@ Director
As mind master of the CDIOT, this gives me the opportunity to open a discussion on the fascinating Mind's Creative Processes and the Theatre. So I invite you to join our community, getting it prestigious, because it will be built with your intuitions and questions, meditation and inner answers. This is the place where you can use the freedom to express your doubts and you ideas, sharing with the others the research of your way. The Mind is a living miracle, available better than we could immagine; the theatre is a powerful tool to get deeply its power! But what beyond our discussions?
Prepare for becoming part of a new way to discuss with your right emisphere.
Explore the real power of hypnosis, dramatherapy and cinema-dramatherapy and get away its magic and false misconceptions.
Work nicely with us to create our friendship and the warmth of our curiosity and mind’s exploration.
Learn, enjoy and get excited!
Help yourself adapt to altering life-style changes..if there’s one constant in our life today it’s change; from every direction and faster than ever.
Let’s make the dream a reality...and much much more! Contact and interface with our staff; psychiatrists and psychologists will help you to get your life better!I’m just looking forward to seeing your messages here!

"It does not take much strength to do things, but it requires great strength to decide on what to do" Elbert Hubbard

sabato 30 maggio 2009

Dramatherapy, The Power of Propaganda


"The effective propagandist must be a master of the art of speech, of writing, or journalism, of the poster and of the leaflet. He must have the gift to use the major methods of influencing public opinion such as the press, film and radio to serve his ideas and goals, above all in an age of advancing technology. . . It may be good to have power based on weapons. It is better and longer lasting, however, to win and hold the heart of a nation" Joseph Goebbels 1934 *

Ho sognato di essere Hitler, vestito con il pigiamone dei lager. Passavo da compagno di camerata a compagno esclamando "Sieg Heil", ma niente da fare…ero totalmente ignorato. Cercavo di ravvivarle, quelle sagome, infondendogli coraggio, in fondo si sarebbero potuti salvare se fossere divenuti bianchi, biondi e celesti negli occhi e la promessa della vittoria può farne di trasformazioni. Ho provato una desolante tristezza una completa impotenza. Allora me ne sono tornato nella sede dell'alto comando militare in Bendlerstrasse e di lì ho ordinato che fossero tutti bruciati. Ho anche chiamato immediatamente Gobbels e gli ho detto: “Caro amico…inventa per me giusto un piccola altra “lie”, mettiamo dunque una "soluzione finale alla questione ebraica”… che so… erano sporchi, malati, fanatici e troppo orgogliosi per parlare ed orribili con quel lacrimoso Passo Buchenwald …direi inutili, per questo li ho eliminati”. Poi mi sono accorto di indossare la loro stessa casacca a strisce bianche e nere ed ho cominciato a correre inciampando su molti cadaveri e quelli si rianimavano, senza fine…senza fine…Mi sono svegliato, tutto sudato e pieno d’affanno. Allora, ho lasciato che il Führer ancora bivaccasse per qualche istante in me -che a rimuovere i conflitti ci si perde sempre-, poi ho definitivamente (?) bruciato la sua presenza.
Mi chiedo, allora, se siamo tutti disposti a scovarlo, stanarlo e metterlo al bando, sapendo che gli abbiamo dato asilo senza accorgercene, a volte ostello gratuito, purchè pagasse.


"…attendo Hitler i presenti stavano già dando segni di impazienza, quando, in fondo a una via e rimpiccolito dalla distanza apparve il Fürher circondato dal suo seguito. Lo scrittore vide la folla, progressivamente travolta da una specie di isterismo, acclamare con frenesia l'uomo sinistro. L'isterismo si spandeva, avanzava con Hitler come una marea. Sulle prime Denis de Rougemont rimase sbalordito di fronte a questo delirio. Ma quando il Fürher si avvicinò e tutti, intorno a lui, furono contagiati dal generale isterismo, lo scrittore si accorse che quel furore cercava di impadronirsi anche di lui, che quel delirio "l'elettrizzava". Stava per soccombere a quella magia, quando qualcosa salì dal profondo del suo essere, opponendosi alla tempesta collettiva. Si sentiva a disagio, spaventosamente solo in mezzo alla folla; aveva resistito ed esitato allo stesso tempo. Poi sentendosi "letteralmente" drizzare i capelli in testa, capì ciò che significa Orrore Sacro. In quel momento non era il suo pensiero a resistere, non erano le argomentazioni che gli venivano in mente; era la sua "personalità" che si ribellava. Ecco: probabilmente il punto di partenza del 'mio' rinoceronte" Eugène Ionesco


Foto: "Dramatherapy, The Dictator", foto-elaborazioni di E. Gioacchini, 2009

mercoledì 27 maggio 2009

Drammaterapia, Gesto & Identità











@ Andrea
su "Drammaterapia. il Gesto dell'Attore"

Vivere il mondo materiale, di cui il nostro corpo e noi stessi facciamo parte. Relazionarci con esso, farlo entrare in noi, se lo vogliamo, e noi espanderci in esso. Abitare il nostro corpo, essere noi stessi anche in questa ulteriore modalità che ci è stata data, il nostro corpo e il mondo fisico. Sentire l’aria intorno alla nostra pelle e che entra dentro di noi dal nostro naso anche se non respiriamo, a voler quasi significare che c’è una relazione, o forse una identità, tra il nostro corpo e il mondo che ci circonda. C’è forse bisogno della consapevolezza della situazione in cui ci siamo venuti a trovare. Siamo sì anima, ma dentro a un corpo e su un pianeta, con il desiderio a volte di toccare, a volte di essere a piedi nudi, a volte di baciare, mordere, odorare, stringere. Insomma, non c’è solo il mondo materiale, ma anche il nostro desiderio di viverlo, e di viverlo come sentiamo dentro di noi, anche guidati dalla nostra fantasia. E per questo, per liberare i gesti imprigionati, per riscoprire i gesti abituali e non, forse dobbiamo prima liberare e scoprire noi stessi dalle paure, dai pregiudizi che ci gravano ma che non sentiamo nostri e che seguiamo perché temiamo il giudizio degli altri. Che i gesti, e tutto il nostro corpo, come anche il linguaggio di cui abbiamo parlato in tanti post, siano un modo per cercare di esprimerci, entrare in relazione, condividere, sfruttandone tutte le potenzialità, comprese quelle che ci vengono dalla fantasia e dalla creatività, in modo, come ha scritto il Director, da “trasformare la fissità di una architettura immobile nell'interpretazione gestuale di un'anima alla ricerca. Se diverrete esploratori del consueto, ordinario, catalogato mondo che vi circonda, avrete scoperto voi stessi”.

Foto: "Drammaterapia., Gesto & Identità", Laboratorio di Drammaterapia, Aprile 2008

martedì 26 maggio 2009

Drammaterapia, il Gesto dell'Attore



















Voglio il vostro Gesto!

Impigrito, abbandonato, confezionato nella ritualità del vostro giorno, il gesto manca!
C’è da disperare che sia perso, se non fosse per l’ottimismo che mi deriva dalla consapevolezza che i ricordi sensoriali esistono e possono essere messi in moto…, n u o v a- m e n t e. "Cerchiamo nel corpo le attitudini sepolte", J. Lecoq. Dobbiamo ricercarlo dietro le mani che si giungono a chiuderci in protezione, che abbracciano la nostra pancia, imprigionano il loro stesso uso, avvinghiate a cibarsi di loro stesse, nel contatto solito del “eccomi qui ed ora…?”. Può essere scovato negli arti a penzoloni , foglie al vento degli eventi fisici e comunicativi; nel tronco contratto a far accovacciare la testa, tartarughe –poi non tanto “giganti”- che si illudono che la forza, l’energia, sia da trovare dentro, trattenuta - contratta appunto anch’essa- ed espulsa con una finta voce strozzata –ancora contratta!

Il movimento può essere riscoperto dietro quell’avvitarsi maldestro della testa sul busto, robotica transalazione laterale che allunga la testa sino al bacino in una movenza tutt’uno, che ha fatto dimenticare quanto le vertebre del collo siano “snodabili” ed il gioco dei contrappesi permetta a quest’ultimo il bellissimo bilico tra la testa a sinistra ed il resto, tutto a destra.

Il corpo può cantare tra le nuvole, ma per farlo ha bisogno del gesto e questo presuppone l’intenzione a darvi luogo. Darvi luogo, intenzione, gesto…e sì che non è lo stesso luogo occupato –magari davvero vi fosse poi quel possesso che lo “occupa” ogni volta nuovo!-, ma il luogo che si dà…quello più abitato: luogo dinamico, espressivo del vostro “cantare le nuvole”! Tutte diverse, le vostre nuvole ed unico medium ad esprimere la commovenza, l'emozione. Che ne so io, cari attori, di quanto la Torre Eiffel allunga il vostro collo e fa bucare il cielo alla vostra testa, vorrei dire con Jaques Lecoq? Quanto la paludosa deriva del vero "potere" riesca ad essere vista in quella chiassosa del vostro corpo affetto da rinocerontesca potenza, quando vi schiacciate e poi barrite, mimando, l’esultanza ioneschiana della trasformazione in animali, ex uomini? E non so proprio quanta genuina -un attimo prima improbabile- emozione dilaterà i vostri occhi e le braccia e le gambe e tutti i visceri , centripeto urlo verso l’ignoto…

Conosco solo che “voglio il vostro gesto!”, scomposto, esteso, ordinato, segmentato, sincopato, raccolto, che sorga n u o v a –m e n t e a meravigliarvi che non tutto, prima, era stato pensato. Che un oggetto può muovere il vostro corpo, tentando ad ogni exsperimentum di trasformare la fissità di una architettura immobile nell'interpretazione gestuale di un'anima alla ricerca. Se diverrete esploratori del consueto, ordinario, catalogato mondo che vi circonda, avrete scoperto voi stessi, anzichè avidi collezionatori del "pezzo raro".
Foto: "Il Gesto dell'Attore", da Laboratorio di Drammaterapia, Aprile 2008

venerdì 22 maggio 2009

Drammaterapia, la Voce dell'Attore


La voce, la vostra voce!

