@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

mercoledì 25 giugno 2008

...ha avuto vinta su me tutta...

@ da Cheeky
Esercizio condotto da Mary e Federico, lavoro con Lupo

Lupo: stand-by
Cheeky; inizia: si allontana, senza perdere di vista Lupo
Ritorna – ok

Cheeky: Stand-by
Lupo: si allontana, arrivato quasi alla fine del percorso, appare mio Padre, crisi, tiro su col naso, asciugo gli occhi, intanto Lupo inizia a ritornare, non c’è stato modo di seguirlo con lo sguardo mentre rientrava, il pianto, la disperazione, ha avuto la vinta su me tutta

Ok ---ora si fa insieme il percoso

Si parte insieme si tira in ballo il movimento prendere e lasciare, prendere e lasciare

Si termina, sono profondamente turbata, il pianto è diminuito

Esercizio successivo: Vivere l’abbandono

Il corpo non risponde, è completamente inerme, la mente ha pescato un primo ricordo, però poi subito un secondo ha spiazzato via il primo, papà in piedi su di un ramo di un albero, una corda al collo… ripete…tranquilla non piangere…

E poi avrei dovuto ricordare il “lasciare”

Invece la memoria ha pescato un unico evento dove papà mi lavava i capelli , era lì tutto per me
Ero già grande, 22-25 anni e lui al mio fianco destro

Ok, drama fino in fondo

Ora dobbiamo agganciare le 3 fasi del primo esercizio con le due del secondo

Dolore dentro il dolore, doore che cura il dolore…sono in giuoco . Masa
Masa-Medvedenco
Masa-Kostja
Masa-Polina
Masa-Dorn

La mia reazione mi ha sorpresa, non pensavo, di aver questo forte legame nei confronti di un padre che non c’è mai stato, ma non ho mai voluto l’allontanarmi da lui, non volevo perderlo, e, quando lui è andato via il vuoto ha preso il suo posto
Vuoto, vuoto,… vuoto
Paura, Paura... Paura…freddo, freddo …freddo.
Foto: "Masa de Il Gabbiano", laboratorio su Cechov, 22.06.08

martedì 24 giugno 2008

Maša rinuncia? Quadro nel quadro.


Scrive Azzurro..
"Maša. Vorrei le vostre opinioni
L'aspetto che più mi colpisce - ovviamente ...- è quest'amore senza speranza e senza sogni, un amore che oramai è consunzione, struggimento e pena. Un amore che la porta a fare un matrimonio di evasione, con un uomo che non riesce nemmeno a rimandarle l’assurdità della sua vita, che si fa a sua volta trascinare in questa follia. Un amore che non le permette nemmeno di essere madre, tanto c'è Matriona…
E così… beve, fiuta tabacco, dorme nell'ex-teatro… E tutto questo per amore di Kostja… ma si può ancora parlare di amore? A me sembra più un cancro… che certamente non sarebbe guarito con l’ipotetico trasferimento di Medvedenko e che probabilmente si aggraverà con l’epilogo di Kostja…
Ma si può ancora parlare di amore? A Voi…
"
Foto: "Maša nel Il Gabbiano", foto laboratoro su Cechov, 22.06.08

domenica 22 giugno 2008

La Devozione di Maša

@ da Indaco
Caro Director,
veramente interessante questo post che allarga la piaga esistenziale dei personaggi cechoviani, inducendo a una riflessione di tipo psicanalitico. Maša, come già scrissi tempo fa, è Devozione e Dedizione assoluta: l’amore per Kostia –inespressiva struggente passione. Nero reticolato che inganna qualunque solitudine. Sconosciuto, il suo involucro di carne e sangue si fa principio nullo, mentre il diniego materno verso la figlia, “anonima di senso”, risulta addirittura insopportabile. Anche in questo caso, sin dall'inizio dell'opera, un altro protagonista del dramma affronta la Devozione amorosa in frantumi. Ed è tale da elargire una colpa. L'aspetto che realmente teme è la propria forza; quel sentimento di indipendenza che vorrebbe “impegnare l'acqua alla terra per renderla fertile e feconda”. Maša realizza di sé un triste ex-voto che le rammemora ossessivamente il mancato avvento del miracolo-desiderio: intimo copyright di una desublimata bellezza d’arte, opera incompiuta e tantomeno riconosciuta: quella dell'oggetto amato, lontanissimo da lei quanto Kostia lo è da se stesso. E credo infatti che Maša, quando potrebbe alleggerirsi dalla morsa del dolore, preferisca invece restarne ingabbiata; la mistura esplosiva tra sogno annichilito e l’immaginarsi donna libera da ogni culto, dalla bramosia folle che lo accompagna e lo custodisce, prolunga all’infinito il rito silente del suo fallimento. Lei, l’amata Masa, potrebbe ritrarsi così: “Io – non riesco ad appartenere / eppure ogni gesto m’appartiene” -versi tratti da “Brockwell Park” di Francesca Matteoni-. Anche il peggiore, aggiungo io. In Maša albergano colpa ed espiazione, assunti "negativi" che lei, Madre, impronterà alla figlia. E come amante, amata dall'uomo giusto che lei invece offende come sbagliato, è cardine-colpa, forma-dolore consapevolmente inflitti ad un uomo mai bastante affettivamente.Tornando alla sua sfortunata passione per Kostia, ella non riuscirà a scardinarne gli avvitamenti morali, a ridurre -citando Roland Barthes- “l'ingombro esagerato della devozione” verso quell’anelito, o smania d'amore perduto. Sono anche convinta, pensando a Nietzsche, che la sofferenza nell'amore raccolga in sé un'innocenza disvelata, un biancore di cui s'avvolge per atto difensivo: ed è nuovamente, sentenzierebbe Barthes, la "ripulsa della Colpa".Maša, dall’inizio alla fine del dramma, tenta affannosamente di padroneggiare infelicità e destino. Ma fallisce sempre, e questa è la sua doppia pena.

