Roma 11 maggio 2008, l'Atelier LiberaMente mette in scena una riduzione drammaterapica de "il fissatigre", tratto dalle "storie di Cronopios e Fama" di J. Cortazar, per la regia di E. Gioacchini. A cimentarsi con un’ulteriore elaborazione del testo del grande scrittore argentino è questa volta il gruppo degli allievi del primo anno dell’Atelier di Drammaterapia Liberamente in un allestimento teatrale diretto dallo stesso professionista.
Il Fissatigre costituisce un emblematico brano tratto dalle "Storie di Cronopios e di Famas", una raccolta di piccoli saggi che descrive lo spaccato di vita delle due genie di personaggi creati da Cortazar. L’autore vuole farci sperimentare la “drammatica” conoscenza dei nostri luoghi comuni, dove, subdole, abitano l’abitudine e la pigrizia e al contempo costituisce un meraviglioso e cesellato esempio su quel pensiero “divergente” che tanto ha appassionato la letteratura d’avanguardia degli ultimi decenni oltre che la psicologia, ma ad esempio, dimenticato dalla scuola. Cortazar esaspera le nostre abitudini sino al grottesco, all’assurdo, ma anche oltre. E' la ritualità che giunge ad addormentare le possibilità interpretative del nostro Io, ad essere in scena con “il fissatigre”. Eidetica, ma sicuramente anche auditiva e cenestesica, l’espressione letteraria di questo autore, che riesce a farci ridere, con tutti i "cinque sensi" dell’invidia, della gelosia, della paura, della vergogna e del pudore, del ruolo codificato, come dei maldestri e comici tentativi di romperlo a volte ed illudersi finalmente liberi!Il testo di Cortazar, ma ancor prima la sua acuta critica dell’ovvio, alla ricerca dell’autentico, offre spunti speciali alla riflessione nel processo drammaterapico, afferma il conduttore di questa interessante ma anche divertente performance drammaterapica del suo gruppo teatrale. Il "fama" che è in noi continua a divertirsi, ed in fondo interagisce sempre, rovescio di un’unica medaglia, con il "cronopio", cercando forse una collaborazione? Ma anche il "cronopio" non è così indifferente all'arte di vivere che il "fama" gli ricorda! Come utilizzare, quindi, questi due moti dell'anima, “conservatore” ed ingenuamente “eversivo”, affinchè ci arricchiscano e ci agevolino? Pablo Neruda è drastico: “Chiunque non legga Cortazar, è condannato”. Ermanno Gioacchini enfatizza in questa piece l’implicito messaggio che, destituendo, restituisce: la lezione dello scrittore è assolutamente verso l’autenticità. La ritualità, nei suoi specifici aspetti di contenimento ed apertura, il rapporto individuo-gruppo all'interno di un sistema di valori definito, l'analisi della definizione di ruolo, sono alcune delle tematiche che verranno esplorate con la tecnica drammaterapica in una conduzione provocatoria, tesa alla scoperta ed espressione di quell’autenticità. Il testo drammaterapico in scena spinge ad usare il pensiero creativo e sollecita ad entrare nella storia messa in scena dall’autore, ad esercitare, almeno nel luogo del teatro, un utile timido tentativo di destrutturazione del modello del mondo che adottiamo, per chiederci come arricchirlo senza effetti collaterali!
Il Fissatigre costituisce un emblematico brano tratto dalle "Storie di Cronopios e di Famas", una raccolta di piccoli saggi che descrive lo spaccato di vita delle due genie di personaggi creati da Cortazar. L’autore vuole farci sperimentare la “drammatica” conoscenza dei nostri luoghi comuni, dove, subdole, abitano l’abitudine e la pigrizia e al contempo costituisce un meraviglioso e cesellato esempio su quel pensiero “divergente” che tanto ha appassionato la letteratura d’avanguardia degli ultimi decenni oltre che la psicologia, ma ad esempio, dimenticato dalla scuola. Cortazar esaspera le nostre abitudini sino al grottesco, all’assurdo, ma anche oltre. E' la ritualità che giunge ad addormentare le possibilità interpretative del nostro Io, ad essere in scena con “il fissatigre”. Eidetica, ma sicuramente anche auditiva e cenestesica, l’espressione letteraria di questo autore, che riesce a farci ridere, con tutti i "cinque sensi" dell’invidia, della gelosia, della paura, della vergogna e del pudore, del ruolo codificato, come dei maldestri e comici tentativi di romperlo a volte ed illudersi finalmente liberi!Il testo di Cortazar, ma ancor prima la sua acuta critica dell’ovvio, alla ricerca dell’autentico, offre spunti speciali alla riflessione nel processo drammaterapico, afferma il conduttore di questa interessante ma anche divertente performance drammaterapica del suo gruppo teatrale. Il "fama" che è in noi continua a divertirsi, ed in fondo interagisce sempre, rovescio di un’unica medaglia, con il "cronopio", cercando forse una collaborazione? Ma anche il "cronopio" non è così indifferente all'arte di vivere che il "fama" gli ricorda! Come utilizzare, quindi, questi due moti dell'anima, “conservatore” ed ingenuamente “eversivo”, affinchè ci arricchiscano e ci agevolino? Pablo Neruda è drastico: “Chiunque non legga Cortazar, è condannato”. Ermanno Gioacchini enfatizza in questa piece l’implicito messaggio che, destituendo, restituisce: la lezione dello scrittore è assolutamente verso l’autenticità. La ritualità, nei suoi specifici aspetti di contenimento ed apertura, il rapporto individuo-gruppo all'interno di un sistema di valori definito, l'analisi della definizione di ruolo, sono alcune delle tematiche che verranno esplorate con la tecnica drammaterapica in una conduzione provocatoria, tesa alla scoperta ed espressione di quell’autenticità. Il testo drammaterapico in scena spinge ad usare il pensiero creativo e sollecita ad entrare nella storia messa in scena dall’autore, ad esercitare, almeno nel luogo del teatro, un utile timido tentativo di destrutturazione del modello del mondo che adottiamo, per chiederci come arricchirlo senza effetti collaterali!
