@ da PLINIO PERILLI
Roma, 11 maggio 2008
"il fissatigre" piece drammaterapica per la regia di E. Gioacchini
presenta P. Perilli. Compagnia Atelier LiberaMente
Cosa ci fa una tigre “feroce” nel tranquillo, melenso soggiorno di una melensa e tranquilla famiglia borghese?! Ed è essa stessa, prigioniera di quel nucleo azzimato, noioso di conformismo – o viceversa?
A ribaltarsi è dunque l’archetipo! Eravamo abituati alle munifiche, tigri dorate dei quadri di Blake, panici del sublime, terrifici di simbologie… O a quelle odorose d’India dei romanzi di Kipling… Poi il ‘900 metafora di Borges l’aveva per così dire imprigionata nel suo labirinto vetroso, nella sua indicibile, e inesorabile Biblioteca di Babele. Ma era una tigre scritta, ardentemente intellettuale; una tigre feroce solo sulla carta:
Fino all’ora del tramonto giallo
Quante volte avrò guardato
La poderosa tigre del Bengala
Fare e disfare la predestinata strada
Dietro le sbarre di ferro,
Senza sospettare che erano la sua prigione.
(da L’oro delle tigri, 1972)
Ecco, col “Fissatigre” di Cortázar, accade finalmente la sana, ritemprante irruzione dell’Assurdo nella nostra consueta, melensa Vita Quotidiana.
Niente più tramonti gialli, tigri di fuoco, metalli amorosi, fulgori del mito e dell’epoca, ombre inestricabili e oro delle tigri!…
La tigre è vera ed è un archetipo tutto nostro. L’alterità ci appartiene, c’insegue, ci guata e ci ruggisce… La felinità ci va nell’anima, e almeno c’impaurisce, ci nomina e recupera uomini – ci distoglie, in qualche modo, dal nostro tranquillo, scandaloso, limbo o purgatorio borghese.
Del resto, tutti i coevi scrittori e alfieri del cosiddetto Assurdo, in romanzo o in teatro -dal Godot di Beckett, 1952, al Rinoceronte di Ionesco, 1959; dalle Cosmicomiche di Calvino, 1965, alle Storie di cronopios e famas, 1962, per l’appunto di Julio Cortázar-, scimmiottano e distruggono archetipi; o meglio, li rinnovellano e ritemprano a migliore antidoto, li ribaltano per sempre nuovi, aggrovigliati e sguainanti significati.
Come ruggisce l’antitigre del Fissatigre, e come ci impaurisce!
Al contempo, come è impaurita da quei piccoli, sterili uomini, malati di benessere, noia e qualunquismo…
Eppure, tutta la ferocia moderna – dei rapporti, dei valori perduti, degli amori, sedicenti o veridici – langue e ruggisce in quel salone borghese, dietro il siparietto catartico e metaforico di quel congegno fissatigre con cui i vari membri della Esimia Famiglia in Questione, a nome certo di noi tutti, passa a imprigionare la tigre dentro il suo stesso archetipo, la ferocia dentro la sua ferocia. E l’Amore maiuscolo, forse, dentro il suo amore diminuito, degradato a consueto e minuscolo. Anche la Tigre svapora, annoia e perfino titilla, col vizio e vezzo dell’abitudine. Basta fissarla; fissarla: ma non contemplarla con gli occhi: imprigionarla, immobilizzarla nel fissatigre…
Perfino Borges si arrabbierebbe, lui perfetto ambasciatore e Fissatigre di Archetipi, che ha collocato la tigre delle tigri, la madre di tutte le tigri, la Tigrissima, lancinante di luce, nel bel mezzo più cupo e addormentato della Storia della notte (1977):
Andava e veniva, delicata e fatale, carica di infinita energia, dall’altro lato delle salde sbarre e tutti la guardavamo. Era la tigre di quel mattino, a Palermo, e la tigre dell’Oriente e la tigre di Blake e di Hugo e Shere Khan, e le tigri che furono e che saranno e insieme la tigre archetipica, poiché l’individuo, nel suo caso, è tutta la specie. Pensammo che era sanguinaria e bella. Norah, una bambina, disse: È fatta per l’amore.