Dov’è, dove è stata inghiottita? Precipitata in quella di una balena più grande di voi a far eco nella sua pancia?
“Papino, papino dove sei?”– Pinocchio era stato improvvisamente attraversato dalla mancanza di suo padre, finito -per salvarlo nella bocca della Balena…Ed ora reclamava la sua presenza; tutti e due nella pancia, percorso all’indietro delle loro storie. Eh sì, perchè se non conosciamo della madre di Geppetto, certamente Pinocchio una madre non deve averla mai avuta. Solo sognata e ricercata…la Fatina ed ora quella grande pancia a far eco alla sua esplorazione del mondo. “Papino, papino…dove ti trovi? Ci sei?”.

La vostra voce, anch’essa deglutita nelle vostre gole…che dirlo più forte quel “Papinooo?”, può far ricordare che non c'è, non c’è stato, non si è stati fortunati o capaci di conquistarlo o metterci al suo posto? L’astensione dal conflitto con il nostro passato, indebolisce la voce, la riduce a segnale di un “non-posto”; l’immersione incosciente in esso regala la grottesca arroganza della nostra guerra al mondo! Per questo l’eco ci regala meraviglia –la graziosa importanza del nostro esserci, più che di aver comunicato-, o la terribile paura di essere stati scoperti. E non è questo il senso del mito: la grave punizione di essersi prestata all’inganno –la voce, la nifa, l’eco- e sospirare rinsecchita per sempre in una roccia in prossimità di uno stagno?
Il senso della nostra esistenza “prestata” all’altro, con la subdola richiesta di riuscire a farla vivere? L'impossibilità ad esistere, amata, fuori, da Narciso?
Nella fuga silenziosa dentro un "non-posto" tra i boschi, come a parlare solo con noi, nell'eco silenzioso, anch'esso, del "Io sono" di un Narciso impazzito perchè non può amarsi?
E l’urlo rabbioso di Narciso, all’improduttivo moto d’amore verso se stessi?
Come potrebbe, se l'amore è quel misterioso e magnifico arco riflesso che torna a me dopo un viaggio rischioso ed eccitante fuori -perchè eccitati i miei recettori- a riparlarmi di me, pericolato nell'esistenza dell'altro e tuttavia forse salvo?
Ed allora, questa voce che deve fare, dove deve andare?

Domande sbagliate, cari attori, chiederci piuttosto di cosa deve parlare Essa porta noi, fuori! Poco altro da dire: noi, fuori… Dentro la pancia dei nostri ripensamenti, nel ripiegamento riflessivo –pure utile- della nostra voce che ci parli dentro, c’è la promessa di un’antica carezza…
Ma ora, cresciuti, questa fiorisce fuori. E va cercata, chiamata per nome, provata fuori. Ecco perché voglio la vostra voce, desinenza invisibile di tutte le declinazioni e dei predicati possibili. Director

Foto: "Echo" di Alexander Cabanel

giovedì 21 maggio 2009

VOGLIO IL VOSTRO CUORE


Siamo appena all’inizio dell’avventura, e non si poteva scegliere un paesaggio migliore: una arena indivisa tra rinoceronti ed uomini. Dico indivisa, perché non si può fare un “taglio intelligente” -come quelle forbici di Photoshop fanno-, su quanto dei primi appartenga ai secondi e viceversa! Tranello biologico, culturale, dove sembra contare di più l’istinto di “territorio” che quello della specie. Ed in questo posto privilegiato, perché esplicativo, impudicamente, della nostra contraddizione, tuttavia si può ancora usare la parola “peccato”! Per carità, termine che uso lontano da ogni esegesi di stampo teologico, ma piuttosto a descrivere quella forma di insidiosa paura di accedere a verità celate. Esso ci preclude l’affacciarsi della mente al dialogo con se stessa, unica condizione dove l’ascolto, se attento, potrebbe uscire dalla autoreferenzialità.


Osservate, però, come il nostro progetto, il nostro teatro, nudo scenario di burattini abitati da noi e dal sogno, ci fornisce una singolare opportunità. Rendere, finalmente, la coerenza tra quanto potrebbe essere se solo noi fossimo. Vi pare poco? No, non è poco, è la verità più incontrovertibile, che sonda nelle possibilità di un destino che assolutamente ciechi, senza mai dircelo apertamente, crediamo inamovibile. Vi pare poco avviare quel dialogo di cui parlavo attraverso uno specchio gigante che è il “teatro”? Mi ripeto, non è poco, ma è un processo che passa per la silenziosa o urlata –poco importa- accettazione del punto in cui siamo. Il pudore è un lenzuolo prezioso che veste quello che già si conosce, poco importa se a noi o all’altro, ma può rivelarsi il più subdolo dei comportamenti, quando non viene interrogato. E perché questo “teatro” possa funzionare, mi serve il vostro cuore. Solo quello ci salva, nudi ed “impudici” dinnanzi allo spettatore, vestiti solo di quanto autenticamente abbiamo sperimentato nel tempo prima.

Voglio il vostro cuore e serve quel lungo lamento d’amore per la vita che fluttua tra eccessi e pigrizia, tra esaltazione e povertà. Francescano proclama – se il Santo me lo concede- di un essere poveri o di non saper vedere, ma “salvi” nel sapere di cercare. Non dice Grotowsky che voi compite una “messa”, che di sacro ha l’intento umano, piuttosto che la delega al divino? Lascerete entrare lo sguardo smarrito o malizioso di chi vi guarda a fare il suo mestiere di scelta, mentre siete sul palco a livello del mare o piuttosto sarà la finta “altitudine” del mestiere del recitante a proteggervi dall’incontro pericoloso con voi stessi nell’altro? Se non vedrete pericolo, se non saprete di pericolare e scegliere tuttavia di essere lì, avrete una finta “salvezza”, avrete la farsa piuttosto che il teatro, la pantomima, anziché l’autenticità. Personaggi che provengono da lontano e da vicino li farete abitare in voi: vi sembra poco questa responsabilità di anima-rvi solo apparentemente di altro? Lo sentirete questo gesto, questa parola, questo pensiero albergare in un costante bisticcio tra le infinite bisettrici di una angolo anch’esso infinito? Per questo chiedo il vostro “cuore”, perché esso è strada, non mezzo, è cammino, non luogo, è dono.

Desidero vedere la passione di quel sottile ed a tratti massiccio litigio tra voi e il personaggio, luogo d’incontro senza conciliazione -che sarebbe compromesso-, vitale per questo che si declina nella drammatica ripetizione senza sosta di un saluto al mattino, che parla di voi, piuttosto che del gesto-parola. Nessun funambolismo, nessun tentativo di sorreggersi –che già anticiperebbe la contraddizione tra fune ed intento-, ma ricerca dentro quello, di quanto può accadere e svelare.
Per questo, compagnia, voglio il vostro cuore, piccolo, grande, malandato, stordito e confuso, attento e distratto, impigrito e solerte, comunque.
E tutto, vi giuro, senza spostarlo da vostro petto. Director

Foto: "emo_heart__6_.jpg" di djrisso

martedì 19 maggio 2009

Drammaterapia: Un Rinoceronte In Libertà...

@ Plinio Perilli

È pericoloso. “Un rinoceronte in libertà è pericoloso… ” ammette Berenger già nell’atto primo del capolavoro di Eugène Ionesco (Le rhinocéros, 1959). Ma l’equazione è insieme banale e sapientissima… Perché è anche e ancor più pericoloso –dopo tutta la costruzione e l’ammonimento antropocentrico della sua pièce – che un rinoceronte non sia, in libertà! Cioè a dire, nella savana o nei continenti che più gli aggradano. Figurarsi –invece– nell’abitato educato, pedante e maldestro d’una piccola cittadina di provincia francese, in pieni, grigi e sconsolanti anni ‘50…

BERENGER Tutti i pompieri! Sono tutti dei rinoceronti! Un reggimento di rinoceronti con la banda in testa!
DAISY Sfilano sul viale!…
BERENGER È la fine, la fine!
DAISY … altri rinoceronti escono dai portoni!
BERENGER … dalle case…
DUDARD … persino dalle finestre…
DAISY … e raggiungono gli altri!

