Quell’anno l’eclissi di sole, con quella moneta di luna a passargli davanti, fu lenta e assonnata. “Noi crediamo” -disse il gruppo dei saggi anziani -“che non sempre le cose che dormono, siano inattive o improduttive, esse piuttosto conservano per tutti gli altri i sogni, ne custodiscono le chiavi segrete e danno al silenzio la voce delle potenti immagini del sogno”.
Non c’era che dire, da quelle parti ci si interrogava su tutto e tutto doveva tornare nei conti di quelle quattro teste canute sputasentenze e forse avevano anche ragione. Perfino la pallida Luna, che per una volta -ogni tanto, se la memoria non mi inganna- osava attraversare il cammino del sole, proporsi sfacciata, farsi quasi toccare all’insaputa dello sguardo di tutti, nel suo lato oscuro, piuttosto che rubarne la luce o meglio fermarla nella corsa verso l’infinito spazio, ebbene… anche in questo caso la rissa delle ipotesi e del conto alla rovescia delle "rivelazioni" era partito. “Vedremo mai più il sole, e se la luna ne rubasse la luce e se invece fosse il sole a squagliare la luna, spogliandone prima i crateri e spolverando le sue rocce laggiù nello spazio?”
Non vi era limite alla fantasia degli uomini, cose che prima, quando si era delfini, non accadevano mai. Ma poi l’evoluzione rese l’uomo più sapiente e solo il buio ne conservò il senso e il timone. Ad ogni modo, anche questa volta il sole sgusciò, un poco più pallido, dalle chiome oramai oro della luna, per riprendere il suo moto celeste, mentre quella non smise di corteggiare la terra e farsi vedere. Di quell’eclissi, lenta ed assonnata, diremo irreale, non rimase che il ricordo, ed anche quello poi scomparve dalle menti curiose degli uomini pettegoli. Tra le stelle, laggiù le cose vennero narrate diversamente, perché diversa è la prospettiva dell’infinito, del profondo e dell’abisso. Si dice che qualcuno, non meglio identificato ne tratteggiasse i contorni e che essi risultassero p e r f e t t i , la rara combinazione delle circonferenze che non saranno mai semplici cerchi.
Nella Foto: Si chiama IC 342; è lontana 11 milioni di anni luce, classificata come una galassia a spirale. Migliore immagine astronomica 2007.
1 commento:
La prospettiva dell'infinito è il nostro vuoto anteriore in divenire. Quell'antico fulgore ci ammanta di vastità. Come non accorgersene? È il principio mistico dell'inessenza: lontananza dal profondo della memoria, percezione d'un palpito, o tristano sito archelogico: quasi fosse la riesumazione, nella volta celeste, di una Pompei delle pupille.
Ma quella lucciola nucleare sempre si farà nido. Sempre la luna dovrà abbeverarsi per risplendere. Le sue mani di mare, pallide mani aurorali, stringeranno il biancore di una garza umida pronta a lenire lacrime sulfuree.
Troppa luce avrebbe addolorato se mancante di resurrezione?
Meglio l’imperfetto vagare tra profluvi di stelle, liberarsi da versi spinati, con le nostre fiaccole senza parola né pensiero. Anche nell'abisso più oscuro. Galattico. Sgusciandone fuori, impercettibilmente.
Incantamento nell'èra dei Cronopios.
“Mi guardasti con occhi che non mi videro,” disse un Cronopio ad un Fama, abitante, quest'ultimo, del Pianeta Humboldt.
“Io guardo, osservo, vedo. Sono dotato della facoltà della vista: mi basta. Sostengo, invece, con inequivocabile certezza, che per te esista una differenza tra ‘guardare’,‘osservare’,‘vedere’senza sospettare quanto ti si complichi la vita, poveretto che sei!” sentenziò un Fama.
“Chiudi i pensieri in cantina. I miei potrebbero spalancarti a un’età fiorita, ad un’inquietudine cosmica… Non si sa mai. Pericolo. Pericolo. Pericolo.”
Questa è la contemporaneità: finta indifferenza. Se non del tutto vera.
*
Un Cronopio se ne tornò nella notte senza palpebre, pensando che in una congiunzione degli opposti, perfino sghemba, avrebbe potuto avverarsi il Principio. La Genesi.
“Essere ciò che sei, senza temere il pudore del pianto!” disse un Cronopio ad un Fama.
Dopodiché si buttò nella galassia IC 342.
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Nina Maroccolo
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