@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

mercoledì 30 aprile 2008

ieri un saggio


Ieri un “saggio” -così si voleva che fosse- ci ha detto che la vita può essere vissuta “serenamente”. Non era un saggio addomesticato e nemmeno si creda che si tenesse a banchetto la sua iniziazione. Fiorentino di nascita, catapultato imprevedibilmente nel “setting” drammaterapico, dopo una breve ma intensa esperienza di light trance, il nostro amico è stato investito del ruolo di “saggio”, coì impudentemente! Non eremi fisici intorno, probabilmente fantasie ed alla domanda “…tu guardando lui – ci si rivolgeva ad un altro dei partecipanti, ad Azzurro- quale consiglio daresti? Guardandolo negli occhi e permeando la tua persona della sua presenza sensibile –non solo quella fisica, che noi usiamo quasi sempre maldestramente come involucro- che cosa sentiresti di dirgli?”, egli ha parlato. Non abbiamo visto l’estemporaneo ospite chiedersi se si sentisse un saggio; né se potesse o meno dare un perfetto consiglio ad un perfetto sconosciuto. Piuttosto, i suoi occhi ci hanno tradotto un moto dell’anima che con tranquillità, ma responsabilmente, cercava tra le pieghe di quel viso davanti qualche segnale; almeno un ciotolo scomposto dal ciglio della strada su quel ciglio di espressione, che indicasse il passaggio verso l’interno, sconosciuto, probabilmente anche a egli stesso. Quando un bimbo gioca, è una cosa estremamente seria; sorride il bambino in noi, mentre l’osserva, ma questo non toglie alcuna importanza a ciò che sta avvenendo. Abbiamo osservato -son sicuro non solo io- e avvertito che qualcosa stava avvenendo. Non vi è stata alcun “in verità, in verità ti dico” che investisse di apodittico significato quello che si svolgeva, ma certamente a quella “serenita” ci siamo sentiti esposti, provocati, un po’ tutti. Poi, con il garbato aiuto di un’altra partecipante – e dico garbato perché quando Neko si muove, lo fa con quel tipo di attenzione che usano i buddisti, quando camminano scalzi, per il sacro timore che ha l’anima… che possa, il corpo, calpestare qualche compagno di viaggio su questo pianeta, un animale, un fiore…-, Azzuro ha posto una sua domanda al saggio dinnanzi: “Quale confine esiste tra l’amore e la rabbia?"
Un lungo, denso istante di silenzio e la risposta è stata: “Non vi è confine tra l’amore e la rabbia…nò, non esiste confine tra i due sentimenti”. Può esservi amore ed insieme esistere la rabbia. La risposta del saggio ridefiniva la domanda, non vi si piegava solerte a decretare ed annullava l’idea di confine. Nè sembrava esservi un confine tra i due. Anche qui, un’onda di invisibile “assoluzione” direi, anche fuori del tempo, per una realtà che riguarda nel più intimo ognuno di noi. Ricordate quando in Rodolfo una scena descriveva l’amore della madre che difende rabbiosamente il figlio dalla furia cacciatrice dell’orso?

La lotta più vera che esiste, avvenuta da sempre su questo pianeta; la guerra più giusta e necessaria, dove è concesso l’odio, e persino il desiderio del sangue dentro la tua bocca, l’assenza d’ogni paura, la forza dell’unico vero e giusto che dimentica fatica e scaglia nell’aria l’urlo rabbioso di vedersi sottratto un figlio…
Non solo gli uomini uccidono per godere. Sembra che il privilegio del sangue sia dare la vita e spingerti a sottrarla…un grande nastro ferale, rosso, non sempre lungo tra le carezze calde di una madre ed il cibo ancora caldo e umido per i propri piccoli, la promessa della vita, il sognante gioco impassibile dell’esistenza
!”.

Questo contradditorio mix di sentimenti lasci lo stupore all’aurora boreale, lo riservi per le cose più intime e preziose che cuciono la tua scoperta tra il dentro ed il fuori…basta ascoltare ed a volte in silenzio, per la comprensione di cose che alla saggezza non chiedono rappresentazione.
Grazie amico, la mi porti un bacione a Firenze!

domenica 27 aprile 2008

accadde...


Due anni fa, di giugno, la tigre creò non pochi problemi in quella casa. Non si seppe mai se furono la follia cronopiesca di quei familiari stampo “famas” – si sa che seguire la figura, fa perdere lo sfondo!- o lo strenuo tentativo “famesco” di essere in riga -di chi in riga non era- a farla impazzire. Molto trambusto, qualche strillo del regista –che poi sarei io-, ripetuti tentativi di convincimento a seguire il copione –eresia, se il dramma personale dentro urge!- pur di concludere la piece e “fissare la tigre”. Davvero incredibile essere ricorsi al ruolo, al personaggio, per imbrigliare qualche interprete entrato troppo dentro, in un lavoro che cerca di far dimenticare un poco i confini fuori, per far spazio a repertori più importanti dentro... Accade.
Accadde. Quel passaggio all’alterità, che sembra sempre agognato, si svelava invece in tutta la sua umana bugia di un “rito” che difende da essa e, quando non funziona, te la fa scoppiare dentro i confini dell’Io, della Famiglia stessa. Era commovente quel gruppo di Familiari riunito, il Primo, il Secondo, il Terzo…ed anche qualche Cugino di Primo Grado, così fermo nel proposito di domare la propria individuale paura nel rito che intendeva ammansire chi di loro aveva paura: la Tigre! Sovvertimento dei ruoli, che ribalta le difese, le strategie. Un Familiare fu azzannato, e solo l’intervento del Quarto Familiare scongiurò la tragedia, oltre il previsto, fuori copione. Lo sparo soporifero sulla Tigre aiutò la situazione e qualche lacrima, non proprio “la colonna di contatto” che Cortazar ci scrive, decretò l’applauso finale. Hai ragione, Plinio, tigrescamente amandoci…scongiuriamo l’ingenua pretesa di essere autentici. Fremo all’idea che questa volta vada magnificamente in modo diverso. Eccitante questo regalare all’uomo il sogno della sua “pretesa” e questa volta, amabilmente, osservare il suo fissatigre quotidiano.

