@ Plinio Perilli
È pericoloso. “Un rinoceronte in libertà è pericoloso… ” ammette Berenger già nell’atto primo del capolavoro di Eugène Ionesco (Le rhinocéros, 1959). Ma l’equazione è insieme banale e sapientissima… Perché è anche e ancor più pericoloso –dopo tutta la costruzione e l’ammonimento antropocentrico della sua pièce – che un rinoceronte non sia, in libertà! Cioè a dire, nella savana o nei continenti che più gli aggradano. Figurarsi –invece– nell’abitato educato, pedante e maldestro d’una piccola cittadina di provincia francese, in pieni, grigi e sconsolanti anni ‘50…
BERENGER Tutti i pompieri! Sono tutti dei rinoceronti! Un reggimento di rinoceronti con la banda in testa!
DAISY Sfilano sul viale!…
BERENGER È la fine, la fine!
DAISY … altri rinoceronti escono dai portoni!
BERENGER … dalle case…
DUDARD … persino dalle finestre…
DAISY … e raggiungono gli altri!
A un certo punto della rappresentazione, viene quasi da credere che questa satira serissima, anzi drammatica, metta al centro, incarni (o meglio incorazzi) nel rinoceronte scorrazzante e poderoso, la stessa terribile irruenza della vera libertà mal gestita…
La vera Libertà (il vero paventato e poi apparso rinoceronte), fa paura, destabilizza e schiaccia tutto – sgomina i luoghi comuni, carica e incorna tutto e tutti, a cominciare dalle nostre assurde, fedifraghe coscienzuole di borghesi insopportabilmente postromantici, e finanche esistenzialisti…
Che il teatro dell’assurdo fosse un netto passo in avanti perfino rispetto al glorioso teatro esistenzialista (da una cui costola pur nacque!), certo lo pensarono in molti.
Dopo ogni guerra mondiale del ‘900, ricominciare, ricostruirsi, originò un teatro che davvero spaccava in quattro quel che restava dell’Io… Un Io che neppure più i romanzieri sembravano in grado di gestire, di rinfrancare o tacitare, secondo il caso. Pirandello fu il miglior figlio dramatico della Grande Guerra, dove tra pazzia e realtà, nemmeno al suo Enrico IV (1922) era dato stabilire un confine…
Dopo l’ancor più atroce Seconda Guerra Mondiale, chiusa (o forse peggio prolungata) dalla bomba atomica, potevano ormai ben poco perfino gli struggenti dramma di Sartre e Camus. Caligola (1944-45) impazziva per davvero, ma lo salvava in fondo la Storia, e soprattutto la società allargata dei finti sani, dei pagani apostoli creduloni in una qualche ancora “Normalità”…
Adesso Enrico IV era Ezra Pound, imprigionato a Livorno in una gabbia di ferro come (vero, lucido) sano, e liberato come (finto) pazzo… Poteva infatti rimanere in un manicomio criminale il (notoriamente) più grande poeta del ‘900?
“Soltanto ossa e cuoia stanno fra te e il τò παν”,
[toh pan, il tutto]
Certo che no – e il nostro stesso ‘900 non l’avrebbe saputo tollerare… Sarebbe stato come vedere una carica di rinoceronti dentro una delle nostre quiete, sane, un po’ noiose ma smaliziate cittadine…
Ma ora, e per davvero –solo ora– l’Assurdo poteva gloriosamente andare in scena, intavolare scene e gangli e dialoghi di sopraffina ma urticante verità interiore...
BERENGER (sempre più seccato) Non sta a dimostrare un accidente! È tutto un rebus, una pazzia!
DUDARD Prima di tutto bisognerebbe stabilire che cos’è la pazzia…
BERENGER La pazzia è la pazzia, no?! La pazzia è semplicemente pazzia! Lo sanno tutti che cos’è la pazzia! E i rinoceronti, sono pratica o teoria?
DUDARD L’uno e l’altro.
BERENGER Come sarebbe a dire l’uno e l’altro?
DUDARD L’uno e l’altro o l’uno e l’altro. È da vedere.
BERENGER Allora a questo punto io… io mi rifiuto di pensare!
