@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

sabato 27 giugno 2009

Auroralia, Le Cose Di Sempre non esistono!

Ore 22,00, in ritardo, tipico e regolare, inizia il reading promosso da gaia cenciarelli –tutti doverosamente in minuscolo i nomi importanti. Il mio “teatro” si è accomodato, direi appollaiato, occupando quasi totalmente lo spazio degli ospiti. Ironico senso di colpa in casa di altri, noi che con i sensi di colpa ci facciamo il teatro! Ma l’arte è di tutti, come un bambino –Jean Jono. Consoliamoci. Partono e tornano gli autori. Non ne ricordo il nome, ma funziona la loro trascrizione sensibile nella memoria affettiva, di un ascolto suggestivo nella accogliente sala del Flexi.

Le Cose Di Sempre non esistono. Per questo possono scivolare via addormentate dall’uso comunque insipiente di mani addestrate o distratte -Annette. Quante volte dovranno essere ripetute per esistere –quante volte? Il Sempre, nelle Cose, invece esiste, è la rivelazione della tua coscienza; è l’atto d’amore che ti regali nel regalarlo a quelle, immaginandole eterne. E’ la tua fragile umanità che aspira al volo e sogna specchi d’acqua che trattengano il tempo -lontano da akr caar. Incontro molte persone, quotidianamente, dal volto sciupato, la consunzione dell’animo depresso e gli insegno a salvare parte di quel freddo. Chi ha detto che il buio, il gelo delle stelle, appunto siderale -recitava ieri una poetessa nelle letture di Auroralia su jerry n. uelsmann-, lo sperduto senso del dove –ad sidera. Quanto vorremmo la toponomastica delle nostre stanze registrate sulla cartina della galassia –astrale, terza a sinistra-, chi lo ha detto che sia male? Non è meglio la ricerca di quelle mani nella vaschetta dello sviluppo, che pescano ritratti e cose già perdute da un sempre? Un’altra poetessa, illusa di fare “prosa”, mentre dipinge fotografando il suo percorso biennale, ci descrive l’ingenuità “lirica” di scoprire nuove e non “da sempre” le cose e i paesaggi fotografati, sempre liberi, se un soffio di vento ad asciugarli può farli volare per sempre da una finestra, così come il “corpo del reato” può volatilizzarsi davanti agli occhi stupefatti di un commissario, molto “terreno”. Ha ragione Nina e la sua compagna di reading, è più vero restare avvolti dalla neve e non temere che sia congelato anche quel contatto tra le due mani a un certo punto dell’interpretazione. Ha ragione la vita, se può regalare un’identità specchiata anche attraverso il dialogo terribile e nudo tra una figlia e quella che ho fantasticato una madre schizofrenica che riempie di maglia e bisticci di ferri e parole la curiosità stupenda di una bambina. E allora gli autori ieri sera ci hanno suggerito da spigoli diversi di uno stesso tavolo, che può essere coniugato “sempre” con “nuovo”, sempre nuovo. Che sia un clochard a sospirare un gesto o l’amante di sempre e da sempre tradita da quell’assenza di lui, che illude e si illude di esserci –bellissimo monologo quello della coppia sullo sfondo di Uelsmann, mordace, eppure rispettoso. E poi così vitali, nel loro candore adolescenziale, vere -anche se disturbanti- le costanti battute dell’inizio, infrazione forse eccessiva alla sacralità di un importante reading, a mio avviso. Ma va tutto bene, tutto è composto e ricomposto ed anche con la benedizione di Uelsmann che ha “regalato” una sua importante foto Untitled, del 1987, nude flying alla ispirazione di 50 artisti ed al loro fertile inconscio. Aspettiamo il volume.

Ora 24,00, quasi, la frescura del vicolo, fuori. Estraniati e contenti. No, nessun nudo volante, ma più leggera l’anima. Grazie Auroralia!


Foto: manifesto di Auroralia, 2009

giovedì 25 giugno 2009

AURORALIA, venerdì 26 giugno ore 21.00, LIBRERIA FLEXI


Un invito all'ascolto sensibile, 50 scritture su una foto di jerry Uelsmann, promosso da Auroralia

Prossimamente anche Nina farà una sua lettura, quella che segue, in anticipazione qui per noi...

ANNETTE
di Nina Maroccolo, maggio 2009


Quel battito di foglia su pelle d’organza rendeva erbacea Annette.
Ossigenava ogni lembo epidermico di clorofilla, salmo laico, crescente fertile mitralico. Quasi un congeniale atto di fede: selvatico, corinzio, a volte irritante. Ma trasparente.
La camicetta che indossava Annette si chiamava Annette. L’anima di Annette era quel battito sempre più vicino all’aggrumarsi fogliante in piena fibrillazione.
Faceva vento. Tirava forte in quel mattino d’acqua battente. E l’anima di Annette tempestò malumore mentre s’inurbava nell’omeopatica ritualità giornaliera, infibrata di notti bianche, linde, profumate di candeggina. Poi, irritata, pensò:
“Se continuo così diventerò vecchia. Quindi avanti a mosca cieca, inghiottendo la vita come un’ostia”.
“Si vive e si muore come uno sputerebbe,” mormorò un passante.
Lei si voltò di scatto. Se fosse stata sua quella lingua d’ortica?
No. Aveva appena incrociato Clemente Rebora.

La camicetta che indossava Annette, che si chiamava Annette, sgualcita come l’anima di Annette, vibrava abbandono al gioco degli eventi. Assiepandosi dietro una moritura pianta sempreverde, scoprì il manifesto di Jerry Uelsmann. Era bagnato dalla pioggia, sebbene resistente sul quel muro in festa.
“Concediti questo viaggio, così la tua mano, apparentata alle Cose Di Sempre, smetterà di tremare”. Ancora Clemente?!
“Non ne posso più delle Cose Di Sempre!” gridò Annette.
Tanto, più le metti da parte più ti ricordi che esistono.
“Come?”
Stai tentando inutilmente di scostare Le Cose Di Sempre appena più in là.
Annette, battito di foglia su pelle d’organza, non volle più ascoltare. Decise di entrare nel poster di Uelsmann, prospettiva dell’infinito. Un antico fulgore l’ammantava di vastità, lontananza dal profondo della memoria, percezione d’un palpito – oppure tristano sito archeologico: quasi fosse la riesumazione, nella volta celeste, di una Pompei delle pupille. Ma le sue mani di mare, pallide mani aurorali, stringevano il biancore di una garza umida pronta a lenire lacrime sulfuree. L’imperfetto vagare tra profluvi di stelle l’avvicinò all’abisso più oscuro. Sgusciandone fuori, impercettibilmente.
Incantamento nell’Èra della Galassia IC 342. La cifra iniziale.

Un Sé pigramente immobile. Annette lo distraeva preferendo un’esistenza che rendesse accondiscendente la relazione con gli altri: convenzionale, sicuramente meno rivelatoria nell’economia del rito quotidiano. Dramma imperniato di casa, minestrine, zie, genitori, figli.
Ora, nuda, sospesa, eccelleva in questo navigare il supremo mare degli archetipi, come fosse la tiepida vasca del nostro primo bagnetto infantile. Poiché l’acqua può divergere dall’essere semplice infinità dolce-salina: è moto cardiaco dell’anima, madre che allatta, cavalli al galoppo: è il reame delle possibilità.
“Concediti al turbamento dei sogni, alla verità rotante dell’occhio, prova ad immaginare l’equatore della tua genesi. Ti saprai coscienza cosmogonica, e finalmente abbandonerai Le Cose Di Sempre”. Era Jerry, stavolta, a parlare. Uomo umanato:
“L’amore supera la morte, persino quella dei vivi”.

Ore ventidue. Il tempo convertì le lancette dell’orologio ad un semplice pensiero filosofico, che prevedeva variabili sul concetto di velocità (simile alla trasformazione di Eva in Ave). Dunque acconsentì a un rimedio allopatico, pur di sfuggire alle intenzioni malanime di Annette, tremula sull’alto cornicione di un palazzo vermiglio. Era tornata tra Le Cose Di Sempre.
Durante il volo Annette rammentò quel mondo come il suo fattibile non-luogo. Deragliava tra solitudini adamantine un unico movimento che era vertigine, sospensione e approdo.*
Discesero gli occhi.
E le stille non s’acquietarono.


* Julio Cortàzar, dal racconto Il Fissatigre, in Storie di Cronopios e Famas

Drammaterapia, Occhi di Uomo in occhi di Rinoceronte


@ Nina
su Drammaterapia, Rhinoceros, III Act, Where's the truth?

