Il conduttore (director) ora interviene, partecipando il processo e dirigendolo. Il rischio è, infatti, che la "vicenda" interna prenda la strada del pregiudizio conosciuto, percorra le direzioni usate, vietando l'approdo a nuovi percorsi, vanificando l'esperienza drammaterapica. Al regista specifico di ognuno con se stesso ("in"), si affianca quello che proviene dall'esterno ("out"). L'intenzione è quella di togliere esclusività allo spontaneo adattamento psicodinamico sollecitato, alla ricerca di nuove risposte (drama). L'iniziale approccio è, in questo caso, inizialmente "delicato"; riproduce in tal modo, enfatizzandolo, il carattere di "estraneità" a quanto si svolge nei soggetti -il reale-, ma, al tempo stesso, protegge da un "risveglio" inopportuno, uno strappo dall'in all'out . L'Io è fuori, rappresentato dal conduttore dove proiettare la dimensione interna; mentre la "regressione" fornisce dall'interno il materiale in forma di drama. Successivamente il "contatto" della direzione con la scena può divenire, dove utile, anche in modo intenso e violento, sotto la forma di "incursioni" nella scena inconscia dei soggetti o in calibrati "ritiri" a promuovere l'esame della realtà (hypnodrama).
Dalla dimensione delle due interpreti, il conduttore passa lentamente alla interazione con la "scena di fuori", l'esplosione del kamikaze, a mediare un nuovo passaggio negli interpreti, questa volta non spontaneo. Qualcosa di quanto appartenente alla scena "interna" che si è appena svolta, ora è nuovamente trasportato fuori (proiezione), per nuove "prove", accostamenti, distinguo. Viene evitata così la "fuga" dalla scena, il disinvestimento libidico, l'esito della sua trasformazione in l'auto-compiangimento. In questa fase (vedi foto), il conduttore si aggira tra le parti scomposte del kamikaze scoppiato, rappresentato da numerosi corpi (realtà simbolica); tanti kamikaze a terra, quanti gli spettatori, ad estendere il processo ad interpreti e pubblico. Dalle sedie comunque comode-scomode della visione del pubblico, il processo sollecita la dimensione di un teatro "totale" (CDIOT). L'interazione del conduttore insieme "salva" e "condanna" allo spettacolo (Grotowsky), nel senso che il contatto dello sguardo -la sua partecipazione empatica- "conforta" e "costringe" al dolore della "rappresentazione". Non vi è salvezza senza morte, anche al di fuori di una esegesi cristiana, giacchè la trasformazione è insieme perdita e conquista, propedeutica al cambiamento. In tale dimensione performativa, il dolore può essere modulato ed assurge ad elemento di progresso e mai condanna. E' proprio questo aspetto della conduzione che fa evolvere l'interprete verso una performance dove l'empatia (simbolicamente il senso di colpa proprio dell'osservare, dell'essere "fuori" e potenzialmente "dentro") è "comburente" e mai "scoria" della combustione.
Al "movimento" del conduttore, segue, specularmente, quello degli interpreti. Il loro drama si manifesta nella parte visibile, continuando a sollecitare il processo catartico. Non è più soltanto qualcosa di loro (nel conduttore), ad interagire nella scena -vedi precedente fase-, ma sono loro stessi a farsi "interpreti" nell'interprete... Ho chiamato questo momento della piece del Il Kamikaze "consolazione": brandelli di corpo sono toccati, parzialmente sollevati e lasciati ricadere; qui la pietas è "matura", evoluta rispetto ai primi momenti. Anche gli interpreti a terra hanno la possibilità di ragire al tocco "taumaturgico" che salva, nella misura in cui desiderano e sono pronti per la "salvezza". La liturgia si sta celebrando (Grotowsky) nel rispetto delle specifiche persone e tempi del processo individuale/gruppale.
Foto: Foto di scena de "Il Kamikaze". CDIOT, 21 dic. 2009
1 commento:
Credevo di essere forte.. Credevo di riuscire sempre.. consideravo gli altri.. No, non li consideravo proprio.
Poi è successo qualcosa, il dolore si è fatto sentire, i dubbi sono diventati sempre più forti, e per anni ho vagato alla ricerca di qualcosa che non conoscevo, che forse non troverò mai.. Poi qualche spiraglio di luce, la certezza che la vita è qualcosa di più. L'animo umano è complesso e meraviglioso e l'equilibrio tra la miriade di fattori che ci compongono e ci circondano, ci stimolano e ci attraversano, è fluttuante e instabile. Per questo continuerò a farmi "del male" a fianco al Director, cercando di non "accomodarmi sulle cose che conosco". Troppo facile percorrere le vecchie strade, e troppo spesso mi viene ancora in mente di mollare tutto e.. andare.. Gianni
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