Non siamo dunque in un film accelerato, grottesco e madornale di Ferreri o Godard. Cortázar è molto più feroce e molto più giudizioso: inscena finzioni più urgenti e palpabili delle verità, centellina l’archetipo, mai non strafà, sa che il popolo dei “famas” -i fruitori dell’ordine, i metodici docenti di convenzioni- e quello dei “cronopios” -i portatori di caos, d’improvvisazione, di strappi fecondi e provvidenziali; i principi della dis-trazione- perfettamente convivono e coabitano come l’opposizione e il governo di un paese squisitamente ingovernabile perché equilibrato sullo spaccato in due, assimilato a specchiarsi…
Dacci oggi il nostro fissatigre quotidiano…
E tornano tutte le ombre inestricabili, l’oro dell’inizio, il tramonto giallo, il metallo amoroso!… Adunata e ruggito di archetipi!
Tigris da thigra, la parola iraniana che sta per “tagliente, aguzzo”… La sua scoperta nell’antichità occidentale solo con la spedizione di Alessandro Magno, nei seducenti intrighi dell’India che pur volle annettersi, sposare – addirittura – nei corpi delle sue tante principesse occhi di tigre…
Anche, la tigre che accanto alla pantera e alla lince viaggia… al seguito dell’ebbro Dio Dioniso… In Cina, la tigre regnante nel Terzo Segno Zodiacale -diciamo quello nostro dei Gemelli-… Le tigri che perfino i dèmoni si dice temano – la “tigre bianca” peggior insulto alle donne litigiose… O le “tigri mannare”, gli uomini mutati in tigri delle leggende cinesi meridionali…
Poi i bestiari medioevali che esaltano l’amore materno della tigre!
E siamo, saremmo pronti – fra le righe del non scritto e non detto – per ogni accezione o significazione evangelica! Dalla ferocia autoreferenziale del pellicano a quella della tigre madre.
E quella tigre in amore che è l’Amore.
L’Amore che sempre ci fa tigri, feroci di irruenza.
Ma Cortázar -e con lui Ermanno Gioacchini, maestro drammaterapico quant’altri mai-, ci ammonisce e ci illumina:
La Tigre è inquieta, impaurita; ogni tanto manda ruggiti e per tre familiari non è affatto semplice condurla in quel luogo chiuso. Nella Casa, il resto dei Familiari, visibilmente impaurito, si dispone sul fondo nella zona opposta al Fissatigre…
Ora è la tigre, l’ignoto oggetto tremulo, spaventato nell’esserci…
Il “Sarchiapone” del mistero – quasi vorremmo dire – che fa ridere chi invece noi dovremmo deridere, e virilmente impaurire, avvinghiare, squarciare e divorare nel santo furore d’etica!
Forse semplicemente fummo, siamo noi la tigre: ma così increduli e frustrati, dimentichi e depressi, che ogni agnello adesso ci impaurisce, ogni borghesuccio ci tiene estetizzanti al guinzaglio come le eroine scosciate, seducenti e maliarde delle apparizioni di Erté. Roba da calendario per dentisti, corridoi e sale d’aspetto per avvocati condominiali; finti brividi da mazzi di carte…
Torniamo tigri adeguate, e riconosciamoci a unghiate, a soffi e sbuffi di fuoco, a terremoti e sciabolate di canini… Delicati e fatali, carichi di infinita energia… Le tigri di tutti gli amori che furono e che saranno; e insieme l’amor tigre archetipico.