il nostro fissatigre quotidiano


@ da PLINIO PERILLI

Roma, 11 maggio 2008

"il fissatigre" piece drammaterapica per la regia di E. Gioacchini

presenta P. Perilli. Compagnia Atelier LiberaMente



Cosa ci fa una tigre “feroce” nel tranquillo, melenso soggiorno di una melensa e tranquilla famiglia borghese?! Ed è essa stessa, prigioniera di quel nucleo azzimato, noioso di conformismo – o viceversa?
A ribaltarsi è dunque l’archetipo! Eravamo abituati alle munifiche, tigri dorate dei quadri di Blake, panici del sublime, terrifici di simbologie… O a quelle odorose d’India dei romanzi di Kipling… Poi il ‘900 metafora di Borges l’aveva per così dire imprigionata nel suo labirinto vetroso, nella sua indicibile, e inesorabile Biblioteca di Babele. Ma era una tigre scritta, ardentemente intellettuale; una tigre feroce solo sulla carta:

Fino all’ora del tramonto giallo
Quante volte avrò guardato
La poderosa tigre del Bengala
Fare e disfare la predestinata strada
Dietro le sbarre di ferro,
Senza sospettare che erano la sua prigione
.

(da L’oro delle tigri, 1972)

Ecco, col “Fissatigre” di Cortázar, accade finalmente la sana, ritemprante irruzione dell’Assurdo nella nostra consueta, melensa Vita Quotidiana.
Niente più tramonti gialli, tigri di fuoco, metalli amorosi, fulgori del mito e dell’epoca, ombre inestricabili e oro delle tigri!…
La tigre è vera ed è un archetipo tutto nostro. L’alterità ci appartiene, c’insegue, ci guata e ci ruggisce… La felinità ci va nell’anima, e almeno c’impaurisce, ci nomina e recupera uomini – ci distoglie, in qualche modo, dal nostro tranquillo, scandaloso, limbo o purgatorio borghese.
Del resto, tutti i coevi scrittori e alfieri del cosiddetto Assurdo, in romanzo o in teatro -dal Godot di Beckett, 1952, al Rinoceronte di Ionesco, 1959; dalle Cosmicomiche di Calvino, 1965, alle Storie di cronopios e famas, 1962, per l’appunto di Julio Cortázar-, scimmiottano e distruggono archetipi; o meglio, li rinnovellano e ritemprano a migliore antidoto, li ribaltano per sempre nuovi, aggrovigliati e sguainanti significati.
Come ruggisce l’antitigre del Fissatigre, e come ci impaurisce!
Al contempo, come è impaurita da quei piccoli, sterili uomini, malati di benessere, noia e qualunquismo…
Eppure, tutta la ferocia moderna – dei rapporti, dei valori perduti, degli amori, sedicenti o veridici – langue e ruggisce in quel salone borghese, dietro il siparietto catartico e metaforico di quel congegno fissatigre con cui i vari membri della Esimia Famiglia in Questione, a nome certo di noi tutti, passa a imprigionare la tigre dentro il suo stesso archetipo, la ferocia dentro la sua ferocia. E l’Amore maiuscolo, forse, dentro il suo amore diminuito, degradato a consueto e minuscolo. Anche la Tigre svapora, annoia e perfino titilla, col vizio e vezzo dell’abitudine. Basta fissarla; fissarla: ma non contemplarla con gli occhi: imprigionarla, immobilizzarla nel fissatigre…
Perfino Borges si arrabbierebbe, lui perfetto ambasciatore e Fissatigre di Archetipi, che ha collocato la tigre delle tigri, la madre di tutte le tigri, la Tigrissima, lancinante di luce, nel bel mezzo più cupo e addormentato della Storia della notte (1977):

Andava e veniva, delicata e fatale, carica di infinita energia, dall’altro lato delle salde sbarre e tutti la guardavamo. Era la tigre di quel mattino, a Palermo, e la tigre dell’Oriente e la tigre di Blake e di Hugo e Shere Khan, e le tigri che furono e che saranno e insieme la tigre archetipica, poiché l’individuo, nel suo caso, è tutta la specie. Pensammo che era sanguinaria e bella. Norah, una bambina, disse: È fatta per l’amore.

Non siamo dunque in un film accelerato, grottesco e madornale di Ferreri o Godard. Cortázar è molto più feroce e molto più giudizioso: inscena finzioni più urgenti e palpabili delle verità, centellina l’archetipo, mai non strafà, sa che il popolo dei “famas” -i fruitori dell’ordine, i metodici docenti di convenzioni- e quello dei “cronopios” -i portatori di caos, d’improvvisazione, di strappi fecondi e provvidenziali; i principi della dis-trazione- perfettamente convivono e coabitano come l’opposizione e il governo di un paese squisitamente ingovernabile perché equilibrato sullo spaccato in due, assimilato a specchiarsi…

Dacci oggi il nostro fissatigre quotidiano…
E tornano tutte le ombre inestricabili, l’oro dell’inizio, il tramonto giallo, il metallo amoroso!… Adunata e ruggito di archetipi!
Tigris da thigra, la parola iraniana che sta per “tagliente, aguzzo”… La sua scoperta nell’antichità occidentale solo con la spedizione di Alessandro Magno, nei seducenti intrighi dell’India che pur volle annettersi, sposare – addirittura – nei corpi delle sue tante principesse occhi di tigre…
Anche, la tigre che accanto alla pantera e alla lince viaggia… al seguito dell’ebbro Dio Dioniso… In Cina, la tigre regnante nel Terzo Segno Zodiacale -diciamo quello nostro dei Gemelli-… Le tigri che perfino i dèmoni si dice temano – la “tigre bianca” peggior insulto alle donne litigiose… O le “tigri mannare”, gli uomini mutati in tigri delle leggende cinesi meridionali…
Poi i bestiari medioevali che esaltano l’amore materno della tigre!
E siamo, saremmo pronti – fra le righe del non scritto e non detto – per ogni accezione o significazione evangelica! Dalla ferocia autoreferenziale del pellicano a quella della tigre madre.
E quella tigre in amore che è l’Amore.
L’Amore che sempre ci fa tigri, feroci di irruenza.

