Blue in Rebecca, "Blue Beard, To Want, To Need, To Be", 17 dicembre 2010 |
@ director
Rebecca non è soltanto orrore della scoperta e prima ancora diritto alla conoscenza (quella del volto "nascosto" del suo amato), Rebecca è fallimento della Speranza. Nessuna speranza può sorreggersi senza quelle premesse, sia pur minime, che ne fanno positiva proiezione della mente, dislocata in un tempo diverso (ce lo insegna la psicanalisi), anche capace di dislocare e rispondere al nostro passato, oltre che al futuro. Rebecca è stata promessa al suo sposo dalla famiglia; nel rito collettivo è stata dissimulata merce di scambio per l'emancipazione di tutto un clan ed è la stessa famiglia (sic) che deve finalmente salvarla dalle braccia del "mostro". Se pensiamo, poi, che una volta scoperta nel suo "vile" curiosare (come le parole di Bababablù descrivono), la giovane sposa è capace di sottomettersi nuovamente alla sua ira, promettendo amore ed obbedienza dentro all'orrore appena scoperto, finiamo, paradossalmente, per vedere anche Barbablù vittima dell'architettura della storia, della fiaba; perchè ancora prima vittima del suo fallito sogno d'amore: una donna che gli obedisse. Ma vi è un'altra lettura, un sottotesto che solo la modernità ci può dare, per la medesima psicodinamica del raccnto, vista la collocazione storica della fiaba.
Nel tragico stupore del proprio fallimento, quando non vi sono più appigli a cui sorreggersi, è l'illusione che qualcosa possa essere ancora salvato ad ingannarci. Che il nostro "Destino" sia una partita a scacchi dove se solo potessimo correggere una mossa, rivelatasi errata, tutta la nostra importante partita potrebbe avere una epilogo differente! Il senso di colpa che frustra diventa allora, improvvisamente, complice del persecutore, ci chiede quell'opera di espiazione che sembra promettere ancora quella particola di potere perduto nel cambiare gli eventi. La minaccia che si erige davantia noi , frustrando la nostra aspirazione (la vita, la libertà, ecc) ci fa colpevoli quanto il nostro persecutore in una sorta di paradossale identificazione con lui (ma l'inconscio non bisticcia con i paradossi). La Sindrome di Stoccolma bene descrive questa situazione e spiega quanta deferente fiducia si possa riporre in chi ci sta facendo del male, consapevolmente o meno; quanto si possa giungere ad amare al posto di odiare; quanto, in fondo, il nostro narcisismo, messo alle strette, possa dislocare verso questa disperata inversione degli affetti la sua attenzione.
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