A un certo punto della rappresentazione, viene quasi da credere che questa satira serissima, anzi drammatica, metta al centro, incarni (o meglio incorazzi) nel rinoceronte scorrazzante e poderoso, la stessa terribile irruenza della vera libertà mal gestita…
La vera Libertà (il vero paventato e poi apparso rinoceronte), fa paura, destabilizza e schiaccia tutto – sgomina i luoghi comuni, carica e incorna tutto e tutti, a cominciare dalle nostre assurde, fedifraghe coscienzuole di borghesi insopportabilmente postromantici, e finanche esistenzialisti…

Che il teatro dell’assurdo fosse un netto passo in avanti perfino rispetto al glorioso teatro esistenzialista (da una cui costola pur nacque!), certo lo pensarono in molti.
Dopo ogni guerra mondiale del ‘900, ricominciare, ricostruirsi, originò un teatro che davvero spaccava in quattro quel che restava dell’Io… Un Io che neppure più i romanzieri sembravano in grado di gestire, di rinfrancare o tacitare, secondo il caso. Pirandello fu il miglior figlio dramatico della Grande Guerra, dove tra pazzia e realtà, nemmeno al suo Enrico IV (1922) era dato stabilire un confine…
Dopo l’ancor più atroce Seconda Guerra Mondiale, chiusa (o forse peggio prolungata) dalla bomba atomica, potevano ormai ben poco perfino gli struggenti dramma di Sartre e Camus. Caligola (1944-45) impazziva per davvero, ma lo salvava in fondo la Storia, e soprattutto la società allargata dei finti sani, dei pagani apostoli creduloni in una qualche ancora “Normalità”…
Adesso Enrico IV era Ezra Pound, imprigionato a Livorno in una gabbia di ferro come (vero, lucido) sano, e liberato come (finto) pazzo… Poteva infatti rimanere in un manicomio criminale il (notoriamente) più grande poeta del ‘900?
Soltanto ossa e cuoia stanno fra te e il τò παν”,
[toh pan, il tutto]

Certo che no – e il nostro stesso ‘900 non l’avrebbe saputo tollerare… Sarebbe stato come vedere una carica di rinoceronti dentro una delle nostre quiete, sane, un po’ noiose ma smaliziate cittadine…
Ma ora, e per davvero –solo ora– l’Assurdo poteva gloriosamente andare in scena, intavolare scene e gangli e dialoghi di sopraffina ma urticante verità interiore...

BERENGER (sempre più seccato) Non sta a dimostrare un accidente! È tutto un rebus, una pazzia!
DUDARD Prima di tutto bisognerebbe stabilire che cos’è la pazzia…
BERENGER La pazzia è la pazzia, no?! La pazzia è semplicemente pazzia! Lo sanno tutti che cos’è la pazzia! E i rinoceronti, sono pratica o teoria?
DUDARD L’uno e l’altro.
BERENGER Come sarebbe a dire l’uno e l’altro?
DUDARD L’uno e l’altro o l’uno e l’altro. È da vedere.
BERENGER Allora a questo punto io… io mi rifiuto di pensare!

Davvero Ionesco mostra la società umana come priva, anzi deprivata, o quasi, di realtà: ne rappresenta gli aspetti fenomenici solo per rivelare il nulla che li sottende. Un Nulla insieme quotidiano e gnoseologico, conversevole e metafisico. E in questo disvelamento minimo e supremo tra realtà e nulla, egli accelera e abbraccia uno stile che riprendeva le deformazioni linguistiche di un Alfred Jarry (Ubu re esce nel 1896, Ubu incatenato nel 1900), perfettamente capovolgendo –ha scritto Alberto Savini– la “règle du jeu”… Ionesco, e per sua stessa ammissione, persegue, a colpi di nonsenso, una morbida ma accanita lotta “contro l’eterno borghese che è dentro di noi, quello che spunta sempre di qua o di là d’ogni sovrastruttura sociale”…

Di padre rumeno e madre francese, Eugène Ionesco (1912-94), esistenzialisticamente diviso fra Bucarest e Parigi, ha sempre vissuto sulla propria pelle le incongruenze ma anche le scappatoie, i bizantinismi duttili e feroci del linguaggio. Ed è il linguaggio l’anima ricettiva, senziente e amplificata degli uomini e dei problemi che immette sul palcoscenico dei suoi drammi, di volta in volta frammentati, ameni o implacabili d’assurdità: La cantatrice calva (1950), La lezione (1951), Le sedie (1952)…
L’Assurdo che già fu caro a Sartre e Camus (ma soprattutto a Beckett, Adamov, Tardieu, Vian & Co. …), trova in lui l’alfiere più lucido e insieme tagliente, più sarcasticamente capzioso e sillogista:

Surrealismo verbale? Anticommedia? No, non bisogna aver paura di sottolineare l’aspetto ludico –eminentemente esorcistico– dei drammi di Ionesco. Gli estremi, si sa, si toccano… E poi, De Monticelli ha ragione, “Ionesco si serve della deformazione del linguaggio usuale per far saltare in aria la realtà e scoprirne gli aspetti segreti, grotteschi, feroci”… Il Nostro stesso non ci lascia dubbi, specie quando rapporta tanta scombiccherata e scudisciante maieutica ad un travagliatissimo parto d’autocoscienza:
Il problema è di andare all’origine delle nostre angosce, di ritrovare il linguaggio non convenzionale di queste angosce, forse attraverso la disarticolazione di quel linguaggio sociale che è composto di clichés, formule vuote, slogan”…
E dunque, altro che umorismo “informale”! –come pur molti lo rubricarono… Del resto, pur ondivagando tra le più riuscite riduzioni (che calamitarono, per intenderci, da Jean-Louis Barrault ad Orson Welles, sino ai nostri Glauco Mauri e Mario Scaccia, per la regia di Franco Enriquez del ’61), è ormai acclarato il forte valore didattico di quest’opera che ambisce, inopinatamente, a darci un ultimo disperato, paradossale, certo, e ribaltato messaggio umanista:

BERENGER ……………. Troppo tardi, adesso! È finita, sono un mostro! Sono un mostro! Non diventerò mai più un rinoceronte, mai, mai, mai!… Non posso più cambiare. Vorrei tanto, ma non posso, non posso! E non posso più sopportarmi, mi faccio schifo, ho vergogna di me stesso! (Si volta, spalle allo specchio) Come sono brutto! Guai a colui che vuole conservare la sua originalità! (Ha un brusco sussulto) E allora, tanto peggio! Mi difenderò contro tutti! La mia carabina, la mia carabina! (Si volta verso la parte di fondo dove si vedono le teste di rinoceronte. Urlando) Contro tutti quanti mi difenderò, contro tutti quanti! Sono l’ultimo uomo, e lo resterò fino alla fine! Io non mi arrendo! Non mi arrendo!

Resta un uomo, cioè un mostro… Equazione indicibile, inaccettabile, eppure perfettamente veridica e, come dire?, sperimentabile… È vero che di continuo cerchiamo, ci illudiamo di cambiare… Ma nemmeno i sognanti incubi lirici dei più temprati surrealisti, erano giunti a tanto… Neanche il “Sesto animale” di Guy Cabanel, era giunto a tanto:

… È il gigante dalle cosce di pelliccia che oltrepassò la soglia e apparve allo scopo di seminare il terrore per lui salutare nelle coscienze che neppure osano sussurrare il suo nome.
Nella campagna che tace, anguilla, tu corri via tra l’erbe alte per sorprendere il colloquio degli uccelli della notte e, nei risvolti dei sentieri, annusare i passi dei lupi.
Ma le macchie della luna vengono a avvilupparti la schiena di luminescenze sinistre ove corrono come pulsazioni gli zebù di borace che a grandi cadenze nascono dal semplice gioco dellev tue cupe passioni il cui riflesso ti carica il volto dell’accesa nebbia propria alle immensità dell’aria
”…

Ma qui, con Ionesco, il palcoscenico dell’Io è fin troppo bene illuminato, e non c’è bisogno di salvarsi con le vie di fuga dei sogni visionari, degli incubi tantrici, spettrali eppure fecondi d’umanità risvegliata… Ci viene in mente un’antica, terrifica intuizione di Leopardi, che il 28 luglio 1823, prendendo appunti nel suo prezioso, inzeppato e lungimirante Zibaldone, aveva il coraggio di ammettere, a nome di noi bipedi razionali tutti, pitecantropi eretti verso il Moderno, la nostra spaventevole, vanitosa e mostruosa umanità malcelata. Di mostri, nel genere umano, ce ne sono di più che in qualsiasi altra specie animale… “Mostruosità e difettosità d’ogni sorta”…
Impossibile anzi comprendere tutte le mostruosità (chiamiamoli i Rinoceronti!) dell’esistenza: “L’esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un’imperfezione, un’irregolarità, una mostruosità” (17-22 aprile 1826)…
La Malattia Chiamata Uomo di Nietzsche, rimane una fervida, un po’ ingenua gita scolastica, una tenera divagazione da luna-park…
Mostri veri o nascosti, metamorfosati o in incubazione, è lo stesso: la verità chiama metafora, e viceversa. Mentre un branco mentale di Rinoceronti, variegati unicorni o bicornuti, invade anche il villaggio o la metropoli di queste pagine e barrisce, solleva polvere, schiaccia tutti i gatti, o gli stereotipi, o i Berenger male armati di fucili o controretorica, insomma gli Io spaiati, accoppiati o collettivi che sia dato trovare sul loro massacrante e livellante percorso.
E l’unica Libertà che ci confina, che ci resta, è forse solo quella di vivere, di accettare, di educare (non basta, rinnegare!) tale umanissima, ohibò, umanistica, denudata, suadente e sincera Mostruosità:

BERENGER …………. Come vorrei avere una pelle ruvida, e quel magnifico colore verde scuro……… (Ascolta i barriti) Il loro canto è attraente, forse un po’ rauco, ma certo attraente! Se potessi anch’io cantare così! (Cerca di imitarli) Aah! Aah! Brr! Brr!

mercoledì 13 maggio 2009

Le Ciliege. Chissà se i Rinoceronti se ne cibano?

