@ da Dedalo
A proposito del lasciarsi portare, senza forzarne il corso, dal processo innescato dai nostri incontri, mi è capitato spesso di rimanere colpito da semplici frasi o concetti esposti dal nostro director o da qualche compagno, oppure da idee sottese o incluse in alcune delle attività da noi svolte. Si è trattato quasi sempre di idee che hanno stimolato l’apertura a nuove possibilità e l’ampliamento dei modi di agire e reagire rispetto alle situazioni della vita, situazioni che magari ci fanno sentire “costretti” in comportamenti che sentiamo pesanti eppure inevitabili. Il messaggio che ho colto dalle nostre attività è stato per me primariamente un invito alla libertà di essere quello che vorremmo essere, o meglio, che abbiamo e siamo dentro. Un capire che c’è questa possibilità di vivere secondo quanto è dentro di noi. Che si può essere il cronopio che è in noi, che si può essere il fama che è in noi, e si può essere tali nella misura che ciò ci rende autentici, senza paure: essere me stesso. Mi viene alla memoria una frase del libro-intervista su Grotowski; diceva Grotowski, a proposito di ciò che avviene o può avvenire nel teatro: “…rinunciare alla paura ed alla vergogna alle quali mi costringono i tuoi occhi appena gli sono accessibile “tutto intiero”. Non nascondermi più, essere quello che sono”. Penso che forse lo sguardo che può destare ancor di più in noi angoscia sia innanzitutto quello nostro interiore verso noi stessi. Penso sia lo sguardo rassegnato, sfiduciato, a disagio, triste, sofferente, solo, impotente. Uno sguardo interiore che è sia causa che effetto di sé stesso, che rende sia artefici che vittime. Questo sentirsi inappropriati, questo fissare dei criteri rispetto ai quali ci si scopre ineluttabilmente inadeguati. Questo non darsi una possibilità, questo non darla agli altri. Questo pensare che la strada sia una sola, fatta in un certo modo, e noi non siamo in grado di imboccarla. E allora è bello scoprire che di strade ce ne sono tante e tante. E allora è bello capire che se ne possono scovare anche delle altre secondo le nostre necessità. E’ chiaro che è fondamentale vivere la vita, uscire di casa, guardarsi intorno, incontrare altre persone, perché poi una maestra mirabile e insostituibile di vita è proprio la vita stessa. Per me quello che facciamo nel nostro atelier è comunque vita, ma ha ed ha avuto sempre in sé una forza centrifuga che non deve essere frustrata, ma deve essere sfruttata; per me la vocazione del lavoro da me svolto è sicuramente quella di spingere verso l’esterno, verso gli altri. Ma questa volta rinunciando alla paura e alla vergogna alle quali mi costringono i “miei” occhi quando gli sono accessibile tutto intiero… E’ altresì chiaro che il lavoro in questione di crescita e maturazione è in procedimento, e non è giunto -ovviamente!!!- al termine… E’ anche chiaro per me che di esperienze e di stimoli al cambiamento ce ne sono stati diversi nella mia vita, e che lo stesso atelier mi ha dato altri spunti di riflessione. Ma comunque l’atelier è certamente andato nella direzione giusta, anche perché –e soprattutto- fa capire che di direzioni e strade ce ne sono tante…
Foto: foto da laboratorio su Grotowsky, 14 marzo 2008, Atelier
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