Per lei canterei un tenero nido di sonno.
Canterei affinché un rovo di tenebra scordasse il suo pasto.
Pregherei per l'equatore d'una stella.
In divenire: perché abbandonasse vodka, tabacco e stordimento.In divenire: perché abbandonasse la fiamma sull’altare.
In divenire: perché lassù, quella stella, indorasse la sua vita nova.
Foto: "Cechov and Knipper, 1901"

sabato 21 giugno 2008

...tonnellate d'amore...-Anton Pavlovic Cechov-


21 ottobre 1895: “…scrivo non senza piacere, sebbene trasgredisca continuamente le convenzioni della scena. Una commedia, tre parti femminili, sei maschili, quattro atti, un paesaggio (la veduta di un lago) molti discorsi sulla letteratura, poca azione, tonnellate d’amore…Mi convinco sempre più di non essere un buon drammaturgo!”.
Mentre stiamo lavorando Cechov, so già che il prossimo anno le pagine di Ibsen ospiteranno anche noi…e chissà qualcun’altro.

Vi vedo a terra…a raccogliervi dalla fatica di un passaggio di danza-movimento sofferto e goduto. Si sta bene a terra, illude e procrastina scaramanticamente la tappa finale? Non credo veramente. Non solo. Riperpetua…il sogno della nascita! Del resto, pensiamoci, la qualità più importante che ci distinque dal "creato" o "sempre stato" -rispettiamo sempre tutti...- è attribuire un senso, a dispetto di una realtà che non coincide con la verità.
Ora, al mio via…sollevatevi, lentamente, perché le tracce invisibili del lavoro precedente, si collochino dove possono…lavorare... in silenzio e torniamo nel nostro laboratorio “drammatico”
…a Cechov
Maša…Maša è in bilico. Ma quale di questi personaggi non è in pericoloso e “drammatico” equilibrio per non prestarci i suoi panni? Si destina? E’ destinata? Sembra che sulle rive di quel lago la saga dell’illusorio abbia la sua apoteosi; la kermesse dell’inganno, con se stessi prima e poi con gli altri; ma anche la potenza del desiderio e la passione per una libertà negata fino dalle prime pagine. Maša è dignitosa. Cerchiamo di capirci…davvero non ci si può aspettare che Cechov pieghi la storia al suo piccolo eppure puro desiderio di amore…-dobbiamo farlo noi!-. Kostja sarà sempre irraggiungibile, se è di lui che si parla. Egli è perfino “irraggiunto” a se stesso; per dare un senso alla propria vita, è costretto a togliersela, portando al livello più drammatico quella crisi del progetto che pervade tutta l’opera. Troppo gli è stato sottratto prima. Dov’è un padre forte e coraggioso, ma anche debole ed insicuro, con il quale confrontarsi, dal quale scindersi, piuttosto che il grave costante confronto con un amore, quello materno, negato per principio -per la lusinga dell’arte- dalla vedova Treplev, Irina Nikolaevnia Arkadina.
Maša desidera essere compresa e parla della sua disillusione sull’amore sperato di Kostja con il dott. Dorn, personaggio così “amalgama” in questa opera di “disfatti” e “disfatte”. Fondamentalmente rinunce; anche se queste si travestono degli smacchi del destino. Riesce persino scherzosamente a dare iniziali dinieghi al devoto maestro –ne diventerà con-sorte, più in là-. Maša sa amare, sa perdere…e non ditemi che qualcuno di voi non ha dovuto rinunciare, forse dolorosamente, al sogno dell’amore. Non facciamo archeologia nella sua storia, che deve ancora venire, essa appare crudelmente perdente nella giostra di questa famiglia intorno alla quale ruotano personaggi simboli: Boris Alekseevie Trigorin ed il fascino del successo raggiunto; Nina con quello agognato e compresso; Semen Semenovic Medvenko…così di buon senso e luogo di raccolta dei lamenti incompresi; Petr Nicolaevic Sorin…filosoficamente ormai addormentato nelle vicende dei proprio congiunti, ma tuttavia buono e paternalisticamente osservato dalla sorella. Anche se di “teatro” si parlerà lungo tutto il percorso dei personaggi, fino a farne vera discussione dibattito nel secondo tempo, è dell’amore che stiamo parlando e travestirlo rassicura, ma fa perdere…
Dott. Dorn a Kostja: “Voi avete tratto la vostra storia dal mondo delle idee astratte. E avete fatto bene, perché un’opera d’arte deve assolutamente riflettere qualche grande pensiero. Solo quello che è serio è bello”. Il riparo all’amore che non si può avere –la madre-, a quello che non si può conquistare –Nina- ha funzionato per ora nel teatro, ma non fine alla fine del "teatro"!

Maša è da sempre vietata a Kostja, non ha fatto alcun bagno nella fonte battesimale dell’arte per poter essere vista. Piuttosto è Nina a poter avere tutti numeri del successo nel cuore di Kostja; Nina Michailovnia Zareenaja, tanto apprezzata dall’Arcadina madre –ma sapremo mai se poi è così che accade?- e dunque partito possibile per il sogno d’amore del figlio. Che triste! Bisogna dirlo…Kostja riceve due dinieghi, per il vantaggio della fama e del successo, dalle due donne -ma in fondo è una-, che avrebbe-ro potuto-dovuto amarlo…

E’ troppo! Nel progetto d’amore, quello fatto delle lettere d’amore alla propria amata –nelle quattrocento di Anton Cechov alla sua amata Olga Knipper…- , quelle silenziose o redatte dietro la corsa veloce di un prompt sullo screen, vi è il riassumere ciò che si è sperimentato o non si è avuto. Diverso è un edipo positivo appunto, che imprigiona. E’ l’abbraccio amoroso che ti riconcilia, direbbe Barthes, che qui dunque manca…
E’ troppo per qualsiasi figlio, uomo, attore e la sua depressione, sorretta negli ultimi due anni dalle stampelle finte-vere del teatro, lo destina. Egli ama il teatro come fosse suo padre. Un padre “nuovo”, come un teatro nuovo, quello vero è fantasma…e’ superato; vorrebbe finalmente che la coppia genitoriale si accorgesse di lui… Lo facesse figlio d’arte contro un destino che sembra avergli tolto tutto dall’inizio. Egli non profetizza la propria fine, quando spudoratamente -con l’isteria del ricatto forse- consegna il gabbiano morto alla sua Nina. Egli legge il destino ed arriva sino alla fine del romanzo. Non ditemi di nò! Lo vedete anche voi…a quel punto finisce l’opera. Finisce tutto. Il sorpasso non è riuscito. L’arte è rimasta imprigionata nelle briglie dell’amore e questo inespresso per un’autenticità mai condivisa. Tra nessuno ed in nessuno di questi preziosi triangoli cecoviani: Kostja-Arkadina-Nina, Nina-Arkadina-Trigorin, Maša-Kostja-Medvenko…
Arrivederci Maša... arriverderci Kostja.

