@ da Nina
a proposito di..."The Sea Gull, Fourth Act: KONSTATIN GAVRILOVIÈ ..."
Ciascuno di noi vive un rapporto transferale con un preciso personaggio cechoviano. Accarezzandolo, l’attore lo fa suo; altrimenti si effonde, in lui, un economo ripudio: conferma che il ruolo assegnatogli è quello giusto. Comprendo che per alcuni assumere l’identità del personaggio possa diventare non solo insopportabile, ma crei un dissidio interiore non trascurabile. Gli elementi trasfigurati che la “mano” del Director porge, ci trasformano in funamboli, in bilico tra sogno e realtà. Un passo occasionale e cadi giù. Così stramazzi per terra scorgendo l’irreparabile durante la caduta, senza un’accogliente rete salvavita: per metafora, vorresti solo braccia possenti che amorosamente ti accogliessero “nella quiete dell’abbraccio”. Sì, vorresti braccia. Al diavolo la rete! Tuttavia, se quell’abbraccio accade, sappiamo che esiste solo nel sogno. E allora viene la voglia di strappare il copione. Questa realtà è scomoda. Fa male. Si tinge del lutto di Maša: nero perenne, non-colore egoisticamente infaticabile nel proporsi. Il nero assorbe le pigmentazioni colorate del vivere, costringe nella strettoia delle esistenze, la morsa avvincente del cappio rivelatore.
Kostja si rivela, teme il cappio senza evitarlo. Povero Kostja: gli occorrerebbero più anticorpi, una sostanziale elaborazione corticale affettiva per stimolare le sue difese neuroimmunitarie. Tutto è finito. Kostja lo sa. Kostja è l’unico a saperlo. La sua detestabile consapevolezza arreca disturbo. È antipatico, melenso, nichilista, perché ha il coraggio di rivelarsi nudo, fragile, senza vergogna nel palesare il suo disperato dolore, i sentimenti occulti. Ha a precisa volontà di non ammucchiarli nello scantinato delle menzogne o dell’ipocrisia. Viene da amarlo questo Kostja, nella rilettura del Director. In fondo, la sua parete rocciosa riesce a scalarla. Ed è solo nell’impresa, perché non c’è madre, non c’è Nina. Emergono da un sogno, vive, palpitanti, Irina Arkadina e Nina Zarecnaja: “donne impossibili” anelate, amate,consumate. Ciononostante, nelle loro imperfezioni umane, da amare indissolubilmente. Riesce assurdo non degnarle di qualunque sentimento, pure nello scarto generazionale che le ricompone entità unica. Se la donna è «capace di eroismo morale» (Clemente Rebora), Irina e Nina non portano in sé nessun elemento eroico. Aggiungo: per fortuna! L’eroismo non fa parte della fiction cechoviana: si elude, almeno nel Gabbiano. a realtà scomoda, inusitata, si raccoglie nel pallore livido fatto di nervi, rabbia e parossismo di Kostja. La madre l’immobilizza, lo inchioda con le sue “mani”. Esse portano con sé amore ed impostura, il ricordo di un bambino in riva al lago. Il bambino-felice: l’uomo-infelice. Ogni “mano” insostituibile è la “mano” che vorremmo fare nostra. Le “mani” sono testimonianza d’affetto, tenerezza, amore, passione. Chi accetta di essere accarezzato non potrà più farne a meno. Vale in qualsiasi rapporto d’amore, ed è peggio dello sniffo al tabacco di Maša, se quelle “mani” vengono poi a mancare. Un uomo e una donna sono i predestinati. Credo fermamente che l’uomo manifesti lunghi tempi di solitudine prima di concedere dolcezza ed intensità. Teme di confondersi, scoprirsi incongruo, instabile. La donna, invece, sarebbe capace di farsi lisciare da “lupi e leoni”: vedi Irina e Nina con Trigorin. Pur di essere amate, esse fanno qualsiasi cosa; pur di raggiungere il successo o riconfermarlo; abbandonano nel solito scantinato gli affetti più intimi. Ed è sempre lui che manca dal loro universo: Kostja.
