@ Gianni
Il director mi invita ad un laboratorio sul Kamikaze. E’ un argomento che mi intriga, un’opera che offre spunti di riflessione infiniti, il perché lo capirò poi… L’autore, un paziente del director, ha scritto quest’opera qualche anno addietro, poco più che diciassettenne, in un momento particolare della sua vita, in piena adolescenza, con l’unica consapevolezza che l’indecisione, la mancanza di punti di riferimento, la drammaticità della sua esistenza adolescenziale stavano facendo di lui un Kamikaze al contrario. Tanti pezzi di vita, affetti, relazioni, tenuti insieme con enorme sforzo da lui stesso, con l’impressione costante che tutto potesse finire definitivamente ed inesorabilmente in ..”pezzi”.
Poi, sentendo di persone che si fanno esplodere con l’unico scopo di portare morte e distruzione tra quelli che considerano nemici, capisce che i suoi problemi non sono nulla a paragone del vissuto di certe società. Di qui il concepimento dell’opera, il primo passo per esorcizzare il Kamikaze-non-Kamikaze chiuso in lui. La partenza per un cammino nuovo. Egli mi perdonerà se ho descritto in maniera inesatta i fatti, ma questo io ho letto nella sua opera.
Stupefacente e inspiegabile, sono i termini che per primi si affacciano alla mente, confermati dallo stesso autore, che candidamente dichiara che oggi non riuscirebbe a scrivere nulla di equiparabile intensità. Soprattutto stupefacente il collegamento con atteggiamenti meno visibili ed invasivi ma altrettanto devastanti nei comportamenti dell’umanità occidentale e moderna.Il Kamikaze va in pezzi come estrema ratio di un’esistenza drammatica. Ha per contro la promessa di un’eternità gioiosa e “godereccia”, un supporto economico per la famiglia e il riconoscimento dell’eroe. Quante vite della nostra quotidianità, inquinate da ansie e preoccupazioni, aspettative e delusioni, vanno letteralmente in pezzi senza rumore, ma distruggendo in modo esponenziale persone, amori, coppie, figli, valori, sogni? L’uso di droghe, l’alcool, il gioco compulsivo, ecc.., non sono sintomi subdoli e silenziosi della nostra infelicità? Come definire le persone che non si amano e non hanno stima di sé?
Piccola pausa. Indosso l’apposito giubbino ricco di tasche e chiusure usato dai kamikaze. Proviamo, si ride di gusto, si dicono strafalcioni e si fa la copia a paperissima, e mi rendo conto che sono a mio agio. Ho l’impressione di riuscire a recitare –chiaramente con le dovute riserve- con una certa naturalezza, come se qualche volta fossi o volessi essere un Kamikaze. Nelle ore successive comincio a razionalizzare che forse è qualcosa che sta nel profondo, che la mia caparbietà nel perseguire un obiettivo, la determinazione di dire “vi dimostrerò che ho ragione”, “vi renderete conto che quello che dico è inconfutabile” è un atteggiamento da Kamikaze. La lotta è talmente dura, (senza compromessi, io stesso in primis anche se rivolta verso gli altri) che implica in fondo anche l’eventualità dell’autodistruzione. E poi le sfide, il piacere della velocità, il rischio, puntare una direzione e non volerla mollare nemmeno quando gli affetti più cari cercano di farti vedere le difficoltà o dissuaderti…tanto gli dimostrerai che hai ragione… E spesso gli altri rinunciano a chiederti di riflettere, sapendo che non li ascolterai, limitandosi solo a lanciare preoccupati avvisi o lamentose richieste. E tu che Che fai? Rinunci? Giammai, il Kamikaze ha scelto e non può tornare indietro, pena l’infamia, la sconfitta.
Un’altra illuminante scoperta.
Il director mi invita ad un laboratorio sul Kamikaze. E’ un argomento che mi intriga, un’opera che offre spunti di riflessione infiniti, il perché lo capirò poi… L’autore, un paziente del director, ha scritto quest’opera qualche anno addietro, poco più che diciassettenne, in un momento particolare della sua vita, in piena adolescenza, con l’unica consapevolezza che l’indecisione, la mancanza di punti di riferimento, la drammaticità della sua esistenza adolescenziale stavano facendo di lui un Kamikaze al contrario. Tanti pezzi di vita, affetti, relazioni, tenuti insieme con enorme sforzo da lui stesso, con l’impressione costante che tutto potesse finire definitivamente ed inesorabilmente in ..”pezzi”.
Poi, sentendo di persone che si fanno esplodere con l’unico scopo di portare morte e distruzione tra quelli che considerano nemici, capisce che i suoi problemi non sono nulla a paragone del vissuto di certe società. Di qui il concepimento dell’opera, il primo passo per esorcizzare il Kamikaze-non-Kamikaze chiuso in lui. La partenza per un cammino nuovo. Egli mi perdonerà se ho descritto in maniera inesatta i fatti, ma questo io ho letto nella sua opera.
Stupefacente e inspiegabile, sono i termini che per primi si affacciano alla mente, confermati dallo stesso autore, che candidamente dichiara che oggi non riuscirebbe a scrivere nulla di equiparabile intensità. Soprattutto stupefacente il collegamento con atteggiamenti meno visibili ed invasivi ma altrettanto devastanti nei comportamenti dell’umanità occidentale e moderna.Il Kamikaze va in pezzi come estrema ratio di un’esistenza drammatica. Ha per contro la promessa di un’eternità gioiosa e “godereccia”, un supporto economico per la famiglia e il riconoscimento dell’eroe. Quante vite della nostra quotidianità, inquinate da ansie e preoccupazioni, aspettative e delusioni, vanno letteralmente in pezzi senza rumore, ma distruggendo in modo esponenziale persone, amori, coppie, figli, valori, sogni? L’uso di droghe, l’alcool, il gioco compulsivo, ecc.., non sono sintomi subdoli e silenziosi della nostra infelicità? Come definire le persone che non si amano e non hanno stima di sé?
Piccola pausa. Indosso l’apposito giubbino ricco di tasche e chiusure usato dai kamikaze. Proviamo, si ride di gusto, si dicono strafalcioni e si fa la copia a paperissima, e mi rendo conto che sono a mio agio. Ho l’impressione di riuscire a recitare –chiaramente con le dovute riserve- con una certa naturalezza, come se qualche volta fossi o volessi essere un Kamikaze. Nelle ore successive comincio a razionalizzare che forse è qualcosa che sta nel profondo, che la mia caparbietà nel perseguire un obiettivo, la determinazione di dire “vi dimostrerò che ho ragione”, “vi renderete conto che quello che dico è inconfutabile” è un atteggiamento da Kamikaze. La lotta è talmente dura, (senza compromessi, io stesso in primis anche se rivolta verso gli altri) che implica in fondo anche l’eventualità dell’autodistruzione. E poi le sfide, il piacere della velocità, il rischio, puntare una direzione e non volerla mollare nemmeno quando gli affetti più cari cercano di farti vedere le difficoltà o dissuaderti…tanto gli dimostrerai che hai ragione… E spesso gli altri rinunciano a chiederti di riflettere, sapendo che non li ascolterai, limitandosi solo a lanciare preoccupati avvisi o lamentose richieste. E tu che Che fai? Rinunci? Giammai, il Kamikaze ha scelto e non può tornare indietro, pena l’infamia, la sconfitta.
Un’altra illuminante scoperta.
Foto: Dramatherapy, Kamikaze, Atelier Drammaterapia, novembre 2009
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