Ma Cortázar -e con lui Ermanno Gioacchini, maestro drammaterapico quant’altri mai-, ci ammonisce e ci illumina:

La Tigre è inquieta, impaurita; ogni tanto manda ruggiti e per tre familiari non è affatto semplice condurla in quel luogo chiuso. Nella Casa, il resto dei Familiari, visibilmente impaurito, si dispone sul fondo nella zona opposta al Fissatigre…

Ora è la tigre, l’ignoto oggetto tremulo, spaventato nell’esserci…
Il “Sarchiapone” del mistero – quasi vorremmo dire – che fa ridere chi invece noi dovremmo deridere, e virilmente impaurire, avvinghiare, squarciare e divorare nel santo furore d’etica!

Forse semplicemente fummo, siamo noi la tigre: ma così increduli e frustrati, dimentichi e depressi, che ogni agnello adesso ci impaurisce, ogni borghesuccio ci tiene estetizzanti al guinzaglio come le eroine scosciate, seducenti e maliarde delle apparizioni di Erté. Roba da calendario per dentisti, corridoi e sale d’aspetto per avvocati condominiali; finti brividi da mazzi di carte…
Torniamo tigri adeguate, e riconosciamoci a unghiate, a soffi e sbuffi di fuoco, a terremoti e sciabolate di canini… Delicati e fatali, carichi di infinita energia… Le tigri di tutti gli amori che furono e che saranno; e insieme l’amor tigre archetipico.
Che bello amare una tigre! – e amarsi tigramente…

sabato 26 aprile 2008


Lucidando le storie, mi accorgo,
mi accorgo scostando la loro polvere,
povere pagine dai protagonisti beffardi,
curiosi, che inneggiano, tra radici e chioma,
alla gloria di un palato mai esausto.
Boscaglia di parole e fatti,
oggi più buoni per un miscredente


che cerca l’acqua in mezzo ad un lago.
Improvvisazione di ricordi, gemellati col futuro,
traditi per ingenuità ed incanto,
mentre il tempo chiamava alle armi o alla resa,
costante.

Ma una zingara m’incontrò d’estate,
o forse fui io ad incontrarla,
tra i fumi di metropoli sempre sporche
e voraci di cibo.
Lì si sospesero i bisogni,
lungo le linee vertiginose di mani mai stanche
e impudenti.
Il suo seno ed i suoi occhi parlarono la verità.
Oltre l’inganno, ramingo pertugio parlante
che conforta all’idea del nuovo.

E il nuovo stava lì. Eretto,
dignitoso di una veste che non custodisce,
ma ripara.Suggerii a me stesso di trattenere il fiato,
e il sapore primitivo di un luogo mai ascoltato
invase la mia anima.
Snodai frettolosamente tralci della vite,
esplorai canneti vasti e lontani.
Fui generoso con le cose.
Contandole tutte.

Nulla mi ricordava il prima,
e questo poi, col volto gentile della lusinga,
mi raccolse dalla noia di sempre.

Ora tu dondoli nello spazio rubro del tempo,
e scosti un poco pagine prive di forza.
Fondando città, vi abiti dentro.

venerdì 25 aprile 2008

elena ed il potere

Se prendo i tuoi occhiali, vedo e condivido quello che dici, Plinio. Le “mie” però sono formichine, perché immagino che per un istante, pur senza averlo perfettamente cosciente, Elena vada oltre il sogno borghese, che pure non riesce più ad abbracciare…Intendo che il suo privato dolore possa, per un attimo, traghettarla a togliere e sperare il senso del Tutto, e non solo della sua minuscola storia, eppure importante. Formichine i passanti, formichina lei che li osserva, formichine noi che li immaginiamo, in giardini od orchestre di riti. Questa rotonda costruzione della cultura, dove, se pensi, tutto deve tornare e fare i conti con il “logos”, altrimenti nessun posto…-topos-. Ed allora la pungente Arte, rompe cronopiescamente ogni predetto, dettato, dicibile…L’Arte è capace di aprire la profezia nel passato, proprio al contrario di quanto tutto cerchi di offrirla sul futuro. Eppure, se pensi, precorre. Dialogica espressione di un inconscio collettivo che davvero di quest’ultimo, come di un Dio, possiede l’atemporalità. E poi, l’arte, anche quando serve un padrone, ha quella sua capacità di prostituirsi senza crederci troppo al “discorso” su se stessa. Se è tale, non si tradisce. Mai.
Elena è in un quadro, in un sogno, in un’illusione dove io e te con questa donna “giochiamo” la nostra anima femminile, a far finta di essere dalla sua parte? No, sarebbe riduttivo, leggere come avviene nel gioco perverso del ribaltone sessuo-politico. Le donne possono avere un posto in politica perché non l’hanno mai avuto! Fa piacere sentire che questo avviene, perché parla di una menzogna sul potere durata da sempre. Macabro è il gioco della restituzione, se qualcosa non è stato mai sottratto, ma terribile quello dell’equità se ha il prezzo di finte rivoluzioni!
Elena resta lì, sognante, con il sogno “romantico” di uno sturm und drang che, tuttavia, è sempre del maschio. Lo interpreta alla perfezione; può persino superarlo, lei che genera come la terra.
Possiamo solo amarla, così, come si può, così imperfettamente, che nulla sia un vero rimprovero a quanto di intentato lascia comunque l’umana cultura.


Foto: "Donna Alla Finestra", crosta ad olio, E. Gioacchini, 1973

...armonioso d'ombra...