"Curare Čechov con Čechov –ma il Čechov che è anche in noi, nel pur affettuoso bestiario domestico dei suoi personaggi che tanto ci riguardano, tanto ci contengono…"...così scrive poche righe più sotto il caro Plinio Perilli.
Respiriamo…anche se sulle rive di un lago, espressione di liberta’ verso il cielo preso da un gabbiano, ci sentiamo claustrofobici… E’ proprio la parte “consumata” e “spenta” di un lago che ha imprigionato affetti e negato quel volo all’uccello. E’ il nostro lavoro a poterlo liberare.


Bibliografia dott. Cechov
Cechov Platonov (dramma, 1880-1881), Racconti di Melpomene (1884), Il tabacco fa male (vaudeville, 1884), Tragico contro voglia aI canto del cigno Sulla via maestra Racconti variopinti (1886), Nel crepuscolo (1887), La steppa (1888), Ivanov (dramma, 1888), Lescij (dramma 1889), I quaderni del dottor Cechov (1891-1904), La corsia n.6 (1892), Il monaco nero (1892?), Il duello (1892), Il gabbiano (dramma, 1895), La mia vita (1895), L'isola di Sachalin (1895), I contadini (1897), Il racconto di uno sconosciuto (1898), La signora con il cagnolino (1898), Zio Vanja (1899), Tatjana Répina (dramma, 1899), Nel burrone (1900), Le Tre Sorelle (dramma, 1901), Il Giardino dei Ciliegi (1904).

Foto: foto di scena da Rodolfo, piece drammaterapica Atelier LiberaMente, Roma dicembre
2007;
"Anton Cechov ed Olga Knipper, Mosca 1901".

mercoledì 18 giugno 2008

"...recito con entusiasmo..."











Cari attori, cara compagnia, carissimo atelier
domenica ultimo strappo artistico alla nostra vita praticata con arte ma vera, per scivolare ancora una volta nel regno del “come se”, armati dei nostri “perché!
Perché vi dico questo…vi sono considerazioni che riguardano un caldo invito alla responsabilità individuale, dietro l’anonimato di quella “gruppale”. Recentemente ho avvertito un sottile e piacevole richiamo primaverile alla vita nell’atelier dentro le vostre parti; ma non mi rassegno a chiedere il vostro cuore, visceri e potenza! Ed il grazie vi arrivi in anticipo…ricattatorio, sfacciatamente manipolatorio, ma assolutamente sincero e strategico. Se qualche bambino o bambina si metterà a frignare, lo metteremo nella penultima poltrona del teatro perchè non disturbi le prove “d’autore” del nostro processo drammaterapico! Gli appelli al lavoro, alla fedeltà, all’attenzione, del resto, si fanno quando le cose vanno bene e non rischiano di risultare pesantemente punitivi o coercitivi.
Ovviamente, anche quest’ultima considerazione non deve addormentare la fondamentale domanda all’anticamera dell’”autenticita”: ma sto facendo il possibile? E poi…sto chiedendo soccorso e lumi? E in fondo...dove sono? -viva l'Irlanda!, ci capiamo-
Digitavo Cechov, per trovare foto di repertorio del nostro e casualmente sono incappato in alcune frasi scritte su un blog...straniero, dove Cechov stava sicuramente stimolando qualche ardito rappresentante dell’opera buffa, che siamo noi, loro, tutti…come ci ha scritto la nostra Indaco, poco più sotto.

"14/02/2008
checov
[recito con entusiasmo, mi inebrio sul palcoscenico, mi sento bellissima]

Questo ovviamente dopo giorni e giorni di prove, dopo aver ripetuto 1000 volte una battuta o una sola parola senza fartela piacere, dopo svariati pugni nel muro, dopo le cazziate e le richieste assurde di farla in modo diverso quella parte, dopo le lacrime e le urla... e ancora dopo aver provato la voglia di scappare da quel palco, ma essere trascinati poi dal bisogno di sentirlo sotto i tuoi piedi;dopo i battiti accellerati, il cuore in gola, le mani sudate, la paura ke ti fotte e l'adrenalina che ti travolge... "

Giovanissima, napoletana, sconosciuta, questa attrice esordiente e praticante, che dietro l’ingenuità degli entusiasmi, sta coltivando la serietà della propria ricerca attraverso il teatro, e perché nò, attraverso Cechov…che dire?!
Le ho detto grazie; anche a lei. Anche se non la conosco, le ho rapito uno scritto –pubblico in quanto sul blog-, anonimo qui, perché continueremo a non conoscerla.
Ma restiamo forti di conoscere noi stessi e chiedere alla nostra fragilità, alla disfatta, al timore…di aiutarci. La torre d’avorio prima o poi si piegherà, e solo gli stolti saranno costretti a piegare le loro idee a miglior consiglio. La strada è preferibile, il territorio indispensabile, la mappa…intrigante!
Fuori metafora, il tutto equivale: lavoriamo!
Vostro compagno di viaggio, Director.
Foto: foto di scena da "il fissatigre", piece drammaterapica, 3 giugno 2006, "il narratore".

domenica 15 giugno 2008

Anton Cechov legge "il Gabbiano" agli attori.