Mobilitarsi. Volersi immuni dalla pachidermica epidemia nella cittadina di Bérenger & Co.
Evitare epicedi ai viventi… Umani o animali?
Temere è umano. Tremare è umano. Temere la follia è umano.
Un rinoceronte ha paura? Trema? Può essere soggetto a disordini mentali?
Ottimale questa paura che porta gli occhi di un uomo all’altezza dell’occhio animale. Odora di sano primitivismo. In senso stretto: primitivismo culturale. Vale per l’uomo l’aggettivo “culturale”. Apparentato è l’uomo al ferreo sistema della logica, alla civiltà col suo carico di malcontento.
Vorrei che occhi di uomo e occhi di rinoceronte rivelassero naturale armonia.

In Ionesco, la parabola del simbolo gioca il suo ruolo, i suoi molteplici ruoli.
Costringe a stanare i personaggi dalle tane “dell’acquiescenza”, mobilitandoli verso la dissoluzione o decostruzione dell’essere: un Io stretto–costretto ai virtuosi riti civili per limitare quanto possibile sentori scomodamente barbari. Oppure, per marcare il territorio d’una vocazione da conquistare, quasi un divenire cavalleresco di provetti “paladini” – quali Lancillotto e Bérenger.
Uno ha Ginevra, amante e Regina fedifraga, l’altro ha l’ideale che precipita e muore: Daisy, la fuggitiva.
Eppoi, di quale vocazione stiamo parlando?! Non servire piatti prelibati e vini DOC ai rinoceronti vegetariani, o seguire la verità della paura che ci travolge a tal punto d’asservire il Male?
Mah! Davvero crediamo che la democrazia sia “un ritorno alla bontà originaria dell’uomo”? (cfr. Protagora). È questo il sano primitivismo?

La parola “civiltà” è carica di vibrazioni etiche e morali, retaggio cumulativo della nostra autostima. La contrapponiamo a barbarie, a ferocia, a bestialità addirittura, mentre significa niente più che “vivere nelle città” (Bruce Chatwin, Anatomia dell’Irrequietezza).

Il rinoceronte ioneschiano è la “bestia” urbana. Jean, Daisy, Dudard, Papillon, perfino Bérenger (prima dell’atto finale) – i manchevoli d’autostima. Difatti, tanto ne vivono la pochezza che optano per il sacerdozio metamorfico di un pensiero mai stato, accettando umiliazione e sconfitta. Fuori dalla logica canonica del comportamento “civile”.
E se uno dei tanti interrogativi ioneschiani ponesse l’accento sulla mancata formazione di un immaginario fertile, mancato pronunciamento allo stupore, addizionando rinuncia su rinuncia per rinunciare infine alla vita stessa? L’evoluzione, il cambiamento che Vita t’offre scartando l’abuso dell’abitudine, troppe fissità comportamentali, la scansione di meccanismi psicologici e mentali che ottundono: piacere, orme assolate, valori acquisiti? La natura. Quella che noi intendiamo come scoperta, viaggio, iniziazione e, perché no? Nomadismo irrinunciabile…
Foto: Drammaterapia, Rhino, Jean, foto-elaborazione di E. Gioacchini, 2009

venerdì 19 giugno 2009

Drammaterapia, Rhinoceros III Act, Where's the Truth?



PARTE PRIMA

"la voce può essere persa..."

DUDARD Lasci che le autorità facciano la loro parte. Dopotutto mi domando se, moralmente, lei ha il diritto di immischiarsi nella faccenda. E, d'altra parte, io continuo a credere che non sia niente di grave. Mi pare assurdo agitarsi tanto perché poche persone hanno voluto cambiar pelle. Non stavano più bene nella loro. Sono liberi, facciano quel che gli pare.
BERENGER Eh, no! Bisogna tagliare il male alla radice!
DUDARD Il male, il male! Parola vuota! Lo sappiamo noi che cos'è il bene e che cos'è il male? Certo, abbiamo delle preferenze. Lei ha paura soprattutto per sé, questa è la verità. Ma non diventerà mai un rinoceronte... le manca la vocazione!

La voce può essere persa improvvisamente, essa può cambiare di tono, anche senza prendere freddo, fuori. La testa può dolere; eppure non si è picchiata contro alcun ostacolo, fuori.
L’amicizia si può perdere senza una apparente ragione, lasciandoci sgomenti del fatto che in nome di tanti bei ricordi in comune, ed in barba all’umanesimo, si possa vedere il nostro migliore amico trasformarsi in un collerico rinoceronte. Berenger non si da pace e non riesce a giustificare i terribili avvenimenti, il mancato esercizio di responsabilità da parte del mondo che gli fornisce alibi poco credibili. Così è per l’amico Jean, sul quale discute sconsolatamente con Dudard.

DUDARD Forse gli piaceva l'aria aperta, la campagna, il cielo... forse sentiva il bisogno di lasciarsi andare... Non lo dico per scusarlo...
BERENGER Sì, capisco, o per lo meno, mi sforzo di capire. Ma anche se mi accusassero di non avere una mentalità aperta, di essere solo un piccolo borghese, chiuso nel suo gretto mondo, non cambierei la mia opinione.…!

Non ha aiutato la ragione a trattenere le persone dalla deriva verso la misteriosa malattia, né la filosofia, né il buon senso comune. Ora gli è offerto il conforto statistico della “media”, l’unica che conti -afferma Dudard, ma anche Daisy, poco dopo, ribadirà il concetto-, di un fenomeno “passeggero”, che se occorso, deve pur esserci una ragione pausibile da qualche parte, e dal quale forse si potrà guarire! ”Basta non tagliargli la strada, scansarsi in tempo. Del resto non sono poi tanti (i rinoceronti)”, Dudard.

Berenger ora interpreta bene il conflitto tra due nozioni che sociologicamente e psicologicamente sono bene rappresentate nella storia dell’uomo. Ciò che colpisce l’individuo, se inspiegabile, ha la forza dirompente di allarmare a chiazza d’olio l’individuo ed il gruppo sociale. L’eccezione, nella storia delle specie animali, è mal sopportata, costituisce il “mostrum” dal quale difendersi, da estromettere, ed esiliare, il potenziale insulto alla omeostasi eco-bilogica, alla stabilità dell’organizzazione sociale. D’altra parte l’evoluzione procede proprio grazie all’utilizzo di quanto, consueto o disueto, è più congeniale all’adattamento. Ma se poi il fenomeno “alieno” si riproduce in molti esempi, questo finisce con l’acquisire una “familiarità” che lo rende più accettabile, infine praticabile; soprattutto quando i messaggi sociali sono diretti allo strategico contenimento della sua potenziale pericolosità, o camuffamento della sua reale fisionomia. Diciamo, che il genere umano si può davvero “abituare” a tutto -“Adesso comincio ad abituarmi…” Dudard. In questo questo è il grave meccanismo della Big Lie insinuata dal regime nazista grazie alla propaganda: una palese bugia, se adottata da un leader e se ripetuta più volte, finisce per perdere la connotazione di fatto mendace.

L’alcol, forse l’alcol ha a che fare con la Rinocerontite o forse puo’ aiutare comunque a difendersene; una sorta di irrazionale immunità, un sollievo per non pensarci troppo, alla paura! Berenger si sente schiacciato dalla personale responsabilità di “tenuta”, rispetto ad uno stravolgimento così totale e, quello che più scuote, dalla tranquilla acquiescenza di una umanità che non si scandalizza più. Sì, forse potrebbe essere l’alcol a costituire una protezione. Qui, l’ordine irrazionale del pensiero viene forzatamente reclutato a fronteggiare il fallimento di quello formale della ragione. Il rovesciamento della logica è totale. Berenger comprende di essere troppo dentro al meccanismo per poterlo comprendere. Questo potrebbe essere fatto alla lettura dell’evento attraverso un giornale, ma se si è dentro un meccanismo, non si è capaci di capire, di avere abbastanza sangue freddo per …

BERENGER Già, ma vede, se questo fosse successo altrove, in un altro paese, se l'avessimo letto sui giornali, allora potremmo discuterne tranquillamente, studiare la questione sotto tutti i suoi aspetti, e arrivare anche a trame delle conclusioni obiettive. Si organizzerebbero dei convegni accademici, si interpellerebbero scienziati, scrittori, magistrati, professoresse, artisti. E anche la gente qualunque: sarebbe interessante, appassionante, istruttivo. Ma quando si è presi nell'ingranaggio... quando ci si trova di colpo dinanzi alla brutale realtà dei fatti... non è possibile non sentirci parte in causa, si è troppo scossi per conservare il sangue freddo. Io sono sbalordito, sbalordito, assolutamente sbalordito! Non ci capisco più niente!”