Sono stato meglio, Daisy, dandomi ragione, dandoti ragione, differenti, ma vere, senza fretta e con la polvere scivolata, abbondante, dalla superficie del corpo e del pensiero. Una sensazione aspra e dolce, fatta di silenzio e ciliegie di prossima stagione, che, comunque, consola gli eventi, qualunque essi siano e sia stiano sviluppando”.

Hai centrato Nina, nessun dubbio, del centro, di te che centri, del vanificarsi nel nulla della domanda "...ma noi che c'entriamo"?!
Siamo sempre in causa, per il semplice motivo di essere ed esistere a questo essere. Declinati dovunque e comunque. Diciamo che a me non basta più, con tutto il sacro e profondo rispetto per Watzlawick che ho avuto la fortuna di conoscere, affermare che "non si può non comunicare". Della "comunicazione" la nostra era ha fatto una chimera, e Ionesco se ne accorge. La comunicazione non può esistere per se stessa o diventa una magia primitiva adottata dal "tiranno". Dovrebbe essere "terapizzata", mi verrebbe da dire con Wittgenstein, epurata dalla "persuasione" degradata a statisco elemento suggestivo sulla massa, perchè si sa, comunqe raccoglie, senza comunicare in certi casi, chiedendoti la silenziosa adozione di pensieri, piuttosto che il dialogo su essi.

E quando anche l'ultima "speranza" -come tu dici-, quella di una "rispondenza" da Daisy, si spegne, a Bergerer non rimane che fare del sogno temuto... una estrema e breve speranza nuova: essere anch'egli un rinoceronte! Affatto convinto, ma disperato di una solitudine insostenibile. Ma i sogni sono veri solo dall'interno di essi, come gli incubi, per questo, se vivono nella luce del giorno, ricorrono alla forza selvaggia di un'allucinazione o di una guerra, per non vaporizzarsi come la forza di Ercole. E dunque ci sarà quest'ultimo tentativo, dopo di che l'epilogo "eroico" della carabina imbracciata a difendere le ragioni della paura.

Il passato, pure confuso tra i mille linguaggi che la sua povera mente alcoolica non riesce a conciliare, bastonato dalla trasformazione degli affetti intorno, qualcosa gli ha insegnato. Esce di corsa, totalmente compreso nel proprio intento ed attraversa la strada, mentre stupendi esemplari di rinoceronte attraversano la via in tutte le direzioni. Esce indenne da quel groviglio di corna festoso -come "dei bambini" afferma Daisy- e si precipita verso la casa di Jean. E' devastata, uno scheletro aperto che mostra al cielo poltrona e tavolino, appendiabito a terra e carte sparse, un cucchiaio. Berenger si arrampica. Più che salire egli, sono le cose "sfogliate" violentemente verso terra a finire in basso; una talpa verso il cielo, senza più alcuna porta da sfondare. E' sudatissimo e brillante al sole, proprio come il povero Jean quando si trasformava. Raggiunge le cinque tavole del pavimento ancora sorretto e prende posto sulla poltrona dell'amico. La testa è tirata indietro a prendere aria davanti, quella acre scaladata dal sole e dal calpestio infernale degli animali di sotto. "Una penna...una penna?" - La trova. Ora il caro filosofo è in lui; in lui è l'amico Jean, Dudard e Papillon, Botard e persino la solerte mano del pompiere che sta barrendo in strada e che l'ha aiutato a scendere dall'ufficio, non molto tempo prima. Gli rimane un ultimo atto, farli parlare in sè, restituirli all'umanità del loro progetto iniziale attraverso il suo ricordo. Accozzaglia di nozioni, e tuttavia che si svolge dentro e non là fuori, nell'arena degli animali a caccia di uomini e di aloiena trasformazione. E scrive...


"Cara Daisy,
non so se siano stati i Rinoceronti, la tua prossima trasformazione forse (?), ma sei l'ultima cosa vista fino a questo momento e la più cara, la più persa. Ho bevuto molto nella mia vita ed ho rubato tanto senza tenermi nulla o questo pensavo sino ad un momento fa. La disperazione scava nei posti segreti, e, fuori ogni virtù, ci fa più attenti. Non posso conquistare te, nè la logica e la "normalità" per questo mondo, ma voglio salvarli in me, piuttosto che tra la polvere di bestie in cui non mi riconosco, la cui potenza -ora vedo-, abbaglia, affascina e seduce. Tuttavia...

Tuttavia...questo non basta per "esistere"; intendiamoci, basta per esistere per ognuno di noi, ma poi la costante moltiplicazione di ciò che siamo nell'incontro costante con gli altri...ahi...ci chiede altro...
Nei rapporti importanti che i pianeti hanno vi è la stessa 'attrattività'...Non si oppongono nel gioco-giogo del reciproco dominio. Ma lì è' 'l'amore' delle masse gravitazionali. Immagina la luna che forzi a staccarsi dalla terra, e quest'ultima che l'abbandoni e la lasci sola nello spazio. No, decisamente l'esistere' nelle relazioni è fatto di scambio ed una certa magia d'intensità, senza logica, che arriva con il tempo, che si dilegua nello stesso. Non si può prevedere. Pensare che possa esistere un pianeta davvero meraviglioso da qualche parte nella galassia, anche se me lo dice l'iferometro di Fabry Perot -in realtà sarà costruito solo tra qualche anno-, a cosa serve? Io debbo poter pensare che esiste anche per me, nella sua infinita, pur remota possibilità di comunicare con lui, incontrarlo e sapere che è d'accordo all'incontro. Allora 'esiste', altrimenti 'è'. Ex-sisto...quanto pongo davanti a me qualcosa e so che quella cosa si lascia osservare e forse...qualche volta ti osserva. Magie impossibili da prevedere, ed assurde da costruire, ma che vivono a doppio senso. Ah... caro Jean quanto mi hai detto!
Noi, porzioni di galassia troppo lontane, potrei essere d'accordo; tu troppo occupata a gestire il tuo nuovo "spazio" siderale di fascinazione per la bellezza e la potenza, assolutamente ragionevole, davvero. Ma non si sceglie di essere soli, si cammina da soli, è diverso. Si oggi una bella giornata, nonostante tutto. Non mi arrenderò, ti bacio. Stagione nuova. Prossime le ciliege. Chissà se i Rinoceronti se ne cibano? Restano loro, Bergerer
".
Chi è che resta? Le ciliege, i Rinoceronti? Un nuovo senso da costruire, la restaurazione delle Case? Degli Abitanti? la sostituzione dei Suppellettili? E che farne della paura? Quanti slogan abbiamo visto, mancini e di destra, centrali e spostati... a fare della nostra paura una "rinocerontite post-terremoto"? Berenger gira di notte con una carabina inforcata sulla spalla...Buca cartelloni e locandine, schermi LCD e Hd, mai l'uomo, e con enorme soddisfazione scopre ogni volta che la mano poi passa attraverso quel buco, si consola che nulla è davvero perso.

Foto: Dramatherapy Blog Cherries, 2009

CIAO MARE...


@ Elea

Ciao mare...
Sembra strano che io scriva proprio a te, ma avevo qualcosa da dirti. Sono venuta a trovarti domenica...pensa è da tanto che non lo facevo;,ho sempre raccontato tutto di te dei tuoi occhi, degli occhi di chi ti ha guardato con il pianto, trattenendoli nelle tue onde. Non credo conti il luogo, il mare è sempre il mare...immenso, diverso nei colori, come sono diversi i colori degli occhi delle persone. Eri tu...ti ho riconosciuto, ti ho guardato. Tu hai riconosciuto me.

Si sono io quella bimba che si arrampicava su un immenso scoglio e ti parlava, affidandoti i suoi sogni, i suoi pensieri, le sue paure e le sue domande. Sono io. Poi ti ho parlato piano, come quando si dicono parole d'amore; volevo che loro fossero carezze per te, erano sussurri. Impresa che sa di favola, quel giorno, accarezzare le tue onde. Ma avevo gli occhi chiusi e il buio ha nascosto l'imbarazzo della mia anima e gli occhi un pò lucidi.Ti parlavo piano,come quando si parla all'amore in certi momenti che sanno di mare, anche se non ero lì tu eri dentro di me, ti facevo domande quasi timide e tutte finivano con un..."perchè"? Ho sentito la fretta delle azioni di quel momento che mi hanno portato a te, ma...dovevo finire di parlarti, desideravo mille risposte. Tu mi ascoltavi in silenzio, ti eri...come fermato.Non ho potuto toccarti.