@ da Dedalo

Sono rimasto colpito dal rileggere le prime righe del monologo iniziale della nostra pièce “Nina”. “Anno Domini 2008. Mi chiamo Nina. Sono una scrittrice e performer, e lavoro per alcune case editrici romane. Anno Domini 1896. Sono Nina, “Il Gabbiano” di Cechov, e in entrambe le esistenze non ho mai imparato a volare”.
La bellezza di queste poche righe ha fatto sì che il messaggio mi arrivasse ancora più forte: quel “non ho mai imparato a volare”…Continua la nostra Nina: “Non so perché Cechov mi abbia fatto questo: intitolare un’opera “Il Gabbiano”… un essere piumato, come me… con voce di piuma, piume… ma senza scatto del volo e con i piedi qui sulla terra. Non volo!Cerco una libertà che il Signor Cechov non mi dà”. E continua la bellissima Nina, parlando dello scrittore russo rivolta ai suoi compagni personaggi: “Questo essere umano che vuole dare a noi tutta questa infelicità, l’estremo sacrificio, fa parte di me come fa parte di voi: nell’esatta identica misura. Perché Cechov… è un uomo feroce, ferocissimo, un essere che non ha assolutamente un minimo di pietà verso i suoi personaggi…”.
Quello che mi colpisce è la compiutezza di questo disegno di sofferenza. No, non può essere casuale la sofferenza di cui parla Nina. C’è una precisa negazione delle potenzialità e delle possibilità dei personaggi di essere felici. C’è una volontà tesa ad annichilire, a stritolare nella disperazione. C’è, esiste. E’ terribile, potentissima. Sembra agire come se fosse un retaggio dell’umana natura, già collaudata, e pertanto in grado di dispiegarsi in modo efficiente, distruttivo al massimo. Questa potenza volta all’infelicità. Troppo potente, troppo perfetta. No, non può essere casuale. I personaggi di Cechov soffrono, si lamentano dell’impari lotta, del dissanguamento ai loro danni che li porterà a perire, e del fatto che venendo meno il loro sangue ciononostante il dolore non diminuisca, perché la condanna prevede che il dolore sia sempre massimo, che nessuno offuscamento possa portare una qualche attenuazione della loro disperazione. Come è possibile vivere in questa vita delimitata da muri di gomma invisibile, che lasciano intravedere o immaginare qualcosa della felicità che vi è oltre, ma che non possono essere superati, ma che aderiscono a chi tenta di farlo per poi rispingerlo nella sua vita come fossero elastici, sì che ci si muove a volte per inerzia, procedendo in avanti lungo la strada di lacrime e solitudine spinti dalle pareti contro cui si va a sbattere?
Come è possibile avere una vita così, così perfettamente non vita? No, non può essere casuale. Un essere capace del miracolo del volo, dello scatto del volo… Un essere capace della libertà… Le forze in campo sono enormi, enormi. Sono le nostre forze. Siamo noi. Sono le nostre forze, nella loro potenza, a darci il miracolo del volo, o la pena più perfetta. Rileggendo il monologo iniziale di Nina ho visto questo, ho visto questa immane energia, splendida e terribile. E sono stato contento, perché ho pensato che abbiamo a disposizione delle risorse sconfinate. Perché ho visto le potenzialità, questa volta positivissime, che tutti noi abbiamo, che possono accompagnare le nostre avventure se decidiamo di averne, di uscire in esplorazione, di vivere, di incontrare gli altri.
Foto: "Anton Cechov legge Il Gabbiano agli attori"

e.gioacchini@drČechov a piccole dosi

@ da Plinio Perilli

Spero tu sia rimasto contento della serata: mi è sembrata molto intensa e partecipata. Ho temuto di non essere all'altezza come docente "drammaterapico", cioè di non essere sufficentemente freddo e imparziale, e magari di allungare troppo il brodo con digressioni da background e miniprolusioni letterarie del piffero...
A questo punto - ti farà ridere - il mio metro vero di giudizio diventa il caro (e peraltro assai acuto) Spartaco, lui che si vanta di essere, come era fiero anche Leonardo, "omo sanza lettere". Così mi chiedo: annoierò Poldo e con lui tutti, parlando del passaggio tra 8-900?, del dramma scandinavo e di quello cechoviano?, della scienza dell'Io e del Prof Freud nell'asse narrativo (e anche teatrale) che da Cechov arriverà a Svevo e ovviamente a Pirandello?... Pensa che strada meravigliosa e trasparente, che libera-mente ci viene da percorrere... Altro che raid Pechino-Parigi!!! Qui il rally drammaterapico è Oslo/Stoccolma/Bonn/Vienna/Trieste/Roma/Agrigento... Volendo, con una tappa aggiuntiva, grotowskiana a Pontedera...
Spero insomma che Cechov/Plinio mai risulti altezzoso o peggio estraneo ai travagli dei personaggi, che sono gli stessissimi, riflessi e forse prestati dall'autore. E che il Processo a Cechov valga davvero per tutti, a cominciare dal sottoscritto, affettuosamente tuo Plinio

...forse perché ieri mattina avevo appena rivisto il nostro Francesco Eugenio Negro –e in occasione della glorificazione terrena, starei per dire, del centenario papà Antonio, fondatore dell’Omeopatia in Italia, vero Tolstoj fluviale e introiettato che cura e contiene nei suoi biochimici romanzi terapici tutti i possibili, avvelenati romanzi esistenziali– ma in serata, durante lo splendido, a tratti struggente “processo” drammaterapico sul Gabbiano di Čechov, ho pensato spesso a quest’arte – e questa scienza – di curare il male col male stesso, seppur in dose ovviamente minima e calibratissima.
Curare Čechov con Čechov –ma il Čechov che è anche in noi, nel pur affettuoso bestiario domestico dei suoi personaggi che tanto ci riguardano, tanto ci contengono…
Sì che quando hai chiamato, hai “interrogato” a mo’ di esame confessionale due tra le più fragili e madornali anime in pena cechoviane, Kostia e Mascia, il loro immaginato, reinventato dialogo è alla fine risultato ancor più cechoviano di quello “canonico”… Da una parte, insomma, il Čechov cartaceo e prescritto, l’intangibile canone letterario, la dose unica; dall’altro, per feconda proiezione e contaminazione drammaterapica, il Čechov rivissuto e assimilato, mimetico e a piccole dosi…

- Kostia, sei felice?
- Che cos’è la felicità, la felicità con se stessi? È non sentire un fardello sulle spalle…
- Vorresti che qualcuno ti aiutasse a portarlo?
- No, semmai che qualcuno me lo togliesse!
- Ma se è tuo, come fanno gli altri a toglierlo?
- Io non ho tutte le risposte. Perché mi fai tutte queste domande?…
- Perché la mia felicità dipende da te…
- La mia no.
- Perché non provare?
- Non ho alcuna voglia di condividere…

