Perché l’ipnosi in un atelier di drammaterapia? Mentre per venerdì 18 maggio continua il percoso all'interno del modulo di autoipnosi dell'atelier, vogliamo re-interrogarci anche su questo blog ed aprire una discussione. Come punto di partenza, una breve precisazione ci aiuterà a comprendere meglio.
La metodologia dell’Atelier “Liberamente” segue i principi della dramatherapy già descritti dagli orientamenti della letteratura internazionale e, fondamentalmente dalle due grandi scuole, quella americana di R. J. Landy e quella britannica di S. Jennings . Il percorso che questi due differenti autori hanno fatto per giungere alla precisazione di alcuni principi fondamentali nella materia è autorevole, anche se, legittimamente, tende a sottolineare differenti aspetti del lavoro drammaterapico per giungere quindi a metodologie coerentemente diverse, almeno in parte. Se Landy, con il suo “concetto di ruolo”, intende il processo dramma terapico come assimilabile fondamentalmente al percorso psicoterapeutico, Jennings lo legittima maggiormente all’interno del processo artistico proprio del teatro. Negli ultimi anni, proprio la professionale e fertile disputa tra i due orientamenti di pensiero ha portato ad una ricca produzione di proposte ed articolazioni metodologiche.
I punti fondamentali per i quali la drammaterapia dell’Atelier Liberamente si differenzia da altri percorsi, nasce fondamentalmente da fattori autobiografici, come spesso ogni innovazione comporta. Per il direttore dell’Atelier, E. Gioacchini, essersi interessato da trentacinque anni di “stati modificati di coscienza”, passando attraverso la competente conoscenza dell’ipnosi formale, sperimentale e clinica, e molte delle sue applicazioni, anche al di fuori del campo ristretto della psicoterapia ipnotica, ha comportato l’utilità di disporne nello strumentario dell’operazione dramma-terapica. Di qui l’importanza che l’allievo-attore acquisisca dimestichezza con le fluttuazioni della propria coscienza, che, si sa bene, non è sempre ed assolutamente “ordinaria” e vigile nel corso del processo artistico, interpretativo e comunque espressivo. La particolare competenza nel campo dell’hypnodrama moreniano (dove allo psicodramma si aggiunge la presenza di stati induttivi la trance), porta così il lavoro drammaterapico assai vicino alla consapevolezza di quello che Artaud indicava come "trance cosmica" o lo stesso Grotowsky chiamava “la Trance dell’Attore”, pura espressione dell’autenticità di un‘anima nell’atto di donazione all’altro (pubblico) dinnanzi a lui. L’atto di “autopenetrazione” che tanto sottolinea il Maestro, passa dunque per uno speciale stato di consapevolezza cosciente, ma all’interno di una condizione di trance, elementi questi che permettono all’attore di “non fingere di fingere” e qualificare il suo “come se” sulla scena appunto come atto "autentico". La propria storia, invisibile, fluisce all’interno della parte che stiamo interpretando, anche al di fuori di quel gioco di immedesimazione dentro al personaggio, come propone il grande Stanislavskij. Se il suo metodo si basa sull'approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore di quest’ultimo, come concepito dall’autore, personaggio e quello dell'attore, la metodologia dell’Atelier sposa maggiormente lo statuto Grotowskiano. Come questa ultimo indirizzo insegna, è inoltre ridotto all’essenziale il rito scenico, impoverita la macchina teatrale, ridotta generalmente all’essenziale dell’attore e dello spettatore: la scena di fuori si svuota dei suppellettili ingombranti della coscienza, formalizza la presenza di quelli essenziali e si rivolge al dentro... Quello che rimane sono i corpi con un anima, e questi non possono che essere corpi in cerca di vita ed espressione, offerti all’altro, in un incontro ogni volta unico ed essenziale. I moduli di insegnamento dell’Atelier intendono quindi facilitare il processo cognitivo e interpretativo nel lavoro attoriale, perché questo, più in generale, abbia dei positivi riflessi sugli schemi di pensiero e conportamento della persona; un’esperienza formativa il cui obiettivo è estendersi ad altre competenze parallele per un miglioramento della qualità della vita e che si sia in analisi o meno, il punto di partenza è sempre la conoscenza di se stessi.