@ da PLINIO PERILLI
Caro Ermanno, è già la seconda volta quest'anno che mi "confronto" con Friedrich!... Una volta fu per lo copertina di un libro di poesie di una amica, Maria Luisa Munoz, che inserendo il famoso paesaggio roccioso con mare, visto al solito di spalle, sente e sentiva di aderire in pieno a questo famoso manifesto "romantico"... Curiosamente, a quell'uomo esploratore di verità, sturm und drang, lei dedicava e affidava l'intero suo cuore e palpito di donna. Ed ora all'incontrario, sono due uomini, tu e ora io, che cerchiamo di specchiarci in questo sguardo di donna perso verso un infinito chiarore di trasparenza - eppure anche celato, prigioniero di educazioni e addirittura architetture da interni, egregi riti, ruoli ed anditi borghesi... Dove guarda quella donna che tu chiami Elena, ed io magari potrei anche chiamare "cechovianamente" Nina? Da cosa fugge o si sospende, si trattiene, si sospinge, fugge e si fugge? Malinconica, certo, eppure va verso il chiarore. Strutturata, nei modi, nei gesti, nella forma mentis: eppure "cede", inclinanando tutto il peso da una gamba all'altra, inclinando forse insieme sogni e progetti, stupori e languori... Sempre bene ordinata, elegante, ben vestita, il maritino agiato e compunto, una figliolanza da carezzare e domare -e probabilmente la morte dentro. Al romanticismo erano permessi questi miracoli: di gridare alla luce e dannarsi l'ombra, di proclamare l'idealità e soffrire tante, troppe spine incarnate; di scrivere il terrestre, fedifrago "Faust" come ribaltato Prologo In Cielo... Kant sistemò, criticò e cementò, di volta in volta, la Ragion Pratica, la Ragion Pura e il Giudizio... Eppure a pensarci bene resta il più caldo e struggente di quei pensatori: il padre (anzi addiritura nonno ideale): di quelli che davano del Voi ai figli (o ai nipoti), eppure li educavano a vivere e a sentire...Elena/Nina guarda dalla finestra: tu dici verso la strada: io ipotizzo un giardino; tu dici: formichine di passanti: io dico, bimbi che giocano. I maschi - i grandi - sono dietro o troppo avanti - come i secoli e gli anni da cui noi oggi guardiamo il quadro... Elena/Nina è un altro gabbiano che non può o non sa più volare, se non con quel suo sguardo benedetto, rinfrancato di luce. Ma sotto quel vestito, quel tepore borghese, ordinato, che fervore, che rapimento d'ali! Che voglia di sfidare i venti, salire da essi fino alle nuvole e oltre - magari per bussare non giù a Konisberg dal Professor Kant, ma direttamente, in via del Celeste, alla Dimora della Luce... L'unico barlume o bagliore di divino resta tutto in questo sguardo che immaginiamo senza vederlo, e prolunghiamo col nostro. Per anni mi sono sentito irrimediabilmente "romantico" e non mi curavo di uno sguardo che credevo il mio. Ora un altro dovere etico, m'insegna questa elegante donnina - e più di Herr Professor Kant: che la legge morale non è solo dentro di noi, ma nello sguardo, nell'amore delle persone che coabitano, convivono coi nostri voli avverati, tarpati o perfino rinunciati. E il cielo stellato può ribaltarsi a insediarcisi dentro,nella cupa volta del cuore. Una piccola, paziente forma d'amore: la finestra si chiude, eppure il cielo le resta dentro. La casa potrà, potrebbe tornare ad essere Residenza D'Amore. Si può piangere anche di gioia, e l'intensità, si sa, travalica i confini. Tutto il resto va bene per i Baci Perugina e gli spot pubblicitari da Mulino Bianco. Un amore vero è sempre sofferto, e sempre soffre a viversi. Soffre a dirsi e proclamarsi vero. Ogni vero Principe Drammatico prende per mano la sua Principessa lieta di esserlo, la sua Divina Commedia, e il sipario degli altri si chiude, armonioso d'ombra. Plinio Perilli

mercoledì 23 aprile 2008

la linea della vita


Il cono d’ombra attraversò velocemente la storia ed il tempo lento della sua mente sembrava allungarlo all’infinito. Eclissi periodica e capricciosa, con l’assenza delle mani che scaldano la terra e questa lo sguardo. Elena si ritirò nella sua stanza. Aveva visto cose ben conosciute, ancora una volta le aveva trascritte nella memoria oramai piena. Pieghe affollate delle solite immagini, voci, persino dell’atmosfera umida di quei giorni di autunno inoltrato, senza più la speranza di durare, sepolto dall’inverno. Avrebbe potuto addormentarsi, farsi cullare dal dolore sottile che proveniva da ogni angolo spigoloso degli ultimi mesi, ma scelse il davanzale della finestra, la muta sarabanda di persone in moto, formichine in bilico, nel desiderio di salvarle o schiacciarle. Perché il silenzio dona questo privilegio. Ricorre al tuono o allo schiumoso scendere negli abissi.
Elena non sapeva, ma stava cercando, spogliando di vesti ormai pigre la vita che sentiva o almeno quella rimasta. Verginale desiderio di fuga ed abbandono al giuoco degli eventi, purchè nuovi. Odore di nulla conosciuto, mentre confortante era quello del quadratino di pelle, sul polso, umida di occhi molto stanchi.
Poi, un guizzo, un rapido dietrofront dell’abbandono ormai iniziato. E se stanchezza fosse vita? Se fosse stata proprio quella resa cosciente alle cose, troppe e diverse, il segnale del via? Forse non c’era un mare da rendere calmo e assolato, piuttosto bisognava tuffarcisi dentro, sconvolgere i moti vorticosi sino a farli impallidire del proprio coraggio, usare il tono stanco di quei giorni come una mazza d’acciaio o una pala gigante a bastonare l’acqua, abitandovi forte. Rabbrividì. Tutta. Dal polso ancora luccicante alla tempia destra, quella che il suo gomito preferiva da sempre, quando assorta.
La linea della vita, quella fisica, sopra le anche coperte da una lunga gonna piangente, e quella che conosceva si paravano di fronte; spinse il suo corpo più avanti, verso il vetro, che accettò quel vapore curioso verso il fuori. Lui stava passando lì’, sembrava aver fretta, forse troppa per la discussione appena avuta, pigra anch’essa, qualche minuto prima. No, non era lui che si allontanava, ma il vetro, la finestra, l’umida aria malsana di una stanza troppo chiusa o troppo poco gelosa dei segreti gemiti di un amore disabitato da tempo. Era il suo stomaco e la fronte e forse anche il piede sinistro che stavano correndo. Non più via, ma verso. Elena accettò d’improvviso l’incognita dei segnali, la segnaletica delle incognite, l’apparente ventaglio di correnti ora aeree, sopra la superficie del mare. Dondolò per qualche istante, più fuori che dentro, scivolando piegata a carponi dalla lunga ombra lì accanto.


Foto: Caspar David Friedrich (1774-1840), Donna alla finestra.

