Tutti i personaggi della nostra piece –l’abbiamo detto- ruotano intorno a due tematiche principali, estremamente interdipendenti: la fragilità dell'essere umano nella sua possibilità di influenzamento, a scapito della individualità e la sterilità del linguaggio umano, quando espressione delle stereotipie e convenzioni sociali o della sola razionalità. Da queste premesse, su un calco speculare a quanto scritto da Ionesco, è trascritto un testo teatrale che pretende di esasperare i temi de “Il Rinoceronte” ed insieme presentificare quanto di differente l’uomo può sognare, lottare, conquistare. Eroe ed anti-eroe, si contemplano, fuori da ogni bisticcio formale e si interrogano. Un dialogo, questo, aperto, ma anche silenzioso, che si svolge all’interno di quel laboratorio che noi individuiamo nel “processo drammaterapico”.
Le scene sono costruite all’interno di una discussione che possiede carattere sia esplicito che implicito, perchè svolta attraverso le drammatizzazioni di parti specifiche del lavoro ed elaborazioni personali/gruppali nei laboratori e nel blog –laboratorio di scrittura creativa. Esse, nella costruzione, non procedono secondo un ordine prestabilito o canonico, ma si definiscono nella costante modulazione del processo del gruppo, via via che l’esplorazione del testo e di quanto elaborato nel filtro personale (individuale/gruppale) consolida i vari elementi. La variazione costante del paradigma interprete/personaggio nelle performances di prova permette lo “sgrossamento” dell’opera ed insieme l’arrichimento del personaggio. Quest’ultimo è costituito da quanto era, quanto è e quanto potrebbe essere, forando la velocità del testo, debordando dal contenitore della drammaturgia presa in esame, forzando, oltre l’estetica suggerita dall’autore, le immagini del possibile. L’ambizione, sia pure consapevole e critica, è quella di prensentare domande (quelle del testo teatrale) ed insieme creare delle “possibili” risposte.
Le scene sono costruite all’interno di una discussione che possiede carattere sia esplicito che implicito, perchè svolta attraverso le drammatizzazioni di parti specifiche del lavoro ed elaborazioni personali/gruppali nei laboratori e nel blog –laboratorio di scrittura creativa. Esse, nella costruzione, non procedono secondo un ordine prestabilito o canonico, ma si definiscono nella costante modulazione del processo del gruppo, via via che l’esplorazione del testo e di quanto elaborato nel filtro personale (individuale/gruppale) consolida i vari elementi. La variazione costante del paradigma interprete/personaggio nelle performances di prova permette lo “sgrossamento” dell’opera ed insieme l’arrichimento del personaggio. Quest’ultimo è costituito da quanto era, quanto è e quanto potrebbe essere, forando la velocità del testo, debordando dal contenitore della drammaturgia presa in esame, forzando, oltre l’estetica suggerita dall’autore, le immagini del possibile. L’ambizione, sia pure consapevole e critica, è quella di prensentare domande (quelle del testo teatrale) ed insieme creare delle “possibili” risposte.
Proviamo ad esemplificare…I personaggi del testo ioneschiano mancano di empatia, ma cosa accade se a tratti si lasciano scivolare sul terreno fantastico della fantasia, del contatto? Non è per caso riprodotto e paradossalmente anche esasperato quanto Ionesco lamenta della persona, quando la descrive incapace di “situarsi” sia come individuo, che appartenente al gruppo? E, per arrivare alla trasformazione del testo –ma non al suo tradimento-, cosa si diranno Botard e Dudard nel fantastico “processo” di un primo atto, mai esistito prima, ma che sarebbe potuto essere, anzi che è dentro quella storia? Cosa si scriveranno Berenger e Daisy a mesi ed anni di distanza dalla disavventura e dalla tragedia che hanno vissuto? Quali le loro trasformazioni? Dove i “destini” di quei personaggi, dove “il destino” dell’uomo? Lo si può scrivere prima, lo si deve attendere, lo si deve o lo si può “interpretare”?
Foto: Piramyd of Power, by CDIOT 2009
1 commento:
Era un po’ di tempo che non mi sentivo come ieri sera. Ho vissuto la seconda parte della serata meravigliosamente bene: grinta, passione, essenza, presenza, comunione con tutti voi amici.
Mi sono destata da un torpore che spesso mi avvolge e nasconde tutto di me: i miei sentimenti, la mia allegria, il volere, la capacità di addentrarmi e guardare dentro me. Nei giorni scorsi tutti voi avete dato tanto: ho letto, meditato ma ero ferma. Ho provato ma non riuscivo a dare, forse perché non avevo nulla (o forse no). Mi sono sentita in colpa verso tutti, in primis verso chi ci sollecita e ci dà il contenuto per fare. Il kamikaze: esplosione, terrore, morte miseria. Quante volte è esploso dentro di noi, con la rabbia di figlio che viene portato a vivere una realtà non consona che scontra con le sue emozioni, desideri, aspettative. Una madre che soffre perché triste e lacerata per la perdita di un figlio che tanto amava. E’ difficile la scelta di un marito che combatte degli ideali, una guerra che darà solo morte, violenza, solitudine per chi rimarrà a piangere e capire perché…
Un padre che va incontro con rabbia e determinazione; a cosa mi chiedo? Non voglio e non posso giudicare; ma perché al posto del giubbotto non si può indossare l’amore, la pace, la costruzione di nuovi orizzonti dove il sole possa sorgere e tramontare solo con i colori meravigliosi che gli sono propri?
Vorrei ripercorrere il sentiero trascorso, e muovere io stessa i fili del personaggio che recita la vita. Essere io protagonista, abbandonare il ruolo di spettatore della propria vita. Un bacio a tutti. Much love! Beatrice
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