Kostja non fa che sognare e sperare, ormai drogato di mancanze, con la disillusione in atto. Fonde quel pianto amaro di rimpianti e desideri, slabbrandosi la pelle con un proiettile. Kostja scrive una struggente lettera alla madre, e commuove questo passaggio:“… ora comprendo che è quanto si dice ad avere importanza; quella è la vera bellezza del pensiero, quella che scaturisce dall’anima […] Ho lottato, senza volerlo… vi giuro, contro il vostro disprezzo acredervi, perché voi non mi avete creduto… Perfino Boris Alekseevic trascinaste via per il timore di perdere l’amore, mentre avrei sperato che fosse il dolore di vostro figlio a farvelo allontanare dal lago, dalla mia Nina […] Se non puoi avere quello che ami, è la tua speranza, dentro di te, che muore […] Il mio stesso amore mi uccide…”
“Quando un sentimento muore,” –avrebbe potuto rispondergli l’Arkadina–“fosse Boris Alekseevic a lasciarlo morire, o Nina nella condizione di donna corrotta, oppure io, che ti generai perché ti possedessi come una cosa buttata là… Una cosa da fasciare, accudire, viziare tra un mio vizio e l’altro. Tra un vizio e l’altro rammentarmi madre, e per una volta soltanto farti sentire di averti amato non come una cosa buttata là, abbandonata al disfacimento morale, e infine dimenticata… ". Tua madre una grande attrice, ma non ama la verità!... Spera solo di perdere il senso di ciò che è stato… E allora, giunga benedetta la censura del dolore attraverso il tempo! Aiuti a modificare, nel patrimonio della memoria, le ‘mani’ che avvolsero il figlio senza mai stringerlo…”Cosa resta a Kostja? Amare per non essere ri-amato. Ancora una volta il dualismo fatale illusione-disillusione. Fatale perché lo porterà ad unepilogo gestuale: Kostja, così eternamente ladro e derubato dei suoi stessi pensieri, infatuato speleologo della parola teatrale, lui rimodellerà il gesto della “mano”. Lui, soltanto lui, farà ritorno alla “mano” carezzevole. E saprà amarsi dentro l’amore negato, facendo volare il suo gabbiano. Credo che lo spalancarsi di quelle splendide ali non debba suonare comeconsolazione. La consolazione è lo strumento raccogliticcio dei perdenti. Solo –senza l’invocazione della “mano”– e finalmente libero, egli si proclama elemento Aria.Kostja sarà di ritorno da quel volo. Lo ritroveremo trasformato, dopo il fiotto sanguinolento della sua breve esistenza. Le sue “mani” estatiche non avranno limiti. Si abbandonerà in un abbraccio nuovo, infinito, d’incanto. Una donna –a riceverlo.
Saprà ricominciare, aperto a un vero amore inaspettato. No: predestinato.
a proposito di..."The Sea Gull, Fourth Act: KONSTATIN GAVRILOVIÈ ..."
Ciascuno di noi vive un rapporto transferale con un preciso personaggio cechoviano. Accarezzandolo, l’attore lo fa suo; altrimenti si effonde, in lui, un economo ripudio: conferma che il ruolo assegnatogli è quello giusto. Comprendo che per alcuni assumere l’identità del personaggio possa diventare non solo insopportabile, ma crei un dissidio interiore non trascurabile. Gli elementi trasfigurati che la “mano” del Director porge, ci trasformano in funamboli, in bilico tra sogno e realtà. Un passo occasionale e cadi giù. Così stramazzi per terra scorgendo l’irreparabile durante la caduta, senza un’accogliente rete salvavita: per metafora, vorresti solo braccia possenti che amorosamente ti accogliessero “nella quiete dell’abbraccio”. Sì, vorresti braccia. Al diavolo la rete! Tuttavia, se quell’abbraccio accade, sappiamo che esiste solo nel sogno. E allora viene la voglia di strappare il copione. Questa realtà è scomoda. Fa male. Si tinge del lutto di Maša: nero perenne, non-colore egoisticamente infaticabile nel proporsi. Il nero assorbe le pigmentazioni colorate del vivere, costringe nella strettoia delle esistenze, la morsa avvincente del cappio rivelatore.
Kostja si rivela, teme il cappio senza evitarlo. Povero Kostja: gli occorrerebbero più anticorpi, una sostanziale elaborazione corticale affettiva per stimolare le sue difese neuroimmunitarie. Tutto è finito. Kostja lo sa. Kostja è l’unico a saperlo. La sua detestabile consapevolezza arreca disturbo. È antipatico, melenso, nichilista, perché ha il coraggio di rivelarsi nudo, fragile, senza vergogna nel palesare il suo disperato dolore, i sentimenti occulti. Ha a precisa volontà di non ammucchiarli nello scantinato delle menzogne o dell’ipocrisia. Viene da amarlo questo Kostja, nella rilettura del Director. In fondo, la sua parete rocciosa riesce a scalarla. Ed è solo nell’impresa, perché non c’è madre, non c’è Nina. Emergono da un sogno, vive, palpitanti, Irina Arkadina e Nina Zarecnaja: “donne impossibili” anelate, amate,consumate. Ciononostante, nelle loro imperfezioni umane, da amare indissolubilmente. Riesce assurdo non degnarle di qualunque sentimento, pure nello scarto generazionale che le ricompone entità unica. Se la donna è «capace di eroismo morale» (Clemente Rebora), Irina e Nina non portano in sé nessun elemento eroico. Aggiungo: per fortuna! L’eroismo non fa parte della fiction cechoviana: si elude, almeno nel Gabbiano. a realtà scomoda, inusitata, si raccoglie nel pallore livido fatto di nervi, rabbia e parossismo di Kostja. La madre l’immobilizza, lo inchioda con le sue “mani”. Esse portano con sé amore ed impostura, il ricordo di un bambino in riva al lago. Il bambino-felice: l’uomo-infelice. Ogni “mano” insostituibile è la “mano” che vorremmo fare nostra. Le “mani” sono testimonianza d’affetto, tenerezza, amore, passione. Chi accetta di essere accarezzato non potrà più farne a meno. Vale in qualsiasi rapporto d’amore, ed è peggio dello sniffo al tabacco di Maša, se quelle “mani” vengono poi a mancare. Un uomo e una donna sono i predestinati. Credo fermamente che l’uomo manifesti lunghi tempi di solitudine prima di concedere dolcezza ed intensità. Teme di confondersi, scoprirsi incongruo, instabile. La donna, invece, sarebbe capace di farsi lisciare da “lupi e leoni”: vedi Irina e Nina con Trigorin. Pur di essere amate, esse fanno qualsiasi cosa; pur di raggiungere il successo o riconfermarlo; abbandonano nel solito scantinato gli affetti più intimi. Ed è sempre lui che manca dal loro universo: Kostja.