La foto è stata tratta dal sito http://mondodomani.org/mneme/s3ik0.htm con la seguente didascalia per la quale non possiamo che rallegrarci, perchè il pensiero ESISTE: Friedrich fu caratteristico per le raffigurazioni di paesaggi simbolici. Il quadro della donna alla finestra è un caso inconsueto nella sua produzione: un interno semplice e dimesso, che non lascia osservare né la donna, né ciò che la donna sta guardando. Si tratta di un modo originale per lasciare allo spettatore il compito di pensare ciò che sta oltre, nella consapevolezza dei limiti della propria percezione.
Il quadro rispecchia così uno degli elementi centrali della filosofia di Kant: la certezza che la conoscenza umana è sempre molto più limitata del suo pensiero, la cui ampiezza lo costringe tuttavia a non dimenticare quel mondo nel quale la libertà e la moralità hanno un senso.

frattale


Stasera, ho deciso di salvarvi, orecchi attenti o mai stai da queste parti. Nessun volo tra i nidi delle parole, pieni del vagito della vita che si colora di semantica ed a volte illusoria imbarazzante verità...No, parliamo di fiabe. Nell'Atelier sappiamo che l'ottima Simona ne racconta e ce ne tira fuori. Ed allora eccone un'altra, ve la soffio velocemente, non deve far pensare; la scarbocchio distrattamente, può fermarsi dove vuole. Buona Notte al nostro pianeta!

Il leprotto cominciò a correre all’impazzata, anche se dietro di lui non si vedeva alcuna volpe affamata. Si fermò solo dopo che le sue voluminose e soffici zampe si erano abbastanza confuse con la spessa coltre spumosa di neve. Non vi era proprio nessuno dietro la sua coda, abbassata per non sentire troppo freddo. Era il suo gioco preferito quello: correre a zig zag, a tutta velocità, facendo credere che vi fosse un terribile animale dietro ad inseguirlo. A chi gli aveva domandato, tra amici e compagni, perché lo facesse, lui rispondeva “Mi alleno…un giorno o l’altro potrebbe servirmi!”.
Venne il Natale e come ogni anno portò festa e luci lì sulla grande pianura stepposa. Gli umani festeggiavano sulle slitte e nelle case l’importante evento ed il leprotto aveva atteso tutto l’anno per poter sbirciare qualcosa di quella strana festa colorata. Finalmente qualcosa che non fosse solo il bianco in quell’inverno spazzato dal vento ed imburrato dalla neve. Quando, quasi per caso, si trovò in grembo alla fanciulla e cominciò a tremare. A cosa erano serviti tutti quegli allenamenti, se ora si trovava lì, paralizzato con altre morbide zampe che lisciavano il suo pelo bianco. Stette perplesso a pensare se doveva dare il via al terrore o all’abbandono e poi decise per quest’ultimo. Sì, si sarebbe goduto il Natale in braccio a quellessere sconosciuto, sognando la steppa da straniero in mezzo ai strani suoni di quel posto. Poi si addormentò.

Anche lei iniziò un sogno, che la portò a correre sulla pianura innevata, a giocare tra gli arbusti seccati dal freddo, a nascondersi negli incavi dei rami più grossi, arricciando il naso e scavando buche.
Quando ambedue si svegliarono erano in posti diversi e lontani. C’era però una grande conifera a fare da ombrello alle loro speranze, perché non toccassero mai il suolo e si elevassero sempre vitali. Il leprotto guardò in su, ed anche la fanciulla, a circa mille miglia distante, alzo gli occhi verso il cielo. Una grande cometa stava passando, sbriciolando frammenti preziosi di luce su tutto. Poi, continuarono a correre.

Il teatro è fantastico


Evviva!”- grido freneticamente Arthur e, dalla poltroncina su cui era seduto, agitò per un attimo in aria la gamba. O meglio, sarebbe stato bene dire…quel pezzo di gamba che gli restava. Intanto, l’auto in corsa aveva precipitosamente terminato il suo viaggio; lo stridulo rumore sull’asfalto quasi a gara con il prolungato fischio del vigile che gli intimava di fermarsi. E’ incredibile come le persone si ricordino improvvisamente di essere “brave persone”. Ossequiose, rispettose e persino mortificate, quando colte in flagranza di reato. Credo sia per quel retaggio primitivo, ma oramai isterico, di quando bambini fummo colti sul fatto ed allora…eccolo pronto il repertorio delle scuse, con la testa bassa. Il vigile, in fondo, è un confessore, meno misericordioso, ma assolutamente coerente con i propri occhi; che non sono mai i nostri! “Il teatro è fantastico...”- pensò ad alta voce, tra se e sé, Arthur. Poi, si ricordò puntualmente di non uscire di scena neanche con la testa. Poteva continuare ad attraversare quel pezzo di palco “fingendo” una strada e persino il pezzo di gamba già mozzata primeggiava quale vessillo di una bellissima vittoria. Sì, il teatro è davvero fantastico; non dico che ti permetta di correggere il passato, cosa che non fa neanche la psicanalisi…ma certe rivincite te le prendi con quella potenza di poter dire chi sei, senza vergogna. “Tutto da rifare!!”-tuonò la voce del regista. Per un attimo lungo il tuono divenne anche il suono del suo cuore. Prima di capire: la velocità aveva fregato ancora una volta quell’automobilista! Non la velocità della finta- auto-decapottabile-capelli-al-vento-obbligati-occhiali-Rey-Ban su occhi invisibili da guerriero, no. Quella appartiene alla strada di tutti i giorni, che travolge le vicende, quando non ne crea. Era la velocità di quel “Oh, mi scusi…signor vigile!”. Troppo affrettato, impulsivo, si sentiva…non credibile! Anche le bugie devono trovare dove sedersi ed anzi costringere l’altro a fargli posto, per un bel tè dove si discuta un problema che, almeno, riguardi tutti e due! La scena doveva essere ripetuta e ripetuta sarebbe stata la sua vittoria. La gamba? La stessa, alzata e fatta vedere ad un pubblico tutto dalla sua. Almeno per una volta. Arthur si concesse recitando un bel sorriso.
Titolo: Arthur, evviva!
Drammaterapia per i disabili?

lunedì 21 aprile 2008

eclissi

...ancora a proposito di Cronopios e Famas...

