Caro Bérenger,
ero certa che non m’avresti più ritrovata. Invece, appena cinquanta miglia ci separano: sembrano cinquant’anni di dormiveglia, in attesa d’una carezza divina.
Se tu mi scrivi, ora dormiamo, perché domani è vicino. Basta che io cammini negli anni imperdonati, raccogliere ciliegie di stagione, e con piedi nudi strusciare la pelle dei papaveri, petali dall’anima nuova e nuvole… tra l’umida terra levigata di speranza.
Ti porterò velluto rosso, ciliegie floreali e vino d’annata. Brinderemo, bruciando gli archivi dei ricordi, e... il destino smetterà di nascondersi, se ancora mi ami!
Lo saprò domani. Prima che ti arrivi questa mia, racconterò sottovoce come un uomo e una donna credono ancora di essere fermamente se stessi: lui, immutato. Lei, mutata per guarire sudari d’ogni tempo vissuto.
Cosa è successo, ti chiederai?
I miei vecchi compagni rinoceronti volevano la mia presenza, portando come sigillo d’alleanza la rinuncia all’amore. Dovevo unirmi alla forza del branco, perché in quella forza aggregante riconoscessi tutta la mia e la loro debolezza.
Tu hai mai compreso che eravamo destinati alla rinocerontite? Jean, in un momento di fuggiasca lucidità, si convinse che era l’unica via per risanare conflitti, affrontare l’irrisolto, farsi portatori di un sé rinnovato, aperto, in armonia col mondo.
Avrei abbandonato la donna che ero, inutile, banale; e ne avrei preso coscienza – proprio come Jean, Dudard, Papillon avrebbero recuperato un altro Jean, Dudard e Papillon migliori…
Bérenger, amore mio, siamo andati incontro all’epidemia affinché ci curasse… Eravamo troppo malandati per definirci umani; così seriali, accondiscendenti, vuoti: senza identità… Ah!, le nostre pubbliche virtù divenute inesorabili vizi! Tutti insieme a ingoiare polvere, sino ad otturare i polmoni.
Addomesticati prima. Addomesticati poi. Tra eccessi e malanni, malati d’una malattia sorda… eppure credevamo nella memoria. E faceva male… Ci sentivamo perduti a noi stessi… Da rinoceronti non riuscimmo a ricordare la nostra scomparsa da umani. I nostri corpi erano spariti! Insieme ai corpi, le nostre responsabilità.
Ci obbligammo alla memoria, pietà non acconsentita.
Dovevamo vivere la malattia sino in fondo. Azzerare tutto, e poi rinascere.
Forse ritrovammo la ragione nel momento in cui perdemmo il passato. Guarimmo nel momento in cui la corazza cadde a pezzi, mentre percorrevamo il presente con fatica e paura.
Trovammo macerie, detriti, cadaveri, fili spinati… Non ne sapevamo nulla.
La corazza cadde quando ci raccontarono della Guerra.
L’orrore, in noi. La memoria. La consapevolezza. Il dolore. La pelle nuda.
E, infine, le mani. Scavare la terra con le mani per seppellire i nostri resti.
Com’è la mia nuova vita, Bérenger?! Sono veterinaria, curo gli animali. Sono abbastanza serena…
La tua Daisy non ha mai smesso di amarti, sai! Neanche da pachiderma! Desidera riaverti, ritrovarti. E ritrovandoti, riuscire a perdonarsi… almeno un po’.
Daisy (NINA)
ero certa che non m’avresti più ritrovata. Invece, appena cinquanta miglia ci separano: sembrano cinquant’anni di dormiveglia, in attesa d’una carezza divina.
Se tu mi scrivi, ora dormiamo, perché domani è vicino. Basta che io cammini negli anni imperdonati, raccogliere ciliegie di stagione, e con piedi nudi strusciare la pelle dei papaveri, petali dall’anima nuova e nuvole… tra l’umida terra levigata di speranza.
Ti porterò velluto rosso, ciliegie floreali e vino d’annata. Brinderemo, bruciando gli archivi dei ricordi, e... il destino smetterà di nascondersi, se ancora mi ami!
Lo saprò domani. Prima che ti arrivi questa mia, racconterò sottovoce come un uomo e una donna credono ancora di essere fermamente se stessi: lui, immutato. Lei, mutata per guarire sudari d’ogni tempo vissuto.
Cosa è successo, ti chiederai?
I miei vecchi compagni rinoceronti volevano la mia presenza, portando come sigillo d’alleanza la rinuncia all’amore. Dovevo unirmi alla forza del branco, perché in quella forza aggregante riconoscessi tutta la mia e la loro debolezza.
Tu hai mai compreso che eravamo destinati alla rinocerontite? Jean, in un momento di fuggiasca lucidità, si convinse che era l’unica via per risanare conflitti, affrontare l’irrisolto, farsi portatori di un sé rinnovato, aperto, in armonia col mondo.
Avrei abbandonato la donna che ero, inutile, banale; e ne avrei preso coscienza – proprio come Jean, Dudard, Papillon avrebbero recuperato un altro Jean, Dudard e Papillon migliori…
Bérenger, amore mio, siamo andati incontro all’epidemia affinché ci curasse… Eravamo troppo malandati per definirci umani; così seriali, accondiscendenti, vuoti: senza identità… Ah!, le nostre pubbliche virtù divenute inesorabili vizi! Tutti insieme a ingoiare polvere, sino ad otturare i polmoni.
Addomesticati prima. Addomesticati poi. Tra eccessi e malanni, malati d’una malattia sorda… eppure credevamo nella memoria. E faceva male… Ci sentivamo perduti a noi stessi… Da rinoceronti non riuscimmo a ricordare la nostra scomparsa da umani. I nostri corpi erano spariti! Insieme ai corpi, le nostre responsabilità.
Ci obbligammo alla memoria, pietà non acconsentita.
Dovevamo vivere la malattia sino in fondo. Azzerare tutto, e poi rinascere.
Forse ritrovammo la ragione nel momento in cui perdemmo il passato. Guarimmo nel momento in cui la corazza cadde a pezzi, mentre percorrevamo il presente con fatica e paura.
Trovammo macerie, detriti, cadaveri, fili spinati… Non ne sapevamo nulla.
La corazza cadde quando ci raccontarono della Guerra.
L’orrore, in noi. La memoria. La consapevolezza. Il dolore. La pelle nuda.
E, infine, le mani. Scavare la terra con le mani per seppellire i nostri resti.
Com’è la mia nuova vita, Bérenger?! Sono veterinaria, curo gli animali. Sono abbastanza serena…
La tua Daisy non ha mai smesso di amarti, sai! Neanche da pachiderma! Desidera riaverti, ritrovarti. E ritrovandoti, riuscire a perdonarsi… almeno un po’.
Daisy (NINA)
Foto: Rhinoceros Fragments 34, CDIOT 2009
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