Commento sonoro: BEETHOVEN: "MOONLIGHT" SONATA
Cechov ed il “drama” dentro a “Il Gabbiano” -nella misura in cui ha messo “in atto” le nostre tematiche- ci ha sconvolto! E’ realmente “romantica” l’idea che a tratti si sia fuggiti da quanto di "antipatico" emergeva dal vissuto di un protagonista/personaggio o, ancora più ingenuo, che qualcosa di quello "proprio non ci si addicesse". Come non pensare che le fughe possiedono un dietro che spinge, molto più che un avanti che attrae. Il processo drammaterapico, invece, sottolinea proprio questo, che nell’analisi di quel “dietro”, si commutino le energie in conoscenza verso quell’avanti. E’ importante che faccia a questo punto del nostro percorso questa riflessione, perché la si possa utilizzare; infatti, lo stesso concetto di “processo” suggerisce che periodiche meta-analisi di quanto accade, pur utilizzando lo stesso strumento -lo statuto della drammaterapia in questo caso- portino a ulteriori comprensioni.
Il debito della conoscenza, sempre, è fatto dalla coscienza che assenza e presenza, comunque, siano stimoli al percorso. Se si perde, ci si smarrisce, ci si ferma…la ricerca del senso –più compiutamente sviluppata nel precedente post-, è sempre possibile; gli errori, in tal senso debbono essere interpretati come "prove d'autore" che tendono ovviamente ad assicurare la "prima"! La conoscenza pacifica anche le incertezze, i dolori e le delusioni.
Usualmente gli individui sono più portati a pensare le ragioni che fanno amare le cose e le altre persone, quello che della realtà colpisce, attrae, rapisce…ma in questo caso mia intenzione è sottolineare nel discorso le ragioni per le quali noi vogliamo essere colti come “amabili”; quelle per le quali vogliamo sentirci adatti: se è una cosa, alludiamo alle abilità che desidereremmo scoprire; se si tratta di una persona al desiderio di essere “scoperti” da lei. Ma cosa poi facciamo perché questo avvenga, così troppo impegnati ad osservare che”non sta avvenendo”?
Il nostro destino sino ad oggi ha attraversato esperienze personali che solo in una parte appartengono all’esperienza dell’altro, anche se questi è stato compagno del nostro viaggio, ad osservarle, a volte subirle e -perché nò?!- a condividerle. Vedete, guardando il nostro passato, osserviamo molte cose che non vanno, anzi moltissime che non sono andate come avremmo voluto; che sono fuggite velocemente via da noi –o noi da loro?- con l’ignoranza dei giorni e la velocità del quotidiano, che non ci hanno dato il tempo di capire o capire in tempo e cambiare perfino a volte. Però vi sono cose, anche quelle buone, che ci appartengono e alle quali non potremmo mai rinunciare, che parlano insieme sicuramente della nostra fatica e comunque io le chiamo le “ragioni per amare”. Quelle cose in cui io sono io e voglio essere amato/a per quello che sono, qualunque vicende mi abbiano attraversato, forse persino con qualche difetto, che però solo me stesso o l’amore può rendere in modo diverso. Non potrò essere amato da chiunque per come sono, sono stato e mi trasformo, ma sicuramente non vorrei che nessuno facesse la selezione su cosa amare o meno di me.
Sto dicendo che dovremmo imparare ad accettare con tranquillità anche i nostri errori passati, ad amarli, pur cambiando, perchè sono noi, la nostra storia.
Le vicende di un personaggio, sono lui. Ed è quel "lui" che si richiede possa attraversare l’interprete, nell’incontro curioso e stridente con l’alienità; il perverso ed intrigante gioco dell’identificazione, il potente e strategico processo della comprensione di noi stessi. E’ questo il teatro della drammaterapia, quello che riconduce, come più volte ho detto, al’umiltà dell’impotenza, alla forza del non sapere A quel punto, il processo condiviso ti fa sentire accettato dagli altri ed il gioco della proiezione diventa fertile allenamento al potere sulla realtà. Per questo Kostia rimane in bilico senza mai precipitare, ad onta del "romanzo" di Cechov, perchè il lettore, l'interprete ha un grande potere; deve solo decidere di volerlo usare.
