21 ottobre 1895: “…scrivo non senza piacere, sebbene trasgredisca continuamente le convenzioni della scena. Una commedia, tre parti femminili, sei maschili, quattro atti, un paesaggio (la veduta di un lago) molti discorsi sulla letteratura, poca azione, tonnellate d’amore…Mi convinco sempre più di non essere un buon drammaturgo!”.
Mentre stiamo lavorando Cechov, so già che il prossimo anno le pagine di Ibsen ospiteranno anche noi…e chissà qualcun’altro.
Vi vedo a terra…a raccogliervi dalla fatica di un passaggio di danza-movimento sofferto e goduto. Si sta bene a terra, illude e procrastina scaramanticamente la tappa finale? Non credo veramente. Non solo. Riperpetua…il sogno della nascita! Del resto, pensiamoci, la qualità più importante che ci distinque dal "creato" o "sempre stato" -rispettiamo sempre tutti...- è attribuire un senso, a dispetto di una realtà che non coincide con la verità.
Ora, al mio via…sollevatevi, lentamente, perché le tracce invisibili del lavoro precedente, si collochino dove possono…lavorare... in silenzio e torniamo nel nostro laboratorio “drammatico”
…a Cechov
Maša…Maša è in bilico. Ma quale di questi personaggi non è in pericoloso e “drammatico” equilibrio per non prestarci i suoi panni? Si destina? E’ destinata? Sembra che sulle rive di quel lago la saga dell’illusorio abbia la sua apoteosi; la kermesse dell’inganno, con se stessi prima e poi con gli altri; ma anche la potenza del desiderio e la passione per una libertà negata fino dalle prime pagine. Maša è dignitosa. Cerchiamo di capirci…davvero non ci si può aspettare che Cechov pieghi la storia al suo piccolo eppure puro desiderio di amore…-dobbiamo farlo noi!-. Kostja sarà sempre irraggiungibile, se è di lui che si parla. Egli è perfino “irraggiunto” a se stesso; per dare un senso alla propria vita, è costretto a togliersela, portando al livello più drammatico quella crisi del progetto che pervade tutta l’opera. Troppo gli è stato sottratto prima. Dov’è un padre forte e coraggioso, ma anche debole ed insicuro, con il quale confrontarsi, dal quale scindersi, piuttosto che il grave costante confronto con un amore, quello materno, negato per principio -per la lusinga dell’arte- dalla vedova Treplev, Irina Nikolaevnia Arkadina.
Maša desidera essere compresa e parla della sua disillusione sull’amore sperato di Kostja con il dott. Dorn, personaggio così “amalgama” in questa opera di “disfatti” e “disfatte”. Fondamentalmente rinunce; anche se queste si travestono degli smacchi del destino. Riesce persino scherzosamente a dare iniziali dinieghi al devoto maestro –ne diventerà con-sorte, più in là-. Maša sa amare, sa perdere…e non ditemi che qualcuno di voi non ha dovuto rinunciare, forse dolorosamente, al sogno dell’amore. Non facciamo archeologia nella sua storia, che deve ancora venire, essa appare crudelmente perdente nella giostra di questa famiglia intorno alla quale ruotano personaggi simboli: Boris Alekseevie Trigorin ed il fascino del successo raggiunto; Nina con quello agognato e compresso; Semen Semenovic Medvenko…così di buon senso e luogo di raccolta dei lamenti incompresi; Petr Nicolaevic Sorin…filosoficamente ormai addormentato nelle vicende dei proprio congiunti, ma tuttavia buono e paternalisticamente osservato dalla sorella. Anche se di “teatro” si parlerà lungo tutto il percorso dei personaggi, fino a farne vera discussione dibattito nel secondo tempo, è dell’amore che stiamo parlando e travestirlo rassicura, ma fa perdere…
Dott. Dorn a Kostja: “Voi avete tratto la vostra storia dal mondo delle idee astratte. E avete fatto bene, perché un’opera d’arte deve assolutamente riflettere qualche grande pensiero. Solo quello che è serio è bello”. Il riparo all’amore che non si può avere –la madre-, a quello che non si può conquistare –Nina- ha funzionato per ora nel teatro, ma non fine alla fine del "teatro"!