Ma come giustificare fino in fondo il signor Papillon di non aver resistito? Che proprio una persona così “posizionata” su livelli di incredulità sia poi andata incontro alla trasformazione dimostrerebbe la “autenticità” della metamorfosi, suggerisce Dudard e fin qui tutto sembrerebbe logico; dunque una trasformazione “involontaria. Ma quello che pericolosamente poi è sottinteso, è che da questa coerenza formale –se avviene quello in cui non credo, certamente non posso essere io ad essermelo provocato-, paradossalmente si arrivi a suggerire la quasi opportunità del cambiamento, l’addormentamento della ricerca delle ragioni. Tant’è che un istante dopo lo stesso Dudard afferma che non è mai dato sapere le “reali” intenzioni di un individuo. Dunque una forma ben gestita può ratificare la validità di qualsiasi contenuto! Una forma ben organizzata può trascinare nella perdita del proprio pensiero… DUDARD "Be', almeno questo dimostra che la sua metamorfosi è sincera".
Si, la voce si può perdere improvvisamente

BERENGER Ah, non l'ha fatto apposta di certo: sono sicuro che si tratta di una metamorfosi involontaria. DUDARD Che ne sappiamo noi? È difficile sapere le ragioni segrete delle decisioni del prossimo.
BERENGER Sarà il risultato di una frustrazione... aveva sicuramente dei complessi. Avrebbe dovuto farsi psicanalizzare.
DUDARD Anche se si tratta di un transfert, è un fatto rivelatore. Ognuno si sublima come può.
BERENGER Si è lasciato trascinare, ci scommetterei.
DUDARD Bah, può succedere a tutti.
BERENGER (atterrito) A tutti? Ah, no: a lei no, vero? a lei no! E neanche a me!
DUDARD Speriamo.
BERENGER Perché se uno non vuole... è vero?... se uno veramente non vuole...

L’autore, nel personaggio, si chiede con sempre più incalzante disperazione se vi sia una volontà che può erigersi a baluardo di difesa dell’individuo dalla potenza delle ideologie, opporsi alla soffocante ritualità delle istituzioni e delle regoli borghesi, così pericolosamente acquiescenti, nel caso un totalitarismo ricerchi la loro collusione. ”. La ricerca delle ragioni, il metodo scientifico, l’ampiezza delle proprie vedute sono le sole garanzie per conoscere le cause dei fenomeni", recita l’interlocutore e lo specioso argomento è quello che comprendere equivalga a “giustificare” dirà poco più avanti sempre Dudard.

DUDARD Ma caro Berenger, dobbiamo sempre cercare di capire il prossimo. E quando vogliamo capire un fenomeno e i suoi effetti, è necessario risalire alla causa, con serio impegno intellettuale. Dobbiamo sforzarci di farlo perché siamo degli esseri ragionevoli. Io non ci sono riuscito, lo ripeto, e in coscienza non so se ci riuscirò. In ogni modo, dobbiamo imporci a priori un atteggiamento favorevole o, per lo meno, l'obiettività, l'ampiezza di vedute proprie di una mente scientifica. Tutto ha una logica: comprendere vuol dire giustificare.

Movie: An Interview with Eugene Ionesco available at by www.artfilms.com

Eugene Ionesco (1912-1994), the Romanian-born French dramatist, speaks at length about his childhood, his studies, the type of theatre he enjoyed in his youth, his original personality, and his constant need for solitude.
He also discusses the absurdity of our world and our inability to communicate. His plays draw on parody and symbolism to denounce the absurdity of life and social relationships. Finally, he touches on his Nazi resistance and his disbelief over the reaction of intellectuals during the war. A rare archive film shot in 1961, b/w, Transcript available with the film by request.

martedì 16 giugno 2009

DRAMATHERAPY: "...la vita andrebbe vissuta con la curiosità negli occhi

@ Dedalo
su Berenger ed ultimo atto

Con la curiosità negli occhi. La vita è un’avventura, ogni giorno è un’avventura. Cosa proverò oggi, cosa capirò, cosa vedrò? La vita andrebbe vissuta con la curiosità negli occhi. Apprezzare il viaggio, che ha un valore suo, a prescindere dalla meta che ci siamo prefissati e che non è detto che raggiungeremo. Magari ne raggiungeremo un’altra, e ci potrà far capire certe cose e provare certe sensazioni. La vita è un viaggio. Questo discorso sull’importanza del viaggio, a prescindere dalla meta, è venuto fuori l’anno scorso in uno degli incontri dell’atelier. Forse è un modo per non avere paura che i nostri programmi sulla nostra vita non si realizzino. Io a volte ho questa paura. C’è una corrente di pensiero che dice che un modo per non soffrire è non avere desideri. “Ma perché dovrei rinunciare a qualcosa che provo?”, mi sono detto qualche giorno fa. Non sarebbe meglio accettare la vita? Accettarla come un’avventura, e viverla con curiosità, anche giocarci se lo vogliamo. Si possono fare errori, si può fare la cosa giusta, ciò fa parte del gioco. Così come fanno parte del gioco i sentimenti e i desideri. In fondo la vita non è mica sotto il nostro controllo. Tanto vale sederci a questa taverna che è la vita, per usare un’immagine evocata in un nostro incontro, e toccare posate, bicchieri, piatti, bottiglie di vino, sentire la sedia sotto il nostro sedere, magari allungare le gambe se uno vuole, se no alzarsi e farsi un giro tra i tavoli, prendersi una coscia di pollo con le mani, sentire il grasso e l’olio sulle dita, prendere con le nostre mani il pane che il cameriere ha affettato e toccato con le sue mani e ci ha portato insieme alle posate, sederci accanto agli altri commensali, ridere delle battute, ascoltare, parlare, dire la nostra, strofinarci con qualcun altro mentre cerchiamo di passare tra due sedie, stringere mani, e poi rimettersi a bere e mangiare. Contaminarci, e confonderci anche e sporcarsi con la vita. Decidere se viverla o meno. Ma non subirla con più paura di quella che è giusto, perché anche la paura è un sentimento umano: che la paura sia una delle modalità con le quali siamo e ci esprimiamo, ma che non sia la nostra guida.

Dice il Director in uno dei suoi post: “Non è forse sempre la vita con i suoi improvvisi, grotteschi, "assurdi” eventi a tentare il risveglio della coscienza? Atto doloroso…” Ed aggiunge: “Non serve la logica a rassicurare l’anima e Berenger non ha più nessuno con cui “fare anima”; l’universo, da un certo momento-spazio in poi, ha imparato ad “urlare” nella collisione di sue due stelle, ma questo non ha aggiunto alcuna verità che conforti. Necessario riscoprirsi naviganti e sapere che le stelle, per qualche strana studiata convenzione, possono aiutarti”.

C’è un’ultima cosa di cui vorrei scrivere e che voglio condividere con voi. Riguarda il fatto che nella vita ci si possa sentire o ritrovare soli. Nell’ultimo incontro del nostro gruppo teatrale, il Director ha chiesto a Gianni di “vivere” il Berenger della fine dell’ultimo atto, quando rimane ultimo umano sulla faccia della terra. Gianni è stato bravissimo. Ad un certo punto ha detto “Non ce la faccio”. Ho sentito un brivido. In quelle parole avevo letto un pensiero di morte. Io in quel momento avrei voluto affermare con forza, gridare: “Io ce la faccio!”. Nei panni di quel Berenger di fine terzo atto, pur sentendo tutta la disperazione e i rimpianti, io ero ancora vivo, e volevo restarci.

IL SUCCO DI CAROTA DI NICOLAS EICHMANN


@ Nina
su Drammaterapia, Rinoceronte o Lupo Solitario...semplicemnte Uomo

Ci sono bambini che non dovrebbero venire alla Luce.
Nascono inguaiati senza saperlo.
Come gli altri bimbi sono generati dalla sostanza del Padre. Collaboratrice uterina – una Madre che passerà dall’inseminazione d’amore all’Iniziazione filiale, per legge naturale chiamata Vita.
Vita odora di borotalco e pulito, ha la pelle liscia e gli occhi chiari. Ama la Luce.
Divenuta grande, Vita sarà ritratto della finzione, poi della Colpa. Amerà ancora la Luce.
Rimarrà comunque integra, nutrendo d’amore cieco, doloroso e riparatore uno dei due genitori.
Vi chiederete: “Quale dei due?”
“Che bello è stato giocare con te, Papà…!”.
E se fosse Nicolas a pronunciare le stesse parole di Vita?
Nicolas è figlio d’un padre qualunque… Sì, l’inquilino della porta accanto; quello taciturno, educato, mai improvvisato, talvolta semi-sorridente. Gentile, gentilissimo, sin troppo ossequioso.
Nicolas ha ventisei anni quando il Mossad rapisce in Argentina suo padre. Cambio d’identità: ora si chiama Ricardo Klement. È il nome qualsiasi di un uomo qualsiasi.
Ma… “L’uomo è l’uomo”. Con queste parole comunicate telegraficamente a Tel Aviv da Buenos Aires la sera del 21 marzo del 1960, gli agenti del Servizio segreto israeliano annunciarono di aver finalmente trovato Adolf Eichmann. Alle 16.00 di quello stesso giorno, il Primo ministro Ben Gurion annunciò alla Camera che Adolf si trovava in stato di arresto in Israele, e che sarebbe stato processato in base alla legge contro i nazisti e i loro collaboratori per « crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e di appartenenza ad organizzazioni criminali naziste ».
Fu processato e impiccato il 31 maggio 1962 a Gerusalemme.