C’è dunque questo Gabbiano parallelo, trasparente e ipotetico, che si intreccia all’altro, e in fondo se lo annette, lo divora e lo salva… Lo cura omeopaticamente inventandosi, estraendo dalla propria non meno inquieta trama d’esistenza piccole dosi biochiomiche di medicamenta atque remedia…
Per chi come me arriva a Čechov dall’arte, dai regesti letterari, lasciarlo per la vita, e ritrovarlo sui treni, alle stazioncine anonime e scrostate della mera esistenza, è come immergersi fra i personaggi dei suoi racconti; o addirittura mischiarsi fra i comunissimi pazienti che affollavano il suo dimesso ambulatorio di Mosca. “Dottor Čechov, mi fa male qui!…! “Dottor Čechov, sono quasi venti giorni che il mio stomaco”…
Ma noi siamo un altro tipo di personaggi/attori/pazienti; noi dovremmo chiedergli e rivelargli: “Dottor Čechov, da oltre un mese mi fa male il cuore…”. E ancora: “Carissimo Professor Čechov, posso sperare di curare la poesia con la poesia, l’amore con l’amore, la vita con la vita?…”. Quando l’unico antibiotico era forse quello dell’arte, o il sulfamidico della presa di coscienza, del denudamento propedeutico…
E con Čechov che adesso e a sua volta ci avrebbe chiesto, auscultandoci e palpandoci: “Le fa male qui?”.

Tutti dolenti i personaggi di Čechov, i nostri personaggi da adottare, rispecchiare e –per paradosso– salvare col vaccino drammaterapico delle nostre esperienze, del nostro male a piccole dosi… Mascia sta male, e Kostia, e l’Arkàdina, e ovviamente Nina: ma anche il maestro, perfino Trigòrin, squisitamente ammalato del più insidioso e perverso dei mali: l’indifferenza -leggi: il manierismo elegante e pavido degli artisti insinceri, meri ambasciatori e cultori della forma!-.
Mi fa male qui”…
E perché il Čechov vero –o quello che magari dovrei “mimare”, rivivere io stesso– scuote ora la testa, incerto non sulla diagnosi ma forse addirittura sulla cura?…

Nina Zarèčnaja: Allora dovremo rivedere le parti, dovremo rivedere tutto, Kostia, cosa ne pensi?
Kostia: (visibilmente inquieto) Il mio messaggio non è stato compreso… non sempre la scena sul palco deve parlare della quotidianità… O può farlo, ma in modo nuovo ed orecchi attenti.

Eppure, caro Ermanno, proprio questo è adesso il loro -e anche il nostro- momento! Quello infinitamente giusto e necessario, propedeutico, drammaterapico, omeopatico… troviamo, tutti gli aggettivi del caso… Ma è importante al contempo sia curare Čechov che curarsi con Čechov!
Mi è sembrato l’insegnamento –-la comprova– più importante di ieri sera. Coi personaggi che diventavano autori di se stessi e figliavano dialoghi, monologhi, domande, risposte più cechoviane di Čechov!…
Tutti pazienti di Čechov, evviva! Tutti innamorati, gabbiani utopisti, e umiliati, abbattuti nel loro volo del cuore! Queste braccia/ali impallinate, impagliate!
Ma anche quanto cielo!, o meglio: quanti cieli!
Quanto tormento! –- ma anche, di riflesso, quanto amore:

Mascia – Io soffro. Nessuno, nessuno conosce le mie sofferenze! (Gli appoggia la testa sul petto, sottovoce) Io amo Konstantín.
Dorn – Come sono tutti nervosi! Come sono tutti nervosi! E quanto amore… Oh, lago stregone! (teneramente) Ma che cosa posso fare, bambina mia? Che cosa? Che cosa?

Ogni grande scrittore riesce a metterci davanti con ogni suo personaggio come uno specchio, un’angolatura specchiante della nostra anima: e ieri sera io stesso, che dovrei essere o meglio fare il Čechov, mi sono sentito dentro anche la sordità ottusa di Kostia, la vanità egocentrica di Trigòrin, la pacatezza esperta del Dott. Dorn… Ed ho capito che Čechov ha amato dentro e oltre Nina tutte le Nine del mondo, fragili d’entusiasmo, e le Mascie irrisolte e tristi, perfino le Arkàdine pessime madri quanto bravi attrici… Attrici, appunto, attrici d’esistenza: dunque sinonimo di finte, di finzione.
Sono queste finzioni così intollerabili che divengono vere, alle prese coi macigni della felicità e dell’infelicità, entrambi difficili da portare!!!
E se l’infelicità si cura con l’infelicità, qui nella nostra pièce Mascia cura Nina senza saperlo, forse Nina l’Arkàdina, e poi se stessa: fino a partorire una se stessa -giusta l’intuizione della Maroccolo- che l’ha in fondo preceduta un secolo dopo, perché lotta con lei e per lei anche in silenzio… Come Kostia/Roberto lotta per fortificarsi a distanza di un millennio; e Mascia/Katia/nonché Emanuela vestono sempre di nero la nudità solitaria, assetata, della propria anima…
E quella luna, quella lanterna di luna non riuscirà più attraverso il suo fascio bianco a disegnare nessuna ombra o a illuminare noi”…
Un’ombra bianca, un’ombra chiara invece ci contiene tutti e tutti ci ripartorisce: immensa Alma Mater, placenta di seta e strass: capace di contenere Nina 1 e Nina 2, Nina Maroccolo e Daniela Marinetti, la madre e la figlia che è diventata, ogni sogno di cuore, le ali di tutti i voli, perfino tutti i colori, l’Arco-baleno di tutte le creature del laboratorio, eterni colori e ragazzi: Indaco, Azzurro, Blue, ogni profondità e velatura di cielo…
Perché il bianco non annulla ma contiene i colori, certo meglio li trasforma verso e dentro la luce.

