"Quando nominiamo la ‘psiche' evochiamo simbolicamente l'oscurità, la più fitta che possiamo immaginare"
Carl Gustav Jung
L’illusione è quanto pensavamo credibile, augurabile, possibile nell’atto del disilluderci. Essa possiede la verità della negazione soltanto quando si disvela tale; prima, appunto, come dice Nina, quel “muto sentore d’implacabile verità”, che forse già ci accompagna –meno muto, ovvero meno nascosto- quando quell’attesa sta già per tradirci e lo avvertiamo.
Nel teatro, la profezia è già disvelata; lì, scarna di dolore perché già decisa, se tu non glielo dai, è attaccata al personaggio, ed egli ti chiede supplichevole il miracolo del “come se…” -come un medium intercedente da parte dell’autore- di essere interpretato, di dare svolgimento a quanto di scoperta, dolorosa o d’amore. Il medodo, Stanislavskij od altro, il percorso attoriale ti aiuta in questo paradigma della finzione scenica; prende le tue corde, tra affetto e sentimento e ti fa suonare quel drama, lo usa come un gigantesco specchio dove far riflettere il dolore dell’uomo e quindi la speranza della salvezza da esso. Lo spettatore non soddisfa i suoi occhi, le ghiandole lacrimali o soltanto le contrazioni diaframmatiche utili al sorriso; è il suo inconscio a riattualizzare dentro e fuori la compagnia di vicende simili, ricostituendo ancora per magia la simbiosi duale con il “materno”, il “paterno”, il luogo familiare dove non si è soli.
Carl Gustav Jung
L’illusione è quanto pensavamo credibile, augurabile, possibile nell’atto del disilluderci. Essa possiede la verità della negazione soltanto quando si disvela tale; prima, appunto, come dice Nina, quel “muto sentore d’implacabile verità”, che forse già ci accompagna –meno muto, ovvero meno nascosto- quando quell’attesa sta già per tradirci e lo avvertiamo.
Nel teatro, la profezia è già disvelata; lì, scarna di dolore perché già decisa, se tu non glielo dai, è attaccata al personaggio, ed egli ti chiede supplichevole il miracolo del “come se…” -come un medium intercedente da parte dell’autore- di essere interpretato, di dare svolgimento a quanto di scoperta, dolorosa o d’amore. Il medodo, Stanislavskij od altro, il percorso attoriale ti aiuta in questo paradigma della finzione scenica; prende le tue corde, tra affetto e sentimento e ti fa suonare quel drama, lo usa come un gigantesco specchio dove far riflettere il dolore dell’uomo e quindi la speranza della salvezza da esso. Lo spettatore non soddisfa i suoi occhi, le ghiandole lacrimali o soltanto le contrazioni diaframmatiche utili al sorriso; è il suo inconscio a riattualizzare dentro e fuori la compagnia di vicende simili, ricostituendo ancora per magia la simbiosi duale con il “materno”, il “paterno”, il luogo familiare dove non si è soli.
Nel processo drammaterapico accade questo e qualcosa di anche diverso: il "dramma" vuole attraversarti, che si risvegli più o meno silenziosamente la tua storia, si solleciti la dialettica con un autobiografia invisibile, del possibile-altro dentro di te, riaprendo il ventaglio delle opzioni. In tal senso, ad ogni passo, la “profezia” –come la storia dovrebbe andare a finire, per dirla volgarmente- rischia -essa sì!- il tradimento, il sovvertimento degli affetti e delle idee conosciute. Ad accompagnarti nell’"Ade", il regista, i compagni di cordata, forse speleologi peggiori di te; ma è la loro motivazione, come la tua, ad essere bussola in questo viaggio. Nella peggiore delle ipotesi, se catarsi non avviene, quel processo ti mette in profonda discussione: il dialogo degli opposti approda a lidi nuovi, inusitati se all’usato” ti spingeva la parte. Perché questo avvenga, perché quel fiore del Miyrtillocactus Geometrizans possa nascere, lungo il fusto spinoso -perché imprevedibile- del suo verde “cinico” e schivo alla “bellezza” formale, serve la tua autenticità. Essa nasce dalla disperazione-senza-pianto -"distanza estetica" dal drama- di perdere ogni “stampella”, da quel nudo atto di auto-penetrazione -Grotowsky- che ti chiarisce e ti fa visibile nella tua fragilità, a te stesso ed agli altri, senza peccato. Un processo silenzioso che si sostituisce a quello altrettanto “muto” dell’illusione. E' lì che puoi usare e credere nell'aiuto della centralità del tuo "ruolo" nella parte, lungo l'asse che sciamanicamente ti situa tra terra e cielo a renderti responsabile della tua storia e delle sue possibilità. In mezzo a strade già tracciate, belle, brutte, grandi o strette, ora vi è la Tua e questo è "ri-nascita".
Foto: "Myrtillocactus Geometrizans"
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