Treplev su-alla madre (Irin Nikolaevnia Arkadina) 1527 parole
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I ATTO
(Alla domanda delo zio Sorin sul perchè sua sorella sia dicattivo umore) Perché? Si annoia. (Sedendoglisi accanto). È gelosa. Ormai è contro di me, contro lo spettacolo, contro la mia commedia perché al suo letterato potrebbe piacere la Zareènaja. Lei non conosce la mia commedia, ma la odia di già.
Le fa rabbia che su questa piccola scena avrà successo la Zareènaja e non lei. (Guarda l'orologio)... una rarità psicologica, mia madre. È indubbiamente ricca di talento, intelligente, capace di singhiozzare su un volumetto, di impararti a memoria tutto Nekrasov, di curare i malati come un angelo; ma provati a lodare in sua presenza la Duse! Oh-oh! Lei sola è da elogiare, solo di lei si deve scrivere, per lei bisogna urlare, andare in delirio per l'eccezionale interpretazione della Dame aux camélias o della Voluttà della vita. Ma poiché qui, in campagna, questo narcotico non esiste, lei si annoia, si infuria, noi tutti siamo suoi nemici, tutti colpevoli. Inoltre è superstiziosa, ha paura delle tre candele, del numero tredici. È avara. Odessa ha settantamila rubli in banca, lo so per certo. Prova a chiederle un prestito, si mette a piangere.
(strappando i petali da un fiore)
M'ama, non m'ama - m'ama, non m'ama - m'ama, non m'ama. (Ride). Vedi, mia madre non mi ama. Altro che! Le piace vivere, amare, portare camicette chiare, e io ho già venticinque anni e non faccio che ricordarle che non è più giovane. Quando io non ci sono lei non ha che trentadue anni, se arrivo io diventano quarantatré, e per questo mi odia. Sa anche che io non accetto il teatro. Lei il teatro lo ama, le sembra di compiere un servizio per l'umanità, per la sacra arte; per me invece il teatro contemporaneo è una routine, un pregiudizio. Quando si alza il sipario e, alla luce della sera, in quella camera con tre pareti questi grandiosi talenti, questi sacerdoti della sacra arte rappresentano gli uomini intenti a mangiare, bere, amare, camminare, a portare la propria giacca; quando da quadri e frasi grossolane si sforzano di trarre una morale, una morale meschina, comprensibile a tutti, utile agli usi quotidiani; quando in mille varianti mi ripropongono la stessa cosa, la stessa, la stessa; allora io scappo, scappo come Maupassant scappava dalla torre Eiffel, che gli offuscava il cervello con la sua volgarità.
Sono necessarie forme nuove. Nuove forme sono necessarie, e se queste mancano, allora è meglio che niente sia necessario. (Guarda l'orologio). Io amo mia madre, profondamente; ma lei fuma, beve, convive agli occhi di tutti con quel letterato, i giornali tirano sempre in ballo il suo nome, e questo mi disturba. Talvolta in me è solo l'egoismo di un comune mortale che parla; mi dispiace che mia madre sia un'attrice famosa e mi pare che se fosse, una donna comune, io sarei più felice. Zio, cosa c'è di più disperato e stupido della mia situazione: per esempio, aveva ospiti, tutti illustrissimi, artisti e scrittori, e in mezzo a quelli l'unica nullità ero io, e mi sopportavano solo perché ero suo figlio. Chi sono? Che cosa sono? Ho lasciato l'università al terzo anno, per circostanze, come si suol dire, indipendente dalla redazione. Non ho talento, né denaro, neanche un centesimo, ma dal passaporto risulto un borghese di Kiev. Mio padre si, era un borghese di Kiev, per quanto fosse anche un attore famoso. E quando nel salotto di mia madre quegli artisti e scrittori mi degnavano della loro magnanima attenzione, a me sembrava che con i loro sguardi misurassero la mia pochezza, e indovinavo i loro pensieri e soffrivo per l'umiliazione... accanto). È gelosa. Ormai è contro di me, contro lo spettacolo, contro la mia commedia perché al suo letterato potrebbe piacere la Zareènaja. Lei non conosce la mia commedia, ma la odia di già.
Le fa rabbia che su questa piccola scena avrà successo la Zareènaja e non lei. (Guarda l'orologio)... una rarità psicologica, mia madre. È indubbiamente ricca di talento, intelligente, capace di singhiozzare su un volumetto, di impararti a memoria tutto Nekrasov, di curare i malati come un angelo; ma provati a lodare in sua presenza la Duse! Oh-oh! Lei sola è da elogiare, solo di lei si deve scrivere, per lei bisogna urlare, andare in delirio per l'eccezionale interpretazione della Dame aux camélias o della Voluttà della vita. Ma poiché qui, in campagna, questo narcotico non esiste, lei si annoia, si infuria, noi tutti siamo suoi nemici, tutti colpevoli. Inoltre è superstiziosa, ha paura delle tre candele, del numero tredici. È avara. Odessa ha settantamila rubli in banca, lo so per certo. Prova a chiederle un prestito, si mette a piangere.
