mi hai dato la possibilità di vivere quest’emozione. E’ stato come avere in braccio un bambino che dorme, mi è venuto naturale svegliarla con dolcezza, con il timore di poterle fare male. Emozione.
Perché ti ho incontrato director? Perché ho deciso di entrare nel CDIOT? Perché incontro le persone del “gruppo” e mi sento bene? Cerchiamo le stesse cose?


Foto: Dramatherapy, Hypnodrama & Creative Drama, Laboratorio Atelier Liberamente, ottobre 2009

Drammaterapia: lo scoppio del kamikaze


Il 20 aprile scorso, a proposito della vostra esperienza di Hypnodrama con il Kamikaze, così scrivevo nel post dei giorno dopo...

Dietro le idee che deflagrano sono i pensieri calpestati, i colori cancellati.
Drammatico restituirli alle possibilità di un alba diversa. Deve passare il ricordo delle sirene e quello silenzioso delle bombe al fosforo; un'umanità non compresa, la falsa ragione dei torti e delle ragioni, dei meriti e dell'ignoranza. Devi morire anche tu. Un poco, e far affiorare le radici della tua paura; farla diventare assenza, perdita, sino all'orrore nella fuga ed all'illusorio eroismo di un uomo che scoppia. Il prezzo della distanza, delle longitudini, degli spicchi di terra.
Il vociare allegro dei bambini è sempre eguale, può essere strozzato sul nascere e ricreato mille volte, non ha bisogno di dignità, di orgoglio, di credere. Esso non perde mai, ma può essere perso.

Voi avevate scritto su fogli bianchi la vostra esperienza attraverso un disegno, deflagarazione meno rumorosa perchè affidata al gesto simbolico ed al segno di colori "insperati". Venerdì scorso, invece, il rumore dello scoppio di un uomo, padre, figlio, marito e combattente è stato più forte; ha avuto bisogno del "sonno" che addormentasse l'Io cosciente, chiedendo collaborazione alla parte profonda di voi e delgi ospiti spettatori. Così la trance, profonda di Marina, più superficiale di Carmen, il rapimento di noi tutti al loro condensare il dolore nell'esperienza del privato raccoglimento, a terra, dove vi erano "pezzi di uomo" a cercare di ricomporsi dentro. Il Kamikaze era scoppiato ed i colori hanno cominciato a girare forte, a mischiarsi, a spegnere la troppa luce, a cercare nell'ombra di noi il nostro "kamikaze", mentre l'hypnodrama aveva luogo.

Foto: Dramatherapy, Hypnodrama & Creative Drama, Laboratorio Atelier LiberaMente, ottobre 2009

Hypnodrama: come lavora nella Drammaterapia

16 ottobre, ore 21,00, Atelier LiberaMente e CDIOT a lavorare insieme.
Alle prove del Kamikaze, segue Hypnodrama sullo stesso soggetto.
Trance di Marina -parte prima, induzione-










Foto: Hypnodrama, Laboratorio Atelier LiberaMente e CDIOT, 16 ottobre 2009

sabato 17 ottobre 2009

Drammaterapia ed il processo drammaterapico: "Che bell'odore di vernice che c'è qui!"



Ci siete tutti, anzi...vi siete moltiplicati! In quella situazione mancava la carissima Maria Pina, la vostra compagna attrice e mia assistente alla regia, ma il suo spirito sicuramente aleggiava e poi, ieri stesso, ci ha riconfermato la sua importante presenza. Anche Rosanna, all'epoca così non troppo lontana, era presente. Ospite, tra il perplesso e l'affascinato ci ha detto. Quel "rompere gli schemi e precipitarci tutti nel bagno, in rituale pellegrinaggio di omaggio che offre un saggio...di cortesia, preoccupandosi dell'ospite che aveva indugiato un pò troppo e sollecitava la preoccupazione che un tornado l'avesse rapita via dalla toilette, l'ha obbligata a ridefinire dei significati...e questi hanno lavorato poi nel warm-up che è continuato e nella performance darammaterapica in cui è stata coinvolta. Allora ospite, oggi, a pieno diritto, fa parte della Compagnia del CDIOT. Welcome Rosanna ed un benvenuto anche a noi che lavoreremo nella sua esperienza, con lei!

Nel frattempo, quanto era avvenuto nella improvvisazione della possibile seconda scena de "Il Rinoceronte" ha continuato a lavorare nel gruppo e quindi anche nel mio laboratorio personale che vi ospita in dati e processi -che sono due cose differenti! Nel fotomontaggio della immagine che vedete -vi assicuro diverse ore!-, mi ripetevo i vostri dialoghi, suggeriti e da voi improvvisati; le vostre difficoltà, così importanti, lo sforzo della salita, il timore della discesa, la tenacia del processo avviato. Gradualmente, vi moltiplicavate, dialogando tra voi e con voi stessi -più di un personaggio sembra ritratto a discutere con sè-, in una amplificazione della comunicazione che restituiva l'iimagine di multipli quali noi siamo, a lasciarci scoprire dal processo della drammaterapia verso la costruzione di questa piece, così simbolica, rituale, fonetica, logica, pedante, ASSURDA...

Ionesco è un prezioso compagno di viaggio ed anche ieri sera (le foto seguranno appresso ed anche i vostri post...) si è nuovamente alluso all'importante contaminazione che vogliamo fare tra il caro Cortazar ed il nostro drammaturgo romeno. Questa impavida, perchè incosciente, destituzione del significato personale dalla semantica comune, sino a rendere il linguaggio una sterile gabbia per le paure del nostro inconscio. E chi non ha conflitti scagli la prima pietra! Agli angoli delle nostre case, dentro di noi, una pericolosa polvere si deposita a giustificare piccoli o grandi traumi e dolori del passato, direbbe Langs, ed ogni tanto ci si deve pure decidere di fare pulizia, no?! E magari metter fine alla contesa infinita che ci divide da noi -lo suggerivo nel precedente post. Un senso d''importante "liberazione" e leggerezza allora avviene. "Avviene"... perchè tra dentro e fuori ( ecco quindi la radice In-Out del nostro teatro: Creative Drama & In-Out Theatre).


Lasciatevi provocare, date voce a quei dialoghi congelati dalla camera e dal nostro fotomontaggio! Provate a scrivere cosa si dicono, quali coppie, quali gruppi, quali sguardi, quali voci. Quali emozioni. Lo abbiamo ricordato...quanto anche il mezzo iconografico sia stato eletto, nel nostro statuto, a stimolo verso il processo; che sia espresso qui o nel lavoro di editing silenzioso che sempre facciamo e ci ricollega a quanto già sperimentato. Il nostro archivio profondo è inimmaginabile. Vi ringrazio.
Continua questo safari, si definisce la distanza dalla "rinocerontite" e questo parla di noi stessi. Director

Foto: Drammaterapia, Che bell'odore di vernice fresca che c'è qui!, Laboratorio CDIOT, ottobre 2009

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

COMUNICATI STAMPA