Giovedì 4 giugno 2009, h. 20,30 -sede-
sponsorised by Creative Drama & In-Out Theatre
Nell’ultimo atto de “Il Rinoceronte”, Berenger condensa il senso del proprio “impatto” mortificante e glorioso con la vita. Ionesco gli conferisce quelle che Maslow, nella sua piramide dei bisogni -Hierarchy of Needs-, definirebbe il 5° livello, ovvero il bisogno personale di autorealizzazione ed ancora più oltre, forse, l’esperienza di vetta, per la quale, almeno provvisoriamente potrebbe essere trascesa la condizione samsarica dell’ordinario stato di coscienza. Tutto sembra sfuggire alla “logica comune”, a quella stessa logica che i suoi compagni di vita gli avevano proposto sino a qualche tempo prima, quale baluardo alla deriva del suo bere (Dudard), alla “incultura” della sua ragione (Jean). Ionesco riflette transferalmente nel personaggio la personale peplessita a cui la vita conduce quando ti fa essere capace di domande ed assolutamente insoddisfatto delle risposte. Sembra che atavicamente come anche qualche secolo fa, ancora riecheggi la disilussione eliocentrica ed il suo intrinseco senso di impotenza! "I see myself torn apart by blind forces rising from my innermost self and clashing in some desperate unresolved conflict . . . it is clear that I can never know who I am, or why I am"…” I try to project onto the stage an inner drama . . . I want only to render my own strange and improbable universe” (E. Ionesco, in Note e Contronote al Teatro).
Tutti, intorno a lui, hanno mostrato l’assenza di un pensiero, sorretti come automi imperfetti da una sterile logica, timorosi solo nel fallire nel principio di non contraddizione e Berenger intuisce che forse proprio questo li ha portati a “trasformarsi” in Rinoceronte. Egli, così “disconnesso” dalla vita, a ragione del proprio insulso modo di condurla –come criticato dagli altri-, deve suo malgrado forzosamente coinvolgersi in essa, grazie alla furia dell’evento nuovo. Non gli rimane che il rifiuto per la realtà omologante che lì fuori dilaga e si diffonde come una epidemia. Non ha però verità da contrapporre; tutte quelle delle persone più sagge di lui sono rimaste schiacciate e trasformate; non una regola o motivo, ma solo se stesso, a costo della propria vita, persino risucchiato da essa, se dovesse accadere, perché incapace di comprenderla: “Sono l’ultimo uomo, e lo resterò sino alla fine! Io non mi arrendo! Non mi arrendo!”
Proprio qui il tema dell’Assurdo di Ionesco, il senso di un universo ineffabile che sembra sfuggire ad ogni comprensione e che cerca nel mondo, in adozione, spiegazioni ed ideologie e promette di rassicurare in cambio della rinuncia all’identità del singolo, al dolore del proprio atto di coscienza. Sembra, dunque, che l’Uomo Berenger possa perdere tutti i contenuti condivisi, ma non la “dignità” della propria condizione. E’ totalmente “assurdo” questo dolore che ora scopre quotidianamente nascosto dalla speranza dell’amore (Daisy), dell’amicizia (Jean), del piacere (il suo bere), ma si esproprierà anch’egli, come gli altri, della propria paura, fingendo di camminare tranquillo per le strade tra i girotondi di rinoceronti in corsa sulle strade falsamente pulite dell’esistenza di prima? Se così, sarà oramai divenuto anch'egli uno di loro, irreparabilmente. Il senso di questa irreparabilità è proprio nella distanza –si osservi solo apparentemente eroica- tra Berenger e tutto il resto, nulla che dia spiegazioni, nulla che protegga dalla minaccia.
Attraverso i tre atti, il personaggio compie il suo simbolico viaggio -illusoriamente ermeneutico- nel tentativo di salvare l’Uomo. Non è forse sempre la vita con i suoi improvvisi, grotteschi, "assurdi” eventi a tentare il risveglio della coscienza? Atto doloroso, come quei barriti a ritroso nella nostra storia evolutiva ed ora così distanti dall’universo ragionevole che vorremmo avere. Non serve la logica a rassicurare l’anima e Berenger non ha più nessuno con cui “fare anima” (Hillman); l’universo, da un certo momento-spazio in poi, ha imparato ad “urlare” nella collisione di sue due stelle, ma questo non ha aggiunto alcuna verità che conforti. Necessario riscoprirsi naviganti e sapere che le stelle, per qualche strana studiata convenzione, possono aiutarti.
Foto: "Dramatherapy, Rhinoceros, 3 act", disegno e foto-elaborazione di E. Gioacchini
1 commento:
Secondo la mia visione i Rinoceronti rappresentano la metamorfosi dei personaggi Ioneschiani : vuoti, banali, con lo stesso copione per ognuno di loro intercambiabile, intesa come un'acquisizione di personalità, un' esigenza di ribellione interiore alla passività del loro stabilito personaggio, una metamorfosi spontanea per una vita insostenibile rinchiusa dentro luoghi comuni che li rende un'umanità di zombie dormienti.E' come un risveglio, un' impulso involontario di ruggire, non compreso, che finalmente trova la sua evidenziazione in una metamorfosi esteriore. Quanto di più evidente ci può essere nella trasformazione animalesca?...ma comunque, sempre per assurdo, ci si trasforma ritrovandosi di nuovo in mezzo ad altri Rinoceronti che hanno subito la stessa evoluzione involontaria e questo a sottolineare che il cambiamento non deciso non serve per la salvezza della specie, è la metamorfosi ponderata, valutata e magari anche non attuata (come nel caso di Berenger )che può apportare una ricchezza interiore per la coscienza di essere. Il paradosso ? l' avere una coscienza, in questo caso, è scambiato per pazzia, assurdità per l'appunto.Il tutto è rafforzato attraverso l'esagerazione dell'evento descritto dall'opera. Qui, di conseguenza, c'è un'approvazione dell'assurdo da parte di questi esseri dormienti, in realtà incoscienza comune nelle vesti di una finta coscienza.
Hitler approfittatore con coscienza di potere sull' incoscienza manovrabile della massa.
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