Movimenti danzati in "Sonia, Il Resto della Mia Vita", Piece drammaterapica, Atelier Drammaterapia Liberamente, giugno 2007 |
L’individuo con la sua motivazione giocata all’interno del setting drammaterapico costituisce di per sé il principale strumento. Infatti il lavoro della drammaterapia canalizza la motivazione del soggetto verso operazioni interne, non sempre visibili e la consapevolezza di questo favorisce la creazione di quel gancio conscio-inconscio ben illustrato nell’ipnositerapia ericksoniana. In tal senso, io definisco strumento l’individuo e la sua motivazione quale praticata. Gli strumenti che vengono utilizzati, a parte l'individuazione delle tecniche specifiche che vengono usate, come la danza, la musica, l’espressione vocale, il lavoro con la maschera neutra, ecc, sono intimamente legati al concetto di esplorazione tra comparto esterno ed interno del soggetto, posti a lavorare sinergicamente, ed a quello di sperimentazione. A partire da questi elementi il processo dramaterapico potrà iniziare a fare le sue “prove d’autore” e molto spesso deborderà dal palco, dal laboratorio, per pescare nelle vicende personali del soggetto e renderlo partecipe di idee ed affetti. Come nel contesto della psicanalisi, dove il paziente realizza alcune cose extramoenia (fuori dal setting) e le pone in riferimento a ciò che si è già elaborato nel setting, anche qui possiamo parlare di un particolare “contesto adattivo”: l’incontro della dinamica intrapsichica avviata con la sua vita quotidiana, sia che si tratti di drammaterapia clinica che per le risorse.
Dicevamo sulla “costruzione” dell’azione drammaterapica e quanto questo concetto debba essere rivisitato in modo particolare in questa situazione. Diversamente da quanto avviene nel teatro e nella regia teatrale, nulla qui tende ad una realizzazione “perfetta”: perfetta impersonificazione, perfetta recitazione, dizione, gestualità, aderenza al testo ed alla regia del director. Possiamo sintetizzare che sia l’incontro tra quanto è nelle dinamiche (consapevoli o meno) degli “attori”, sotto il tutoraggio strategico del director a permettere di elicitare idee ed affetti, facendone rappresentazione e “teatro”. In tale operazione, il gesto rimane ultimo ad essere preso in considerazione, per delle motivazioni facilmente intuibili. Infatti, mentre l’espressione gestuale viene conosciuta ed esercitata liberamente e guidata negli esercizi propedeutici alla costruzione dell’azione dramaterapica e discussa nei briefing successivi del gruppo, quando si tratta di costruire una azione drammaterapica, è data la priorità al “verbo”, alla sua nudità di corpo o comunque quella che meglio si fa ambasciatrice dell’affetto dell’attore. In tal modo, si evitano le interferenze ed i pregiudizi di una cura gestuale che diverrebbe “stampella” alla recitazione. Il logos è privilegiato in questa fase, proprio perché si faccia scandaglio di potenza ed impotenza, senza appoggi o imitazioni, fatto che limiterebbe l'autenticità.Convinti del fatto che l'individuo prende coscienza del mondo mimandolo (J. Lecoq) e che la drammaterapia elegge a motore del drama la ricerca interiore, spogliare l'azione del gesto/movimento significa fondamentalmente "drammatizzare" l'esperienza intima del senso, per evocarne la presenza sulla scena. L’incontro dell’attore con la propria voce, nella memoria del testo, può diventare comunque sensorialità e percezione interna del proprio corpo (è il corpo a respirare ed a parlare) e dei gesti che “spontaneamente” accompagnano il dialogo fuori e dentro con se stesso. Gli aspetti contraddittori della comunicazione sono quindi così invitati a farsi visibili, tra linguaggio verbale e somatico. In questa fase il director sollecita “prove” interpretative con la voce, perché essa non si accomodi su tonalità, volumi ed espressioni prosodiche “rituali”, ma, concludendo, solo successivamente prenderà in considerazione i rami (i gesti) di questo albero ancora spoglio che parla (la voce), in uno spazio interpretativo vuoto. Solo successivamente si passa all'analisi del gesto/movimento e quindi alla costruzione di quello che Lecoq definisce il "corpo poetico". Infatti, alludendo in metafora al teatro sciamanico, proprio l’elemento vocale costituirà lo “spirito guida” nella terra di mezzo dell’attore, tra cielo e terra, diventando a tratti “voce interna” (la trance sciamanica) o comunicazione sensibile verso il gruppo.
Cito una affermazione di Lecoq che bene sintetizza il senso che il nostro teatro drammaterapico pone nella didattica teatrale: "Insegnare, è aiutare il gioco a svilupparsi, dal ripetersi del gioco della vita al più vicino della sua espressione, fino ad altri giochi tendendo alla creazione, verso una trasposizione, una trascendenza, che fa vivere l’invisibile delle cose e degli esseri, e fa entrare il teatro in poesia. (omissis) Insegnare, è aiutare l’altro a svilupparsi essendo sufficientemente disponibile fisicamente e mentalmente, per lasciargli aprire il suo spazio".
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