
Dov’è, dove è stata inghiottita? Precipitata in quella di una balena più grande di voi a far eco nella sua pancia? “Papino, papino dove sei?”– Pinocchio era stato improvvisamente attraversato dalla mancanza di suo padre, finito -per salvarlo nella bocca della Balena…Ed ora reclamava la sua presenza; tutti e due nella pancia, percorso all’indietro delle loro storie. Eh sì, perchè se non conosciamo della madre di Geppetto, certamente Pinocchio una madre non deve averla mai avuta. Solo sognata e ricercata…la Fatina ed ora quella grande pancia a far eco alla sua esplorazione del mondo. “Papino, papino…dove ti trovi? Ci sei?”.
La vostra voce, anch’essa deglutita nelle vostre gole…che dirlo più forte quel “Papinooo?”, può far ricordare che non c'è, non c’è stato, non si è stati fortunati o capaci di conquistarlo o metterci al suo posto? L’astensione dal conflitto con il nostro passato, indebolisce la voce, la riduce a segnale di un “non-posto”; l’immersione incosciente in esso regala la grottesca arroganza della nostra guerra al mondo! Per questo l’eco ci regala meraviglia –la graziosa importanza del nostro esserci, più che di aver comunicato-, o la terribile paura di essere stati scoperti. E non è questo il senso del mito: la grave punizione di essersi prestata all’inganno –la voce, la nifa, l’eco- e sospirare rinsecchita per sempre in una roccia in prossimità di uno stagno?
Il senso della nostra esistenza “prestata” all’altro, con la subdola richiesta di riuscire a farla vivere? L'impossibilità ad esistere, amata, fuori, da Narciso?
Nella fuga silenziosa dentro un "non-posto" tra i boschi, come a parlare solo con noi, nell'eco silenzioso, anch'esso, del "Io sono" di un Narciso impazzito perchè non può amarsi?
E l’urlo rabbioso di Narciso, all’improduttivo moto d’amore verso se stessi?
Come potrebbe, se l'amore è quel misterioso e magnifico arco riflesso che torna a me dopo un viaggio rischioso ed eccitante fuori -perchè eccitati i miei recettori- a riparlarmi di me, pericolato nell'esistenza dell'altro e tuttavia forse salvo?
Ed allora, questa voce che deve fare, dove deve andare?
Domande sbagliate, cari attori, chiederci piuttosto di cosa deve parlare Essa porta noi, fuori! Poco altro da dire: noi, fuori… Dentro la pancia dei nostri ripensamenti, nel ripiegamento riflessivo –pure utile- della nostra voce che ci parli dentro, c’è la promessa di un’antica carezza…
Ma ora, cresciuti, questa fiorisce fuori. E va cercata, chiamata per nome, provata fuori. Ecco perché voglio la vostra voce, desinenza invisibile di tutte le declinazioni e dei predicati possibili. Director
Foto: "Echo" di Alexander Cabanel
1 commento:
Ieri alle prove pensavo che nonostante il carattere assurdo dei dialoghi Ioneschiani, quei personaggi mi sarebbe piaciuto farli nel modo più “serio” e “vero” possibile, cioè mettendoci la mia umanità, che è vera. Solo così quei personaggi potranno essere un modo per esplorare me stesso, mettermi in moto, sondarmi e pescare dentro, e in definitiva per sentirmi vivo anche mentre provo a fare teatro. D’altronde, in questo nostro teatro c’è una dialettica tra l’attore e il personaggio che l’attore stesso va a interpretare, e l’esito di questa dialettica non è scontato: l’attore -individuo- può avere difficoltà ad interpretare un dato personaggio, e allora si chiederà perché sorgono in lui tali difficoltà, e cercando di rispondersi andrà a scoprire o ad innescare qualcosa dentro di lui, per poi arrivare ad un maggior grado di consapevolezza o autenticità; oppure potrà sentirselo calzare maggiormente, e anche in tal caso potrà riflettere sul perchè. E ci sarà poi il gruppo dei compagni di teatro che potrà esprimere comunque le sue sensazioni, per dar conto così anche delle impressioni che ha un occhio esterno rispetto a quello interno dell’attore. Sì, ieri sera mi sembrava intollerabile “non vivere” quello che facevamo, perché ogni momento della nostra vita andrebbe vissuto essendo pienamente noi, mettendo in moto e attivando tutto noi stessi. E’ una riflessione questa che penso sia cominciata la scorsa settimana, quando mi sono reso conto, dopo aver interpretato il ruolo del capoufficio con un vocione impostato, che invece avrei preferito in fututo usare la “mia” voce, e non riprodurre un qualche cliché che impedisce a quello che c’è di originale e mio dentro me di uscire fuori e manifestarsi e essere e mettermi tutto in moto. Anche le mie difficoltà nell’interpretare un ruolo sono importanti, non fosse altro che per il fatto che sono mie e sono vere. Ciao!
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