Che bello amare una tigre! – e amarsi tigramente…
A ribaltarsi è dunque l’archetipo! Eravamo abituati alle munifiche, tigri dorate dei quadri di Blake, panici del sublime, terrifici di simbologie… O a quelle odorose d’India dei romanzi di Kipling… Poi il ‘900 metafora di Borges l’aveva per così dire imprigionata nel suo labirinto vetroso, nella sua indicibile, e inesorabile Biblioteca di Babele. Ma era una tigre scritta, ardentemente intellettuale; una tigre feroce solo sulla carta:
Fino all’ora del tramonto giallo
Quante volte avrò guardato
La poderosa tigre del Bengala
Fare e disfare la predestinata strada
Dietro le sbarre di ferro,
Senza sospettare che erano la sua prigione.
(da L’oro delle tigri, 1972)
Ecco, col “Fissatigre” di Cortázar, accade finalmente la sana, ritemprante irruzione dell’Assurdo nella nostra consueta, melensa Vita Quotidiana.
Niente più tramonti gialli, tigri di fuoco, metalli amorosi, fulgori del mito e dell’epoca, ombre inestricabili e oro delle tigri!…
La tigre è vera ed è un archetipo tutto nostro. L’alterità ci appartiene, c’insegue, ci guata e ci ruggisce… La felinità ci va nell’anima, e almeno c’impaurisce, ci nomina e recupera uomini – ci distoglie, in qualche modo, dal nostro tranquillo, scandaloso, limbo o purgatorio borghese.
Del resto, tutti i coevi scrittori e alfieri del cosiddetto Assurdo, in romanzo o in teatro -dal Godot di Beckett, 1952, al Rinoceronte di Ionesco, 1959; dalle Cosmicomiche di Calvino, 1965, alle Storie di cronopios e famas, 1962, per l’appunto di Julio Cortázar-, scimmiottano e distruggono archetipi; o meglio, li rinnovellano e ritemprano a migliore antidoto, li ribaltano per sempre nuovi, aggrovigliati e sguainanti significati.
Come ruggisce l’antitigre del Fissatigre, e come ci impaurisce!
Al contempo, come è impaurita da quei piccoli, sterili uomini, malati di benessere, noia e qualunquismo…
Eppure, tutta la ferocia moderna – dei rapporti, dei valori perduti, degli amori, sedicenti o veridici – langue e ruggisce in quel salone borghese, dietro il siparietto catartico e metaforico di quel congegno fissatigre con cui i vari membri della Esimia Famiglia in Questione, a nome certo di noi tutti, passa a imprigionare la tigre dentro il suo stesso archetipo, la ferocia dentro la sua ferocia. E l’Amore maiuscolo, forse, dentro il suo amore diminuito, degradato a consueto e minuscolo. Anche la Tigre svapora, annoia e perfino titilla, col vizio e vezzo dell’abitudine. Basta fissarla; fissarla: ma non contemplarla con gli occhi: imprigionarla, immobilizzarla nel fissatigre…
Perfino Borges si arrabbierebbe, lui perfetto ambasciatore e Fissatigre di Archetipi, che ha collocato la tigre delle tigri, la madre di tutte le tigri, la Tigrissima, lancinante di luce, nel bel mezzo più cupo e addormentato della Storia della notte (1977):
Andava e veniva, delicata e fatale, carica di infinita energia, dall’altro lato delle salde sbarre e tutti la guardavamo. Era la tigre di quel mattino, a Palermo, e la tigre dell’Oriente e la tigre di Blake e di Hugo e Shere Khan, e le tigri che furono e che saranno e insieme la tigre archetipica, poiché l’individuo, nel suo caso, è tutta la specie. Pensammo che era sanguinaria e bella. Norah, una bambina, disse: È fatta per l’amore.