Foto: foto laboratorio su Cechov, dalla scena "processo a Cechov", aprile 2008

giovedì 12 giugno 2008


@ da Simona Vitello

Goethe scrisse: 'Sono qui per stupirmi!'. Ma lo stupore è uno stato dell'essere che non ha bisogno di parole, nasce dalle immagini, da un suono improvviso, da un odore ritrovato, da un passo in una terra amata o da amare, da... una suggestione

“Le Farfalle”di H. Hesse, Ed. Stampa Alternativa
"Bisogna essere ciechi o estremamente aridi se, alla vista di una farfalla, non si prova gioia, fanciullesco incanto, un brivido dello stupore goethiano...La farfalla, infatti, è qualcosa di particolare, non è un animale come gli altri, in fondo non è propriamente un animale ma solamente l’ultima, più elevata, festosa e vitalmente importante essenza di un animale...La farfalla non vive per cibarsi e invecchiare, vive solamente per amare, e per questo è avvolta in un abito mirabile... Tale significato della farfalla è stato avvertito in tutti i tempi e da tutti i popoli...È un emblema sia dell’effimero, sia di ciò che dura in eterno... È un simbolo dell’anima..."
Foto: particolare da "Nascita di Venere", ca. 1482, Sandro Botticelli, alias Alessandro Filipepi (Firenze 1445-1510)
La tela raffigurante la Nascita di Venere fu commissionata a Sandro Botticelli da Lorenzo il Magnifico verso il 1482. Capolavoro di grazia e delicatezza pittorica, questa celebre opera, oggi conservata agli Uffizi di Firenze, formava probabilmente un trittico insieme alla Primavera e a Pallade e il Centauro

mercoledì 11 giugno 2008

la mappa non è il territorio


@ da Antonio Ianni -Irlanda-

dopo aver letto @ Dedalo, ho riflettuto ed ho avuto la conferma di come la “vita e proprio la vita stessa” è per noi tutti un fattore RELATIVO. Sono felice per Dedalo che grazie a questa esperienza ha scoperto: “che di direzioni e strade ce ne sono tante...”

Mi rifaccio ad una frase detta e ridetta:
tutte le strade portano a Roma”. Ed io vi chiedo:
“allora basta prendere una strada per arrivare a Roma?...tanto prima o poi si ci arriva!?
Ed io vi rispondo: “no non basta!”
Sicuramente questo detto è nato duemila anni fa, quando Roma dominava il mondo allora conosciuto!
Pensate ad un mondo senza internet ad un mondo senza cellulari e senza satelliti, ad un mondo senza i mass-media; eppure dall’Asia, Dalla Scandinavia, dal Medio Oriente i popoli venivano attratti ad andare a Roma!
Questi popoli erano gente che sapeva ascoltare le storie raccontate dai soldati e dai cittadini di Roma e sapevano ripeterle alle loro nuove generazioni ed a popoli e tribu a loro confinanti.
Pochi di questi sono arrivati a Roma; pochi di questi l’hanno vista!
Roma non era una citta’ Roma era un Impero!
Allora perche i popoli del Medio Oriente -tanto per citarne una- non godevano dell'allora civile “Roma citta”.?
“Roma citta” era la sicurezza, il luogo dove le guerre non avvenivano; era il luogo del benessere dell’ingegneria dell’architettura dell’arte; era il bel mondo!

Ed ecco Dedalo che tu, durante la partecipazione teatrale, anche grazie all’aiuto degli altri partecipanti -i soldati-, sei diventato cittadino di “Roma Citta”: goditi le bellezze della tua citta!
E si vero che “la vita e’ proprio la vita stessa” ma ricorda che va integrata “alla vita stessa di chi ti circonda” di chi ti ha reso cittadino di “Roma Citta”; esporta questa esperienza della domenica dell 8 maggio 2008 sui marciapiedi, dentro i locali e creati nuove conoscenze -i soldati- che ti potranno servire a costruire le tue vie e cosi il tuo piccolo Impero e dai una risposta a queste domande prima d incamminarti!
I. Perche andare a Roma?
II. La conoscete la dritta via?
III. Con che mezzi pensate di raggiungerla?
IV. Cosa vi aspettate da Roma?
E BUON VIAGGIO!

@ da Director

Caro Antonio, eh sì…bisogna godersela la terra conquistata – per carità, mai sottratta all’altro!- che sia un territorio che finalmente diviene la tua mappa, che sia una mappa per un pò tempo dimenticata. Il territorio non sarà mai una mappa -Alfred Korzybski-, ma perchè lo diventi, con la consapevolezza di essere solo la tua, non quella di tutti, bisogna un poco rischiare e mettersi in gioco. Ma “la maggior parte degli uomini non vuole nuotare prima di saper nuotare” -Hermann Hesse- e questo è un guaio!

ordinary life

Dedalo -e ove fruibile a tutta la compagnia-,
mi compiaccio che tu abbia messo a disposizione di tutti la tua personale esperienza; essa sicuramente stimola e a confronti interni e privati per il resto della banda! Certamente silenziosi, sicuramente privati, a volte ostentatamente disimpegnati. Il fatto più importante è però questo tuo aver riscontrato come quanto accade nel processo drammaterapico si sposti, in barba a tempo e spazio, a coinvolgere riflessioni ed accadimenti della vita di tutti i giorni. Parliamone un pò...

Quando questo occorre, ad esempio nel contesto di una terapia analitica, lo si indica con il termine di “contesto adattivo”; una sorta di estensione di quanto avviene nel setting psicoanalitico oltre le sue quinte, nella vita del soggetto, tra un incontro e l’altro. Può riguardare un sogno appena raccontato, interpretato o meno dall’analista, che ricorre una volta ancora – o meglio…una notte ancora- e fa visita alla persona con altri contributi. Ho fatto questo esempio, riferendomi ad un setting terapeutico, perché anche il nostro processo drammaterapico, pur non svolgendosi con intenzioni “terapeutiche” propriamente dette, ma mirando alle risorse dell’individuo, è sensibile ad allargare i suoi spazi di laboratorio al vero ed importante laboratorio della nostra esperienza che è l’ ordinary life: “E’ chiaro che è fondamentale vivere la vita, uscire di casa, guardarsi intorno, incontrare altre persone, perché poi una maestra mirabile e insostituibile di vita è proprio la vita stessa". Anche qui, dove stiamo scrivendo, e come ho già indicato, lo spazio virtuale si presta ad accogliere e processare quanto facciamo.
Tu descrivi in modo estremamente chiaro il “lasciarsi andare, senza forzare…" il processo in atto: “Si è trattato quasi sempre di idee che hanno stimolato l’apertura a nuove possibilità e l’ampliamento dei modi di agire e reagire rispetto alle situazioni della vita, situazioni che magari ci fanno sentire “costretti” in comportamenti che sentiamo pesanti eppure inevitabili. Il messaggio che ho colto dalle nostre attività è stato per me primariamente un invito alla libertà di essere quello che vorremmo essere, o meglio, che abbiamo e siamo dentro”. Quindi trasmetti l’idea che a tentare di farlo, si è premiati, ti sei trovato premiato. Accade, perché è quello che desideriamo.