Per questo, ad esempio, attraverso la danza-movimento-terapia, ci si avvale anche di esperienze propriocettive -presa di coscienza dello schema corporeo e della struttura del proprio corpo, contrazioni e distensioni muscolari, quindi mobilizzazione settoriale e totale-; delle tecniche cinestesiche -acquisizione di posture in relazione allo spazio e ad altri soggetti- e dell’esperienza aptica generale -risposta del soma a diversi tipi di stimoli tattili-.
In tal senso, gli esercizi di autoipnosi, proprio come quelli sul corpo che propone Grotowsky, intendono sollecitare la consapevolezza e la libertà emotiva del soma e della psiche, in modalità sinergica ed in funzione del sentimento di libertà e scelta che l’attore deve sempre saper comunicare a chi assiste al suo lavoro. L'attore conosce bene questo: il corpo e la mente possono tradirsi vicendevolmente, l'abitudine arriva ad impigrire il senso dell'azione ed addormentarlo in essa, si pericola costantemente verso quella condizione così acutamente definita da Grotoswsky come pigrizia interore. Oltre l'ipnosi ritualistica ed iconografica della trance, si accede al serbatoio privato delle proprie esperienze con uno squisito atto di introspezione definerei più "sciamanico" che classicamente "ipnotico".
La metodologia dell’Atelier “Liberamente” segue i principi della dramatherapy già descritti dagli orientamenti della letteratura internazionale e, fondamentalmente dalle due grandi scuole, quella americana di R. J. Landy e quella britannica di S. Jennings . Il percorso che questi due differenti autori hanno fatto per giungere alla precisazione di alcuni principi fondamentali nella materia è autorevole, anche se, legittimamente, tende a sottolineare differenti aspetti del lavoro drammaterapico per giungere quindi a metodologie coerentemente diverse, almeno in parte. Se Landy, con il suo “concetto di ruolo”, intende il processo dramma terapico come assimilabile fondamentalmente al percorso psicoterapeutico, Jennings lo legittima maggiormente all’interno del processo artistico proprio del teatro. Negli ultimi anni, proprio la professionale e fertile disputa tra i due orientamenti di pensiero ha portato ad una ricca produzione di proposte ed articolazioni metodologiche.
I punti fondamentali per i quali la drammaterapia dell’Atelier Liberamente si differenzia da altri percorsi, nasce fondamentalmente da fattori autobiografici, come spesso ogni innovazione comporta. Per il direttore dell’Atelier, E. Gioacchini, essersi interessato da trentacinque anni di “stati modificati di coscienza”, passando attraverso la competente conoscenza dell’ipnosi formale, sperimentale e clinica, e molte delle sue applicazioni, anche al di fuori del campo ristretto della psicoterapia ipnotica, ha comportato l’utilità di disporne nello strumentario dell’operazione dramma-terapica. Di qui l’importanza che l’allievo-attore acquisisca dimestichezza con le fluttuazioni della propria coscienza, che, si sa bene, non è sempre ed assolutamente “ordinaria” e vigile nel corso del processo artistico, interpretativo e comunque espressivo. La particolare competenza nel campo dell’hypnodrama moreniano (dove allo psicodramma si aggiunge la presenza di stati induttivi la trance), porta così il lavoro drammaterapico assai vicino alla consapevolezza di quello che Artaud indicava come "trance cosmica" o lo stesso Grotowsky chiamava “la Trance dell’Attore”, pura espressione dell’autenticità di un‘anima nell’atto di donazione all’altro (pubblico) dinnanzi a lui. L’atto di “autopenetrazione” che tanto sottolinea il Maestro, passa dunque per uno speciale stato di consapevolezza cosciente, ma all’interno di una condizione di trance, elementi questi che permettono all’attore di “non fingere di fingere” e qualificare il suo “come se” sulla scena appunto come atto "autentico". La propria storia, invisibile, fluisce all’interno della parte che stiamo interpretando, anche al di fuori di quel gioco di immedesimazione dentro al personaggio, come propone il grande Stanislavskij. Se il suo metodo si basa sull'approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore di quest’ultimo, come concepito dall’autore, personaggio e quello dell'attore, la metodologia dell’Atelier sposa maggiormente lo statuto Grotowskiano. Come questa ultimo indirizzo insegna, è inoltre ridotto all’essenziale il rito scenico, impoverita la macchina teatrale, ridotta generalmente all’essenziale dell’attore e dello spettatore: la scena di fuori si svuota dei suppellettili ingombranti della coscienza, formalizza la presenza di quelli essenziali e si rivolge al dentro... Quello che rimane sono i corpi con un anima, e questi non possono che essere corpi in cerca di vita ed espressione, offerti all’altro, in un incontro ogni volta unico ed essenziale. I moduli di insegnamento dell’Atelier intendono quindi facilitare il processo cognitivo e interpretativo nel lavoro attoriale, perché questo, più in generale, abbia dei positivi riflessi sugli schemi di pensiero e conportamento della persona; un’esperienza formativa il cui obiettivo è estendersi ad altre competenze parallele per un miglioramento della qualità della vita e che si sia in analisi o meno, il punto di partenza è sempre la conoscenza di se stessi.