Kostja non fa che sognare e sperare, ormai drogato di mancanze, con la disillusione in atto. Fonde quel pianto amaro di rimpianti e desideri, slabbrandosi la pelle con un proiettile. Kostja scrive una struggente lettera alla madre, e commuove questo passaggio:“… ora comprendo che è quanto si dice ad avere importanza; quella è la vera bellezza del pensiero, quella che scaturisce dall’anima […] Ho lottato, senza volerlo… vi giuro, contro il vostro disprezzo acredervi, perché voi non mi avete creduto… Perfino Boris Alekseevic trascinaste via per il timore di perdere l’amore, mentre avrei sperato che fosse il dolore di vostro figlio a farvelo allontanare dal lago, dalla mia Nina […] Se non puoi avere quello che ami, è la tua speranza, dentro di te, che muore […] Il mio stesso amore mi uccide…”
“Quando un sentimento muore,” –avrebbe potuto rispondergli l’Arkadina–“fosse Boris Alekseevic a lasciarlo morire, o Nina nella condizione di donna corrotta, oppure io, che ti generai perché ti possedessi come una cosa buttata là… Una cosa da fasciare, accudire, viziare tra un mio vizio e l’altro. Tra un vizio e l’altro rammentarmi madre, e per una volta soltanto farti sentire di averti amato non come una cosa buttata là, abbandonata al disfacimento morale, e infine dimenticata… ". Tua madre una grande attrice, ma non ama la verità!... Spera solo di perdere il senso di ciò che è stato… E allora, giunga benedetta la censura del dolore attraverso il tempo! Aiuti a modificare, nel patrimonio della memoria, le ‘mani’ che avvolsero il figlio senza mai stringerlo…”Cosa resta a Kostja? Amare per non essere ri-amato. Ancora una volta il dualismo fatale illusione-disillusione. Fatale perché lo porterà ad unepilogo gestuale: Kostja, così eternamente ladro e derubato dei suoi stessi pensieri, infatuato speleologo della parola teatrale, lui rimodellerà il gesto della “mano”. Lui, soltanto lui, farà ritorno alla “mano” carezzevole. E saprà amarsi dentro l’amore negato, facendo volare il suo gabbiano. Credo che lo spalancarsi di quelle splendide ali non debba suonare comeconsolazione. La consolazione è lo strumento raccogliticcio dei perdenti. Solo –senza l’invocazione della “mano”– e finalmente libero, egli si proclama elemento Aria.Kostja sarà di ritorno da quel volo. Lo ritroveremo trasformato, dopo il fiotto sanguinolento della sua breve esistenza. Le sue “mani” estatiche non avranno limiti. Si abbandonerà in un abbraccio nuovo, infinito, d’incanto. Una donna –a riceverlo.
Saprà ricominciare, aperto a un vero amore inaspettato. No: predestinato.
Foto: "Drammaterapia, The Sea Gull, Cechov"
1 commento:
Vabbe', Nina, adesso che ho letto questo post, ho deciso che devo assolutamente leggere 'Il Gabbiano'.
Si', lo so, vergogna: non l'ho ancora letto, anche se, una delle ultime volte che ci siamo incontrati, il Director mi ha detto che anch'io sono un gabbiano.
Uno dei meravigliosi gabbiani che popolano la mia Scozia, le cui grida si sentono intorno, come una colonna sonora al presente e ai ricordi del passato. Grida che suonano disperate e gioiose; dolorose, eppure forti e determinate.
Tornare a vivere qui, in mezzo ai gabbiani, e' stata per me una scelta di liberta' e di amore. Di amore per il cielo, a volte grigio scuro, come il mare, eppure rassicurante, a volte azzurro e macchiato di nuvole candide, in cui questi gabbiani disegnano danze e cantano storie che mi sono sempre rimaste nel cuore.
Grazie, Nina :)
xxxEmy
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