Pensa a quanto ho appena detto; un’espressione estremamente semplice, ovvia, ma che in fondo nasconde un aspetto tanto interessante, quanto semplice! In uno dei precedenti post accennai al processo intenzionale, che precede ogni azione volontaria; ma in effetti non tutte le nostre azioni ed accadimenti psichici hanno una esplicita intenzionalità. Ed è anche con quella che dobbiamo avere a che fare, se vogliamo comprendere che spesso…pure il solo “desiderare”, “aspettarsi che…”, dischiude porte silenziose a comportamenti ed eventi “imprevedibili”, ma ricercati. Non sempre, infatti, si è in grado di “lasciarsi andare”; ma se poi noi intendiamo questo come “l’aspirazione a che accada qualcosa”, una sorta di solo apparentemente passiva attesa…beh qualcosa dentro comincia a lavorare! Questo al posto del “pigro” ed iterato meccanismo di “rassegnazione” con il quale ci accorgiamo di assistere alle nostre difficolta’, lì ratificandole e facendone un elemento di futuro pregiudizio. Questa “aspettativa” positiva, invece, che non è “azione”, né attiva ricerca delle risposte, persino consapevole della nostra difficoltà, lavora infatti internamente, dislocando energie inusitate, disimpegna dai "sensi di colpa" celati, dove magari l’impegno attivo si sarebbe scontrato con i muri delle nostre pregiudiziali: "Uno sguardo interiore che è sia causa che effetto di sé stesso, che rende sia artefici che vittime”. Milton Erickson, in alcuni casi - ove vi sia una positiva trasformazione dello stato di coscienza- indica come gancio conscio-inconscio, un consapevole ed umile pescaggio nello scatolone in soffitta o in cantina, attivato dalla sincera voglia di “migliorare”, “trovare”, “lasciarsi andare”. Il lavoro del nostro inconscio non segue le regole razionali dell’Io, che è troppo impegnato nell’esame della realtà, ma è discontinuo, procede per salti, è inaspettato…ma poi ti soprende…

Foto: foto di scena, Dedalo e Cheeky "preparazione del fissatigre", primo atto da "il fissatigre", piece drammaterapica, maggio 2008

domenica 8 giugno 2008

A proposito di..."azzeramento o meno"


@ da Dedalo

A proposito del lasciarsi portare, senza forzarne il corso, dal processo innescato dai nostri incontri, mi è capitato spesso di rimanere colpito da semplici frasi o concetti esposti dal nostro director o da qualche compagno, oppure da idee sottese o incluse in alcune delle attività da noi svolte. Si è trattato quasi sempre di idee che hanno stimolato l’apertura a nuove possibilità e l’ampliamento dei modi di agire e reagire rispetto alle situazioni della vita, situazioni che magari ci fanno sentire “costretti” in comportamenti che sentiamo pesanti eppure inevitabili. Il messaggio che ho colto dalle nostre attività è stato per me primariamente un invito alla libertà di essere quello che vorremmo essere, o meglio, che abbiamo e siamo dentro. Un capire che c’è questa possibilità di vivere secondo quanto è dentro di noi. Che si può essere il cronopio che è in noi, che si può essere il fama che è in noi, e si può essere tali nella misura che ciò ci rende autentici, senza paure: essere me stesso. Mi viene alla memoria una frase del libro-intervista su Grotowski; diceva Grotowski, a proposito di ciò che avviene o può avvenire nel teatro: “…rinunciare alla paura ed alla vergogna alle quali mi costringono i tuoi occhi appena gli sono accessibile “tutto intiero”. Non nascondermi più, essere quello che sono”. Penso che forse lo sguardo che può destare ancor di più in noi angoscia sia innanzitutto quello nostro interiore verso noi stessi. Penso sia lo sguardo rassegnato, sfiduciato, a disagio, triste, sofferente, solo, impotente. Uno sguardo interiore che è sia causa che effetto di sé stesso, che rende sia artefici che vittime. Questo sentirsi inappropriati, questo fissare dei criteri rispetto ai quali ci si scopre ineluttabilmente inadeguati. Questo non darsi una possibilità, questo non darla agli altri. Questo pensare che la strada sia una sola, fatta in un certo modo, e noi non siamo in grado di imboccarla. E allora è bello scoprire che di strade ce ne sono tante e tante. E allora è bello capire che se ne possono scovare anche delle altre secondo le nostre necessità. E’ chiaro che è fondamentale vivere la vita, uscire di casa, guardarsi intorno, incontrare altre persone, perché poi una maestra mirabile e insostituibile di vita è proprio la vita stessa. Per me quello che facciamo nel nostro atelier è comunque vita, ma ha ed ha avuto sempre in sé una forza centrifuga che non deve essere frustrata, ma deve essere sfruttata; per me la vocazione del lavoro da me svolto è sicuramente quella di spingere verso l’esterno, verso gli altri. Ma questa volta rinunciando alla paura e alla vergogna alle quali mi costringono i “miei” occhi quando gli sono accessibile tutto intiero… E’ altresì chiaro che il lavoro in questione di crescita e maturazione è in procedimento, e non è giunto -ovviamente!!!- al termine… E’ anche chiaro per me che di esperienze e di stimoli al cambiamento ce ne sono stati diversi nella mia vita, e che lo stesso atelier mi ha dato altri spunti di riflessione. Ma comunque l’atelier è certamente andato nella direzione giusta, anche perché –e soprattutto- fa capire che di direzioni e strade ce ne sono tante…
Foto: foto da laboratorio su Grotowsky, 14 marzo 2008, Atelier

sabato 7 giugno 2008

Tigre libera...


Buone Notizie!

