@ Gianni
Siamo destinati a soffrire, molti di noi lo pensano, perché, chi più chi meno, proviamo un senso di incomprensione verso ciò che ci accade, e siccome non capiamo perché ci accade, ci provoca sofferenza.
I post di Maria Pina e di Rosanna rappresentano stati d’animo contrastanti ma assurdamente simili, con un unico fattore aggregante: la non accettazione di se stessi.
Ho verificato più volte che i nostri comportamenti sono la causa stessa delle nostre sofferenze, anche quando gli stessi appaiono virtuosi agli occhi di tutti. Spesso però, pensiamo ed agiamo relazionandoci al mondo che ci circonda facendo riferimenti verso l’esterno, e riferendoci a quelle “inquadrature” che sono imposte dalla società -intesa come insieme di persone che fanno parte di un sistema politico ed economico organizzato- tralasciando l’importanza di dare voce ai nostri desideri e “all’essere” più che “all’apparire”. Sono un sostenitore del “sistema” come unico modo di reggere una convivenza tra esseri che oltre all’istinto animalesco usano l’intelletto, e, soprattutto, gli unici esseri in grado di mettere in atto meccanismi autodistruttivi e contro natura, ma comprendo che l’unico modo di vivere è riuscire a trovare un equilibrio tra i vari elementi, mantenendo la propria autocoscienza.
Mi rendo conto che quello che dico sia scontato, ma mettere in atto queste semplici considerazioni è a volte difficile come fare l’acrobata, perché il giudizio pesa, le distanze diventano enormi e l’altrui considerazione è sempre in agguato per farci sentire poco “a posto”. I nostri errori, il rammarico, le mancanze, i giudizi, ecc.. sono le zavorre, ma noi abbiamo uno strumento per evitare che pesino: l’accettazione. Accettare i nostri limiti, i difetti, i “disturbi”, come elementi che fanno parte di noi e che, semplicemente, ci distinguono dagli altri.
I post di Maria Pina e di Rosanna rappresentano stati d’animo contrastanti ma assurdamente simili, con un unico fattore aggregante: la non accettazione di se stessi.
Ho verificato più volte che i nostri comportamenti sono la causa stessa delle nostre sofferenze, anche quando gli stessi appaiono virtuosi agli occhi di tutti. Spesso però, pensiamo ed agiamo relazionandoci al mondo che ci circonda facendo riferimenti verso l’esterno, e riferendoci a quelle “inquadrature” che sono imposte dalla società -intesa come insieme di persone che fanno parte di un sistema politico ed economico organizzato- tralasciando l’importanza di dare voce ai nostri desideri e “all’essere” più che “all’apparire”. Sono un sostenitore del “sistema” come unico modo di reggere una convivenza tra esseri che oltre all’istinto animalesco usano l’intelletto, e, soprattutto, gli unici esseri in grado di mettere in atto meccanismi autodistruttivi e contro natura, ma comprendo che l’unico modo di vivere è riuscire a trovare un equilibrio tra i vari elementi, mantenendo la propria autocoscienza.
Mi rendo conto che quello che dico sia scontato, ma mettere in atto queste semplici considerazioni è a volte difficile come fare l’acrobata, perché il giudizio pesa, le distanze diventano enormi e l’altrui considerazione è sempre in agguato per farci sentire poco “a posto”. I nostri errori, il rammarico, le mancanze, i giudizi, ecc.. sono le zavorre, ma noi abbiamo uno strumento per evitare che pesino: l’accettazione. Accettare i nostri limiti, i difetti, i “disturbi”, come elementi che fanno parte di noi e che, semplicemente, ci distinguono dagli altri.
Foto: Dramatherapy, Berenger's Pain, CDIOT 2009
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