@ Nina
Si è frantumata la montagna.
Tace il corpo - tace l’anima - tutto tace. Tacito è il tempo, fedele
al corpo.
Ignorando il pericolo - il pericolo venne a me. Ignorai avvisaglie
per suprema ignoranza.La montagna sacra, barbaramente calva nella dinamica dell’essere, tramortì all'indirizzo sbagliato. Ma forse quel suo positivo
linguaggio, espressione di capriole sdrucciolevoli, sposò l’intento
d’un granitico bastone di roccia: e furono percosse, botte, mazzate
dolenti. Ecchimosi, lividi, desideri estinti.
E ancora: imprecazioni impastate nell’alta fornace del cielo:
“Spero di averti resa migliore,” disse la montagna.
“Telegrafica sassaiola, non hai compassione verso il fallimento…”
fiatai malanima.
Mi parve di volare come un bianco Gabbiano. La Tigre che fui,
seppi ch’era libera.
Mi riconobbi in un piccione bigio stramazzato al suolo. Schiantate
pure le volatili, artigliate illusioni:
“Puoi abitare luoghi solo abbandonandoli…” disse la frantumata
mitraglia.
Mi ricomposi. Mi alzai. Rimasi immobile e dritta: terraferma,
appunto. MadreTerra di Me stessa -ripetevo come trascesa in un
mantra.
Piovvero fiori di pietrisco e fango sulla testa.
Riassumendomi: rimasi sepolta perché la volontà espressa sino a
quel momento si era manifestata con l'impostura. Si rivelò non-
volontà, da sé medesima legittimata.
Credevo di volare. Un volo bellissimo... poi- la caduta.
Mi sono presa a randellate da sola.
Iniziai un nuovo cammino rigorosamente a piedi nudi. M'imposi di
farli sanguinare. Esempio di verismo verghiano, giacché stufa d’un
misero autolesionismo o andature pseudo-francescane.
Quanto avrei resistito alle botte in testa, alle lacerazioni ai piedi?
Sommità del corpo, Nord e Sud di un panico movimento femminile.
Tace il corpo - tace l’anima - tutto tace. Tacito è il tempo, fedele
al corpo.
Ignorando il pericolo - il pericolo venne a me. Ignorai avvisaglie
per suprema ignoranza.La montagna sacra, barbaramente calva nella dinamica dell’essere, tramortì all'indirizzo sbagliato. Ma forse quel suo positivo
linguaggio, espressione di capriole sdrucciolevoli, sposò l’intento
d’un granitico bastone di roccia: e furono percosse, botte, mazzate
dolenti. Ecchimosi, lividi, desideri estinti.
E ancora: imprecazioni impastate nell’alta fornace del cielo:
“Spero di averti resa migliore,” disse la montagna.
“Telegrafica sassaiola, non hai compassione verso il fallimento…”
fiatai malanima.
Mi parve di volare come un bianco Gabbiano. La Tigre che fui,
seppi ch’era libera.
Mi riconobbi in un piccione bigio stramazzato al suolo. Schiantate
pure le volatili, artigliate illusioni:
“Puoi abitare luoghi solo abbandonandoli…” disse la frantumata
mitraglia.
Mi ricomposi. Mi alzai. Rimasi immobile e dritta: terraferma,
appunto. MadreTerra di Me stessa -ripetevo come trascesa in un
mantra.
Piovvero fiori di pietrisco e fango sulla testa.
Riassumendomi: rimasi sepolta perché la volontà espressa sino a
quel momento si era manifestata con l'impostura. Si rivelò non-
volontà, da sé medesima legittimata.
Credevo di volare. Un volo bellissimo... poi- la caduta.
Mi sono presa a randellate da sola.
Iniziai un nuovo cammino rigorosamente a piedi nudi. M'imposi di
farli sanguinare. Esempio di verismo verghiano, giacché stufa d’un
misero autolesionismo o andature pseudo-francescane.
Quanto avrei resistito alle botte in testa, alle lacerazioni ai piedi?
Sommità del corpo, Nord e Sud di un panico movimento femminile.
Seme dopo seme avanzai. Non riconobbi né segni né incognite: mi
fronteggiò Paura, l’archeologa dell’interiorità. Senza umiltà sostai
nel luogo inconfessato.Ne rimasi paralizzata. Peggio della Medusa.
La Medusa mi fa piangere ancora…
*
Un cartello segnaletico, una macchina, un uomo distinto: tale Mr.
Hube.“Mi perdoni, credo d’essermi perduto. Sa dirmi precisamente dove
mi trovo?”
“Precisamente lei si trova sotto una montagna franata, in mezzo ai
miei detriti... Non è per scortesia, ma debbo andare.”
“No signorina! Attenda, la prego… Mi chiamo Alexander Hube…”
“… e deve recarsi nella contea di Mr. Godot.”
“Esatto...!”“Riferirò a Mr. Godot che lei è qui. Non si preoccupi, verrà a
prenderla.”
Da quel momento Alexander Hube conobbe l’attesa, l’Om e le stelle.
fronteggiò Paura, l’archeologa dell’interiorità. Senza umiltà sostai
nel luogo inconfessato.Ne rimasi paralizzata. Peggio della Medusa.
La Medusa mi fa piangere ancora…
*
Un cartello segnaletico, una macchina, un uomo distinto: tale Mr.
Hube.“Mi perdoni, credo d’essermi perduto. Sa dirmi precisamente dove
mi trovo?”
“Precisamente lei si trova sotto una montagna franata, in mezzo ai
miei detriti... Non è per scortesia, ma debbo andare.”
“No signorina! Attenda, la prego… Mi chiamo Alexander Hube…”
“… e deve recarsi nella contea di Mr. Godot.”
“Esatto...!”“Riferirò a Mr. Godot che lei è qui. Non si preoccupi, verrà a
prenderla.”
Da quel momento Alexander Hube conobbe l’attesa, l’Om e le stelle.
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