Non siamo dunque in un film accelerato, grottesco e madornale di Ferreri o Godard. Cortázar è molto più feroce e molto più giudizioso: inscena finzioni più urgenti e palpabili delle verità, centellina l’archetipo, mai non strafà, sa che il popolo dei “famas” -i fruitori dell’ordine, i metodici docenti di convenzioni- e quello dei “cronopios” -i portatori di caos, d’improvvisazione, di strappi fecondi e provvidenziali; i principi della dis-trazione- perfettamente convivono e coabitano come l’opposizione e il governo di un paese squisitamente ingovernabile perché equilibrato sullo spaccato in due, assimilato a specchiarsi…
Dacci oggi il nostro fissatigre quotidiano…
E tornano tutte le ombre inestricabili, l’oro dell’inizio, il tramonto giallo, il metallo amoroso!… Adunata e ruggito di archetipi!
Tigris da thigra, la parola iraniana che sta per “tagliente, aguzzo”… La sua scoperta nell’antichità occidentale solo con la spedizione di Alessandro Magno, nei seducenti intrighi dell’India che pur volle annettersi, sposare – addirittura – nei corpi delle sue tante principesse occhi di tigre…
Anche, la tigre che accanto alla pantera e alla lince viaggia… al seguito dell’ebbro Dio Dioniso… In Cina, la tigre regnante nel Terzo Segno Zodiacale -diciamo quello nostro dei Gemelli-… Le tigri che perfino i dèmoni si dice temano – la “tigre bianca” peggior insulto alle donne litigiose… O le “tigri mannare”, gli uomini mutati in tigri delle leggende cinesi meridionali…
Poi i bestiari medioevali che esaltano l’amore materno della tigre!
E siamo, saremmo pronti – fra le righe del non scritto e non detto – per ogni accezione o significazione evangelica! Dalla ferocia autoreferenziale del pellicano a quella della tigre madre.
E quella tigre in amore che è l’Amore.
L’Amore che sempre ci fa tigri, feroci di irruenza.
Ma Cortázar -e con lui Ermanno Gioacchini, maestro drammaterapico quant’altri mai-, ci ammonisce e ci illumina:
La Tigre è inquieta, impaurita; ogni tanto manda ruggiti e per tre familiari non è affatto semplice condurla in quel luogo chiuso. Nella Casa, il resto dei Familiari, visibilmente impaurito, si dispone sul fondo nella zona opposta al Fissatigre…
Ora è la tigre, l’ignoto oggetto tremulo, spaventato nell’esserci…
Il “Sarchiapone” del mistero – quasi vorremmo dire – che fa ridere chi invece noi dovremmo deridere, e virilmente impaurire, avvinghiare, squarciare e divorare nel santo furore d’etica!
Forse semplicemente fummo, siamo noi la tigre: ma così increduli e frustrati, dimentichi e depressi, che ogni agnello adesso ci impaurisce, ogni borghesuccio ci tiene estetizzanti al guinzaglio come le eroine scosciate, seducenti e maliarde delle apparizioni di Erté. Roba da calendario per dentisti, corridoi e sale d’aspetto per avvocati condominiali; finti brividi da mazzi di carte…
Torniamo tigri adeguate, e riconosciamoci a unghiate, a soffi e sbuffi di fuoco, a terremoti e sciabolate di canini… Delicati e fatali, carichi di infinita energia… Le tigri di tutti gli amori che furono e che saranno; e insieme l’amor tigre archetipico.
Che bello amare una tigre! – e amarsi tigramente…
1 commento:
Preghiera in casa Humboldt:
Dacci oggi il nostro Fissatigre quotidiano, Padre Zacarias;
dacci una sana tigritudine;
dacci l'avere per avere qualcosa...
"L'avere dell'avaro!," soffiò la Tigre al guinzaglio.
"Se così fosse?," rispose Padre Zacarias.
I familiari lo guardarono.
Dacci oggi il nostro Fissatigre quotidiano, Padre Zacarias;
liberaci dal Male;
liberaci dalla Tigre, insieme alla Tigre;
incarcera e poi libera.
Amen.
*
Nina
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