In una intervista riportata dal settimanale “L’Europeo”, giugno 1961, Nicolas Eichmann disse:
“Il nome che porto è uno dei più odiati al mondo, ma io, tuttavia non riesco a odiare l’uomo che me l’ha dato. Mio padre. Lo chiamano assassino, boia di Hitler, massacratore e riferiscono con raccapriccio una frase che egli avrebbe pronunciato in non so quale occasione: “Sono pronto a saltare ridendo nella mia tomba perché l’idea di avere sei milioni di ebrei sulla mia coscienza non mi turba affatto. Al contrario mi dà una sensazione d’orgoglio “. È difficile per un figlio credere una cosa simile del proprio padre. D’altra parte io voglio bene a quest’uomo, gli ho voluto bene quando ero bambino e mi costringeva a bere succo di carote per farmi crescere. Gli ho voluto bene da ragazzo quando attendevo con ansia che ritornasse a casa dalla guerra e più tardi quando ci ritrovammo in Argentina; ed io che avevo dimenticato il suo volto, credevo davvero che egli fosse un mio zio di nome Ricardo Klement […]”

Nota
Le citazioni e l’intervista a Nicolas Eichmann sono vere.
Le fonti storiche sono state fedelmente riprese da giornali e quotidiani dell’epoca.

Dramatherapy, the differences are illusory, and even fewer boundaries



Riceviamo da un amico dell' Atelier Liberamente questa segnalazione. Stimolo poetico. Lo ringraziamo. Quando l'individuo supera il gruppo, il sociale per poi tornarvi differente.
Senza trasformazione, non si va da nessuna parte. Senza rischio, si è in una prigione eterna. Ma inizialmente è permesso lo scandalo.

Questo nostro teatro ha bisogno di anime nuove, che sappiano entrare nella vita da porte dove non sono mai passate, ma che vogliano usare quel cuore, gesto e voce che sanno di avere. Ho visto pochi gesti, poca voce, accenno di cuore, quasi latitante la scrittura, penosi i ritardi, infantili i pudori, amicali gli sguardi!

Nel laboratorio di venerdì farò gli esami, ed invece di un registro-regista vi sarà voce, cuore e gesto a dare la possibilità di declinarvi.
Senza questo teatro non vi è un abisso da incontrare; ma se lo si sceglie e non vi vive l'autenticità ed il rischio personale, si possono creare voragini e fatuità.

Movie: The End, realised by Maxime Leduc, Michel Samreth and Martin Ruyant
Music by Arnaud Liefooghe, Montage and Sound Mixage by Jean-Baptiste Saint-Pol

venerdì 12 giugno 2009

DRAMATHERAPY, RHINOCEROS BREAKOUT, IONESCO, GERMANY AND SUBURBS


Lo spettacolo che improvvisamente ci si parò davanti era terribile. Un rogo che negava vita, idee e speranze ad alcuni abitanti del pianeta, malcapitati che erano incappati in uno dei luoghi dove si stava preparando la grande trasformazione…e lo sterminio della libertà.

Uno di loro, sulla destra, già trasformato, stava evidentemente familiarizzando con la nuova identita, o meglio la non identità; un bell’esemplare di rinoceronte maschio, a due corna. Ai lati della strada, il verde aveva cominciato ad essere sostituito da erbe secche, evidente segno che alla selezione naturale, in questa fresca stagione primaverile, si era sostituita la sterile logica del potere sulle cose.

Più lontano all’orizzonte, il sintoma evidente di una pandemica, diffusa rinocerontite: un grande corno era nato dentro la montagna. Già tre ore prima il radiogiornale di Londra aveva avvisato che dentro le montagne si nascondevano grandi preparativi di trasformazione, come bunker che celavano la macchina della morte.

Ora, quel corno era lì davanti a noi ed uno, più piccolo stava prendendo forma alla destra della carreggiata. L’aria era acre di fumo nero che si alzava dall’incendio, malvagio tentativo di epurazione della specie umana pensante.
Foto: Dramatherapy, Rhinoceros Breakout, foto-elaborazione di E. Gioacchini, 2009

mercoledì 10 giugno 2009

Dramatherapy, W Berenger! Ti ho amato, ti ho vissuto, che bello giocare con te!

@ Il Capitano
su Dramatherapy: Rhinoceros Outbreak, the Dream of a False Freedom

Tanta ragione c’è nelle tue parole, tanta consapevolezza e condivisione nei tuoi pensieri.
Personalmente ritengo che “vivere” sia quanto di più difficile ed entusiasmante l’uomo possa fare e “consciamente concepire” nel breve attraversare le strade del mondo, della storia, del tempo. Di ogni momento se in quel momento è racchiuso il “tutto”.
Si, vivere, e non respirare. Vivere e non sopravvivere. Vivere e non solo… vivere.
Perché in quel verbo, quello con la V maiuscola, c’è l’unica, profonda, riconoscibile essenza del nostro essere.. qui! Le impronte del nostro passaggio. La spiegazione della presenza. L’eternità.
Un giorno vissuto, vivrà in eterno.
Un amore vissuto vivrà in eterno.
Una vita vissuta, posseduta, amata, condivisa, rispettata ma condotta con decisione ed entusiasmo -nella sua meravigliosa unicità– verso il sogno più ardito o la certezza più appagante (perché non v’è differenza) vivrà in eterno.

Nelle idee, nei ricordi, negli affetti che non temono il silenzio. Nelle parole che attraversano gli spazi, il tempo, la stupida paura della materia che si distrugge. In ciò che si è fatto, giusto o sbagliato che sia, ma specchio e autentica visione di una coscienza libera, orgogliosa, anche di sbagliare. Perché questo tempo non perdona gli sbagli, caro amico mio. L’uomo non perdona più se stesso, la sua imperdonabile immobilità mentale, vittima atrofica dell’uniformità che consola, ed emulsiona il dolore. Non perdona l’idea dell’uguaglianza e della diversità. O peggio e sempre più spesso non ne riconosce la differenza e non sa dunque comprenderne felice l’una… accettarne con gioia l’altra. Ecco dunque mandrie allo sbando, rinoceronti impazziti e furiosi che invadono piazze e coscienze, devastando tutto quello che trovano al passaggio, con la forza brutale ed oppressiva degli slogan e della catalogazione. Il pensiero, non più e giammai espressione dell’essere, ma istinto ed ingegno al subdolo benessere del branco. Li dove l’animale si sente protetto. Parte di più solitudini che vicine si sostengono, parte di qualcosa, indefinito semmai, ma meglio che di se stesso. Depauperato della sacra linfa. Si, Gianni, questa è paura di vivere, perché vivere è anche accettare di ritrovarsi “fuori” dal branco, dove è più difficile difendersi. Questa è paura di trovarsi un bel giorno soli con se stessi ed accorgersi del vuoto intrappolato nella pelle. “L’insostenibile leggerezza dell’essere” gridava Kundera. Tanto insostenibile quanto vittima dei propri mali.

La rinocerontite cura amico mio. Potrai ferito nell’orgoglio, disconoscere le mie parole e potrai farlo come io ho fatto prime di te, ma accorgerti che la rinocerontite è intorno a te tutti i giorni come un vaccino universale che guarisce e protegge. Tanto quanto l’indifferenza, le dittature, le repressioni, le malattie indotte, la fame procurata, i diritti calpestati, i disboscamenti autorizzati, le guerre sante, ed ogni altro crimine compiuto in nome del progresso e del benessere comune. La rinocerontite sta nel silenzio del mondo e nell’omertà degli esseri umani, nell’accettazione di catene e prigioni invisibili che ci legano al più forte -il capo branco- e nel riconoscerlo come tale, nel seguirlo a testa bassa ovunque abbia deciso di condurci. Fosse anche la morte, morte sia!

Poveri. Povero lo spirito che non vede. Povero lo spirito che vede e non parla. Disperato lo spirito che parla e non viene ascoltato. Viva Berenger e tutti i Berenger della storia che nonostante tutto hanno alla fine imbracciato il fucile e difeso qualcosa che valeva la pena veramente difendere. La propria voce tra tutte le voci. La propria idea tra tutte le idee, la propria vita ineguagliabile inimitabile meravigliosamente unica tra tutte le vite. Ed hanno scelto di rimanere…uomini. Liberi.

Prendiamolo quel giocattolo Gianni, amico mio, ammiriamolo nella sua bellezza, entusiasmiamoci per la sua perfezione, lasciamoci prendere dall’euforia e dalla sana pazzia di condividerne e comprenderne i meccanismi perfetti. Accettiamo l’idea che un giorno si romperà, che saremo noi stessi a romperlo, che dovremo essere noi un giorno a guardarlo ormai logoro e disfatto tra le mani ma consapevoli e felici di dire ti ho amato, ti ho vissuto, che bello è stato giocare con te! Quello ne sono certo sarà un Gran Giorno.
Buona vita, compagni di viaggio.

martedì 9 giugno 2009

Dramatherapy: Rhinoceros Outbreak, the Dream of a false Freedom

@ Gianni

Rinocerontite: Malattia o Istinto di Sopravvivenza?