Quell’anno l’eclissi di sole, con quella moneta di luna a passargli davanti, fu lenta e assonnata. “Noi crediamo” -disse il gruppo dei saggi anziani -“che non sempre le cose che dormono, siano inattive o improduttive, esse piuttosto conservano per tutti gli altri i sogni, ne custodiscono le chiavi segrete e danno al silenzio la voce delle potenti immagini del sogno”.

Non c’era che dire, da quelle parti ci si interrogava su tutto e tutto doveva tornare nei conti di quelle quattro teste canute sputasentenze e forse avevano anche ragione. Perfino la pallida Luna, che per una volta -ogni tanto, se la memoria non mi inganna- osava attraversare il cammino del sole, proporsi sfacciata, farsi quasi toccare all’insaputa dello sguardo di tutti, nel suo lato oscuro, piuttosto che rubarne la luce o meglio fermarla nella corsa verso l’infinito spazio, ebbene… anche in questo caso la rissa delle ipotesi e del conto alla rovescia delle "rivelazioni" era partito. “Vedremo mai più il sole, e se la luna ne rubasse la luce e se invece fosse il sole a squagliare la luna, spogliandone prima i crateri e spolverando le sue rocce laggiù nello spazio?”

Non vi era limite alla fantasia degli uomini, cose che prima, quando si era delfini, non accadevano mai. Ma poi l’evoluzione rese l’uomo più sapiente e solo il buio ne conservò il senso e il timone. Ad ogni modo, anche questa volta il sole sgusciò, un poco più pallido, dalle chiome oramai oro della luna, per riprendere il suo moto celeste, mentre quella non smise di corteggiare la terra e farsi vedere. Di quell’eclissi, lenta ed assonnata, diremo irreale, non rimase che il ricordo, ed anche quello poi scomparve dalle menti curiose degli uomini pettegoli. Tra le stelle, laggiù le cose vennero narrate diversamente, perché diversa è la prospettiva dell’infinito, del profondo e dell’abisso. Si dice che qualcuno, non meglio identificato ne tratteggiasse i contorni e che essi risultassero p e r f e t t i , la rara combinazione delle circonferenze che non saranno mai semplici cerchi.

Nella Foto: Si chiama IC 342; è lontana 11 milioni di anni luce, classificata come una galassia a spirale. Migliore immagine astronomica 2007.

giovedì 17 aprile 2008

radiografia di "Amore & Psiche"

L’incontro nel laboratorio di Drammaterapia, come si è detto più volte, non costituisce un setting terapeutico allargato ad un gruppo, non è una terapia, ma certo spinge verso quel "movimento di autocoscienza" che si auspica si sviluppi, tende a realizzarsi proprio intorno alla discussione sul pensiero e gli affetti, i loro labirinti, sollecita le possibilità di crescita, attraverso il percorso attoriale. Se merito vi è, va dato a quella dinamica che si cera quando, insieme alla aspettativa di qualcosa -la motivazione-, vi è un percorso nel quale sei accompagnato -il metodo- ad esplorare te stesso insieme all'oggetto di studio -il tema in oggetto-. Personalmente io lo chiamo l'atto di restituzione alle cose, che se ricreate "virtualmente" nella nostra testa, meritano di rivederci congiunti a loro, al di fuori d’ogni presuntuoso atto di fredda "oggettivazione"! Ma il discorso ci porterebbe lontano, anche a parlare di etica ed ecologia della mente e vi sarà anche il tempo per discutere di questo in futuro, del continuo "miracolo" della percezione, nel complesso tragitto che va dall'oggetto percepito sino alla più fine astrazione del nostro pensiero su quello. Per oggi mi limito a suggerirvi su questo argomento il tema dell’armonia: quello che si può definire, rispetto ai rapporti tra mente e corpo, "l'equilibrio psicosomatico". Un dialogo silenzioso -ma a volte che strilla ed urla, altre volte, sorride ed ammicca!- che si svolge dentro di noi in una costante interrelazione di patterns fisici e mentali. Ampliamo un poco questo concetto... Il nostro essere si sviluppa secondo l'interazione di quattro elementi fondamentali, gerarchicamente protagonisti del gioco via via che esso cresce: corpo e funzioni nervose, realtà e mente. Il corpo, momento biologico aggregativo iniziale di un appuntamento con la storia che nasce dall'organizzazione di cellule secondo un progetto ben codificato nel nostro genoma e le funzioni nervose dentro di quello sviluppatesi già nell'epoca fetale. Funzioni nervose di base –nerurovegetative- già presenti, in modo quasi perfetto se pensiamo all’innumerevole serie di riflessi, comportamenti e reazioni, anche se ancora non consapevoli, che il bambino possiede alla nascita -sa appetire, sia pure primitivamente, le cose, deglutire, starnutire, piangere e sentire piacere, ecc. ecc-; e funzioni nervose superiori che necessiteranno di uno sviluppo maggiore dei recettori -i nostri terminali- e delle loro connessioni nelle reti nervose dell'encefalo per fare da detector e scanner nel mondo e quindi sviluppare procedure di esplorazione, indagine ed elaborazione della realtà. Quest'ultima ma mano si connette al nostro organismo nella forma fisica -ciò che è fuori di noi- e quella culturale -ciò che è interpretato a noi- e da questo è esplorata attraverso un’innumerevole serie di incontri, casuali, istintivi, prevedibili ed incidentali che lo guidano in uno sviluppo sempre più adattivo. Un esempio: si pensi al nostro apparato immunitario, costantemente sollecitato sin dai primi mesi della nascita dall'incontro con germi, batteri, parassiti e non tutti malvagi e quanto non sia tanto distante l'apprendimento del fatto che il fuoco-luce colorata-calda fa male...gli adulti la chiamano nell'esito "scottatura" e che dovrò evitarla...e quanto psicosomatico è quel gesto di ritiro affrettato dalla sorgente di calore -un termoconvettore ad esempio-, quando il bambino apprende a proteggersi da quell'evento! Alcuni sviluppano, secondo tipologie sensoriali e sensitive personali genetiche ed apprese, la capacità di anticipare il dolore avvertendolo in parte anche prima dell'incontro lesivo o disturbante con l’oggetto esterno od anche semplicemente pensato. Quanti di voi sentono un brivido percorrere la propria schiena allo stridolio del gesso su quella lavagna! E quanti contrarranno la propria bocca in una smorfia, quasi immedesimandosi, al morso di un acerbo limone, alla scena raccapricciante di un evento drammatico e così via? La dimensione psicosomatica, si vede bene, va ben oltre l'ulcera gastrica del vicino o la psoriasi di quello del piano di sopra come definirebbe “Cortazar.”; essa si esprime nell’astenia di una persona piuttosto triste quel giorno; nel senso iperbolico di forza alla notizia che abbiamo vinto qualcosa o siamo stati premiati o, comunque, l’avremmo meritato…; al tremore, fine, distale, non intenzionale e comunque scientificamente lo definiate disturbante e controproducente, di un atto che impegna, nuovo, le nostre abilità; in un momento di insicurezza del gesto; nel rossore dell'adolescente alle prime esperienze sentimentali...gli esempi non finirebbero mai. “Equilibrio psicosomatico”, un’equazione personale profonda -silenziosa ai nostri occhi!-, privata e visibile, che modula il registro delle nostre continue reazioni e contro-reazioni all'ambiente, anche attraverso il quarto elemento cui accennavamo prima, la mente. Essa costituisce un sistema complesso, non presente alla nascita così come noi la conosciamo –per questo non ci si affanni a ricercarne la registrazione a quell’epoca con l’ipnosi!-, in costante contatto con l'esterno e con se stessa -atti consapevoli ed inconsci-, direi d i f f u s a dentro di noi, che giunge che giunge a governare il nostro gesto, ma anche ad osservarlo e pensarlo distaccato e simbolico, man mano che sviluppa le capacità d’elaborazione ed astrazione. E mentre il nostro gesto allontana, molte altre parti del nostro corpo “allontanano qualcosa da noi…a loro modo, mentre si avvicina a qualcosa, altre parti del nostro corpo tendono alla vicinanza al contatto, strutture, sistemi fisiologici, recettori, ormoni…e m o z i o n i, i n t u i z i o n i: il continuum della nostra dimensione vitale non può che essere psicosomatica! Davvero l’incontro tra Amore e Psiche.