Cechov ed il “drama” dentro a “Il Gabbiano” -nella misura in cui ha messo “in atto” le nostre tematiche- ci ha sconvolto! E’ realmente “romantica” l’idea che a tratti si sia fuggiti da quanto di "antipatico" emergeva dal vissuto di un protagonista/personaggio o, ancora più ingenuo, che qualcosa di quello "proprio non ci si addicesse". Come non pensare che le fughe possiedono un dietro che spinge, molto più che un avanti che attrae. Il processo drammaterapico, invece, sottolinea proprio questo, che nell’analisi di quel “dietro”, si commutino le energie in conoscenza verso quell’avanti. E’ importante che faccia a questo punto del nostro percorso questa riflessione, perché la si possa utilizzare; infatti, lo stesso concetto di “processo” suggerisce che periodiche meta-analisi di quanto accade, pur utilizzando lo stesso strumento -lo statuto della drammaterapia in questo caso- portino a ulteriori comprensioni.
Il debito della conoscenza, sempre, è fatto dalla coscienza che assenza e presenza, comunque, siano stimoli al percorso. Se si perde, ci si smarrisce, ci si ferma…la ricerca del senso –più compiutamente sviluppata nel precedente post-, è sempre possibile; gli errori, in tal senso debbono essere interpretati come "prove d'autore" che tendono ovviamente ad assicurare la "prima"! La conoscenza pacifica anche le incertezze, i dolori e le delusioni.
Usualmente gli individui sono più portati a pensare le ragioni che fanno amare le cose e le altre persone, quello che della realtà colpisce, attrae, rapisce…ma in questo caso mia intenzione è sottolineare nel discorso le ragioni per le quali noi vogliamo essere colti come “amabili”; quelle per le quali vogliamo sentirci adatti: se è una cosa, alludiamo alle abilità che desidereremmo scoprire; se si tratta di una persona al desiderio di essere “scoperti” da lei. Ma cosa poi facciamo perché questo avvenga, così troppo impegnati ad osservare che”non sta avvenendo”?
Il nostro destino sino ad oggi ha attraversato esperienze personali che solo in una parte appartengono all’esperienza dell’altro, anche se questi è stato compagno del nostro viaggio, ad osservarle, a volte subirle e -perché nò?!- a condividerle. Vedete, guardando il nostro passato, osserviamo molte cose che non vanno, anzi moltissime che non sono andate come avremmo voluto; che sono fuggite velocemente via da noi –o noi da loro?- con l’ignoranza dei giorni e la velocità del quotidiano, che non ci hanno dato il tempo di capire o capire in tempo e cambiare perfino a volte. Però vi sono cose, anche quelle buone, che ci appartengono e alle quali non potremmo mai rinunciare, che parlano insieme sicuramente della nostra fatica e comunque io le chiamo le “ragioni per amare”. Quelle cose in cui io sono io e voglio essere amato/a per quello che sono, qualunque vicende mi abbiano attraversato, forse persino con qualche difetto, che però solo me stesso o l’amore può rendere in modo diverso. Non potrò essere amato da chiunque per come sono, sono stato e mi trasformo, ma sicuramente non vorrei che nessuno facesse la selezione su cosa amare o meno di me.
Sto dicendo che dovremmo imparare ad accettare con tranquillità anche i nostri errori passati, ad amarli, pur cambiando, perchè sono noi, la nostra storia.
Le vicende di un personaggio, sono lui. Ed è quel "lui" che si richiede possa attraversare l’interprete, nell’incontro curioso e stridente con l’alienità; il perverso ed intrigante gioco dell’identificazione, il potente e strategico processo della comprensione di noi stessi. E’ questo il teatro della drammaterapia, quello che riconduce, come più volte ho detto, al’umiltà dell’impotenza, alla forza del non sapere A quel punto, il processo condiviso ti fa sentire accettato dagli altri ed il gioco della proiezione diventa fertile allenamento al potere sulla realtà. Per questo Kostia rimane in bilico senza mai precipitare, ad onta del "romanzo" di Cechov, perchè il lettore, l'interprete ha un grande potere; deve solo decidere di volerlo usare.
Foto: "Campagna Prima Del Tornado" di E. Gioacchini, 2007
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