Maša è da sempre vietata a Kostja, non ha fatto alcun bagno nella fonte battesimale dell’arte per poter essere vista. Piuttosto è Nina a poter avere tutti numeri del successo nel cuore di Kostja; Nina Michailovnia Zareenaja, tanto apprezzata dall’Arcadina madre –ma sapremo mai se poi è così che accade?- e dunque partito possibile per il sogno d’amore del figlio. Che triste! Bisogna dirlo…Kostja riceve due dinieghi, per il vantaggio della fama e del successo, dalle due donne -ma in fondo è una-, che avrebbe-ro potuto-dovuto amarlo…
E’ troppo! Nel progetto d’amore, quello fatto delle lettere d’amore alla propria amata –nelle quattrocento di Anton Cechov alla sua amata Olga Knipper…- , quelle silenziose o redatte dietro la corsa veloce di un prompt sullo screen, vi è il riassumere ciò che si è sperimentato o non si è avuto. Diverso è un edipo positivo appunto, che imprigiona. E’ l’abbraccio amoroso che ti riconcilia, direbbe Barthes, che qui dunque manca…
E’ troppo per qualsiasi figlio, uomo, attore e la sua depressione, sorretta negli ultimi due anni dalle stampelle finte-vere del teatro, lo destina. Egli ama il teatro come fosse suo padre. Un padre “nuovo”, come un teatro nuovo, quello vero è fantasma…e’ superato; vorrebbe finalmente che la coppia genitoriale si accorgesse di lui… Lo facesse figlio d’arte contro un destino che sembra avergli tolto tutto dall’inizio. Egli non profetizza la propria fine, quando spudoratamente -con l’isteria del ricatto forse- consegna il gabbiano morto alla sua Nina. Egli legge il destino ed arriva sino alla fine del romanzo. Non ditemi di nò! Lo vedete anche voi…a quel punto finisce l’opera. Finisce tutto. Il sorpasso non è riuscito. L’arte è rimasta imprigionata nelle briglie dell’amore e questo inespresso per un’autenticità mai condivisa. Tra nessuno ed in nessuno di questi preziosi triangoli cecoviani: Kostja-Arkadina-Nina, Nina-Arkadina-Trigorin, Maša-Kostja-Medvenko…
Arrivederci Maša... arriverderci Kostja.
"Curare Čechov con Čechov –ma il Čechov che è anche in noi, nel pur affettuoso bestiario domestico dei suoi personaggi che tanto ci riguardano, tanto ci contengono…"...così scrive poche righe più sotto il caro Plinio Perilli.
Respiriamo…anche se sulle rive di un lago, espressione di liberta’ verso il cielo preso da un gabbiano, ci sentiamo claustrofobici… E’ proprio la parte “consumata” e “spenta” di un lago che ha imprigionato affetti e negato quel volo all’uccello. E’ il nostro lavoro a poterlo liberare.
Bibliografia dott. Cechov
Cechov Platonov (dramma, 1880-1881), Racconti di Melpomene (1884), Il tabacco fa male (vaudeville, 1884), Tragico contro voglia aI canto del cigno Sulla via maestra Racconti variopinti (1886), Nel crepuscolo (1887), La steppa (1888), Ivanov (dramma, 1888), Lescij (dramma 1889), I quaderni del dottor Cechov (1891-1904), La corsia n.6 (1892), Il monaco nero (1892?), Il duello (1892), Il gabbiano (dramma, 1895), La mia vita (1895), L'isola di Sachalin (1895), I contadini (1897), Il racconto di uno sconosciuto (1898), La signora con il cagnolino (1898), Zio Vanja (1899), Tatjana Répina (dramma, 1899), Nel burrone (1900), Le Tre Sorelle (dramma, 1901), Il Giardino dei Ciliegi (1904).
Foto: foto di scena da Rodolfo, piece drammaterapica Atelier LiberaMente, Roma dicembre
2007;
"Anton Cechov ed Olga Knipper, Mosca 1901".