@ Director
Dopo la fatica e il successo di Blue Beard, in una fase di apparente quiete del processo drammaterapico (nessuna piece in programmazioine, laboratori sospesi fino al nuovo anno), quanto è stato giocato nella preparazione e nella performance finale continua comunque a svolgere un sottile lavoro interno. La tematica affrontata, i laboratori che si sono succeduti a ritmi incalzanti, un director che certo non si può dire non sia esigente hanno messo tante di quelle riflessioni dentro che è ora sospettabile una lenta restituzione fuori; si spera catartica ed utile, ma sta anche all'attenzione degli "attori", realizzarla. Parodiando la storia, vorremmo che nessuna Rebecca rimanga imprigionata nel castello, preda delle paure e scrupoli, dei rimorsi o timorosa di fare una brutta fine. Che insieme a Barbablù, la coorte di tutti gli altri personaggi sentisse la responsabilità condivisa di costruire un "mondo" migliore (mi riferisco al nostro modello del mondo, perchè quello fuori, purtoppo è devastato da volgari sdegni, parole violente, gesta che sono un vero abominio per la coscienza dell'Uomo); che il gruppo avvertisse il senso di crescita realizzato in questi otto mesi di Atelier e che io sento di attestare, mentre ne mancano appena due, ma fondamentali, per tirare le somme di un viaggio "spettacolare" tra i disegni della nostra mente, complici i ricordi, i timori, le speranze, le risorse!
Desidero soffermarmi su quella dinamica altre volte discussa di come lavora la drammaterpia e come possa aver lavorato nella performance finale del nostro teatro drammaterapico. Una foto (quella allegata) servirà da puntuale esemplificazione di quanto ora stiamo per illustrare.
Essa descrive due personaggi, tratti da istantanee di un video quando si era a metà del nostro percorso di Atelier (giugno 2010), intenti a danzare con compagni non rappresentati con il medium di un bambù. Tutti ricorderanno quell'esperienza, intensa e particolare, dove si esplorava la relazione con l'altro attraverso emozioni, in uno spazio e tempo condivisi. Tuttavia, l'immagine presenta i due attori insieme, mentre essi appartengono a luoghi della sala, tempi ed esperenza relazionale differenti (non stavano danzando insieme). Eppure quanto si osserva cerca disperatamente di metterli in relazione, nonostante abbia precisato che luogo, tempo e compagni di danza fossero altri. In realtà la danza fu complessa e svolta simultaneamente da diverse coppie ed un aspetto di esperienza comune spinge anche questi due raffigurati a danzare insieme. Il gioco di prospettiva, luce, inclinazioni, contrasti aiuta l'illusione e poi, soprattutto, il bellissimo rapporto tra i due partecipanti fotografati ce li fa "relazionare" oltre ogni esame di realtà.
IL processo drammaterapico "lavora" in questo modo ed io ho forzato il fotomontaggio per rappresentarlo. Luogo e termpo condivisi in una esperienza comune eppure differenziata portano i partecipanti ad attivare due diversi livelli: quello della comunanza e quello della differenziazione. Tutti e due giocano nella dimensione ritualistica (qui costituita dalla danza) del gruppo. In talisituazione ricordi lontani ed anche il "rimosso" sono sollecitati a dislocarsi dalla periferia della nostra anima per bussare più forte all'uscio della coscienza, in un moto figurato apparentemente opposto a quello che ha portato Rebecca a guardare dentro, "guardarsi" dentro. Emergono allora sensazioni che non sono meccanicamente dipendenti solo dal percetto (quello che il partecipante sperimenta sensorialmente) ma dall'IMMAGINARIO, per una restituzione emotiva ed intelligente all'Io cosciente.
Ecco quello che accade quando si fa drammaterapia: si scopre che lo stesso mostro spaventa differentemente le persone, che la stessa fata affascina diversamente quelle, che i dialoghi di fuori non esauriscono l'infinita possibilità di altri dialoghi interni. Propedeutica del cambiamento. Dodici anni fa, proprio in questi giorni di dicembre mi trovavo a Phonix ad un importante meeting internazionale della Ericksonian Foundation. Avevo fatto a piedi il breve pezzo di strada che mi separava dallo SDheraton Hotel, luogo dove si sarebberoi svolti i lavoroi congressuali e sorseggiavo un caffè, tassativamente "americano (!), nel bar adiacente alla hall. Dopo qualche istante, in cui cercavo di familiarizzare con volti e luogo, mi vedo davanti Paul Watzlawick e signora, anche loro intenti a prendere del caffè. Proprio lì era difronte a me uno dei miti della conoscenza psicologica, uno dei genitori della terapia sistemica e familiare, il propugnatore per eccellenza del cambiamento ("Change"), amico strettissino e collaboratore di Milton Erickson scomparso già 17 anni prima. Momento emotivo e poi mi ci metto a parlare; non sono timido e la mia iniziativa è premiata da quella grande umanità e saggezza che Watzlawick possiede. Tra un discorso e l'altro, parlando di terapia ipnotica, egli mi dice una cosa straordinaria che ancora oggi risuona nelle mie orecchie con la sua voce profonda da poliglotta (in italiano), capace di leggere nella babilonia della menti: "...le persone possono cambiare e spesso lo fanno, aiutate o meno da noi terapeuti, ma dire esattamente sempre cosa sia successo...è una grande illusione". Perla di umiltà e scienza insieme. E' questo che desidero dirvi: il processo drammaterapico smuove, disloca da dentro dicevamo, mette in relazione cose lontane e diverse (come nella foto), ci mette in crisi, potenzialmente spinge ad una omeostasi psicologica che non sia a costo di sintomi o disarmonie, ma sta sempre a noi, volere e sentire oltre le situazioni ed imparare a leggere in quelle. Bon silenzioso lavoroe riposo, ragazzi.