mercoledì 16 aprile 2008

trance & recitazione


Perché l’ipnosi in un atelier di drammaterapia? Mentre per venerdì 18 maggio continua il percoso all'interno del modulo di autoipnosi dell'atelier, vogliamo re-interrogarci anche su questo blog ed aprire una discussione. Come punto di partenza, una breve precisazione ci aiuterà a comprendere meglio.
La metodologia dell’Atelier “Liberamente” segue i principi della dramatherapy già descritti dagli orientamenti della letteratura internazionale e, fondamentalmente dalle due grandi scuole, quella americana di R. J. Landy e quella britannica di S. Jennings . Il percorso che questi due differenti autori hanno fatto per giungere alla precisazione di alcuni principi fondamentali nella materia è autorevole, anche se, legittimamente, tende a sottolineare differenti aspetti del lavoro drammaterapico per giungere quindi a metodologie coerentemente diverse, almeno in parte. Se Landy, con il suo “concetto di ruolo”, intende il processo dramma terapico come assimilabile fondamentalmente al percorso psicoterapeutico, Jennings lo legittima maggiormente all’interno del processo artistico proprio del teatro. Negli ultimi anni, proprio la professionale e fertile disputa tra i due orientamenti di pensiero ha portato ad una ricca produzione di proposte ed articolazioni metodologiche.
I punti fondamentali per i quali la drammaterapia dell’Atelier Liberamente si differenzia da altri percorsi, nasce fondamentalmente da fattori autobiografici, come spesso ogni innovazione comporta. Per il direttore dell’Atelier, E. Gioacchini, essersi interessato da trentacinque anni di “stati modificati di coscienza”, passando attraverso la competente conoscenza dell’ipnosi formale, sperimentale e clinica, e molte delle sue applicazioni, anche al di fuori del campo ristretto della psicoterapia ipnotica, ha comportato l’utilità di disporne nello strumentario dell’operazione dramma-terapica. Di qui l’importanza che l’allievo-attore acquisisca dimestichezza con le fluttuazioni della propria coscienza, che, si sa bene, non è sempre ed assolutamente “ordinaria” e vigile nel corso del processo artistico, interpretativo e comunque espressivo. La particolare competenza nel campo dell’hypnodrama moreniano (dove allo psicodramma si aggiunge la presenza di stati induttivi la trance), porta così il lavoro drammaterapico assai vicino alla consapevolezza di quello che Artaud indicava come "trance cosmica" o lo stesso Grotowsky chiamava “la Trance dell’Attore”, pura espressione dell’autenticità di un‘anima nell’atto di donazione all’altro (pubblico) dinnanzi a lui. L’atto di “autopenetrazione” che tanto sottolinea il Maestro, passa dunque per uno speciale stato di consapevolezza cosciente, ma all’interno di una condizione di trance, elementi questi che permettono all’attore di “non fingere di fingere” e qualificare il suo “come se” sulla scena appunto come atto "autentico". La propria storia, invisibile, fluisce all’interno della parte che stiamo interpretando, anche al di fuori di quel gioco di immedesimazione dentro al personaggio, come propone il grande Stanislavskij. Se il suo metodo si basa sull'approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore di quest’ultimo, come concepito dall’autore, personaggio e quello dell'attore, la metodologia dell’Atelier sposa maggiormente lo statuto Grotowskiano. Come questa ultimo indirizzo insegna, è inoltre ridotto all’essenziale il rito scenico, impoverita la macchina teatrale, ridotta generalmente all’essenziale dell’attore e dello spettatore: la scena di fuori si svuota dei suppellettili ingombranti della coscienza, formalizza la presenza di quelli essenziali e si rivolge al dentro... Quello che rimane sono i corpi con un anima, e questi non possono che essere corpi in cerca di vita ed espressione, offerti all’altro, in un incontro ogni volta unico ed essenziale. I moduli di insegnamento dell’Atelier intendono quindi facilitare il processo cognitivo e interpretativo nel lavoro attoriale, perché questo, più in generale, abbia dei positivi riflessi sugli schemi di pensiero e conportamento della persona; un’esperienza formativa il cui obiettivo è estendersi ad altre competenze parallele per un miglioramento della qualità della vita e che si sia in analisi o meno, il punto di partenza è sempre la conoscenza di se stessi.

