Quando si lavora con la nostra psicologia, tutto ciò che si osserva è sempre relativo alle condizioni in cui ci siamo posti, alle nostre motivazioni ed attitudini, alla nostre stessa attività critica su quanto si sta svolgendo. Esattamente come per l’espressione artistica, che non prevede certo risposte e traguardi univoci, ma è il risultato di un incontro tra fattori personali e la rappresentazione –sempre semantica- della realtà. Come per modellare un vaso, dipingerne la superficie, anche per la sensibilità ad accedere ad una esperienza introspettiva, esiste una naturale attitudine, più o meno intensa, ma comune a tutti gli individui ed alla quale si può essere addestrati. Un limite è comunque presente in tutte le attività umane, che si tratti di sollevare dei pesi o di osservarsi dentro: la fatica che conduce alla stanchezza, che riduce la performance.
Siamo essere fatti per essere integrati; il prezzo che paghiamo per esserci “distinti” dalla materia informis è quello di un costante controllo della realtà, perché questa non ci prevarichi facendoci tornare prima del tempo allo stato di quiete “inorganica”! Essere vivi è quindi per definizione il limite della “libertà”; come un ciotolo può fare, noi non possiamo rotolare da una galassia all’altra senza interrogarci sulle tre famose domande…Pronti alla difesa o all’attacco, con una delega poderosa a meccanismi automatici, siamo incappati in quel meraviglioso e “divino” incidente di percorso che è l’autocoscienza. Orgogliosi della “costruzione sociale”, quale proiezione della mente che nasceva, siamo consapevoli della nostra fatica
E veniamo all’Atelier, al nostro lavoro a full-immersion… che ti sottrae alla quotidiano gioco delle parti, per aprire nel luogo del “teatro” gli strumenti della comprensione e del cambiamento. L’analogia tra il teatro e la vita non è nostra. Il teatro è nato per questo, l’estensione rappresentata di quanto di teatricamente già avviene vivendo. Rappresentiamo il mondo con i nostri sensi, conoscendolo e modificandolo e probabilmente il primo abbozzo di coscienza dell’Io, di consapevolezza cosciente, avvenne nelle rappresentazioni di progenitori che volevano comunicare tra loro, ancora in assenza di un linguaggio elaborato. Corpi, salti, suoni gutturali, soffi ed una mimica totalmente affettiva descrivevano “suggestivamente” qualcosa di dentro fuori: il “drama”. Poi, divenne teatro.
E veniamo allo scorso incontro. Hai “giocato” con i tuoi “amici”, li hai vestiti di tuoi parenti, genitori, conoscenti , e -per ricollegarci agli ultimi due post- hai fatto un salto oltre l’”orizzonte” e compreso che “camminare” sulle acque non è molto facile, sono ampie e profonde ed anche molto abitate! Siamo giunti all’ora “che volge il desio”, come adesso, decisamente stanchi, ma soddisfatti, completamente convinti di non voler pensare più a nulla per almeno le prossime dodici ore! Che poi è quel prezioso tempo di incubazione in cui l’inconscio lavora -a scatola chiusa- quanto hai messo dentro. Uno di voi mi ha scritto “…l' atelier...se chiudo gli occhi per pensare alla giornata mi vengono in mente tante cose. ma ad occhi aperti , come ti dicevo, ho parecchi vuoti.. adesso la cosa mi piace. mentre lunedì ero un po' spaventata perchè non ricordavo nulla ora, avendo trovato questo " metodo", penso che tutto quello che abbiamo fatto mi è arrivato dritto dritto dentro e solo abbandonandomi un po' riesco a riprovare quelle sensazioni e a ricordare ciò che abbiamo fatto”. Il director si aggira tra di voi, funzionano solo i suoi passi e lo sguardo, non parla. Ancora non avete appreso che una delle tecniche migliori per attivare un hypnodrama è la sorpresa; non si chiede al vostro cervello sinistro di funzionare, ma allo stato di vigilanza che tuttavia lotta con un po’ di stanchezza. Poi egli parla: “Sapete…possiamo accettare di essere stanchi, si, possiamo accettarlo; del resto si è lavorato e non c’è cosa migliore che abbandonarsi ad uno stato di piacevole stanchezza –mentre le sue braccia si allargano a stiracchiarsi socchiudendo un poco gli occhi-. Anzi, possiamo perfino utilizzare questo stato –la stanchezza aggira le resistenze-…persino sfruttarlo…” viene detto che il prossimo esercizio "sfruttera" la stanchezza acquisita (!) per essere eseguito, su quella costruirà piacevolmente il suo percorso…ad occhi chiusi. In un'era dove dovremmo imparae a riciclere intelligentemente tutto, anche le risorse si prestano a questo gioco. Rilassati, voi quindi lasciate che le vostre braccia si estendano in avanti, come grandi ammortizzatori verso ostacoli fantastici ed i vostri occhi lentamente si chiudano. Camminare Ad Occhi Chiusi è il titolo dell’esperienza. Ne abbiamo parlato all’inizio di questo post, nessuno cammina nel buio, a meno che le circostanze, sfortunatamente, non glielo impongano. Ma “camminare nel buio” si presta anche alla metafora della conoscenza; chiudere l’occhio della ragione, per aprire quello dell’istinto, ed anche di questo abbiamo parlato. Evocare risorse nascoste ed in questa operazione ora la stanchezza può aiutare. Se conosci il luogo, lo hai già abitato, se procedi lentamente, se tra la punta del tuo naso e le cose di fuori –ed ad occhi aperti non sempre ne abbiamo!- vi è la distanza ragionevole e prudente delle tue braccia distese, non puoi pericolare alcun incontro minaccioso, nessuno scontro fatale…eppure. Eppure non è così; se si è molto abituati al “controllo” del mondo il lasciarsi andare, anche in un ambiente protetto sollecita ansia, più simbolica che realistica. Incontrarsi con essa e scendere a patti è il significato dell’esperienza proposta. Ora…le vostre esperienze, “naviganti”…