1 commento:
Associo qualche immagine al movimento dell’anima. È visione di onde tese al verticale, criniere d’acqua nel vorticare fantasmagorico di cavalli remoti, che da lì a poco saranno deprivati - in un’ultima sospensione vertiginosa - della loro cifra iniziale. Dunque, nervature remote, temibili perfino nel presente.
La natura non rende mai docile la pena, bensì superfluo ogni commento.
La natura ha imposto a quelle indomite impennate, un ritorno nella marea indistinta.
Descrivo un mare in tempesta, seni d’acqua rigonfi. E non è casuale il riferimento alla parte del corpo femminile da cui attingiamo il primo nutrimento, seme latteo della crescita, atto dell’eros, cibo dell’infante, che richiamano un sé stranito qualora fossimo condannati a un Io pigramente immobile: ad una sua esemplificazione univoca, spenta.
Forse lo nascondiamo: preferiamo un’esistenza che consideri accondiscendente la relazione con noi stessi, e gli altri, quali fingitori incarnati dentro e fuori. È sicuramente meno imbarazzante, più convenzionale, meno rivelatoria nell’economia del “rito” quotidiano.
La creatività del pensiero viene meno.
A noi interessa il regno dell’improbabilità e dell’assurdo per disvelare un’intima richiesta di autenticità in questo perenne oscillare. Perché il mare può divergere dall’essere semplice infinità salina: è moto cardiaco dell’anima, madre che allatta, cavalli al galoppo: è il reame delle possibilità infinite.
Cortázar eccelle proprio in questo navigare il supremo mare degli archetipi, come fosse la tiepida vasca del nostro primo quieto bagnetto infantile. Ma nelle onde dell’anima si bagnano e si rinfrescano anche le tigri feroci del nostro inconscio: “distruggono totalmente la tigrità e l’umanità in un unico movimento immobile che è vertigine, sospensione e approdo”.
Cortázar ci chiede se sia effettivamente giusto “deviare” le caratteristiche feline attraverso il crudele procedimento del fissaggio, senza offrire ai nostri occhi un gesto compassionevole nel rispetto di questa creatura e della sua ineguagliabile, prorompente natura animale. Soprattutto non ci propone una distanza fra la sua “morte” e noi. Perché ci troviamo a celebrare un rito nel nome di Thanatos.
Dunque, stavolta, non è la natura a rendere meno docile la pena bensì l’atto compiuto dall’uomo.
Poi, non contento, Cortázar ci infligge provocatoriamente il problema etico.
Del resto qual è l’alternativa? Che la tigre riesca a liberarsi in via Humboldt con la complicità di un’intera famiglia pseudo-vivente, con elemento d’autofissaggio della loro coscienza, e le cui esasperazioni emotive porrebbero un serio ostacolo nella riuscita di tanto orrore sepolcrale?
Il problema è già finzione. Ma allora è un falso d’autore l’opera letteraria di Cortázar?
La preda è conquistata, il successo ottenuto. Tuttavia si piange, si affonda nella tristezza del presente. Adesso vige la destabilizzazione, via che lo scrittore propone come unica alternativa all’infingimento. Adesso si fa impellente l’autenticità dei ruoli, dell’inesplorato dramma imperniato di casa, minestrine, zie provvidenziali, genitori, figli, cugini. Bisogna tornare al rito, all’atto sciamanico liberatorio.
Poi: esistono, non esistono, sono mai nati questi personaggi dalla penna-pensiero del geniale Julio?
Distruggere tutto! Famiglia, casa in via Humboldt, tigre e fissatigre.
Forse ne usciremo indenni, completamente rinnovati (creatività e autenticità permettendo), nel taumaturgico canto battesimale di una consacrata e sacrosanta iniziazione alla Vita.
Con la sola certezza di volercela veramente riprendere.
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Nina Maroccolo
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