M'ama, non m'ama - m'ama, non m'ama - m'ama, non m'ama. (Ride). Vedi, mia madre non mi ama. Altro che! Le piace vivere, amare, portare camicette chiare, e io ho già venticinque anni e non faccio che ricordarle che non è più giovane. Quando io non ci sono lei non ha che trentadue anni, se arrivo io diventano quarantatré, e per questo mi odia. Sa anche che io non accetto il teatro. Lei il teatro lo ama, le sembra di compiere un servizio per l'umanità, per la sacra arte; per me invece il teatro contemporaneo è una routine, un pregiudizio. Quando si alza il sipario e, alla luce della sera, in quella camera con tre pareti questi grandiosi talenti, questi sacerdoti della sacra arte rappresentano gli uomini intenti a mangiare, bere, amare, camminare, a portare la propria giacca; quando da quadri e frasi grossolane si sforzano di trarre una morale, una morale meschina, comprensibile a tutti, utile agli usi quotidiani; quando in mille varianti mi ripropongono la stessa cosa, la stessa, la stessa; allora io scappo, scappo come Maupassant scappava dalla torre Eiffel, che gli offuscava il cervello con la sua volgarità.
Figlio mio caro, quando si comincia?
"E perché tu sei sprofondata nel vizio, hai cercato amore nell'abisso del delitto?".
Mamma!
No.
Mamma!
II ATTO
III ATTO
Non ti spaventare, mamma, non c'è pericolo. Allo zio ormai succede spesso. (Allo zio).Dovresti stare un po' coricato, zio.
(riferendosi al malore dello zio Sorin) Non gli fa bene vivere in campagna. Gli viene la malinconia. Vedi, mamma, se tu all'improvviso diventassi tanto generosa da fargli un prestito di millecinquecento, duemila rubli, potrebbe starsene in città tutto l'anno.
Mamma, cambiami la fasciatura. Tu lo sai fare bene.
No, mamma. È stato un momento di disperazione folle, in cui non sono riuscito a trattenermi. Non si ripeterà più. (Le bacia le mani).Hai le mani d'oro. Mi ricordo, tanto tempo fa, quando tu recitavi ancora sulle scene imperiali, io ero molto piccolo, in cortile si azzuffarono, picchiarono una lavandaia che abitava da noi. Ti ricordi? La raccolsero che aveva perso conoscenza... E tu andavi sempre da lei, le portavi le medicine, lavavi nella tinozza i suoi bambini. Possibile che non ti ricordi?
Due ballerine vivevano allora nella stessa casa... Venivano da te a bere il caffè...
Erano tanto devote.(Pausa) Negli ultimi tempi, in questi giorni, ti voglio bene con la stessa tenerezza e dedizione di quand'ero bambino. Oltre a te, non mi è rimasto nessuno. Ma perché, perché fra di noi si è intromesso quell'uomo.
Però quando gli hanno riferito che intendevo sfidarlo a duello, la sua nobiltà non gli ha impedito di far la parte del vigliacco. Parte. Che fuga vergognosa!
Io rispetto la tua libertà, ma anche tu devi permettere a me di essere libero e di avere con quell'uomo il rapporto che credo. Un'anima nobile! Ecco, tu ed io stiamo per litigare a causa sua, e lui intanto chissà dove, in salotto o in giardino, se la ride di me e di te, si sta coltivando Nina, cerca di convincerla una volta per tutte che lui è un genio.
Io non lo stimo. Tu vorresti che anch'io lo ritenessi un genio, ma, mi scuserai, non so mentire, le sue opere mi danno la nausea.
I veri talenti! (Con rabbia).Io ho più talento, di voi tutti, se proprio lo vuoi sapere! (Si strappa la benda dal capo).Siete tutti vittime della routine, avete abbrancato il primato nell'arte e ritenete legge e verità soltanto ciò che fate voi, e tutto il resto lo calpestate e soffocate! Non vi riconosco! Non riconosco né te, né lui!
Va' al tuo caro teatro a recitare in commedie da quattro soldi e di bassa lega!
Spilorcia!
(Treplev si siede e piange in silenzio)
Se tu sapessi! Ho perduto tutto. Lei non mi ama, io non riesco più a scrivere... sono crollate tutte le speranze...
(le bacia le mani) Sì, mamma.
Va bene... Soltanto, mamma, permettimi di non incontrarlo. Mi peserebbe troppo... non potrei sopportarlo... (Entra Trigorin).Ecco... me ne vado... (Ripone velocemente le medicine nell'armadietto).La fasciatura me la rifarà il dottore...
IV ATTO
Ha letto la sua novella, ma della mia non ha neanche tagliato le pagine. (Appoggia la rivista sulla scrivania, poi si dirige verso la porta di sinistra; passando accanto alla madre, la bacia sulla testa).
Scusami, non ne ho molta voglia... Passeggerò un poco. (Esce).
Non voglio, mamma, sono sazio.
Non sarebbe bene se qualcuno la incontrasse in giardino e poi lo dicesse alla mamma. La mamma ne proverebbe dispiacere... (riferendosi ad uno scongiurabile incontro tra Nina e l’Arkadina)
(A destra, fuori scena, un colpo di rivoltella; tutti sussultano)
Tratto da Il Gabbiano di Anton Pavlovic Cechov
Foto: "Dramatherapy, Chekhov and His Family"