E' la giustificazione per l'attentato suicida del 30 dicembre in Afghanistan in cui sono rimasti uccisi 8 agenti Cia. E' quanto ha affermato lo stesso giordano nel video-testamento diffuso oggi dalla tv al Jazira. Il padre dell'attentatore ha confermato l'identita' del figlio, lo definisce un martire e per la sua morte accusa la politica Usa nella regione"
Quanta tregua regala ha il fermo immagine di quanto ricade al suolo dopo la deflagrazione? Non puoi "rallentarlo" in eterno; non puoi "negare" la pellicola, nè farla scolorire sotto la luce pungente di un proiettore acceso a piacere...Così, dopo lo scoppio, i nostri spettatori ne hanno riprodotto l'eco. Crudele, silenzioso, quasi immoto. Non vi è stata più distinzione tra la recita di ciò che si è e di quanto ci viene raccontato, perchè nessuna moviola a sottolineare un "fuori gioco" che annulla l'azione, banalizza l'attacco, contravviene i goal nella tua testa. Ospiti, loro, ospiti gli attori, ospite il luogo e le luci ed il silenzio. Importante performance del pubblico, grande amicizia con la Storia, un sentimento che fa male, senza eroismi, denudato dalla retorica della "guerra", dei "confini", della "fede".
La devastazione dei luoghi della vita è un simulacro assolutamente povero rispetto all vita fatta brandelli. Carmen e Tonina sconconvole: il pubblico è scoppiato insieme agli attori. Quale kamikaze, quale moltiplicazione del "morire" a muovere il drama che "nasce", embrione della coscienza che ha bisogno della propria "storia" per vivere. Ed allora sono gli occhi di questa madre e di questo figlio a proiettare la scena. Essa, la scena giace con il loro sguardo immobile, mentre-lo dicevamo. il cielo ancora sta precipitando insieme pezzi di carne e di terra, per tornare alla finta quiete del nulla, che nulla non può più essere. Tutto non è avvenuto, chiede con poetà uno spazio di supplenza al poi e la coscienza cresce, assoldando un fragoroso dolore, muto, ma violento, fatto più di paralisi che di atti.
Madre e figlio (nella piece Carmen interpreta il ruolo del "figlio") crollano insieme a tutto. Sedute, dentro la loro anima continua la caduta di tutto, della speranza fondamentalmente. La pietà assolutamente "egoistica" verso quanto rimane di quanto era stato e sarebbe potuto essere ancora. Il processo drammaterapico lavora verso i due poli: ruba alla scena per ricrearla dentro, il più spesso silenziosamente. Allora l'attore, l'interprete appare irretito, l'hypnodrama addormenta la soglia di consapevolezza dell'individuo, quasi naufrago tra appigli incapaci di trattenere, sorreggere, dirigere. Una importante regressione lavora al servizio dell'Io.
Ora, quanto della realtà fisica è fuori può essere lasciato "fuori". Tutto è stato messo dentro, rapinato dalla scena e processato nella "scatola nera". L'immobilità si scioglie ed il dolore diventa umido, cerca il contatto, la condivisione: ha inizio il processo di catarsi. Il figlio si abbraccia alla madre, così poco figlio se è stato abbandonato, così poco madre se ha lasciato andare. La "iscrizione" del senso di colpa dona un amaro conforto, forse il pentimento farà risorgere; momento importante per importanti "rivelazioni", oltre la nevrosi verso la capacità della "perdita".
Foto: Foto di scena de "Il Kamikaze". CDIOT, 21 dic. 2009
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