La tigre nottetempo è fuggita da casa Humbolt e la polizia ha già abbandonato le ricerche. Il tenente Christopher ha dichiarato che, trattandosi di una animale già "fissato", non dovrebbe fare molte vittime, forse nessuna, oppure una o due. Difficile dire se la tigre preferisca Cronopios o Famas, e completamente inutile sarebbe tentare di "fissarla" in strada. Il tenente Christopher, subito dopo questa dichiarazione, è impallidito; poi si è arrossato in tutto il corpo. A tratti -c'è chi dice- la sua pelle è divenuta maculata...ed ha invitato la popolazione a mantenere la calma ed ad affidarzi alle Speranze. Cronopios e Famas sono rimasti finalmente d'accordo. Successivamente il Ministero dell'Odine Pubblico ha dichiarato di aver perso ogni traccia del tenente Christopher.

Azzeramento o meno...


@da Nina

Inizia il lavoro sul Gabbiano. Mi atterrisce l’idea. Né temo di confessare i miei timori su prevedibili e ulteriori dissestamenti geologici su placche morali, fisiche, psichiche. Mi conforta l’azzeramento. Predispone spiritualmente al desiderio di un Io che si dispoglia –deteriorato dagli eventi ultimi– compreso un sé arreso a quella “povertà magnanima” cui accennavo nel post su Gandhi. Povertà che trova inizio nel nostro Dentro. La povertà ricercata da Grotowsky incorpora il sentimento del sacrificio. Accantonare l’Io da una parte, non cedere “alle lusinghe della comprensione di quanto si va a muovere dentro” che simpaticamente chiamerei “risolvere tutto e subito” previo cambiamento pronosticato. Credo di essere caduta nell’inganno raziocinante.

Altresì, ogni processo drammaterapico non avanza per oracoli; semmai per segni, intuizioni, e nel valore assoluto dell’incognita.L’elemento “esplorativo” va mosso con cautela. L’ho compreso solo ora. Penso debba essere lasciato al criterio del suo semplice fluire. Lui sa dove andare, dove arringare e riparare, entrare nelle cavità del profondo o stare in superficie, preferire un luogo piuttosto che un altro. Qualcosa avverrà a suo tempo.Spingersi oltre, come ho fatto, e forse male, può pregiudicare il naturale percorso post-teatrale di drammatizzazione. L’insistenza, deviare. Credo, però, che i nostri contributi di ricerca siano importanti. L’aprirsi alla creatività, alle idee, ai suggerimenti; un arricchimento. Quando sono andata a rileggere il copione del Gabbiano, mi sono soffermata su una parola: feroce. “Feroce, ferocissimo” erano gli appellativi usati per designare lo scrittore Cechov.La ferocia è stata attribuita anche alla tigre cortazariana. Lo scrittore può essere una tigre feroce le cui prede sono i suoi personaggi e se stesso? Possiamo riconoscere come Cronopios, seppur molto sofferenti, la famiglia allargata di cui fanno parte Arkadina, Konstantin, Sorin, Trigorin, Dorn, Samraev, il maestro, Masa, persino il cuoco e la cameriera? Possiamo dire che ci stiamo trasferendo da casa Humboldt -famiglia ovviamente di Famas- fin sulle rive del lago in prossimità della tenuta-factory di Sorin?
Per ora mi fermo qui. Mi verrebbe altro da supporre. Se non affermare che quanto da me scritto sia un’emerita usura dell’immaginazione intuitiva.
Foto: foto "Nina e Sorin" dal laboratorio su Cechov, aprile 2008

lunedì 2 giugno 2008

Questione di verbi...


Cari amici, desidero dirvi qualcosa rispetto ai prossimi incontri prima della pausa estiva.

Una sorta di "preparazione", perchè è un momento importante per il lavoro della compagnia. Cominciamo con il dire che certamente siamo entrati in una fase "calda" dell'Atelier e vorrei che consideraste questo dato con attenzione. Pensate quanto fatto fino ad oggi come un warm-up, con il quale affrontare il lavoro su Cechov, impegnativo, capace di scavare e sedurre, verbi inutili che sottendono operazioni banali, se non li si usa con attenzione. A noi non deve interessare solo che il "dramma" possa scavare profondamente; nè facilmente dobbiamo offrire al nostro io -ed ancora più vorace è l'inconscio!- la lusinga della comprensione di quanto si va a muovere dentro, dell'insight, del millantato principe del "cambiamento"! Perchè non è questa la funzione del processo drammaterapico, nè siamo in un setting psicanalitico. Il precendente post, con una generosa frase di Ghandi, postata lì ad attendere "giustizia", non è lontano da quello che desidero dirvi adesso...


E' difficile esercitare giustizia tra gli uomini, come è complesso per l'uomo usarla dentro sè stesso. Conciliare istanze che propendono verso la voragine buia e verso il cielo, fare del dolore un processo di "redenzione", laica quanto spirituale, e del successo la riflessione che ratifica gli intenti appena messi in atto. Se nell'esecuzione ripetuta e studiata della parte -ci dice Grotowsky- può subentrare quella triste "pigrizia interiore" che rende stereotipati i nostri gesti e le parole, involucri vuoti e sospesi -con il burattinaio scappato prima che finisse il teatro!-, vi è ancor prima quella angosciante pigrizia fatta di inerzia che rende esule dal nostro orizzonte l'indagine, lo sforzo, la tenacia. Ed è con quest'ultima che dobbiamo confrontarci...l'intenzione che precede l'azione e quella sottende. L'atto che smaschera la pigrizia e la fa abitare in un luogo nuovo. Dove senta il bisogno di nuovi abiti, gesti e verbi, aggettivi e pause.

L'esplorazione che sperimenta ed archivia, si inoltra e recede ove serve. Ecco...con questo spirito "il Gabbiano" lavorerà slenziosamente e rumorosamente dentro le nostre parti a creare metafora in noi di quel paradigma tra vissuto-non vissuto, conquistato-fallito, illuso-raggiunto che la piece propone. Presteremo i nostri abiti interni, con dignità, ma autentica passione, a Trigorin, a Costa, all'Arcadina ed a Mascia, a Dorin ed al Gabbiano, perchè tutto debba ancora...avvenire sulle rive di quel lago.

Attendo anche qui le vostre riflessioni, il vostro diario di bordo, lo storming brain appena iniziato...
Vi leggerò... Director
Foto: foto laboratorio su "Nina di Cechov" , "Cechov e lo Zio", Aprile 2008

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

COMUNICATI STAMPA