Passava il tempo ma tu non mi rispondevi, non mi davi risposte, mi ascoltavi silenzioso. Ho pensato che non ne avevi,i n fondo non tutte le domande hanno una risposta. Su un onda ho visto riflessi i miei occhi pieni di lacrime me li stavi rendendo indietro. Li ho presi e li ho guardati...erano asciutti, avevi asciugato le mie lacrime.Ad un tratto si è alzato il vento e mi è sembrato di sentire una voce, una voce portata dal vento del mare, in quel vento che odorava di te ci stava la risposta...Questa volta non ho tappato le orecchie con le mani, ti ho chiesto..."ripeti ancora sono qui per capire"e tu hai urlato come solo le onde sanno fare. Ho sussurrato un grazie, n lle mani avevo i miei occhi. Ad un tratto, tra mille suoni, mi ritrovo in una stanza piena di amici che mi stringono le mani e in una mano vi ho messo dentro uno sguardo, un sorriso, un' emozione, una goccia di mare e un sogno di bambina, e gli ho chiesto:"stringete forte tutto questo...tutto qesto è me stessa...".
Ora ti saluto, mare, ma verrò presto a trovarti. Mi arrampicherò sul mio immenso scoglio ma...niente più domande, ma solo per accarezzare le tue onde e bagnarmi le mani.

@Director
Avevi gli occhi chiusi, è vero, intorno a te gli altri, assenti per tutto il tempo in cu non ti è servito, com'è giusto. Poi, di nuovo la relazione arricchita di pensieri invisibili e di un percorso fatto dentro te. Domenica, nell'ultima esperienza eravate tutti molto belli, tante trottole a roteare nel buio, divertendovi ad osservare e vedere meglio che nella più intensa luce. Ognuno la sua storia, dentro la propria trance.
Meravigliata? E che senso avrebbe mettersi a discutere con una distesa d'acqua e scambiarsi doni con essa e darle nuovi appuntamenti, questa volta diversi? Chissà gli altri, chissà quale paesaggio di sfondo a quale storia...Buon ritorno, ora che leggi, destati...questo era il segnale Carmen!
Si lo so, lo so..te ne accorgi solo ora. Sorrido.
Foto: Dramatherapy Blog Sunset

Rinocerontite e Comunicabilità, Eugene Ionesco


Workshop di Drammaterapia, giovedì 14 aprile 2009 - h.20,30-
Il Creative Drama & In-Out Theatre, fondato e diretto da E. Gioacchini, sponsorizza un workshop aperto al pubblico sul teatro di Eugéne Ionesco. Due relatori ed un gruppo di attori nello spaccato del terzo tempo, scena prima de "Il Rinoceronte" di E. Ionesco.
Conducono lo psicoterapeuta E. Gioacchini, la performer N. Maroccolo, con la partecipazione di P. Perilli.
Ingresso libero, gradita prenotazione.
INFO: al 3403448785

Bérenger è sconvolto, il suo linguaggio è divenuto lo smarrimento affettivo. Osservate, persino il suo alcol è pausa al terrore, poi sospetto di avvicinamento pericoloso all'epidemia forse in corso, poi la cosa più trascurabile rispetto a quanto sta avvenendo.

BERENGER L'alcool protegge dalle epidemie. Rende immuni. Sì, per esempio, distrugge i microbi dell'influenza.
BERENGER Lei non vuol capirmi. Le ripeto che lo bevo solo perché preserva dal peggio, unicamente per questo: è tutto calcolato. Quando finirà l'epidemia non berrò più. Prima di questi avvenimenti avevo già preso la decisione di smetterla. Ora la rimando, provvisoriamente.
BERENGER (con terrore) Come? Lei davvero pensa che ci sia un rapporto? Lei crede che l'alcool prepari il terreno a...? Non sono un alcolizzato! (Va verso lo specchio, si guarda attentamente) Non avrò per caso... (Si passa la mano sulla faccia, si tocca la fronte sotto la benda) No, niente di nuovo, non mi ha fatto male... questo prova che fa bene o per lo meno che è una cosa innocua.

Ma cosa sta avvenendo? Una cittadina in "trasformazione" rinocerontesca, con tanto di cartello sopra l'uscio della abitazioni dove questa non si è conclusa. Ma dovè è il mostro, quello che più colpisce Bérenger?

DUDARD Ma caro Berenger, dobbiamo sempre cercare di capire il prossimo. E quando vogliamo capire un fenomeno e i suoi effetti, è necessario risalire alla causa, con serio impegno intellettuale. Dobbiamo sforzarci di farlo perché siamo degli esseri ragionevoli. Io non ci sono riuscito, lo ripeto, e in coscienza non so se ci riuscirò. In ogni modo, dobbiamo imporci a priori un atteggiamento favorevole o, per lo meno, l'obiettività, l'ampiezza di vedute proprie di una mente scientifica. Tutto ha una logica: comprendere vuol dire giustificare.
BERENGER (ironico) Lei diventerà presto un simpatizzante dei rinoceronti, glielo dico io.
DUDARD Ma no, ma no. Non arriverò mai a tanto. Sono soltanto uno che cerca di veder le cose come stanno, freddamente: sono un realista, io. E poi sono anche convinto chetutto ciò cheè naturale non è vizioso. Guai a colui che vede il vizio dovunque! È tipico degli inquisitori.
BERENGER E le pare che tutto questo sia naturale?
DUDARD Che c'è di più naturale di un rinoceronte?

Il linguaggio ci fa interrogare su di noi, sino a creare mostruosità che addomentano l'identità del soggetto, il suo pensiero. Afferma Ionesco: “[…] I miei personaggi sono uomini che non sanno essere solitari. Li manca il raccoglimento della mente, la contemplazione. Cosicché in alcune delle mie pièces i personaggi stanno sempre insieme e chiacchierano, e questo per aver dimenticato il significato, il valore della solitudine. E così sono soli, ma in un’altra maniera” (1)

Qui il pensiero è divenuto linguaggio, ha fatto il processo opposto, svuotandosi di ogni semantica comunicativa, diventando bisticcio sofistico, che gioca con se stesso e non descrive alcun carattere, se non nella stereotipia di personalità svuotate di anima. “I miei personaggi sono svuotati di qualsiasi psicologia, sono semplicemente dei meccanismi. E così non possono comunicare. Loro non pensano. Si sono allontanati da loro stessi, vivono in un mondo impersonale, il mondo della collettività (borghese, comunista, fascista, poco importa). I miei personaggi sono uomini che pronunciano degli slogan, ciò che li esenta di pensare”. La grave nevrosi dell'individuo stigmatizzata nello "slogan", mantra pericoloso che addormenta la riflessione e "comanda" verso l'azione, nell'evitamento di quanto di "scomodo" potrebbe risvegliare alla propria presensa ed il suo senso.

DAISY (a Berenger) Eppure ci si abitua, sa? Più nessuno fa caso ai branchi di rinoceronti che passano per le strade a gran carriera. I passanti si scansano, poi riprendono la loro passeggiata e fanno gli affari loro come se niente fosse.
DUDARD È l'unica cosa da fare.
BERENGER Ah, no! Io non mi abituerò mai!
DUDARD (riflettendo) Mi domando se non sia un'esperienza da tentare.

Lo "Slogan" non chiede di essere capito, ma può raccogliere consensi, non è nè brutto, nè bello, oramai la "civiltà della statistica", ha dimostrato che ha ragione di esistere e cooptare false coscienze al suo credo. E IOnesco indica solo l'etica, come strada libera dal setaccio stretto della logica, che può ripercorrere la semantica come processo e non già rivelazione di verità :
“L’incomunicabilità non esiste. Si parla della crisi del linguaggio. Ma questa crisi è sempre una crisi voluta, per esempio dalle propagande” (2). “Se io credessi realmente nell’incomunicabilità assoluta, non scriverei. Credo nella possibilità del comunicare, all’eccezione del caso in cui è rifiutato per mala fede, per inavvertenza, per ottusità politica o per incomprensione temporaria. Prima di tutto è importante precisare i termini. Succede pure che i sistemi di comunicazione non servano sempre la comunicazione, ma l’occultare di un pensiero. In genere, le ideologie sono degli alibi, dissimulando volutamente qualcosa di totalmente diverso da ciò che trasmettono” (3).
(1) Eugène Ionesco. Entre la vie e le rêve. Entretiens avec Claude Bonnefoy, pp. 114-115. Gallimard, Parigi 1996,
Editura Humanitas, Bucarest 1999
(2) Ibidem, p. 111.
(3) Ibidem, pp. 111-112.

Foto: Rinocerontite, di E. Gioacchini, C.D.I.O.T., 2009

martedì 12 maggio 2009

"ME L'ASPETTAVO, L'AVEVO PREVISTO!", il grido di Bérenger

@ Nina

da “Il Rinoceronte”, E. Ionesco, Ed. Einaudi, p.120

Premessa:

ATTENZIONE: “La “rinocerontite” è silenziosa, non comincia con una mal di gola ed un febbricola, ma certo -ci dice Ionesco- diventa febbre di potere e voce rauca e potente, ammaliatrice” (Ermanno Gioacchini).