E’ incredibile quante volte ci capita di pensare in modo simile o uguale ad altri milioni di persone, è altrettanto incredibile che questo avvenga il più delle volte per seguire una propaganda, strumento in mano a pochi per governare molti.
So cosa state pensando, quello che dico è scontato e tutti possono rendersi conto di questo, ma io posso affermare con cognizione (non fosse altro per il lavoro faccio, e che mi mette a contatto con diverse centinaia di persone ogni giorno), che moltissime persone non si rendono minimamente conto di questo, incastrate in meccanismi che impediscono di vedere a un palmo dal proprio naso.
Questo non vuol dire che viviamo in un mondo di automi, ma che si va via via perdendo quello strumento incredibile che definirei autocoscienza e autodeterminazione.
Questo succede molto di più nelle grandi città, a mio parere, perché l’evoluzione dell’essere umano avviene ad un ritmo infinitamente più grande rispetto ai piccoli centri, che vivono in modo meno frenetico e soprattutto ancorati fortemente a valori, contatti, legami quasi viscerali, con la terra , le cose e le situazioni di tutti i giorni.
Scontato anche questo?
Mi sorge una domanda, anzi più di una.
Perché il contatto stretto con i nostri simili, anziché aiutarci a superare le difficoltà, le ingigantisce?

E’ forse la paura del nostro simile, una sorta di concorrente nella corsa alla sopravvivenza?
Lo dimostra il fatto che siamo portati a fare beneficenza al bisognoso sconosciuto e non riusciamo a salutare il nostro coinquilino.
Ma questo ci costringe a diventare lupi solitari, e da soli si può resistere solo facendo grande fatica e quindi perdere l’essenza della vita: ”vivere il presente”.
E’ forse per questo che facilmente la rinocerontite ci “inquina”, in modo più o meno grave, e ci porta a vivere in branchi, facilmente governabili da sistemi politici carenti di idee e ideali, ma ricchi di strumenti “anestetizzanti”.
Ma c’è un risvolto positivo...forse così sembrerebbe...
Evito di pensare, evito di decidere, evito di sbagliare e di assumermi responsabilità.
Che bello... Evito tutto ciò che mi spaventa e ho risolto il problema. Non devo nemmeno chiedermi cosa sono, quanto valgo, dove vado, cosa faccio, ecc..
Ma non sarà che in questo modo evito di vivere?
E se vivere fosse come un giocattolo che qualcuno ci ha regalato e noi per “paura” di romperlo evitiamo di usarlo?

Foto: Rhinoceros Outbreak and the Dream of a False Freedom, Fotoelaborazione di E. Gioacchini, 2009

domenica 7 giugno 2009

Dramatherapy: a bit of rest for our Mind

La Mente deve lavorare bene e per farlo ha bisogno di momenti di autentico "rest", non solo degli occhi ma anche dell'anima. Berenger ci ha tuffati nel "drama" dell' uomo che cerca risposte e soluzioni alla propria natura. Problema insolvibile, che si riduce alla tautologia del cercarci mentre siamo, ma tuttavia ci realizza nel percorso.
Un soffio di vento che solleva qualche nota e dà momentanea tregua alla nostra speculazione drammaterapica. Due brani musicali ben arrangiati, non c'è che dire! Facciamoci spolverare la mente da essi, mentre l'inconscio riposa e lavora.
Let you enjoy them! Director







Movie: LOVE STORY (Taylor Swift) meets VIVA LA VIDA (Coldplay), arrangiamento di Jon Schmidt

sabato 6 giugno 2009

Dramatherapy, Everybody Hurts e Rinocerontite

(Berry/Buck/Mills/Stipe)

When the day is long and the night, the night is yours alone, When you're sure you've had enough of this life, well hang on Don't let yourself go, 'cause everybody cries and everybody hurts sometimes Sometimes everything is wrong. Now it's time to sing along When your day is night alone, (hold on, hold on) If you feel like letting go, (hold on) When you think you've had too much of this life, well hang on' Cause everybody hurts. Take comfort in your friends Everybody hurts. Don't throw your hand. Oh, no. Don't throw your hand If you feel like you're alone, no, no, no, you are not aloneIf you're on your own in this life, the days and nights are long, When you think you've had too much of this life to hang on Well, everybody hurts sometimes, Everybody cries. And everybody hurts sometimesAnd everybody hurts sometimes. So, hold on, hold onHold on, hold on, hold on, hold on, hold on, hold on Everybody hurts. You are not alone.

"Everybody Hurts" costituisce la più diffusa patologia nevrotica del nostro pianeta. Si distingue per una subdola insorgenza in soggetti giovani, adulti ed anziani, senza preferenze di sesso, etnia e cultura. Come sintoma principale si caratterizza per la consolante coscienza di non essere soli a soffrire su questo pianeta. Se il punto di partenza dell'infezione è tuttavia una sana iniziale risposta immunitaria al "dolore della vita" -che conduce i portatori germe a non drammatizzare la propria esistenza, a non farne epico trono dell'ingiustizia, del fato avverso e di forze invisibili e negative esercitate dagli altri-, successivamente, molti dei soggeti colpiti entrano nella pericolosa fase del "mal comune, mezzo gaudio" e si siedono sui gradini dell'esistenza. Essi divengono presto preda di disadattamento, avvilimento ed annichilimento, incapaci di reazione alcuna. Complicazione frequntissima della malattia è l'incontro con la "rinocerontite", tipica infezione narcisistica, che inizialmente lusinga i soggetti riguardo la possibile soluzione al problema. Quest'ultima patologia è causata da un virus "sperimentale" scoperto sin all'antichità, che pemette, a chi e è colpito, di ospitare ragioni aliene dal proprio progetto, per vivere. In questa fase la contagiosità della malattia è altissima, grazie ad una endotossina che si genera nell'organismo ospite, denominata "Propaganda". La prognosi è spesso infausta. La terapia consiste nella attenta lettura della Storia e della Propria Storia. Director MD

Movie: REM Live in Stirling Castle,Scotland
Everybody Hurts
Released April 15, 1993 (1993-04-15)
Format
CD single, 7" single, 12" single, Cassette
Recorded 1992
Genre Alternative rock
Length 5:20 (Album Version) 4:57 (Edit )4:46 (Alternate Edit)
Label Warner Bros.
Producer Scott Litt & R.E.M.

Drammaterapia, Rinoceronte o Lupo Solitario...semplicemente Uomo


@ Gianni
(giorno dopo il laboratorio)

Mi ritrovo davanti alla finestra di una casa qualunque in un posto indefinito, a guardare l'inconsulto correre dei rinoceronti, fra polvere e barriti. La sensazione che provo non è affatto piacevole, ultimo, estremo, (inutile?), baluardo alla malattia della razza umana. Questo pensiero che mi fa prendere coscienza della situazione, solo e senza la minima idea di cosa fare, comincia a trasformarsi in paura, una paura sottile, come la lama di uno stiletto, così affilato che può forarti senza quasi sentirlo entrare, per procurarti poi un dolore lancinante. Quante volte in passato ho provato questa sensazione, quello strano sapore in bocca, secca, e affamata di un'aria che non manca all'esterno, ma che non riesci a mandare nei polmoni, perchè il respiro è rotto dagli spasmi vertebrali. E che dire di quel peso sullo stomaco, di quel senso di costrizione che ti affatica anche nei movimenti più semplici?

Tutto questo lo avevo dimenticato, combattuto a suo tempo, imbrigliato alla meglio e chiuso in un cassetto. Doppia mandata..e allora si che mi sono sentito forte! Adesso non c'è più niente fuori che può aiutarmi a sopravvivere, neanche la mia Daisy, perchè anche lei ha preferito i rinoceronti a una vita di incertezze. Che faccio? La sensazione di paura si è trasformata nel frattempo in terrore, un malessere così acuto che posso sentire il mio sangue scorrere con fatica al mio interno, come se qualcosa gli impedisse di fluire liberamente, mentre tutte le altre sensazioni di poco fa sono amplificate fino alla soglia del dolore fisico. Eccomi quì, novello Berenger a far fronte...? Calma, dobbiamo rimanere calmi, usare la logica e il raziocinio che ci ha sempre aiutato, in fondo se fossi come Botard potrei...Niente. Egli è stato tra i primi a trasformarsi. E Dudard, allora, molto più elastico e comprensivo di tanti altri, una bella persona, che farebbe lui al mio posto? Smetterebbe di combattere, tanto la mediazione gli è così congeniale. Eh.. ma se ci fosse con me Daisy? Ma se aveva una paura folle di condividere con te anche le piccole cose di tutti i giorni? Ma io sono Berenger, il protagonista, e pensare che fino a poco tempo fa ero così contento di come ero, non puoi continuare a pormi ostacoli che mi impediscono di trovare una via d'uscita, sono in un vicolo?
E' ora che ti infili in quel vicolo se vuoi scoprire chi sei veramente..?
Mentre la voce razionale continua a parlare nella mia testa, nell'ansia di trovare una soluzione al disagio, un'altra mi arriva da un punto indefinito, all'improvviso, senza nessun nesso logico con il resto, con il tono di un bambino?