Davvero Ionesco mostra la società umana come priva, anzi deprivata, o quasi, di realtà: ne rappresenta gli aspetti fenomenici solo per rivelare il nulla che li sottende. Un Nulla insieme quotidiano e gnoseologico, conversevole e metafisico. E in questo disvelamento minimo e supremo tra realtà e nulla, egli accelera e abbraccia uno stile che riprendeva le deformazioni linguistiche di un Alfred Jarry (Ubu re esce nel 1896, Ubu incatenato nel 1900), perfettamente capovolgendo –ha scritto Alberto Savini– la “règle du jeu”… Ionesco, e per sua stessa ammissione, persegue, a colpi di nonsenso, una morbida ma accanita lotta “contro l’eterno borghese che è dentro di noi, quello che spunta sempre di qua o di là d’ogni sovrastruttura sociale”…
Di padre rumeno e madre francese, Eugène Ionesco (1912-94), esistenzialisticamente diviso fra Bucarest e Parigi, ha sempre vissuto sulla propria pelle le incongruenze ma anche le scappatoie, i bizantinismi duttili e feroci del linguaggio. Ed è il linguaggio l’anima ricettiva, senziente e amplificata degli uomini e dei problemi che immette sul palcoscenico dei suoi drammi, di volta in volta frammentati, ameni o implacabili d’assurdità: La cantatrice calva (1950), La lezione (1951), Le sedie (1952)…
L’Assurdo che già fu caro a Sartre e Camus (ma soprattutto a Beckett, Adamov, Tardieu, Vian & Co. …), trova in lui l’alfiere più lucido e insieme tagliente, più sarcasticamente capzioso e sillogista:
Surrealismo verbale? Anticommedia? No, non bisogna aver paura di sottolineare l’aspetto ludico –eminentemente esorcistico– dei drammi di Ionesco. Gli estremi, si sa, si toccano… E poi, De Monticelli ha ragione, “Ionesco si serve della deformazione del linguaggio usuale per far saltare in aria la realtà e scoprirne gli aspetti segreti, grotteschi, feroci”… Il Nostro stesso non ci lascia dubbi, specie quando rapporta tanta scombiccherata e scudisciante maieutica ad un travagliatissimo parto d’autocoscienza:
“Il problema è di andare all’origine delle nostre angosce, di ritrovare il linguaggio non convenzionale di queste angosce, forse attraverso la disarticolazione di quel linguaggio sociale che è composto di clichés, formule vuote, slogan”…
E dunque, altro che umorismo “informale”! –come pur molti lo rubricarono… Del resto, pur ondivagando tra le più riuscite riduzioni (che calamitarono, per intenderci, da Jean-Louis Barrault ad Orson Welles, sino ai nostri Glauco Mauri e Mario Scaccia, per la regia di Franco Enriquez del ’61), è ormai acclarato il forte valore didattico di quest’opera che ambisce, inopinatamente, a darci un ultimo disperato, paradossale, certo, e ribaltato messaggio umanista:
BERENGER ……………. Troppo tardi, adesso! È finita, sono un mostro! Sono un mostro! Non diventerò mai più un rinoceronte, mai, mai, mai!… Non posso più cambiare. Vorrei tanto, ma non posso, non posso! E non posso più sopportarmi, mi faccio schifo, ho vergogna di me stesso! (Si volta, spalle allo specchio) Come sono brutto! Guai a colui che vuole conservare la sua originalità! (Ha un brusco sussulto) E allora, tanto peggio! Mi difenderò contro tutti! La mia carabina, la mia carabina! (Si volta verso la parte di fondo dove si vedono le teste di rinoceronte. Urlando) Contro tutti quanti mi difenderò, contro tutti quanti! Sono l’ultimo uomo, e lo resterò fino alla fine! Io non mi arrendo! Non mi arrendo!
Resta un uomo, cioè un mostro… Equazione indicibile, inaccettabile, eppure perfettamente veridica e, come dire?, sperimentabile… È vero che di continuo cerchiamo, ci illudiamo di cambiare… Ma nemmeno i sognanti incubi lirici dei più temprati surrealisti, erano giunti a tanto… Neanche il “Sesto animale” di Guy Cabanel, era giunto a tanto:
“… È il gigante dalle cosce di pelliccia che oltrepassò la soglia e apparve allo scopo di seminare il terrore per lui salutare nelle coscienze che neppure osano sussurrare il suo nome.
Nella campagna che tace, anguilla, tu corri via tra l’erbe alte per sorprendere il colloquio degli uccelli della notte e, nei risvolti dei sentieri, annusare i passi dei lupi.
Ma le macchie della luna vengono a avvilupparti la schiena di luminescenze sinistre ove corrono come pulsazioni gli zebù di borace che a grandi cadenze nascono dal semplice gioco dellev tue cupe passioni il cui riflesso ti carica il volto dell’accesa nebbia propria alle immensità dell’aria”…
Ma qui, con Ionesco, il palcoscenico dell’Io è fin troppo bene illuminato, e non c’è bisogno di salvarsi con le vie di fuga dei sogni visionari, degli incubi tantrici, spettrali eppure fecondi d’umanità risvegliata… Ci viene in mente un’antica, terrifica intuizione di Leopardi, che il 28 luglio 1823, prendendo appunti nel suo prezioso, inzeppato e lungimirante Zibaldone, aveva il coraggio di ammettere, a nome di noi bipedi razionali tutti, pitecantropi eretti verso il Moderno, la nostra spaventevole, vanitosa e mostruosa umanità malcelata. Di mostri, nel genere umano, ce ne sono di più che in qualsiasi altra specie animale… “Mostruosità e difettosità d’ogni sorta”…
Impossibile anzi comprendere tutte le mostruosità (chiamiamoli i Rinoceronti!) dell’esistenza: “L’esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un’imperfezione, un’irregolarità, una mostruosità” (17-22 aprile 1826)…
La Malattia Chiamata Uomo di Nietzsche, rimane una fervida, un po’ ingenua gita scolastica, una tenera divagazione da luna-park…
Mostri veri o nascosti, metamorfosati o in incubazione, è lo stesso: la verità chiama metafora, e viceversa. Mentre un branco mentale di Rinoceronti, variegati unicorni o bicornuti, invade anche il villaggio o la metropoli di queste pagine e barrisce, solleva polvere, schiaccia tutti i gatti, o gli stereotipi, o i Berenger male armati di fucili o controretorica, insomma gli Io spaiati, accoppiati o collettivi che sia dato trovare sul loro massacrante e livellante percorso.
E l’unica Libertà che ci confina, che ci resta, è forse solo quella di vivere, di accettare, di educare (non basta, rinnegare!) tale umanissima, ohibò, umanistica, denudata, suadente e sincera Mostruosità:
BERENGER …………. Come vorrei avere una pelle ruvida, e quel magnifico colore verde scuro……… (Ascolta i barriti) Il loro canto è attraente, forse un po’ rauco, ma certo attraente! Se potessi anch’io cantare così! (Cerca di imitarli) Aah! Aah! Brr! Brr!