Dal Telegrafo:
Nina: Complimenti a Spartaco e a Valentina!!! Una prece a Valentina di restare... La serata di venerdì 8 maggio è sta propedeutica in molti sensi. E ancora una volta ci mette di fronte alle nostre responsabilità. Proximo il mio post! Un abbraccio a tutti, e buon svolgimento di lavoro... Gianni ha ragione: la forza sta nelle risorse dell'individuo che si mette a disposizione del Gruppo. Forza, Creative Drama!
Nina: @ Director: “L'ineffabile attrattiva del mistero, o la sua totale indifferenza”.
Questo è il titolo, nonché il tema che posterò domani: da qui la natura dei personaggi del Rinoceronte sotto un'ottica -altra. Bonne Nuit!
Director: Wow! Epifanica “annunciazione” di un post! Annunciate di meno... e producete di più ragazzi, dentro e fuori i post! Ben venga la tua riflessione Nina.
Nina: Director: potevo stare zitta, e facevo meglio... anche perché sto andando ad un funerale in S. Agostino, a sostenere una cara amica che ha perso improvvisamente la madre. Produco, Ermanno, dentro e fuori i post: nella VITA. Buona giornata.
Director: Nina, mi dispiace per la circostanza che mi dici... Ma cerca di cogliere, situazione che mi dici a parte, l’umorismo e la provocazione di quanto di umoristico vi è nell’annunciare un post atteso ed annunciato da tre settimane, preferibile inserirlo! Suvvia... Ti sono vicino. Ermanno
Nina: Director: ... situazione a parte del tutto inattesa e dolorosa, era intenzionale, voluto, e praticamente dimostrato, uno dei tanti risvolti dell'ASSURDO che fanno parte del nostro quotidiano. Il mio ANNUNCIO era veramente una “provocazione”!
Perché far suonare le campane a lutto durante un matrimonio?
Ho sperimentato concretamente -con reazione immediata- come certo surrealismo fa davvero parte dei nostri vissuti. Io e te, siamo stati dei perfetti Bérenger e Jean dell'Anno Domini 2009.
Nina: Perdonata, Director?

Questo giocoso dialogo è rappresentativo di come i nostri reali istinti superino frequentemente il logos, la ratio. Personalmente, nudo animaleumano di sesso femminile –nudità impertinente, lo ammetto, e mi scuso con il Director– ho voluto fare un tentativo di affermazioni non-sense sperando in una reazione che non fosse un’incornata da mandarmi al Creatore. Cosa ne è uscito?! Vorrei sussurrarlo piano, perché se sono riuscita ad evitare una prima incornata, non vorrei ne sopraggiunga una ben piazzata con barriti furiosi annessi.
Parlo di PREGIUDIZIO che, in larga misura, ritroviamo nei rapporti che intercorrono tra i personaggi ioneschiani.
Nel Rinoceronte è aspra, diretta, priva d’evasive parafrasi, la sensatissima quanto odiosa denuncia dell’autore nei confronti di determinanti aspetti: pregiudizio senza fondo, appunto; razzismo; autorità e potere esplicitati in ogni forma senza precise scale gerarchiche (Bérenger: “Ma sì, certo: è il centralino delle autorità, lo riconosco!”, pag. 120); massificazione dell’Io e isteria collettiva – l’uomo è improduttivo, tantomeno ha coscienza di quanto avviene nella sua intima realtà disgraziatamente proiettata nel mondo circostante, risucchiato dalla “potenza ammaliatrice” di un Io sovrastante.
“L’Uomo senza qualità” e il Saggio senza Idee. Bivio.

L’imperativo totalitario trova la sua determinata collocazione avvalendosi di una saggezza negativa che si autoannulla per mancanza di Idealità – riuscendo comunque vincente e convincente mediante figure carismatiche.
Il carisma è l’accalappiacani dei fragili. Una situazione storica precisa che vede un popolo ridotto alla fame, senza lavoro, con l’economia del proprio paese a pezzi, è pronto a tutto pur di ribaltare il sistema e i singoli destini.
La gente disperata pretenderebbe cambiamenti, implora rivoluzioni –una qualsiasi– pur di eliminare il travaglio del presente (non è il caso del Rinoceronte).
Dunque, se qualcuno ti offre un piatto succulento, lo mangi; e mentre pasteggi, già nomini Salvatore colui che ti ha offerto da desinare.
Questa è induzione, non scelta personale.
L’assaggio di un mondo migliore porterà ai vari sonderkommando, ai GULag e Auschwitz-Birkenau, alle prigioni sotterranee cinesi sino a Guantanamo.
Il carisma, l’autorevolezza, il Saggio senza Idee è l’ineffabile mistero che studio da sempre.

Dov’è il mistero nel Rinoceronte di Ionesco?
Lo intravedo sollevare polvere e lanciare suoni gutturali spiacevoli, mentre Bérenger, con tasso alcolico fuori norma, si dissocia dal frastuono curioso del droghiere, del barista, la cameriera e gli altri pseudo-viventi. L’essere non ancora identificato gli sovviene sgradevole perché alza “polvere”; promuove “polvere”; è responsabile della “polvere” che lo vede costretto a respirare con inconsueta difficoltà.
Bérenger intreccia un immediato dissenso, la sua vena esistenziale logora s’inasprisce verso l’elemento disturbatore –e ulteriore.
Polvere… In traslato: l’entità sta montando un gran polverone negli astanti, pedantemente agitati dall’evento. Potremmo definire il quadro “Molto rumore per nulla”?
Poche battute dei personaggi, e il forestiero dissolve l’istantanea polaroid misterica, rivelandosi un pachiderma corazzato, ruvido, verde, abbondante, proveniente dal pianeta Ipotesi. Brrr… Brrr… Il rinoceronte è pericoloso se per malasorte ti ritrovi lungo il suo passaggio. Infatti ridurrà a polpetta il mitico gatto a quattro, sei, otto zampe (è consigliabile interpellare il Signor Filosofo per maggiori, edificanti dettagli): in natura, questo animale è vegetariano. Non ama la carne, figurarsi un gatto provvisto di pelo!
Il Rinoceronte è l’Orrore che privilegia come arma la COMUNICAZIONE: seduce, attrae, affascina: la Comunicazione è mediatico patto di velocità.
Timore congelato. Sentimenti assenti. Assistiamo alla clonazione di “uomini vuoti” in perissodattili servili alla polvere, al conformismo, ad un unico Io che li azzera come soggetti a carico del proprio sé.

Purtroppo erano già così.
Purtroppo, Rinoceronte o no, erano già condannati.
Indifferenti ad ogni ragione del mistero che avvolge l’umano esistere.
Indifferenti, in una parola, alla vita.

Ora, nessuno più teme. Nessuno trema. Trema Bérenger, dopo aver assistito alla metamorfosi corporea dell’amico Jean:
“Ho paura… ho paura di diventare un altro” (pag. 94).

Poi, Bérenger, invoca l’amore di Daisy.
Daisy: figura controversa, donna fragile, uniforme, senza pathos, incerta del sentimento amoroso che la legherebbe a Bérenger.
Evidente quanto non ami questo personaggio: Daisy non sa cosa vuole. Non osa scelte estreme. In lei c’è un sottile sottrarsi a tutto ciò che è femminile-femmineo; non riesce ad esprimersi amante né amica, né vera compagna del suo uomo. Predilige una vita comoda e borghese. Soprattutto, è coinvolta in sensi di colpa: di fatto, lei e Bérenger, sono gli unici ad avere ancora sembianze umane quando la mutazione rinocerontica non teme più avversari.

DAISY: “Sì, sforziamoci di non sentirci più colpevoli!” (pag. 120).
BÉRENGER: “No, tesoro, non pensarci più. Non devi avere rimorsi. Il complesso di colpa è pericoloso. Viviamo la nostra vita, siamo felici! […] Non sono cattivi, vedi? E poi non gli facciamo niente… Ci lasceranno in pace” (pag. 122-123).
DAISY: “No, non la smetteranno! Continueranno sempre!”
BÉRENGER: “Mah… sono tutti impazziti, anche il mondo è malato: sono tutti malati”.
DAISY: “Già, ma non saremo noi a guarirli”.

Passo memorabile, che trova l’apice nelle pagine seguenti, fino alla conclusione.
Tornano gli archetipi, i miti. Torneranno sempre!
Bérenger si vuole eroe per RIGENERARE un’umanità nuova. Ecco l’utopia rivoluzionaria da inseminare. Ma Daisy non ha nessuna aspirazione a ri-configurarsi come una nuova Eva:
“Non voglio avere bambini. È una seccatura,” sostiene ferma la donna.
Bérenger-Adamo non potrà salvare l’umanità.
“E chi ti dice che non siamo noi che abbiamo bisogno di essere salvati? Forse gli anormali siamo proprio noi!” insiste Daisy.
Così se ne va. Bérenger, seppur con dolore, la lascia andare.
Eroe e moderno anti-eroe, egli resta solo. L’ultimo grido è quello di un forsennato. Forse sta impazzendo anche lui, ma non abbastanza da non rendersi conto che l’ultimo umano fra rinoceronti aveva compreso tutto in quella “polvere” iniziale: fastidiosa, istintiva repulsa.
“ME L’ASPETTAVO, L’AVEVO PREVISTO!”
Dove annidare, allora, speranze adamantine? Nel brano di questa lettera che Bérenger scriverà al suo amore perduto?

Sono stato meglio, Daisy, dandomi ragione, dandoti ragione, differenti, ma vere, senza fretta e con la polvere scivolata, abbondante, dalla superficie del corpo e del pensiero. Una sensazione aspra e dolce, fatta di silenzio e ciliegie di prossima stagione, che, comunque, consola gli eventi, qualunque essi siano e sia stiano sviluppando” (Director).