"Mamma dove sei, perchè non mi prendi la mano, non mi accarezzi, e mi aiuti? Non mi vuoi più bene? Ho sempre cercato di essere bravo?"

E i miei occhi si riempiono di lacrime, e un pianto irrefrenabile mi costringe a interrompere più volte quello che sto scrivendo. Ad ogni domanda il pianto prende vigore, fino a lasciarmi svuotato, ma più sereno, non più nel vicolo, ma su una strada deserta di una grande città , all'alba, come abbiamo visto in tanti film, incerto sulla direzione che prenderò, ma sicuro di aver voltato le spalle a un'esistenza che non era la mia. Penso di essere fortunato, ho ancora i miei genitori, li vedo quasi tutti i fine settimana, abbiamo un buon rapporto, la prossima volta li abbraccerò forte, (non mi ricordo di averlo fatto mai), e piangerò con loro. Grazie Berenger, Ionesco, Ermanno e il Gruppo.

@Director
...piango con te.
"Our greatest glory consists not in never falling, but in rising every time we fall", Confucius

Dramatherapy, Ionesco and the Awareness Act

@ Mocona

Secondo la mia visione i Rinoceronti rappresentano la metamorfosi dei personaggi Ioneschiani : vuoti, banali, con lo stesso copione per ognuno di loro intercambiabile; metamorfosi intesa come un'acquisizione nella personalità, un' esigenza di ribellione interiore alla passività del loro stabilito personaggio, una metamorfosi spontanea per una vita insostenibile rinchiusa dentro luoghi comuni che li rende un'umanità di zombie dormienti. E' come un risveglio, un' impulso involontario di ruggire, non compreso, che finalmente trova la sua evidenziazione in una metamorfosi esteriore. Quanto di più evidente ci può essere nella trasformazione animalesca?...ma comunque, sempre per assurdo, ci si trasforma ritrovandosi di nuovo in mezzo ad altri Rinoceronti che hanno subito la stessa evoluzione involontaria e questo a sottolineare che il cambiamento, non deciso, non serve per la salvezza della specie E' la metamorfosi ponderata, valutata e magari anche non attuata -come nel caso di Berenger- che può apportare una ricchezza interiore per la "coscienza di essere".

Il paradosso ? L'avere una coscienza, in questo caso, è scambiato per pazzia, "assurdità" per l'appunto. Tutto è rafforzato attraverso l'esagerazione dell'evento descritto dall'opera. Qui, di conseguenza, c'è un'approvazione dell'assurdo da parte di questi esseri dormienti, in realtà incoscienza comune nelle vesti di una finta coscienza. Hitler approfittatore con coscienza di potere sull' incoscienza manovrabile della massa.

Foto: Dramatherapy, Ionesco & the Awareness Act, foto-elaborazione di E. Gioacchini, 2009

mercoledì 3 giugno 2009

Dramatherapy, Rhinoceros Workshop, III Act: Berenger's Battle


Giovedì 4 giugno 2009, h. 20,30 -sede-
sponsorised by Creative Drama & In-Out Theatre

Nell’ultimo atto de “Il Rinoceronte”, Berenger condensa il senso del proprio “impatto” mortificante e glorioso con la vita. Ionesco gli conferisce quelle che Maslow, nella sua piramide dei bisogni -Hierarchy of Needs-, definirebbe il 5° livello, ovvero il bisogno personale di autorealizzazione ed ancora più oltre, forse, l’esperienza di vetta, per la quale, almeno provvisoriamente potrebbe essere trascesa la condizione samsarica dell’ordinario stato di coscienza. Tutto sembra sfuggire alla “logica comune”, a quella stessa logica che i suoi compagni di vita gli avevano proposto sino a qualche tempo prima, quale baluardo alla deriva del suo bere (Dudard), alla “incultura” della sua ragione (Jean). Ionesco riflette transferalmente nel personaggio la personale peplessita a cui la vita conduce quando ti fa essere capace di domande ed assolutamente insoddisfatto delle risposte. Sembra che atavicamente come anche qualche secolo fa, ancora riecheggi la disilussione eliocentrica ed il suo intrinseco senso di impotenza! "I see myself torn apart by blind forces rising from my innermost self and clashing in some desperate unresolved conflict . . . it is clear that I can never know who I am, or why I am"…” I try to project onto the stage an inner drama . . . I want only to render my own strange and improbable universe” (E. Ionesco, in Note e Contronote al Teatro).

Tutti, intorno a lui, hanno mostrato l’assenza di un pensiero, sorretti come automi imperfetti da una sterile logica, timorosi solo nel fallire nel principio di non contraddizione e Berenger intuisce che forse proprio questo li ha portati a “trasformarsi” in Rinoceronte. Egli, così “disconnesso” dalla vita, a ragione del proprio insulso modo di condurla –come criticato dagli altri-, deve suo malgrado forzosamente coinvolgersi in essa, grazie alla furia dell’evento nuovo. Non gli rimane che il rifiuto per la realtà omologante che lì fuori dilaga e si diffonde come una epidemia. Non ha però verità da contrapporre; tutte quelle delle persone più sagge di lui sono rimaste schiacciate e trasformate; non una regola o motivo, ma solo se stesso, a costo della propria vita, persino risucchiato da essa, se dovesse accadere, perché incapace di comprenderla: “Sono l’ultimo uomo, e lo resterò sino alla fine! Io non mi arrendo! Non mi arrendo!”

Proprio qui il tema dell’Assurdo di Ionesco, il senso di un universo ineffabile che sembra sfuggire ad ogni comprensione e che cerca nel mondo, in adozione, spiegazioni ed ideologie e promette di rassicurare in cambio della rinuncia all’identità del singolo, al dolore del proprio atto di coscienza. Sembra, dunque, che l’Uomo Berenger possa perdere tutti i contenuti condivisi, ma non la “dignità” della propria condizione. E’ totalmente “assurdo” questo dolore che ora scopre quotidianamente nascosto dalla speranza dell’amore (Daisy), dell’amicizia (Jean), del piacere (il suo bere), ma si esproprierà anch’egli, come gli altri, della propria paura, fingendo di camminare tranquillo per le strade tra i girotondi di rinoceronti in corsa sulle strade falsamente pulite dell’esistenza di prima? Se così, sarà oramai divenuto anch'egli uno di loro, irreparabilmente. Il senso di questa irreparabilità è proprio nella distanza –si osservi solo apparentemente eroica- tra Berenger e tutto il resto, nulla che dia spiegazioni, nulla che protegga dalla minaccia.

Attraverso i tre atti, il personaggio compie il suo simbolico viaggio -illusoriamente ermeneutico- nel tentativo di salvare l’Uomo. Non è forse sempre la vita con i suoi improvvisi, grotteschi, "assurdi” eventi a tentare il risveglio della coscienza? Atto doloroso, come quei barriti a ritroso nella nostra storia evolutiva ed ora così distanti dall’universo ragionevole che vorremmo avere. Non serve la logica a rassicurare l’anima e Berenger non ha più nessuno con cui “fare anima” (Hillman); l’universo, da un certo momento-spazio in poi, ha imparato ad “urlare” nella collisione di sue due stelle, ma questo non ha aggiunto alcuna verità che conforti. Necessario riscoprirsi naviganti e sapere che le stelle, per qualche strana studiata convenzione, possono aiutarti.


Foto: "Dramatherapy, Rhinoceros, 3 act", disegno e foto-elaborazione di E. Gioacchini

...al fragile scompiglio d'una partitura di vocali da modulare...

@ Nina

Carissimo Spartaco,
finalmente! Sapessi quanto mi rende felice la tua presenza... Ti stai ascoltando, ti stai sentendo colmo di gioia? Hai appena oltrepassato la barricata, osando sfidare "una voce": la tua. È intrisa di timore, dolore, sembra tentennare funambola; sebbene noi tutti, umilmente, e nella stessa identica misura, dovremmo in essa dichiararci paritari. È una voce corale, dentro la quale ci spetta di ritrovare la nostra –singolare ed unica.
Fa paura? Sì… Attingiamo dal profondo che è in noi. Temiamo l’invisibile agli occhi.