Per questo, ad esempio, attraverso la danza-movimento-terapia, ci si avvale anche di esperienze propriocettive -presa di coscienza dello schema corporeo e della struttura del proprio corpo, contrazioni e distensioni muscolari, quindi mobilizzazione settoriale e totale-; delle tecniche cinestesiche -acquisizione di posture in relazione allo spazio e ad altri soggetti- e dell’esperienza aptica generale -risposta del soma a diversi tipi di stimoli tattili-.
In tal senso, gli esercizi di autoipnosi, proprio come quelli sul corpo che propone Grotowsky, intendono sollecitare la consapevolezza e la libertà emotiva del soma e della psiche, in modalità sinergica ed in funzione del sentimento di libertà e scelta che l’attore deve sempre saper comunicare a chi assiste al suo lavoro. L'attore conosce bene questo: il corpo e la mente possono tradirsi vicendevolmente, l'abitudine arriva ad impigrire il senso dell'azione ed addormentarlo in essa, si pericola costantemente verso quella condizione così acutamente definita da Grotoswsky come pigrizia interore. Oltre l'ipnosi ritualistica ed iconografica della trance, si accede al serbatoio privato delle proprie esperienze con uno squisito atto di introspezione definerei più "sciamanico" che classicamente "ipnotico".

somiglianze


La vertigine di chi osservasse il mondo cadere poco interesserebbe al buon Dio!” bestemmio per qualche oscura ragione, Grant, sollevandosi sulla punta dei piedi. Anche così, non recuperava poi molto; il suo metro e 47 non poteva giovarsi della voce della Verità, né di qualche centimetro in più, a fatica mantenuto. Barcollò su quella posizione istabile e precipitò a terra disastrosamente. No, il buon Dio non si interessò affatto di quel piccolo corpo di uomo, pieno di voglia di vivere, mentre roteava come un manichino da quel cornicione. Neanche il giornale del mattino spese più di qualche laconico rigo sulla pagina della cronaca: “Un Nano si getta dal Cornicione della sua Abitazione!”. Si, gli uomini somigliano pericolosamente a Dio. E poi, rettifichiamo, per amore della verità: quella non era la sua casa, ma solo il cornicione arancione di una casa in via Humboldt, affatto sconvolta dall' enigmatico evento. Parola di Fama

martedì 15 aprile 2008

perchè le meduse?


E' il loro costante viaggio dalla superficie alle profondità ad interessarci. Lo scivolare, apparentemente incurante, dalla superficie riflettente di sopra agli abissi più oscuri. Viaggio che ha la sovranità del proprio intento e non chiede passaggi o permessi. Innocua apparenza di luce che si basta, pericoloso contatto se ne disturbi il percorso. Non ti bruci solo nei sensori, più materei, del tuo corpo, ma può renderti di pietra, se l'osservi troppo a lungo. E' il prezzo del suo sogno di amore infranto, che diviene la crudele proiezione del dolore su chi la riflette, a stupirci ancora.

domenica 13 aprile 2008

Teatro & Drammaterapia: "il fissatigre" di Julio Cortazar


Roma 11 maggio 2008, l'Atelier LiberaMente mette in scena una riduzione drammaterapica de "il fissatigre", tratto dalle "storie di Cronopios e Fama" di J. Cortazar, per la regia di E. Gioacchini. A cimentarsi con un’ulteriore elaborazione del testo del grande scrittore argentino è questa volta il gruppo degli allievi del primo anno dell’Atelier di Drammaterapia Liberamente in un allestimento teatrale diretto dallo stesso professionista.

Il Fissatigre costituisce un emblematico brano tratto dalle "Storie di Cronopios e di Famas", una raccolta di piccoli saggi che descrive lo spaccato di vita delle due genie di personaggi creati da Cortazar. L’autore vuole farci sperimentare la “drammatica” conoscenza dei nostri luoghi comuni, dove, subdole, abitano l’abitudine e la pigrizia e al contempo costituisce un meraviglioso e cesellato esempio su quel pensiero “divergente” che tanto ha appassionato la letteratura d’avanguardia degli ultimi decenni oltre che la psicologia, ma ad esempio, dimenticato dalla scuola. Cortazar esaspera le nostre abitudini sino al grottesco, all’assurdo, ma anche oltre. E' la ritualità che giunge ad addormentare le possibilità interpretative del nostro Io, ad essere in scena con “il fissatigre”. Eidetica, ma sicuramente anche auditiva e cenestesica, l’espressione letteraria di questo autore, che riesce a farci ridere, con tutti i "cinque sensi" dell’invidia, della gelosia, della paura, della vergogna e del pudore, del ruolo codificato, come dei maldestri e comici tentativi di romperlo a volte ed illudersi finalmente liberi!Il testo di Cortazar, ma ancor prima la sua acuta critica dell’ovvio, alla ricerca dell’autentico, offre spunti speciali alla riflessione nel processo drammaterapico, afferma il conduttore di questa interessante ma anche divertente performance drammaterapica del suo gruppo teatrale. Il "fama" che è in noi continua a divertirsi, ed in fondo interagisce sempre, rovescio di un’unica medaglia, con il "cronopio", cercando forse una collaborazione? Ma anche il "cronopio" non è così indifferente all'arte di vivere che il "fama" gli ricorda! Come utilizzare, quindi, questi due moti dell'anima, “conservatore” ed ingenuamente “eversivo”, affinchè ci arricchiscano e ci agevolino? Pablo Neruda è drastico: “Chiunque non legga Cortazar, è condannato”. Ermanno Gioacchini enfatizza in questa piece l’implicito messaggio che, destituendo, restituisce: la lezione dello scrittore è assolutamente verso l’autenticità. La ritualità, nei suoi specifici aspetti di contenimento ed apertura, il rapporto individuo-gruppo all'interno di un sistema di valori definito, l'analisi della definizione di ruolo, sono alcune delle tematiche che verranno esplorate con la tecnica drammaterapica in una conduzione provocatoria, tesa alla scoperta ed espressione di quell’autenticità. Il testo drammaterapico in scena spinge ad usare il pensiero creativo e sollecita ad entrare nella storia messa in scena dall’autore, ad esercitare, almeno nel luogo del teatro, un utile timido tentativo di destrutturazione del modello del mondo che adottiamo, per chiederci come arricchirlo senza effetti collaterali!

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

COMUNICATI STAMPA