The Rhinoceros, by E. Ionesco & the Melo-Rhinocerontism by Spontaneity

as freedom from constraint....





A Kind present from Eny Meltzer, Mexico

lunedì 11 maggio 2009

sabato 9 maggio 2009

FREEDOM


Cara Maria,

il linguaggio crea "prigioni" e poi costanti "evasioni", in un ciclo perenne.
La "libertà", in tal senso, non è nelle domande -e questo appare ovvio-, ma neanche nella possibilità di diverse risposte -questo più difficile da accettare.

Da quando nel mondo animale l'evoluzione del linguaggio ha comportato che si acquisisse la coscienza del suo uso, dunque linguaggio come coscienza, non vi è stata più "libertà". Quale? Quella che un ciotolo rotoli da una rupe, senza accorgersi di nulla! Ma anche in quel caso la libertà non esiste, perchè nessuno "osserverebbe" quel sasso. Osservare la realtà è articolare il nostro istinto di morte, nella ricerca di un senso. Può esservi libertà in questo?

Tuutavia, tra domanda e risposta esiste un percorso, un processo; pur nei vincoli appena accennati, lì, nel processo, si svolge la libertà....diciamo l'arbitrario allungare le traiettorie ed orbite di un pianeta scagliato comunque nelle profondità dell'universo, giacchè è lo spazio che crea il tempo e questo illude che si possa usare e riempire di libertà! Ma stupendo quell'atto -anch'esso non libero- di sorridere autenticamente a tutto questo. L'universo si strizza l'occhio!

venerdì 8 maggio 2009

"...quanta prigionia nella libertà del linguaggio e quanta libertà nella prigione della nostra solitudine..."


@ Maria
...quanta prigionia nella libertà del linguaggio
e quanta libertà nella prigione della nostra solitudine…


Questa frase estrapolata da un commento del nostro director mi è subito piaciuta.
Non è certo la parola a renderci liberi, come siamo tentati di pensare.
Quanto tempo gettato al vento a cercare di farci capire con le parole,tutti logorroici e grafomani. Se tu mi capisci , Io esisto,ma è davvero così? E se io fossi più viva per il fatto che ci sono cose mie, esclusivamente mie che tu non comprendi.
La Parola, che potere che arma affilata... ma il silenzio,i l dialogo interiore è un viaggio che può portarti lontano, lontano e io mi lascio cullare dalla mia solitudine che, badate bene, non è fisica ma è la solitudine di chi certe cose non potrà mai farle capire.
Se ti diverti a immaginare che le nuvole del cielo siano draghi, e se pensi che da una stellina del cielo, la prima ad apparire, la più luminosa faccia capolino il sorriso di tuo padre, e se un profumo guizzante di Primavera può inebriarti più di un buon bicchiere di vino e se...e se questa libertà in questa prigione è la tua amante COME NON AMARLA?
Parole per raccontare fatti ma non emozioni.

Il Capitano mi ha raccontato un po’ del workshop del rinoceronte: come una bimba ascoltavo il suo racconto;il teatro dell’assurdo.
ASSURDO: le parole possono spiegare fatti ma non possono spiegare le emozioni, perché per le emozioni ci vogliono almeno i colori primari e un foglio oppure Mani avezze alle carezze
Piove…è assurdo uscire ora e lasciarsi accarezzare da una pioggerellina parlante, forse lei può scalfire la mia corazza e farmi sorridere.
Un gesto pazzesco per molti, anzi assurdo. ma a volte gli ombrelli riparano dal Piacere della pioggia. E poi la pioggia ha un suo profumo e non bisogna essere dotati di corna sul naso per godersi questo piccolo inaspettato piacere.

A tutta la compagnia del “Rinoceronte”, in bocca al lupo; al mio Capitano un bacio speciale.
Ai miei compagni d’atelier …vi abbraccio tutti
Foto: Nuvole di Drago, di A. Parente, 2009

mercoledì 6 maggio 2009

Avete mai visto quegli involucri di uomo come risucchiati da dentro, prima ancora di morire, nella magrezza di una prigionia che si chiama olocausto?

Su Bérenger, tra primo e secondo atto -E. Ionesco, Il Rinoceronte
Ieri parlavo con Federico e mi diceva di questa meraviglia di un Bérenger che tra primo e secondo atto è come costretto a capovolgere ottica, camera e mano. Eh sì, perché il Bérenger del primo atto, fumoso dei vapori di un alcol recente –egli dice di nò all’amico Jean, ma vai a capire poi se vero…-, incapace di seguire la lucida follia della logica del suo amico, che schiaccia osservazioni e rapporti sulla realtà, deve fare la parte del supplente alla “ragione” dello stesso nel secondo atto, mentre lo vede “pericolosamente” trasformarsi –sic…anche lui!- in un rinoceronte. E si badi bene, lo “scandalo” di Bérenger a questo fatto è proprio la supplenza a quanto dell’amico sarebbe insorto a tale “riprovevole” trasformazione dell’umanità in bestialità! Hai ragione Federico, e credo che sia tenero il sentimento di Bérenger per Jean, o quello che di quest’ultimo, in memoria, sopravvive ancora in lui. Questo miscuglio di Bérenger e Jean approda ad un carattere improvvisamente “ridicolo” nelle sue recriminazioni alla metamofosi che lì si svolge, nello scandalo solo formale per quanto sta accadendo in tutti e nell’amico, oscillante tra il preoccupato ed il pauroso; ecco forse un tipo di paura che fa riconoscere ancora l’anima del Bérenger del primo atto. Reverenziale timore che parla ancora di sottomissione al potere del pensiero, in nome della mortificazione degli istinti. Terribile destino questo del personaggio –ancora al secondo atto-, comunque perdente nel confronto, vuoi “alcolico”, vuoi "ragionevole", con l’amico e con il senso della propria esistenza! Ma, del resto, mentre gli altri personaggi vanno incontro ad una trasformazione materiale, visibile, risibile forse, se capace di generare nell’assurdo tanta comicità, che inquieta e fa interrogare, per il povero Bérgerer la vera methamorphosis si gioca dentro, nella sua coscienza. Dicevo, il vero confronto è con la vita, rispetto alla quale tutto intorno può rischiare di perdere un’identità, perché è il sogno dell’inconscio che si sta svolgendo, assurdo nelle sue contraddittorietà; differente e lacerante per il nostro personaggio, invece, assistere “fuori” al duello tra ragione ed istinto; l’istinto individuale, ma anche quello che precipità l’individualità nell’orda del gruppo e del suo “comandante”…

Si precipita al telefono, apre la porta, chiama “Polizia, Polizia…” –ora, la strana sensazione, improvvisa, di questo ricorso simbolico all’epurazione del “diverso”, dove la ragione o la ragion di stato non si concilia con l'evento…ma andiamo avanti- e qui io lo colgo “smarrito”. Momento prezioso, in bilico, oscillante tra recente passato ed incertezza del prossimo futuro. Decido allora di regalare a Bérenger un ulteriore scena. Una cosa è immutata, si dico “immutata”, nella sua mente, l’amore per Daisy, così intriso di ragionevole sogno -quale ragione potrà vietare al cuore di battere?-, momentaneamente sospeso per il precipitare di così “furiosi” eventi. Potrebbe lo shock di quanto visto avvenire nel suo amico, la sua devozione per un sentimento ora anch’esso in pericolo, dargli coscienza nuova di sé, di un autolimite sposato e dentro al quale non è stata più ricercata altra raison d’etre, altra evoluzione? E' davvero solo spettatore? Bérenger prende un foglio dalla scrivania dell’amico Jean; anzi si siede poprio sulla sua poltroncina, di traverso –per dritto sarebbe troppo…in tutti i sensi- e si mette a scrivere. La polizia è appena venuta, il Rìnoceronte-Jean è scappato. La stanza, la casa sono vuote, così come vuoto, poco prima, era diventato il suo ufficio e la questione della "puntualità" -con il destino!. Cosa rimane? Egli pensa a Daisy e le scrive di getto, nel convulso affastellarsi di sogno e realtà…

Ho posato 'i piedi per terra'; quelli li ho visti sprofondare nella polvere della monotonia e consuetudine, dell'ordine formale delle cose. Tutto stava arrivando alle caviglie...pensa...e già le ginocchia cominciavano a temere assalti del suolo verso il cielo! Mi consolavo di mani capaci di spaziare, cercare contatti desiderati ed occhi abili ad osservare e gustare i paesaggi che conosco e che potrei conoscere ancora; ma lì, impietosa, la massa di scorie verbose, affanni, regole e giudizi linguistici, ha continuato a lievitare intorno a me. Superate le ginocchia, già prossima alle anche, ha addormentato con la prudenza la linea della 'vita', togliendole la trasversalità dei movimenti, della novità. Ho preso fiato, ti ho pensata ed i polmoni hanno incamerato più aria del necessario per fortuna, ma comunque sono rimasto quasi sepolto dai fatti, dalle scuse, dalle spiegazioni, dall'opportuno, dalla logica, dal buon senso, dalla pigrizia, timore ed osservanza. Contemporaneamente quanto sta accadendo nel 'nostro' paese. La sua trasformazione globale –prossima a toccare anche a me? A te?-, del più caro amico…ha dissolto anche la “logica”, la speranza di te Daisy, in bilico tra desiderio e timore. Non c'eri piu'. Un pensiero sgradevole, sai, quasi peggio, forse, dei sogni quando ho alzato troppo il gomito. Ti eri annidata, prima, e non avvertivo più i pigolii di vita e sbattimento di ali, le mie, le tue, dopo. Mi sono detto...'Bérenger, il momento opportuno...Bérenger! Forse sei l’ultimo, è vero indegno…, ma unico baluardo a quanto sta stravolgendo il senso delle cose, e Daisy rimane ferma dentro te'. E mi sono risposto: 'Al diavolo! Il momento opportuno non è nel furtivo trattenere e prolungare uno sguardo o soltanto in quello –quante volte l’ho evitato mia Daisy, nei tuoi occhi-; nella ridondanza di presenza e racconto dal vivo!'
E' anche nel sogno, nell'idea, nello scritto, nel desiderio non conosciuto, in uno scrigno insospettabile di primavera e sensazioni risvegliate, accidenti è anche in questo! ".