Torniamo indietro. Ci costringe a un netto richiamo alla vita, questa voce-presenza; sembra riverberare solo l'incerto esistenziale, con i suoi acciacchi e labili passi. Certo, il rischio di cadere s’impone: basta esserne consapevoli, immersi nella più pura centralità. A mio parere, per quel rischio, vale la pena di essere-esserci. Totalmente. E non credo che vi sia solo questo: c'è il coraggio di esporsi, che dà forma alle paure, che ci fanno intendere quanto sia difficile persino chiedere HELP! Un aiuto tacitamente sotteso, mai urlato né gridato, annichilito come un macigno in gola. Quel macigno se ne resta lì, imperturbabile, senza lasciare libero sfogo alla voce delle lacrime, alla voce delle parole, alle timbriche che salgono dal ventre –luogo di calore–, al fragile scompiglio d'una partitura di vocali da modulare.

C'è un cunicolo ostruito da un sasso gigantesco: caro Spartaco, se vuoi passare, 'sto sasso pietrificato –il quale non può ch'esser pietra e non panna vegetale–, va sputato fuori! E aggiungo: se non ti sostenesse una forma di speranza, non sarebbe palesata la tua "sfida".
TI VUOI FAR SENTIRE, lo capisci? E vuoi che qualcuno TI ASCOLTI.
Sentire-ascoltare: e la voce, intanto, emerge. Tremula, insicura, esitante. Emerge vincente.
Iniziato il percorso, difficile è rinunciarvi. Andrai a ritroso –come dice il Director– tornando alle origini, perché le nostre origini, quelle remote, hanno tracciato e sentenziato la nostra vita di oggi.
Imparerai bene a sputare l'alba d’ogni pietra, amico mio.
Lo farai con signorilità, con gratitudine verso te stesso.
Poi, mi darai qualche saggio consiglio...

Non vivo la mia vita, ma quella che mi hanno detto di vivere

@ Spartaco
su "Voglio la tua Voce!"


E proprio cosi, la mia voce non fa più rumore ed è difficile ascoltarla e fa pure dolore. Non vivo la mia vita, ma quella che mi hanno detto di vivere. La nostra vita la conosciamo e non fa più paura. Ma ci crea un dolore sottile e costante. La mia vita non la conoscco e quindi mi fa paura. Non mi dà certezze. Tutto questo e assurdo. Paura di cosa? Di un pensiero. Il sapere non mi porta oltre. Cosa mi porta oltre?




@Director

La motivazione ad esplorare tra dentro e fuori...questo ti porta oltre. Hai mai visto abbastanza a lungo quelle strie di bava lucente dietro una chiocciola di lumaca? Sembra non arrivi in alcun posto, nè lo abbia in mente. Ti giri per qualche minuto e non è più all'orizzonte...
La strada che non hai ancora fatto è silenziosa, ma assomiglia ad un nastro da srotolare e se tu rotoli avanti, quello fa capriole all'indietro. La tua voce non ti annuncerà mai davanti; potrà essere eco, ricordo, percorso. La tua voce è una via sulla quale cammini e se ne sei troppo sicuro, assomiglierà a quelle marcie di soldati senza opinione, seguaci senza pensiero, esecutori senza volontà. La voce del dittatore annuncia in avanti e fa del "progetto" la propaganda e puoi sentirti persino rassicurato dentro quella, senza dolore. Non chiedere verità. La cultura, la scienza, la religione, l'odio, l'amore, il destino, la vita, nascono dalla paura...ci fanno raggruppare come popolazioni di cellule che "sanno" di resistere meglio se vicine, compatte. Nel percorso breve che ti è dato, puoi ribellarti e fare il percorso a ritroso, scoprire l'eccitazione della scelta, l'assoluzione dell'essere scelto. La voragine della vita non è fuori di te, ma dentro e non è buono inghiottirsi, gridando aiuto. La voce è strumento e suono insieme da reinventare.

martedì 2 giugno 2009

"Combattiamo tutti per un Mondo Ragionevole!"

@ Elea
su "Dramatherapy, the Power of Propaganda"

Adoro Charlie Chaplin "Charlot", ogni suo film è per me un regalo che egli ci ha donato. Sono il racconto dell'essenza; di quell'essenza che è la quotidianetà, la dolcezza, la timidezza,i l sorriso che va alla vita.Un piccolo uomo buffo, ma grande nel raccontare le grandezze. E approposito di grandezze...avete mai visto il film"Il Grande Dittatore", un capolavoro assoluto nella storia del cinema che racconta la storia del regime e di Hitler in modo molto provocatorio e comico. Sono tante le scene famose dove Chaplin sbeffeggia Hitler. La più famosa è quella dove Hinkel, la parodia di Hitler, gioca e balla con il mondo sottolineando la sua pazzia di grandezza. Ma...c'è una scena, la più bella la più vera che Chaplin abbia mai fatto ed è quella finale quando Hinkel fa il discorso all'umanità. Parole stupende un vero inno alla pace, alla fratellanza e all'umanità che danno calore.

"...Non voglio fare l'imperatore.NO, non è il mio mestiere. Non voglio governare, nè conquistare nessuno, vorrei aiutare tutti se è possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi..."

Cosa avrebbe scritto la storia se queste parole fossero state dette da Hitler?! Non parole di orrore... Cosa avrebbe scritto Ionesco vedendo la folla travolta da queste parole. Si sarebbe, sicuramente, lasciato travolgere. "...Stava per soccombere a quella magia quando qualcosa salì dal profondo del suo essere..." Cosa sarebbe stato il mondo se quell'ESSERE fosse stato questo...



Movie: Il grande dittatore
Titolo originale: The Great Dictator
Nazione: Usa
Anno: 1940
Genere: Commedia
Durata: 124'
Regia: Charles Chaplin
Sito italiano:
www.bimfilm.com/ilgrandedittatore
Cast: Charles Chaplin, Jack Oakie, Reginald Gardiner, Henry Daniell
Produzione: Charles Chaplin Productions

PRENDERE COSCIENZA

@ Fede
su "Dramatherapy, the Power of Propaganda"

Una sorta di hitler-rinoceronte esista in ognuno di noi... è tutta quella parte di noi che detta e ci impone ciò che è dettato da luoghi comuni, da pensieri e convinzioni di cui in realtà non siamo convinti eppure da cui ci facciamo guidare... tutto ciò che ci impone di distruggere in noi stessi, rendendoci mattoni di "un Muro" che divide la nostra vera persona Creativa ed Autentica dal resto del mondo. Prendere Coscienza che possiamo occupare tale ruolo anche per "smontarlo" e fargli capire quanto possa esserci inutile, ma quanto invece possa essere fondamentale per noi prendere il suo posto per dare spazio alla nostra libertà e renderci dittatori del bene....Come ha fatto ermanno e come penso dovremmo fare tutti.... anche senza foto.

Il Lupo dell'Alsazia


@ Dedalo
su "Dramatherapy, the Power of Propaganda"

Da bambino, la gente la dividevo in buona e cattiva. Erano due categorie nettamente separate, e la popolazione buona rappresentava almeno il novanta per cento delle persone. Crescendo, la situazione è diventata più fluida, sono stati presi in considerazione i passaggi di categoria, e la statistica è stata abbandonata, non perché per forza il suo risultato fosse sbagliato, ma perché se non so chi appartiene a quel dieci per cento di cui non mi posso fidare, è inutile sapere qual è la divisione della torta.
Ora, il passaggio ulteriore potrebbe essere -e qui mi collego al post del director-: pensare che noi stessi facciamo parte non solo di quel novanta o di quel dieci per cento (ovviamente si spera del novanta…), ma del cento per cento tutto. Insomma, sia gli “uomini cattivi” che gli “uomini buoni”, per dirla con espressione un po’ infantile, sono entrambi “uomini”, e lo sono entrambi nella stessa misura (non è che uno nasce con due teste mentre l’altro con tre; che uno è insensibile al freddo mentre l’altro lo è; che uno ha fame e l’altro va solo a ossigeno; che uno può commuoversi mentre all’altro ciò è precluso dal suo codice genetico). Insomma, siamo tutti uomini, e tutti usiamo lo stesso ventaglio per sventolarci, un ventaglio con tante possibilità di scelta, e scegliamo noi, dopo averlo guardato il ventaglio, soppesato, impugnato in un certo modo, come farci aria. Ma dobbiamo sapere che quel ventaglio è nelle nostre mani, e che è fatto in un certo modo, con certe opzioni, con certi comportamenti, con certe potenzialità di cui la storia nel bene e nel male ci racconta: quel ventaglio siamo noi. Da questa presa di consapevolezza, penso discenda una maggiore conoscenza del mistero umano, che siamo noi.
Se vivere significa essere se stessi dentro di noi, davanti agli altri, insieme agli altri, allora avere paura di guardarsi dentro e provare a sondare il mistero e incarnarlo, significa rinunciare ad essere pienamente e naturalmente uomini. E qui non parlo dell’essere buoni o cattivi, perché do per scontato che è giusto impegnarsi a rispettare il prossimo, ma mi riferisco al rispetto e alla dignità che dobbiamo dare e riconoscere ciascuno a se stesso, individualmente. E credo che, volenti o nolenti, il nostro “Io” si accorga dei compromessi e delle paure, e ci faccia pagare il prezzo delle nostre scelte.
Foto: "Dramatherapy, Hitler-Scope", fotoelaborazione di E. Gioacchini, 2009

NOI NON CE NE ANDIAMO DOCILI INCONTRO ALLA NOTTE

@ Nina
su "Dramatherapy, the Power of Propaganda"

Esiste un’intera progenie dell’oscurità notturna: da Ade a Eros, da Hypnos a Venere. Non tutti sono benevoli: alcuni di essi ci conducono nel sacrario di un onirico malvago, intriso di mostri e malesseri. Afferma James Hillman:
Non ci viene detto che i sogni ci aiutano, che rendono più completa la nostra vita indicandoci la direzione delle nostre tendenze creative. Né ci viene detto che i sogni sgorgano da una polla inconscia di piacere libidico, da un pozzo di desideri. Al contrario, i sogni sono i parenti degli inganni e dei conflitti, delle lamentazioni, della vecchiaia, dell’irreversibilità del nostro destino […] Il sogno ci trascina verso il basso con i suoi ritmi rallentati, la sua introversione […] Noi non ce ne andiamo docili incontro alla notte” (da “Il sogno e il Mondo Infero”, J. Hillman, Adelphi, pag 50).