Per questo, ad esempio, attraverso la danza-movimento-terapia, ci si avvale anche di esperienze propriocettive -presa di coscienza dello schema corporeo e della struttura del proprio corpo, contrazioni e distensioni muscolari, quindi mobilizzazione settoriale e totale-; delle tecniche cinestesiche -acquisizione di posture in relazione allo spazio e ad altri soggetti- e dell’esperienza aptica generale -risposta del soma a diversi tipi di stimoli tattili-.
In tal senso, gli esercizi di autoipnosi, proprio come quelli sul corpo che propone Grotowsky, intendono sollecitare la consapevolezza e la libertà emotiva del soma e della psiche, in modalità sinergica ed in funzione del sentimento di libertà e scelta che l’attore deve sempre saper comunicare a chi assiste al suo lavoro. L'attore conosce bene questo: il corpo e la mente possono tradirsi vicendevolmente, l'abitudine arriva ad impigrire il senso dell'azione ed addormentarlo in essa, si pericola costantemente verso quella condizione così acutamente definita da Grotoswsky come pigrizia interore. Oltre l'ipnosi ritualistica ed iconografica della trance, si accede al serbatoio privato delle proprie esperienze con uno squisito atto di introspezione definerei più "sciamanico" che classicamente "ipnotico".
1 commento:
@ AI RAGAZZI DELL'ATELIER
@ AL DIRECTOR ERMANNO GIOACCHINI
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Il percorso drammaterapico è una scoperta continua, essenziale, fondamentale nel percorso di ciascun individuo. Il "fluttuare" della coscienza permette davvero una maggiore resa a livello d'espressione creativa; e personalmente ho scoperto il teatro quale viatico che permette all'allievo-attore, mediante la "trance" vigile, di avvicinarsi prima a sé; poi all'altro da sé nella bellissima, intensa natura relazionale.
Questa porta al contatto-dono, al concetto di fruizione oltre l'intelligibile, usando - quali uniche opzioni - l'autenticità e l'elemento autobiografico. Proprio come afferma il Director Ermanno Gioacchini, che con grande pazienza ed amore porta la sua Compagnia ad operare in queste e più multiformi direzioni. Dunque nell'approfondire intime risorse; nel tirarle fuori attraverso discipline che rendendoci consapevoli delle modalità autoipnotiche ci forniscono la possibilità di discernere la finzione dalla spontaneità: sino all'arte dell'improvvisazione teatrale.
L'improvvisazione ti rende così nudo che a volte tanta nudità può risultare addirittura insopportabile. Ma tutto ciò desta in noi un movimento interiore affatto soporifero. Ci porta verso una direzione straordinaria: "libertà" assoluta nell'interagire col pubblico.
E il pubblico non risponde mai con indifferenza, anche nel peggiore dei casi.
*
I miei personali problemi sono due: la memoria e la buona resa attoriale, secondo i dettami esposti. Perché, aldilà di tutto, c'è un copione teatrale da imparare.
Mantenere autenticità e memoria, con il timore di perdere battute o parti di monologhi è complesso.
Autoipnosi e trance possono fortemente aiutare.
Vorrei chiedere, a chi abbia mai affrontato questo tipo di percorso, la sua esperienza, i propri timori, le gioie, l'intimo "darsi" anche attraverso l'errore plateale. Come ognuno abbia riparato ai "buchi" mnemonici ed emotivi in sede di spettacolo.
De Filippo diceva che crearsi degli ostacoli in scena presuppone il loro superamento: ne sei costretto, non hai alternativa.
O li superi, o li superi.
Chiedo a Gioacchini che ne pensa...
*
Nina Maroccolo
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