Tra prima e poi e parti proprie ed adottate, Daisy a fare appiglio. Non alla comprensione delle cose o appoggio ai fatti, ma alla vita. Non è quest’ultima che pericolosamente Ionesco ha visto spegnersi nella omologazione sotto il “comando”, nella mortificazione dell'istinto, o peggio, nell'asservimento di esso alle ragioni del "potere? Non è proprio il Sogno che qui Bérenger invoca a ridare speranza all’umanità guidata, protetta, esortata, esaltata, avvilità, imprigionata, svuotata -avete mai visto quegli involucri di uomo, come risucchiati da dentro, prima ancora di morire, nella magrezza di una prigionia che si chiama olocausto?- ed alla sua coscienza?

Sono stato meglio, Daisy, dandomi ragione, dandoti ragione, differenti, ma vere, senza fretta e con la polvere scivolata, abbondante, dalla superficie del corpo e del pensiero. Una sensazione aspra e dolce, fatta di silenzio e ciliegie di prossima stagione, che, comunque, consola gli eventi, qualunque essi siano e si stiano sviluppando”.

Foto: Rhinoceron, by Steve Boom

domenica 3 maggio 2009

BRRRR...

Hai ragione, Capitano, la rivisitazione di una drammaturgia, non ci farà mai assolvere dalla ricerca dell’identità. Quella continua a lavorare dentro, ad opera in processo, ad opera compiuta. L’importante è sottrarsi al gioco bugiardo del parlare del “problema”, per sentirsene fuori. E’ il confine che fa difeso, ed il confine si sposta. La terra che trema, Istria e Bolzano, la striscia maledetta delle preci e delle maledizioni a diversi dei, milioni di cose lo dimostrano. Ed incessante, vitale, faticoso e gratificante interpretarne gli spostamenti e starci sempre dentro. La “rinocentite” è silenziosa, non comincia con una mal di gola ed un febbricola, ma certo -ci dice Ionesco- diventa febbre di potere e voce rauca e potente, ammaliatrice.

Giovedì sera, povero piccolo uomo, voce campo sapiente e buona –eppure non avevi mai provato- hai rischiato anche tu di essere incornato. Solo l’essere fuori dal timore, fuori campo come con un budge che ti dava accesso a sentirti dentro, ti ha salvato dal mio istinto omicida!
Ci camminavo, calpestando polvere inesistente di una stanza poco adatta ad un rinoceronte, sopra la tua voce; binario più caloroso della voce di un Bergerer sempre troppo devoto, onorato, lacchè della sapienza, eppure affettuoso a pensarci bene! Ma che se ne fa di un paludato inchino un rinoceronte in cerca di un paludoso posto. Se non lo straccia lui, quel verbo ostinato, pieno di maraviglia e stupore educato, chi lo farà?
Hai rischiato, come tutti, così presi dal sottile spirito ironico che aleggiava tra bagno e stanza, finestra e porta. Potevo osservarvi, in bianco e nero, uomini pavidi ed appannarvi con il mio alitare, pietrificarvi nel mio puntare. Abbandonando un mondo dove non vi era più ragione che stessi.
Qui, dove mi trovo, solo le mosche sono ospiti ingrati, ma troppo piccoli per la mia furia. L’ho dici, “non c’è e non c’è mai stata nella febbrile rincorsa delle apparenze”, non cercare anche tu Jean, dentro me, troveresti solo cuoio e carne. “E’ difficile credere…ma non impossibile”. Brrrr


Rhrinoceros -director.

Movie: "RHINOCEROS", 1958, by Eugene Ionesco, from an American high school production.

IO C'ERO. E L'HO VISTO, IL RINOCERONTE


@ Il Capitano

Io c’ero. E l’ho visto, il rinoceronte.
Eppure quanto è difficile credere. Oh si, difficile è credere all’intimo turbamento e ancor più ammetterlo. Difficile credere all’innata sensibilità, sottile arte dell’anima che piano si mostra. Difficile credere alla forsennata ricerca di una identità perduta, lasciata solo per un attimo ad asciugare al sole le pene dell’ultima sconfitta e persa scioccamente nell’enfasi ammaliatrice e bugiarda di una bislacca rivisitazione della realtà che si consacra e capovolge ad ogni passo negli equilibri instabili dell’esserne parte.

Sai, come dire: "Non capisci? Stiamo parlando di rivoluzione!" E di fronte ad una tale e inconfutabile verità, nella sua manifestazione più eclatante, che si frantuma, trasforma, trasfigura, raffigura e riconosce nell’uomo bestia, non si può che comprendere ed assecondare nel pindarico volo, l’intensa, ma quanto mai ri-educativa opera artistica, di un uomo “contro”. Sconvolgente, coinvolgente, intrigante nella sua persuasiva assurdità, la lucida visione di una decadente società vittima e carnefice dei propri mali. Soffocante, come un pugno allo stomaco. Schiacciata come il respiro negli ingorghi di cosi tante solitudini che si sfiorano senza mai toccarsi. I pensieri aggrovigliati, ora frivoli ora cupi, sparsi, mai raccolti nelle mani e infine gettati impunemente in pasto alle coscienze svuotate della ragione. Non un senso al senso stesso di ogni vita, ed allora solo ciò che non ha senso può forse restituire dignità al senso stesso d’esser uomo. In un mondo di uomini. Perché non c’è e non c’è mai stata una sola conquista nella febbrile rincorsa delle apparenze, non c’è e mai ci sarà progresso nelle scelte uniformi e condizionate.
Sai come dire: No! Io no! Io non vi seguo più, voi e le vostre regole malsane. Il recinto delle idee sfiorite attende la mandria. Andate io resto qui.

Accompagnato da una magica atmosfera, qualche attimo di sano umorismo e da un senso di autentica partecipazione, ho assistito il 30 aprile 2009, presso l’Istituto Scuola Romana Rorshach, al primo workshop sulle opere e la vita del grande drammaturgo rumeno Eugène Ionesco, sponsorizzato dal Creative Drama & In-Out Theatre, che ha avuto dunque il suo battesimo “lavorativo” anticipando ed “iniziando” il viaggio dramaterapico, alla scoperta e riscoperta bellezza, del capolavoro teatrale “ Il rinoceronte”. Diretto dalla mano sapiente del direttore Ermanno Gioacchini, e dai preziosi interventi di Plinio Perilli e Nina Maroccolo, l’incontro si è rivelato un’esperienza viva, vissuta, di profondo impatto emotivo, suggestiva e consapevole. Una di quelle che segna il cammino, ancorché sconosciuto, verso l’eletta rielaborazione e rilettura delle proprie e universali forze. Da sempre governo e leggi della storia. Della vita stessa, nella sua più ampia e nobile concezione/percezione.
Io. In questa storia, la voce fuori campo. E l’entusiasmo di un bambino.
Buona fortuna compagni d’avventura. Il nostro prossimo viaggio è appena cominciato. E’ difficile credere.. ma non impossibile!
Foto: "Dramatherapy Workshop Rhinoceros" Aprile 2009, by E. Gioacchini

DRAMATHERAPY WORKSHOPS (2004-2009)

Ciclo di Conferenze-Dibattito 2010, aperte al pubblico

organizzate dall' Atelier di Drammaterapia Liberamente -h. 20,00,in sede-

-09 aprile, Il Teatro che cura, dal drama alla drammaterapia + Laboratorio
-07 maggio, La lezione di Grotowsky + Laboratorio
-04 giugno, la Cinematerapia e la Cinema-dramaterapia + Laboratorio
-02 luglio, l'Hypnodrama + Laboratorio: il Ritorno del Padre
(nuova programmazione a settembre)

Gli incontri, aperti su prenotazione, condurranno i partecipanti lungo un percorso informativo, spesso provocatorio e divertente, tra le possibilità e le risorse della mente. I seminari e le conferenze -a carattere educativo e divulgativo - sono indirizzati ad pubblico non professionale, ma anche a tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Drammaterapia, quindi educatori, operatori sociali, insegnanti, medici e psicologi La partecipazione agli incontri è gratuita, su prenotazione alle pagine del sito o telefonando alla segreteria scientifica, tel. 340-3448785 o segnalandosi a info.atelier@dramatherapy.it

COMUNICATI STAMPA