Adolf Hitler. Ritrovarlo, Orrore Sacro tra realtà e sogno, in un campo di concentramento - suo vessillo - senza commutare l’inammissibile. Indossa paramenti che rammemorano la tastiera bianconera di un pianoforte rovesciato in verticale; ma è uno straccio liso, povero, e l’Orrore riassume l’iconografia dello scabroso ebreo tragico e rinsecchito dei lager spinati. È anche, Hitler, debitamente eguagliato all’indecenza dei rom, prigionieri politici, dissidenti, omosessuali… :
“In fondo si sarebbero potuti salvare se fossero divenuti bianchi, biondi e celesti negli occhi, e la promessa della vittoria può farne di trasformazioni. Ho provato una desolante tristezza una completa impotenza" -Director.

ORDINI IMMEDIATI:
-Estorcere misure di sicurezza nel pensatoio e substrato tirannico-eroico.
-Espungere conflittualità imbavagliate, tacite non per problemi di coscienza, bensì per estraneità egoica o di
ego ipertrofico, adducendo loro qualche comportamento maniacale. Tesi da verificare. Troppo tardi ormai.
Troppi rinoceronti. Io sono l’unico Dio.
-Sali di Zyklon B e forno crematorio: 1500 corpi in meno al dì.

"Erano sporchi, malati, fanatici e troppo orgogliosi per parlare, ed orribili con quel lacrimoso Passo Buchenwald… direi inutili, per questo li ho eliminati”.

Oh, amletico Hitler, senza domanda sull’essere, a riconfermare l’eterna diade: Identità o non-Identità? Oh, Fuhrer alemanno, Grande capo di orde barbariche provenienti dalla Selva Nera. Nere stretture, scorciatoie d’alberi docili alla notte, laddove trasumanarono leggende antropologiche d’un popolo devoto alla violenza, alla trafittura, all’ingordigia umana-animale senza minimo riflusso gastrico o tenuamente morale.
Lassù, nella Tana del Lupo, una bomba esplose tutta per te. Provvidenzialmente non moristi, perché il Male non perisce mai. O fu l’intercessione di un Dio troppo buono, che sprofondava distratto nel suo aculeo d’occhio, pungigliato da questioni vaticanensi da risolvere, anch’esse, con urgenza? Pio XII, il Papa dell’offertorio sacrificale, tramutò il suo mite affanno giudaico in-differente diniego verso quel male nordico, senza voce pronunciare-fermare. Era anche lui rinocerontico nel pregare sfarfallamenti di salvazione –qualche migliaio di giudei– con opinabile atteggiamento ecumenico, in cui tutti i popoli venivano a Dio secondo eguale diritto di vita.
Tu, anima-guida teutonica, tra acque gelide di un Lethe infernale.
Tu, con il Rinoceronte in mano al posto del teschio, non ti penso maratoneta inorridito tra un cadavere e l’altro: là– nel reame delle ossa e dei corpi bruciati. Mentre piove incessantemente lanugine santa. Come fosse polvere, polvere, polvere: quella di Bérenger?

BERENGER Resterò quello che sono… Sono un essere umano. Un essere umano! (pag.127).
Sua Maestà Dittatura persino all'interno del lager –Ionesco sarebbe tornato indietro nel tempo, quello del sogno?– ti offri sozzo, sudicio, maleodorante, ilare tra i fragili. Eppure continui ad osservare il trofeo del Carisma e dell’unico Figlio, nonché Padre Salvatore, alla ricerca d’approvazione onnipotente. Tu, che eri scuro, oscuro, talvolta assente. Sempre presente.
Lassù, nella Tana del Lupo, con i tuoi rinoceronti al seguito, pronti ad ogni tattico marchingegno. Perfetto burattinaio, geniale stratega nell’arte della Guerra.
Intanto, la pillolina per dormire; l’ansiolitico per ammansire gli attacchi d’ira funesta; l’antidepressivo giornaliero.

BOTARD, DUDARD, PAPILLON, JEAN Heil Hitler! Heil Hitler! Heil Hitler!
BERENGER Devo immaginarmi il peggio, perché il peggio è possibile […] Non c’è più nessuno! (pag.127)

E la propaganda di un’atletica, bellissima Leni Riefenstahl… con i suoi orgasmi filmici in nome dell’arte, della comunicazione, del linguaggio trionfante –non disgregante– nelle sale cinematografiche, nel parterre mondiale delle Olimpiadi. Come ritraeva bene –il male, Leni!:

LENI Quant’è noioso, Bérenger... Ma proprio si rifiuta di capire... A noi sta bene la Germania di Hitler, sta bene Hitler! Quasi ci conforta portarlo nelle case, nelle televisioni, in prima pagina, come se questo Male apparente fosse un Bene necessario. Una carnalità non banale, né volgarmente terrestre. Da non tacere per risolversi nella sua magnificenza…! Abbiamo un pubblico che ci ascolta… Capisce? Il problema è che lei vuole ossequiare il Rinoceronte, vuole consegnarlo alla Storia con discernimento fecondo. Ma stiamo dentro l’urna del Novecento, non se lo scordi!

Quale solerzia ed infatuata professura di genere! Onore alla Gioventù Hitleriana, onore ai Goebbels, agli anticorpi della dinastia hitleriana dell’Europa fantasma, illogica e superficiale del 1924, del 1933 e del 1939.

BOTARD, DUDARD, PAPILLON, JEAN Realpolitik! Realpolitik! Realpolitik!

Tu, Europa: La responsabile.
Tu, Europa: La spaiata.
Tu, Inghilterra: ancora a idolatrare L’Eternauta Ammiraglio Nelson.
Tu, Francia: nel ricordo di un Bonaparte Imperatore.
Tu, Italia: La coda del ratto, la non-esistenza. O l’esistere d’un populismo filo-mussoliniano dalle iniziali buone intenzioni.

BERENGER E queste metamorfosi, saranno reversibili? Eh? Saranno reversibili?... Saranno una fatica d’Ercole, al di sopra delle mie possibilità. Se ti uccido, Herr Hitler, loro torneranno umani, forse…
Un colpo alla nuca, e via! Via il Rinoceronte! Via la rinocerontite! Tornerà Daisy… La mia Daisy, il mio amore unico… Io non mi arrendo! Non mi arrendo! (pag. 129)
LENI Giornalisti, registi, scrittori, epicurei: ci eleviamo a purgatorio mediatico! L’interiorità ci è cara, sì!, ma nell’identica misura in cui ci è insopportabile perdere di seduzione!
BERENGER Sì, un proiettile! E la Storia dell’Umanità cambia… Non mi arrendo!

Smettere di osannare ogni Hitler per le strade e nelle culle.
Far emergere la nostra voce inabissata nel ventre, lì rimasta fra tanta desolazione remota: "Il papino e la mammina" che furono, a volte talmente castranti da uccidere riferimenti per il loro bimbetto, mal-divenuto bimbetto e adulto; con apparato sinestetico voce-gesto-cuore da far emergere, senza far bivaccare totalitarismi di genere vario.
Trattasi di criminalità dell'amore per eccesso o decesso o devianza dell'amore medesimo?

Sorge nuovamente il quesito di Auden, quando dice: “La verità, vi prego, sull’amore”.
Noi vogliamo l’amore. C’entra qualcosa con rinocerontini corazzati di difese?!

Note: Tutti i dialoghi riportati in corsivo sono di Nina Maroccolo.
Le pagine fra parentesi si riferiscono a dialoghi tratti dall’opera di E. Ionesco “Il Rinoceronte”, Ed. Einaudi.
Foto: "Goebbels & Hitler"

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

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