Narratore e Director, Blue Beard, Atelier Drammaterapia, 2006 |
Con estremo rispetto di questa Corte e del Pubblico Ministero, debbo dire che assai scarsa di contenuto e soprattutto convinzione appare l'autodifesa di Rebecca. Veniamo a quanto ella ci dice...sul tempo, quello suo, che non era quello che canta Alda Merini...
"Non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue...",
nè quello pieno di passione, forse "intellettuale" ci dice Rebecca (sic!), che recita Shakespeare:
"Non mangia che colombe l'amore, e ciò genera sangue caldo, e il sangue caldo genera caldi pensieri e i caldi pensieri generano calde azioni, e le calde azioni sono l'amore".
Siamo d'accordo! Si conceda che i "tempi" della nostra storia non diano spazio all'idealità dell'amore ed ai colori della passione; che l'esigenza di un "buon partito" sia migliore a sfamare i bisogni di una giovine donna della contrada, piuttosto che l'amore puro del compagno dell'orto. Ma poi, dobbiamo ammettere, quali ragioni etiche suggerino a Rebecca di innamorarsi "artificialmente" di Barbablu? In quale cuore bugiardo nacque la scellerata intenzione di rompere un patto accettato e contratto: non aprire quella porta?
Non vi è dubbio che la grave condizione che Barbablù poneva alla altrui fiducia, la spietata prova -sia pure essa celasse il suo amore puro e sincero- non appartiene alla convenzione dei rapporti in una coppia, ma altresì è vero che a quei "tempi", la donna era più proprietà del suo Signore, che partecipe compagna. Eppure egli, Barbablù, in un disperato gesto, spogliava se stesso di ogni potere (le chiavi), chiedendo a lei di decidere se fare di lui un uomo felice o il disperato che sentiva di essere da sempre? Riusciremo a leggere tanto amore in tanta follia?
Sappiamo cosa obietterà il Pubblico Ministero. Lì, anche se luogo maledetto, nessun codice di guerra o legge marziale a punire chi oltrepassa un confine, ne siamo consapevoli. Sappiamo di non trovarci in un tribunale di guerra e nemmeno ordinario, illustri giurati, poichè il solo tribunale che conta è la nostra coscienza. Se di diritti e doveri infranti dovessimo discutere, ancor prima dovremmo concordare sul fatto che il reato, nella fattispecie, non fu mai commesso e che fu una morte prematura a fermare il gesto scellerato di Barbablù. Ma la nostra coscienza e quella di Rebecca è insieme luogo dei fatti e luogo del giudizio. Insana, profondamente "malata" la condotta di Barbablù (che fosse colpa della sua Barba o quella prendesse colore a causa della malattia della mente è cosa che lasciamo i genetisti); egli che chiede prove supreme e regala punizioni cruente, totali, la morte. Ma l'amore, o meglio la sua mancanza, ha reso folle quest'uomo.
Potrà anche Rebecca appellarsi a qualche stravagante follia per giustificare il fatto che nel sentimento verso il proprio signore vi fossero opzioni nascoste, da scoprire nel sicuro della sua assenza e dopo giuramento? Barbablù, ad onta del proprio aspetto, non aveva dato segni di malvagita nel tempo prima (che gli altri sapessero) e la fiaba lo dice...desiderava rendere felice in tutto la sua sposa. Ma questa, per essere tale, doveva mostrarlo. Quanto Barbablù chiede non giusto, comeo è invece comprensibile (derivabile) nella psicodinamica di una mente sofferente. Non disse Ovido: "Voglio se posso odiarti e se non posso per sempre amarti"? E Lamarque non descrisse l'amore nel bisticcio misterioso tra possesso e libertà: "Con un filo d'oro la vorrei legare a me. Poi, come prova d'amore, la vorrei per sempre liberare"?
Non vogliate leggere sarcasmo nelle mie parole, ma dovremmo forse dire, paradossalmente, che proprio quella follia regalasse a Barbablù la profondità di un sentimento che in Rebecca era l'affetto addomesticato di una donna solo "curiosa"?
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