@ Nina
su Drammaterapia, Rhinoceros, III Act, Where's the truth?
Mobilitarsi. Volersi immuni dalla pachidermica epidemia nella cittadina di Bérenger & Co.
Evitare epicedi ai viventi… Umani o animali?
Temere è umano. Tremare è umano. Temere la follia è umano.
Un rinoceronte ha paura? Trema? Può essere soggetto a disordini mentali?
Ottimale questa paura che porta gli occhi di un uomo all’altezza dell’occhio animale. Odora di sano primitivismo. In senso stretto: primitivismo culturale. Vale per l’uomo l’aggettivo “culturale”. Apparentato è l’uomo al ferreo sistema della logica, alla civiltà col suo carico di malcontento.
Vorrei che occhi di uomo e occhi di rinoceronte rivelassero naturale armonia.
In Ionesco, la parabola del simbolo gioca il suo ruolo, i suoi molteplici ruoli.
Costringe a stanare i personaggi dalle tane “dell’acquiescenza”, mobilitandoli verso la dissoluzione o decostruzione dell’essere: un Io stretto–costretto ai virtuosi riti civili per limitare quanto possibile sentori scomodamente barbari. Oppure, per marcare il territorio d’una vocazione da conquistare, quasi un divenire cavalleresco di provetti “paladini” – quali Lancillotto e Bérenger.
Uno ha Ginevra, amante e Regina fedifraga, l’altro ha l’ideale che precipita e muore: Daisy, la fuggitiva.
Eppoi, di quale vocazione stiamo parlando?! Non servire piatti prelibati e vini DOC ai rinoceronti vegetariani, o seguire la verità della paura che ci travolge a tal punto d’asservire il Male?
Mah! Davvero crediamo che la democrazia sia “un ritorno alla bontà originaria dell’uomo”? (cfr. Protagora). È questo il sano primitivismo?
La parola “civiltà” è carica di vibrazioni etiche e morali, retaggio cumulativo della nostra autostima. La contrapponiamo a barbarie, a ferocia, a bestialità addirittura, mentre significa niente più che “vivere nelle città” (Bruce Chatwin, Anatomia dell’Irrequietezza).
Il rinoceronte ioneschiano è la “bestia” urbana. Jean, Daisy, Dudard, Papillon, perfino Bérenger (prima dell’atto finale) – i manchevoli d’autostima. Difatti, tanto ne vivono la pochezza che optano per il sacerdozio metamorfico di un pensiero mai stato, accettando umiliazione e sconfitta. Fuori dalla logica canonica del comportamento “civile”.
E se uno dei tanti interrogativi ioneschiani ponesse l’accento sulla mancata formazione di un immaginario fertile, mancato pronunciamento allo stupore, addizionando rinuncia su rinuncia per rinunciare infine alla vita stessa? L’evoluzione, il cambiamento che Vita t’offre scartando l’abuso dell’abitudine, troppe fissità comportamentali, la scansione di meccanismi psicologici e mentali che ottundono: piacere, orme assolate, valori acquisiti? La natura. Quella che noi intendiamo come scoperta, viaggio, iniziazione e, perché no? Nomadismo irrinunciabile…
su Drammaterapia, Rhinoceros, III Act, Where's the truth?
Mobilitarsi. Volersi immuni dalla pachidermica epidemia nella cittadina di Bérenger & Co.
Evitare epicedi ai viventi… Umani o animali?
Temere è umano. Tremare è umano. Temere la follia è umano.
Un rinoceronte ha paura? Trema? Può essere soggetto a disordini mentali?
Ottimale questa paura che porta gli occhi di un uomo all’altezza dell’occhio animale. Odora di sano primitivismo. In senso stretto: primitivismo culturale. Vale per l’uomo l’aggettivo “culturale”. Apparentato è l’uomo al ferreo sistema della logica, alla civiltà col suo carico di malcontento.
Vorrei che occhi di uomo e occhi di rinoceronte rivelassero naturale armonia.
In Ionesco, la parabola del simbolo gioca il suo ruolo, i suoi molteplici ruoli.
Costringe a stanare i personaggi dalle tane “dell’acquiescenza”, mobilitandoli verso la dissoluzione o decostruzione dell’essere: un Io stretto–costretto ai virtuosi riti civili per limitare quanto possibile sentori scomodamente barbari. Oppure, per marcare il territorio d’una vocazione da conquistare, quasi un divenire cavalleresco di provetti “paladini” – quali Lancillotto e Bérenger.
Uno ha Ginevra, amante e Regina fedifraga, l’altro ha l’ideale che precipita e muore: Daisy, la fuggitiva.
Eppoi, di quale vocazione stiamo parlando?! Non servire piatti prelibati e vini DOC ai rinoceronti vegetariani, o seguire la verità della paura che ci travolge a tal punto d’asservire il Male?
Mah! Davvero crediamo che la democrazia sia “un ritorno alla bontà originaria dell’uomo”? (cfr. Protagora). È questo il sano primitivismo?
La parola “civiltà” è carica di vibrazioni etiche e morali, retaggio cumulativo della nostra autostima. La contrapponiamo a barbarie, a ferocia, a bestialità addirittura, mentre significa niente più che “vivere nelle città” (Bruce Chatwin, Anatomia dell’Irrequietezza).
Il rinoceronte ioneschiano è la “bestia” urbana. Jean, Daisy, Dudard, Papillon, perfino Bérenger (prima dell’atto finale) – i manchevoli d’autostima. Difatti, tanto ne vivono la pochezza che optano per il sacerdozio metamorfico di un pensiero mai stato, accettando umiliazione e sconfitta. Fuori dalla logica canonica del comportamento “civile”.
E se uno dei tanti interrogativi ioneschiani ponesse l’accento sulla mancata formazione di un immaginario fertile, mancato pronunciamento allo stupore, addizionando rinuncia su rinuncia per rinunciare infine alla vita stessa? L’evoluzione, il cambiamento che Vita t’offre scartando l’abuso dell’abitudine, troppe fissità comportamentali, la scansione di meccanismi psicologici e mentali che ottundono: piacere, orme assolate, valori acquisiti? La natura. Quella che noi intendiamo come scoperta, viaggio, iniziazione e, perché no? Nomadismo irrinunciabile…
Foto: Drammaterapia, Rhino, Jean, foto-elaborazione di E. Gioacchini, 2009
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