@ da Azzuro
(commento a "...you need to reconnect...")
Il bambino non è un bambino. E’ un Esploratore. Cammina su un pianeta che non è il nostro, sotto un cielo che non è il nostro. Si avventura in un mondo sconosciuto, senza paura e senza timore. Incosciente nel senso più puro del termine, nel senso non negativo, di colui che non è cosciente perché non ha riferimenti esperienziali. Occhi vergini, limpidi, pieni di curiosità e di meraviglia. Trabocca di emozioni sconosciute, avvolto in un profondo godimento, mastica ogni dettaglio su cui si posa il suo sguardo, lo gusta e lo assapora soddisfatto. Ogni suo passo è un po’ come il famoso passo di Neil Armstrong. Un grande passo per se stesso, un balzo in avanti che lo proietta verso nuovi orizzonti, nuove frontiere, nuovi universi. Oggetti carichi di negatività incontrati lungo il tragitto, escrementi di cane o di uccello, animali velenosi, piante urticanti, sono colti con un genuino stupore, uno studio appassionato privo di pregiudizi e condizionamenti, che passa per il contatto, le sensazioni tattili, olfattive, gustose, uditive…In questo viaggio, un po’ il capostipite dei viaggi, non c’è meta. Il viaggio in sé è la meta. Una meta che si rinnova sempre perché indefinita e intangibile. Siamo sempre tutti ossessionati dalla meta, dal fine, dai traguardi. Ma spesso la meta è la fine, la morte dei nostri desideri e delle nostre ambizioni. Raggiungere lo scopo agognato ci lascia insoddisfatti, ci accompagna un senso di sgomento, di “cosa faccio adesso?”. Siamo un po’ come proiettati in avanti, desiderosi della nostra evoluzione, concentrati sui nostri obiettivi. E perdiamo il gusto del quotidiano, del viaggio, solitamente molto più lungo e duraturo della meta. Forse bisogna un po’ perdersi nel quotidiano, ritrovare il gusto delle cose scontate, già fatte mille e ancora mille volte. Ma possiamo sempre riscoprirle con occhi nuovi, da nuove prospettive ed angolature. Ritrovare il gusto del caffè della macchinetta dell’ufficio, solitamente bevuto durante una conversazione un po’ futile e, in fondo, neanche assaporato.
(commento a "...you need to reconnect...")
Il bambino non è un bambino. E’ un Esploratore. Cammina su un pianeta che non è il nostro, sotto un cielo che non è il nostro. Si avventura in un mondo sconosciuto, senza paura e senza timore. Incosciente nel senso più puro del termine, nel senso non negativo, di colui che non è cosciente perché non ha riferimenti esperienziali. Occhi vergini, limpidi, pieni di curiosità e di meraviglia. Trabocca di emozioni sconosciute, avvolto in un profondo godimento, mastica ogni dettaglio su cui si posa il suo sguardo, lo gusta e lo assapora soddisfatto. Ogni suo passo è un po’ come il famoso passo di Neil Armstrong. Un grande passo per se stesso, un balzo in avanti che lo proietta verso nuovi orizzonti, nuove frontiere, nuovi universi. Oggetti carichi di negatività incontrati lungo il tragitto, escrementi di cane o di uccello, animali velenosi, piante urticanti, sono colti con un genuino stupore, uno studio appassionato privo di pregiudizi e condizionamenti, che passa per il contatto, le sensazioni tattili, olfattive, gustose, uditive…In questo viaggio, un po’ il capostipite dei viaggi, non c’è meta. Il viaggio in sé è la meta. Una meta che si rinnova sempre perché indefinita e intangibile. Siamo sempre tutti ossessionati dalla meta, dal fine, dai traguardi. Ma spesso la meta è la fine, la morte dei nostri desideri e delle nostre ambizioni. Raggiungere lo scopo agognato ci lascia insoddisfatti, ci accompagna un senso di sgomento, di “cosa faccio adesso?”. Siamo un po’ come proiettati in avanti, desiderosi della nostra evoluzione, concentrati sui nostri obiettivi. E perdiamo il gusto del quotidiano, del viaggio, solitamente molto più lungo e duraturo della meta. Forse bisogna un po’ perdersi nel quotidiano, ritrovare il gusto delle cose scontate, già fatte mille e ancora mille volte. Ma possiamo sempre riscoprirle con occhi nuovi, da nuove prospettive ed angolature. Ritrovare il gusto del caffè della macchinetta dell’ufficio, solitamente bevuto durante una conversazione un po’ futile e, in fondo, neanche assaporato.
Foto: "Tibet Blu" di Nina Maroccolo, collezione privata, 2006
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